Nell’ambito dello svolgimento del Sinodo straordinario per la famiglia, Vatican Insider ha avuto l’illuminante intuizione di fare intervenire pubblicamente il Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, Mons. Rino Fisichella, membro di altri sette dicasteri della Curia romana.
Il suo intervento permette di comprendere quale atmosfera aleggi su questo Sinodo, non perché non se ne avesse sentore, dopo gli interventi dello stesso papa Bergoglio, ma perché Mons. Fisichella chiarisce bene un aspetto importante del pensiero che informa oggi i vescovi cattolici: lasciarsi possedere dall’esperienza del mondo.
Significativa, a riguardo, è questa espressione che lui deduce dalla Redemptor hominis di papa Wojtyla: “la Chiesa nel cammino verso l’uomo non può essere fermata da niente e da nessuno”… nemmeno da Dio!, aggiungiamo noi.
È incredibile come un vescovo possa giungere a tale distorsione mentale: immaginare la Chiesa di Cristo, che parte in toto da Dio, camminare verso l’uomo; secondo un paradigma che inverte radicalmente la missione della Chiesa e lo stesso disegno di Dio.
In tal modo, la Chiesa voluta da Dio come strumento per condurre l’uomo dalla terra al Cielo, da se stesso a Dio, diventerebbe soggetto autonomo che condurrebbe l’opera di Dio all’uomo com’egli è, e tanto più irresistibilmente per quanto più l’uomo si consideri titanicamente autonomo da Dio.
Vero è che, come ricorda Mons. Fisichella, si tratta di “un atteggiamento che risale al Concilio Vaticano II”, ma, vivaddio, non è immergendosi ancor più nell’errore che si persegue la salusanimarum: se il Vaticano II ha aperto uno squarcio nel tessuto della Chiesa, dal quale il mondo continua ad irrompere nel luogo santo con tutte le sue aberrazioni,dovrebbe essere compito dei vescovi ricucire lo squarcio e rigettare indietro l’abominio che travolge le anime dei fedeli conducendole all’Inferno. E invece no, Mons. Fisichella vuole concorrere a far dilagare ancor meglio il male nella Chiesa, realizzando di fatto l’inversione dell’evangelizzazione: non più la Chiesa che illumina il mondo col Vangelo e induce l’uomo alla conversione, ma il mondo che colonizza la Chiesa e spinge l’uomo alla perdizione.
Siamo all’assurdo… per un vescovo… e per ogni minimo buonsenso.
Il suo intervento permette di comprendere quale atmosfera aleggi su questo Sinodo, non perché non se ne avesse sentore, dopo gli interventi dello stesso papa Bergoglio, ma perché Mons. Fisichella chiarisce bene un aspetto importante del pensiero che informa oggi i vescovi cattolici: lasciarsi possedere dall’esperienza del mondo.
Significativa, a riguardo, è questa espressione che lui deduce dalla Redemptor hominis di papa Wojtyla: “la Chiesa nel cammino verso l’uomo non può essere fermata da niente e da nessuno”… nemmeno da Dio!, aggiungiamo noi.
È incredibile come un vescovo possa giungere a tale distorsione mentale: immaginare la Chiesa di Cristo, che parte in toto da Dio, camminare verso l’uomo; secondo un paradigma che inverte radicalmente la missione della Chiesa e lo stesso disegno di Dio.
In tal modo, la Chiesa voluta da Dio come strumento per condurre l’uomo dalla terra al Cielo, da se stesso a Dio, diventerebbe soggetto autonomo che condurrebbe l’opera di Dio all’uomo com’egli è, e tanto più irresistibilmente per quanto più l’uomo si consideri titanicamente autonomo da Dio.
Vero è che, come ricorda Mons. Fisichella, si tratta di “un atteggiamento che risale al Concilio Vaticano II”, ma, vivaddio, non è immergendosi ancor più nell’errore che si persegue la salusanimarum: se il Vaticano II ha aperto uno squarcio nel tessuto della Chiesa, dal quale il mondo continua ad irrompere nel luogo santo con tutte le sue aberrazioni,dovrebbe essere compito dei vescovi ricucire lo squarcio e rigettare indietro l’abominio che travolge le anime dei fedeli conducendole all’Inferno. E invece no, Mons. Fisichella vuole concorrere a far dilagare ancor meglio il male nella Chiesa, realizzando di fatto l’inversione dell’evangelizzazione: non più la Chiesa che illumina il mondo col Vangelo e induce l’uomo alla conversione, ma il mondo che colonizza la Chiesa e spinge l’uomo alla perdizione.
Siamo all’assurdo… per un vescovo… e per ogni minimo buonsenso.
Ma, precisa Mons. Fisichella, “Tutti abbiamo chiara consapevolezza dei principi fondamentali, ma dobbiamo essere capaci di trovare dei linguaggi, delle forme, delle espressioni e dei comportamenti che siano più possibile segno di vicinanza della Chiesa e non di esclusione”.
Linguaggio per certi aspetti criptico, ma essenzialmente deviante, intriso di forti venature ipocrite e malevole. Mentre si esprime la “petizione di principio” della “chiara consapevolezza dei principi fondamentali”, la si distingue – “ma” – dai linguaggi, dalle forme, dalle espressioni e dai comportamenti che – paradossalmente – non devono più presentare all’uomo i detti “principi fondamentali”, ma devono essere “il più possibile segno di vicinanza della Chiesa e non di esclusione”… a prescindere dai principii fondamentali… aggiungiamo noi.
Infatti, dire che la Chiesa deve dimostrare “vicinanza… e non esclusione”, significa che la Chiesa deve “sentire” il bisogno di essere vicina all’errore, di mostrarsi simpatica con esso, di “comprenderlo”, senza “sentire” il bisogno di escluderlo.
D’altronde, l’errore c’è, è un fatto incontrovertibile, e la Chiesa non può esimersi dal prenderne atto, evitando ogni “esclusione”… ovviamente: fatti salvi i principii fondamentali!
Questo si chiama esattamente “schizofrenia intellettuale”, perché anche un bambino capisce che tenere fermi i principii fondamentali significa semplicemente che si “comprende” tutto ciò che concorda con essi e si “esclude” tutto ciò che con essi confligge. Se invece non dev’esserci “esclusione”, si è costretti ad accantonare i principii fondamentali, se non altro perché si è fissato un nuovo principio: niente esclusione, per principio, appunto!
Da qui deriva, ovviamente, quell’incessante fluttuazione del pensiero che permette a Mons. Fisichella di affermare con leggerezza un concetto privo di concetti: “Bisogna verificare, ad esempio, se chi vive in un’unione di fatto, la considera un punto di partenza o il punto di arrivo. Se è il punto di partenza, ovvio che c’è lo sguardo di accompagnamento e dialogo, se è solo il punto d’arrivo dobbiamo far comprendere a queste persone conviventi che questa non è la tappa finale”.
Linguaggio per certi aspetti criptico, ma essenzialmente deviante, intriso di forti venature ipocrite e malevole. Mentre si esprime la “petizione di principio” della “chiara consapevolezza dei principi fondamentali”, la si distingue – “ma” – dai linguaggi, dalle forme, dalle espressioni e dai comportamenti che – paradossalmente – non devono più presentare all’uomo i detti “principi fondamentali”, ma devono essere “il più possibile segno di vicinanza della Chiesa e non di esclusione”… a prescindere dai principii fondamentali… aggiungiamo noi.
Infatti, dire che la Chiesa deve dimostrare “vicinanza… e non esclusione”, significa che la Chiesa deve “sentire” il bisogno di essere vicina all’errore, di mostrarsi simpatica con esso, di “comprenderlo”, senza “sentire” il bisogno di escluderlo.
D’altronde, l’errore c’è, è un fatto incontrovertibile, e la Chiesa non può esimersi dal prenderne atto, evitando ogni “esclusione”… ovviamente: fatti salvi i principii fondamentali!
Questo si chiama esattamente “schizofrenia intellettuale”, perché anche un bambino capisce che tenere fermi i principii fondamentali significa semplicemente che si “comprende” tutto ciò che concorda con essi e si “esclude” tutto ciò che con essi confligge. Se invece non dev’esserci “esclusione”, si è costretti ad accantonare i principii fondamentali, se non altro perché si è fissato un nuovo principio: niente esclusione, per principio, appunto!
Da qui deriva, ovviamente, quell’incessante fluttuazione del pensiero che permette a Mons. Fisichella di affermare con leggerezza un concetto privo di concetti: “Bisogna verificare, ad esempio, se chi vive in un’unione di fatto, la considera un punto di partenza o il punto di arrivo. Se è il punto di partenza, ovvio che c’è lo sguardo di accompagnamento e dialogo, se è solo il punto d’arrivo dobbiamo far comprendere a queste persone conviventi che questa non è la tappa finale”.
Volutamente, sulla base del “principio di non esclusione”, qui non si precisa – come ci si aspetterebbe da un vescovo – che “l’unione di fatto” è un errore da evitare, e non si provvede alla presentazione di un principio cattolico che dovrebbe essere criterio di discernimento e di azione pastorale. Si sostiene invece che la Chiesa deve prendere atto dell’errore e, constatato che si tratta di un punto di partenza, deve accompagnarlo e dialogare con esso, e questo neanche per far capire che di errore si tratta, ma solo per “far comprendere… che non è la tappa finale”.
Domanda: Cioè?
Mons. Fisichella non lo spiega, ma dice chiaramente che se l’errore – l’unione di fatto – è un punto di partenza, la Chiesa deve accompagnarlo, deve cioè confermare nell’errore gli erranti e deve dialogare con essi. Deve cioè accettare che l’errore sia un punto di partenza per la vita di coppia, che può portare a… a che cosa non è detto, ma si evita accuratamente di dire che può portare alla perdizione.
Ma quest’ultimo non sarebbe un linguaggio “pastorale”, e Mons. Fisichella, nel fare il Pastore, evita di suggerire ai fedeli assegnati alla sua cura cosa sia bene e cosa sia male, si preoccupa invece di accompagnarli nell’errore, e per far questo si lascia possedere dalla concezione mondana moderna secondo la quale deve rispettarsi la scelta dell’individuo, in omaggio alla sua dignità e in ossequio alla sua coscienza: non più il pastore che pasce la pecora, ma la pecora, divenuta capro, che conduce e induce il pastore; non più il vescovo che evangelizza il miscredente, ma questi che catechizza e conforma il vescovo; non più la Chiesa che redime il peccatore, ma il peccatore che sollecita e muove la Chiesa, forte del suo errore nel quale la Chiesa “accompagnante” e “dialogante” lo va confermando.
Sinceramente, se oggi le cose stanno così, a che è servita l’Incarnazione? A che serve ancora la Chiesa? Quando gli stessi chierici – i ministri di Dio – si crogiolano in un contesto che è pari, e per molti versi peggiore, di quello di prima della venuta del Figlio di Dio?
Domanda: Cioè?
Mons. Fisichella non lo spiega, ma dice chiaramente che se l’errore – l’unione di fatto – è un punto di partenza, la Chiesa deve accompagnarlo, deve cioè confermare nell’errore gli erranti e deve dialogare con essi. Deve cioè accettare che l’errore sia un punto di partenza per la vita di coppia, che può portare a… a che cosa non è detto, ma si evita accuratamente di dire che può portare alla perdizione.
Ma quest’ultimo non sarebbe un linguaggio “pastorale”, e Mons. Fisichella, nel fare il Pastore, evita di suggerire ai fedeli assegnati alla sua cura cosa sia bene e cosa sia male, si preoccupa invece di accompagnarli nell’errore, e per far questo si lascia possedere dalla concezione mondana moderna secondo la quale deve rispettarsi la scelta dell’individuo, in omaggio alla sua dignità e in ossequio alla sua coscienza: non più il pastore che pasce la pecora, ma la pecora, divenuta capro, che conduce e induce il pastore; non più il vescovo che evangelizza il miscredente, ma questi che catechizza e conforma il vescovo; non più la Chiesa che redime il peccatore, ma il peccatore che sollecita e muove la Chiesa, forte del suo errore nel quale la Chiesa “accompagnante” e “dialogante” lo va confermando.
Sinceramente, se oggi le cose stanno così, a che è servita l’Incarnazione? A che serve ancora la Chiesa? Quando gli stessi chierici – i ministri di Dio – si crogiolano in un contesto che è pari, e per molti versi peggiore, di quello di prima della venuta del Figlio di Dio?
Una certa risposta a queste domande viene da questa riflessione di Mons. Fisichella: “Io penso che il matrimonio abbia subito un eccesso di accentuazione canonistica, e quindi legale, cadendo molte volte nel legalismo, che ha adombrato invece la dimensione sacramentale. Un recupero di quest’ultima dimensione credo potrebbe favorire l’individuazione di soluzioni differenti, pur in continuità con la dottrina originaria. Qui allora torniamo al primato della coscienza, sulla quale niente e nessuno può intervenire. È ovvio però che deve essere una coscienza illuminata dalla parola di Dio, sostenuta, accompagnata, che si sottopone al discernimento, che accetta l’obbedienza di un cammino. Ovvio che non può essere una coscienza libertina”
Cosa ha voluto spiegare Mons. Fisichella? Forse neanche lui lo sa! Ma è certo che ha fatto delle precisazioni importanti, di cui la prima è che non ha ricordato, nemmeno una volta, certo volutamente, la volontà e i comandi di Dio. Si è trastullato col “primato della coscienza”, evitando accuratamente di precisare che una coscienza che prescinde dalla volontà di Dio è solo più un’“incoscienza”. E invece di “premettere” che la coscienza dev’essere “cattolicamente informata”, incomincia affermando apoditticamente che sulla coscienza “niente e nessuno può intervenire”.
Dopo di che, è inutile precisare che dev’essere “una coscienza illuminata dalla parola di Dio”, perché questo non è sufficiente, soprattutto se la “Parola di Dio” viene acquisita a partire dalla coscienza, come avviene oggi poco cattolicamente e fin troppo protestanicamente.
Ed è inutile affermare che dev’essere “sostenuta, accompagnata”, senza precisare che dev’essere sostenuta dai principi cattolici e accompagnata dalla cura pastorale dei ministri di Dio.
Com’è inutile affermare che la coscienza deve sottoporsi “al discernimento”, senza precisare che si deve trattare del discernimento cattolico tra il bene e il male, che dovrebbe apprendersi con la pratica costante del catechismo e dei sacramenti.
Com’è inutile affermare che la coscienza deve accettare “l’obbedienza di un cammino”, senza precisare che si deve trattare della sequela di Cristo, senza la quale l’unica obbedienza che rimane è quella derivante dall’imperativo moderno secondo il quale “ognuno deve obbedire alla propria coscienza”, come insegna il mondo e come ha finito con l’insegnare il Vaticano II nella sua Dignitatis humanae.
Quando poi Mons. Fisichella conclude che “non può essere una coscienza libertina”, tocca il fondo dell’ambiguità, poiché, mentre sembra voler dire chissà che, finisce col dire quasi niente, salvo richiamare una terminologia equivoca che il mondo conosce e predica benissimo, basti pensare al pastore protestante Anderson che già nel 1723, riscrivendo ex novo le costituzioni massoniche, affermava: «Un massone è tenuto per la sua condizione a obbedire alla legge morale; e se intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso».
L’affermazione di Mons. Fisichella è di natura cattolica o massonica? Se è di natura cattolica, lo dica, e lo dica apertamente e onestamente, ricordando che chi non ubbidisce alla legge di Dio è escluso dalla Chiesa di Dio, seppur compreso dal mondo.
Cosa ha voluto spiegare Mons. Fisichella? Forse neanche lui lo sa! Ma è certo che ha fatto delle precisazioni importanti, di cui la prima è che non ha ricordato, nemmeno una volta, certo volutamente, la volontà e i comandi di Dio. Si è trastullato col “primato della coscienza”, evitando accuratamente di precisare che una coscienza che prescinde dalla volontà di Dio è solo più un’“incoscienza”. E invece di “premettere” che la coscienza dev’essere “cattolicamente informata”, incomincia affermando apoditticamente che sulla coscienza “niente e nessuno può intervenire”.
Dopo di che, è inutile precisare che dev’essere “una coscienza illuminata dalla parola di Dio”, perché questo non è sufficiente, soprattutto se la “Parola di Dio” viene acquisita a partire dalla coscienza, come avviene oggi poco cattolicamente e fin troppo protestanicamente.
Ed è inutile affermare che dev’essere “sostenuta, accompagnata”, senza precisare che dev’essere sostenuta dai principi cattolici e accompagnata dalla cura pastorale dei ministri di Dio.
Com’è inutile affermare che la coscienza deve sottoporsi “al discernimento”, senza precisare che si deve trattare del discernimento cattolico tra il bene e il male, che dovrebbe apprendersi con la pratica costante del catechismo e dei sacramenti.
Com’è inutile affermare che la coscienza deve accettare “l’obbedienza di un cammino”, senza precisare che si deve trattare della sequela di Cristo, senza la quale l’unica obbedienza che rimane è quella derivante dall’imperativo moderno secondo il quale “ognuno deve obbedire alla propria coscienza”, come insegna il mondo e come ha finito con l’insegnare il Vaticano II nella sua Dignitatis humanae.
Quando poi Mons. Fisichella conclude che “non può essere una coscienza libertina”, tocca il fondo dell’ambiguità, poiché, mentre sembra voler dire chissà che, finisce col dire quasi niente, salvo richiamare una terminologia equivoca che il mondo conosce e predica benissimo, basti pensare al pastore protestante Anderson che già nel 1723, riscrivendo ex novo le costituzioni massoniche, affermava: «Un massone è tenuto per la sua condizione a obbedire alla legge morale; e se intende rettamente l’Arte non sarà mai un ateo stupido né un libertino irreligioso».
L’affermazione di Mons. Fisichella è di natura cattolica o massonica? Se è di natura cattolica, lo dica, e lo dica apertamente e onestamente, ricordando che chi non ubbidisce alla legge di Dio è escluso dalla Chiesa di Dio, seppur compreso dal mondo.
Che fare allora con i peccatori?
“Avrei un’idea…” dice Mons. Fisichella. “Non potremmo trovare qui [in San Paolo] una dimensione utile come orientamento per coniugare i principi e la vita concreta delle comunità?”
Ora, se questa è un’idea!
Questa è semplicemente una stoltezza! Poiché non si può “coniugare” la legge di Dio e la vita di peccato. E già, perché l’eufemismo de “la vita concreta delle comunità” esprime semplicemente la vita immersa nel peccato condotta dalle coppie vere e fittizie che ormai abbondano nelle comunità un tempo cattoliche.
E Mons. Fisichella non si preoccupa minimamente del destino di queste anime, non pensa neanche per un momento che persistendo nel peccato esse saranno destinate all’Inferno. Non è il loro destino eterno che angustia questo ministro di Dio, ma il loro appagamento terreno, al quale, secondo lui, dovrebbe dedicarsi la Chiesa: il soddisfacimento della loro volontà personale alimentata dalla loro coscienza.
Ma per far questo non serve la Chiesa, c’è già il mondo che ci pensa e che provvede a fornire loro ogni e qualsiasi giustificazione per farli persistere nel peccato, nell’errore e nella disperazione esistenziale.
Un vescovo che confonde i comandamenti di Dio con le istanze consolatorie della psicanalisi di massa, è davvero un singolare “evangelizzatore”. Uno che, per di più strumentalizza la Sacra Scrittura per far passare le sue “idee” peregrine sulla vita di coppia.
San Paolo, dice Mons. Fisichella, San Paolo delle lettere ai Corinti.
Vediamole allora:
È a questo passo a cui si riferisce Mons. Fisichella quando parla di una “persona che viveva l’incesto” e che San Paolo “aveva ordinato di cacciare dalla comunità”.
E poi aggiunge: “Ma poi, nella seconda Lettera ai Corinzi, l’apostolo ritorna sul caso e dice a quella comunità: voi lo dovete perdonare, lo dovete accogliere nuovamente, perché non abbia a soccombere sotto il peso della tristezza e perché noi non dobbiamo essere sopraffatti da Satana.”
“Avrei un’idea…” dice Mons. Fisichella. “Non potremmo trovare qui [in San Paolo] una dimensione utile come orientamento per coniugare i principi e la vita concreta delle comunità?”
Ora, se questa è un’idea!
Questa è semplicemente una stoltezza! Poiché non si può “coniugare” la legge di Dio e la vita di peccato. E già, perché l’eufemismo de “la vita concreta delle comunità” esprime semplicemente la vita immersa nel peccato condotta dalle coppie vere e fittizie che ormai abbondano nelle comunità un tempo cattoliche.
E Mons. Fisichella non si preoccupa minimamente del destino di queste anime, non pensa neanche per un momento che persistendo nel peccato esse saranno destinate all’Inferno. Non è il loro destino eterno che angustia questo ministro di Dio, ma il loro appagamento terreno, al quale, secondo lui, dovrebbe dedicarsi la Chiesa: il soddisfacimento della loro volontà personale alimentata dalla loro coscienza.
Ma per far questo non serve la Chiesa, c’è già il mondo che ci pensa e che provvede a fornire loro ogni e qualsiasi giustificazione per farli persistere nel peccato, nell’errore e nella disperazione esistenziale.
Un vescovo che confonde i comandamenti di Dio con le istanze consolatorie della psicanalisi di massa, è davvero un singolare “evangelizzatore”. Uno che, per di più strumentalizza la Sacra Scrittura per far passare le sue “idee” peregrine sulla vita di coppia.
San Paolo, dice Mons. Fisichella, San Paolo delle lettere ai Corinti.
Vediamole allora:
«Si sente da per tutto parlare di immoralità tra voi, e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno convive con la moglie di suo padre. E voi vi gonfiate di orgoglio, piuttosto che esserne afflitti, in modo che si tolga di mezzo a voi chi ha compiuto una tale azione! Orbene, io, assente col corpo ma presente con lo spirito, ho già giudicato come se fossi presente colui che ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere del Signore nostro Gesù, questo individuo sia dato in balìa di satana per la rovina della sua carne, affinché il suo spirito possa ottenere la salvezza nel giorno del Signore.» (1 Cor, 5, 1-5).
È a questo passo a cui si riferisce Mons. Fisichella quando parla di una “persona che viveva l’incesto” e che San Paolo “aveva ordinato di cacciare dalla comunità”.
E poi aggiunge: “Ma poi, nella seconda Lettera ai Corinzi, l’apostolo ritorna sul caso e dice a quella comunità: voi lo dovete perdonare, lo dovete accogliere nuovamente, perché non abbia a soccombere sotto il peso della tristezza e perché noi non dobbiamo essere sopraffatti da Satana.”
San Paolo che ci ripensa? Così parrebbe, secondo come parla Mons. Fisichella, tale che in ultima analisi bisognerebbe perdonare e riaccogliere.
Peccato che Mons. Fisichella, usando San Paolo pro domo sua, come si fa ormai a partire dal Vaticano II, si dimentica di ricordare un particolare essenziale, evidentemente perché non gli fa comodo.
Nella seconda lettera ai Corinti si legge:
Mons. Fisichella ha volutamente ignorato il “castigo che gli è venuto dai più”, per poter suggerire, strumentalmente, che San Paolo si sarebbe pentito – “l’apostolo ritorna sul caso” – e avrebbe poi raccomandato alla comunità: “voi lo dovete perdonare, lo dovete accogliere nuovamente”; quasi che San Paolo passasse direttamente dal peccato al perdono e all’accoglienza.
Falso!
San Paolo esorta i Corinti ad “usargli benevolenza e a confortarlo” in seguito al “castigo che gli è venuto dai più”, e questo “perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte” e “perché noi non dobbiamo essere sopraffatti da Satana.” L’Apostolo non esorta i Corinti ad usare la carità per il peccato, ma per la punizione, perché il peccatore non si disperi e i giudici non si compiacciano stoltamente – non siano sopraffatti da Satana.
Ma Mons. Fisichella stravolge tutto questo e usa San Paolo per portare avanti la sua “idea” per la quale si dovrebbe coniugare il principio e il peccato. Una sorta di annientamento della contrizione, della confessione, della soddisfazione e della giusta remunerazione secondo le leggi di Dio.
Tutto al macero, tutto da buttare, a favore di una pastorale – ecco l’idea di Mons. Fisichella – che non condanna più il peccato, ma lo coniuga col principio, cioè con la legge di Dio, per ricavarne un polpettone gradito al mondo e indigesto e avvelenato per i fedeli cattolici.
Per venire al pratico, Mons. Fisichella avanza ancora nuove idee, e circa i divorziati risposati, che lui ritiene “posti in una condizione di esclusione, una forma di discriminazione insensata”, avanza una provocazione: “Mi domando perché delle persone divorziate risposate che frequentano la comunità non debbano avere l’opportunità di insegnare in una scuola cattolica o in una università le normali scienze e materie. Perché a un divorziato risposato non deve essere permesso di cantare in chiesa? Queste forme di esclusione urtano e non fanno poi capire quando poi la Chiesa dice che vuole accogliere”.
Peccato che Mons. Fisichella, usando San Paolo pro domo sua, come si fa ormai a partire dal Vaticano II, si dimentica di ricordare un particolare essenziale, evidentemente perché non gli fa comodo.
Nella seconda lettera ai Corinti si legge:
«Se qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato me soltanto, ma in parte almeno, senza voler esagerare, tutti voi. Per quel tale però è già sufficiente il castigo che gli è venuto dai più, cosicché voi dovreste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte. Vi esorto quindi a far prevalere nei suoi riguardi la carità; e anche per questo vi ho scritto, per vedere alla prova se siete effettivamente obbedienti in tutto. A chi voi perdonate, perdono anch’io; perché quello che io ho perdonato, se pure ebbi qualcosa da perdonare, l’ho fatto per voi, davanti a Cristo, per non cadere in balìa di satana, di cui non ignoriamo le macchinazioni.» (2 Cor. 2, 5-11).
Mons. Fisichella ha volutamente ignorato il “castigo che gli è venuto dai più”, per poter suggerire, strumentalmente, che San Paolo si sarebbe pentito – “l’apostolo ritorna sul caso” – e avrebbe poi raccomandato alla comunità: “voi lo dovete perdonare, lo dovete accogliere nuovamente”; quasi che San Paolo passasse direttamente dal peccato al perdono e all’accoglienza.
Falso!
San Paolo esorta i Corinti ad “usargli benevolenza e a confortarlo” in seguito al “castigo che gli è venuto dai più”, e questo “perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte” e “perché noi non dobbiamo essere sopraffatti da Satana.” L’Apostolo non esorta i Corinti ad usare la carità per il peccato, ma per la punizione, perché il peccatore non si disperi e i giudici non si compiacciano stoltamente – non siano sopraffatti da Satana.
Ma Mons. Fisichella stravolge tutto questo e usa San Paolo per portare avanti la sua “idea” per la quale si dovrebbe coniugare il principio e il peccato. Una sorta di annientamento della contrizione, della confessione, della soddisfazione e della giusta remunerazione secondo le leggi di Dio.
Tutto al macero, tutto da buttare, a favore di una pastorale – ecco l’idea di Mons. Fisichella – che non condanna più il peccato, ma lo coniuga col principio, cioè con la legge di Dio, per ricavarne un polpettone gradito al mondo e indigesto e avvelenato per i fedeli cattolici.
Per venire al pratico, Mons. Fisichella avanza ancora nuove idee, e circa i divorziati risposati, che lui ritiene “posti in una condizione di esclusione, una forma di discriminazione insensata”, avanza una provocazione: “Mi domando perché delle persone divorziate risposate che frequentano la comunità non debbano avere l’opportunità di insegnare in una scuola cattolica o in una università le normali scienze e materie. Perché a un divorziato risposato non deve essere permesso di cantare in chiesa? Queste forme di esclusione urtano e non fanno poi capire quando poi la Chiesa dice che vuole accogliere”.
E se lo domanda pure!
È grottesco, se non fosse del tutto insensato; come se nella Chiesa conciliare non circolassero già abbastanza cattivi esempii!
La verità è che Mons. Fisichella, dietro questa domanda paravento, coltiva il desiderio “pastorale” di fare di tutta l’erba un fascio, perché, come si s-predica da cinquant’anni, l’essenza del cattolicesimo non sarebbe più il comando di Dio e la sequela di Nostro Signore Gesù Cristo, ma una bella frittura mista di commestibile e di avvelenato, di sano e di malato, di virtù e di vizio, di bene e di male, di verità ed errore; frittura condita in salsa Vaticano II, che fa tanto bene all’anima e soprattutto ai corpi, principalmente quando si nutrono pulsioni indicibili e velleità irrefrenabili.
Noi, che non abbiamo il compito dei pastori, ci permettiamo di fare osservare – rispettosamente e umilmente – che un vero cattolico non darebbe mai i suoi figli in balia di insegnanti eterodossi, gabellati per cattolici dalla gerarchia; né egli stesso amerebbe frequentare cori e sacrestie dove vengono ospitati indifferentemente i buoni cattolici che vogliono fare i cattolici e i falsi cattolici che non vogliono fare i cattolici.
A noi, esclusionisti come siamo, non è mai piaciuta né la frittura indigesta, né la promiscuità, nemmeno se proposte in chiave fisichelliana.
Ma non poteva mancare la battuta bergogliana, tanto per farsi mancare niente!
“Quando mi chiedono perché la Chiesa si oppone, cerco di spiegare che la Chiesa non può riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma accoglie tutti come una madre e non come un giudice.”
Ora, sapendo che Mons. Fisichella è un prete e che quindi non è una madre, comprendiamo che non sappia esprimersi con esattezza, ma ci meravigliamo che un vescovo, alla veneranda età di 63 anni e dopo 38 anni di sacerdozio, si permetta di distinguere tra l’essere madre e l’essere giudice… come se il primo giudice e il primo educatore e il primo correttore dei figli non fosse la madre!
Ma dove vive Mons. Fisichella! Non lo sa che una madre premurosa e amante i suoi figli, li osserva, li guida, li giudica, li corregge e se necessario li punisce?
E la Chiesa è la Madre di tutti i fedeli, ed ha il preciso dovere di guidare, giudicare, correggere e se necessario punire i suoi figli; come la Chiesa ha sempre fatto, pur tra mille traversie e manchevolezze per duemila anni.
Mai si era sentito, prima del Vaticano II, che la Chiesa non giudicasse i suoi figli, che fosse una matrigna tanto perfida da accogliere benevolmente i suoi figli traviati, senza averli prima giudicati e corretti e perdonati dopo che si fossero chiaramente pentiti e fossero tornati sulla retta via.
Mai! Oggi, sì… oggi sentiamo che bisogna accogliere tutti… come una madre… sancendo che si può essere madri solo volendo il male dei proprii figli e confermandoli nell’errore.
Monsignore, lo sa che anche di questo dovrà rispondere di fronte all’Angelo?
È grottesco, se non fosse del tutto insensato; come se nella Chiesa conciliare non circolassero già abbastanza cattivi esempii!
La verità è che Mons. Fisichella, dietro questa domanda paravento, coltiva il desiderio “pastorale” di fare di tutta l’erba un fascio, perché, come si s-predica da cinquant’anni, l’essenza del cattolicesimo non sarebbe più il comando di Dio e la sequela di Nostro Signore Gesù Cristo, ma una bella frittura mista di commestibile e di avvelenato, di sano e di malato, di virtù e di vizio, di bene e di male, di verità ed errore; frittura condita in salsa Vaticano II, che fa tanto bene all’anima e soprattutto ai corpi, principalmente quando si nutrono pulsioni indicibili e velleità irrefrenabili.
Noi, che non abbiamo il compito dei pastori, ci permettiamo di fare osservare – rispettosamente e umilmente – che un vero cattolico non darebbe mai i suoi figli in balia di insegnanti eterodossi, gabellati per cattolici dalla gerarchia; né egli stesso amerebbe frequentare cori e sacrestie dove vengono ospitati indifferentemente i buoni cattolici che vogliono fare i cattolici e i falsi cattolici che non vogliono fare i cattolici.
A noi, esclusionisti come siamo, non è mai piaciuta né la frittura indigesta, né la promiscuità, nemmeno se proposte in chiave fisichelliana.
Ma non poteva mancare la battuta bergogliana, tanto per farsi mancare niente!
“Quando mi chiedono perché la Chiesa si oppone, cerco di spiegare che la Chiesa non può riconoscere un matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma accoglie tutti come una madre e non come un giudice.”
Ora, sapendo che Mons. Fisichella è un prete e che quindi non è una madre, comprendiamo che non sappia esprimersi con esattezza, ma ci meravigliamo che un vescovo, alla veneranda età di 63 anni e dopo 38 anni di sacerdozio, si permetta di distinguere tra l’essere madre e l’essere giudice… come se il primo giudice e il primo educatore e il primo correttore dei figli non fosse la madre!
Ma dove vive Mons. Fisichella! Non lo sa che una madre premurosa e amante i suoi figli, li osserva, li guida, li giudica, li corregge e se necessario li punisce?
E la Chiesa è la Madre di tutti i fedeli, ed ha il preciso dovere di guidare, giudicare, correggere e se necessario punire i suoi figli; come la Chiesa ha sempre fatto, pur tra mille traversie e manchevolezze per duemila anni.
Mai si era sentito, prima del Vaticano II, che la Chiesa non giudicasse i suoi figli, che fosse una matrigna tanto perfida da accogliere benevolmente i suoi figli traviati, senza averli prima giudicati e corretti e perdonati dopo che si fossero chiaramente pentiti e fossero tornati sulla retta via.
Mai! Oggi, sì… oggi sentiamo che bisogna accogliere tutti… come una madre… sancendo che si può essere madri solo volendo il male dei proprii figli e confermandoli nell’errore.
Monsignore, lo sa che anche di questo dovrà rispondere di fronte all’Angelo?
Cosa dobbiamo aspettarci quindi da questo Sinodo?
A domanda, Mons. Fisichella risponde: “Emergerà un metodo: un confronto, nel rispetto e perché no, anche nella chiarezza delle singole posizioni … la verità raggiunta è sempre una tappa che spinge oltre e quindi che ci spinge a ricercare ancora di più quella della dimensione di una coerente presenza della Chiesa nel mondo di oggi. … Certamente siamo in un momento in cui la Chiesa è chiamata a compiere un passo importante e tutti ci auguriamo che sia un passo in avanti nel comprendere la missione di nuova evangelizzazione che compete in primo luogo alla famiglia.”
Cioè, secondo Mons. Fisichella, dobbiamo aspettarci “aria fritta”, l’equivalente di quella frittura mista di cui abbiamo già detto.
Cos’è infatti questa risposta, se non un condensato di tre elementi tipici del mondo moderno: il vuoto, l’ipocrisia, il nulla? Il tutto condito con l’equivoco della “coerente presenza della Chiesa nel mondo” e con il luogo comune della “missione della nuova evangelizzazione”.
In realtà, la chiave sta in quella “verità raggiunta” che sarebbe sempre solo “una tappa”, è cioè in quella ormai decantata dottrina della evoluzione della verità, come se Dio potesse evolversi, ed evolversi secondo le leggi della moderna evoluzione culturale.
Questo il dio di Mons. Fisichella, il dio del Vaticano II, il dio del mondo, che non ha alcunché a che vedere col vero Dio, se non per combatterLo.
Che Dio perdoni questi traditori della Fede.
E abbia pietà di noi tutti peccatori.
A domanda, Mons. Fisichella risponde: “Emergerà un metodo: un confronto, nel rispetto e perché no, anche nella chiarezza delle singole posizioni … la verità raggiunta è sempre una tappa che spinge oltre e quindi che ci spinge a ricercare ancora di più quella della dimensione di una coerente presenza della Chiesa nel mondo di oggi. … Certamente siamo in un momento in cui la Chiesa è chiamata a compiere un passo importante e tutti ci auguriamo che sia un passo in avanti nel comprendere la missione di nuova evangelizzazione che compete in primo luogo alla famiglia.”
Cioè, secondo Mons. Fisichella, dobbiamo aspettarci “aria fritta”, l’equivalente di quella frittura mista di cui abbiamo già detto.
Cos’è infatti questa risposta, se non un condensato di tre elementi tipici del mondo moderno: il vuoto, l’ipocrisia, il nulla? Il tutto condito con l’equivoco della “coerente presenza della Chiesa nel mondo” e con il luogo comune della “missione della nuova evangelizzazione”.
In realtà, la chiave sta in quella “verità raggiunta” che sarebbe sempre solo “una tappa”, è cioè in quella ormai decantata dottrina della evoluzione della verità, come se Dio potesse evolversi, ed evolversi secondo le leggi della moderna evoluzione culturale.
Questo il dio di Mons. Fisichella, il dio del Vaticano II, il dio del mondo, che non ha alcunché a che vedere col vero Dio, se non per combatterLo.
Che Dio perdoni questi traditori della Fede.
E abbia pietà di noi tutti peccatori.
un'altro po si sono fatti possedere dal mondo........ormai sono stati fagocitati e del insegnamento di Cristo non possono essere più testimoni...........
RispondiElimina"Signore, da chi andremo?" se questi tuoi pastori ti tradiscono, se ci vogliono imbrogliare, disorientare con il depistaggio, per farci smarrire la strada che conduce a Te, Re dell'Universo, ed alla Tua SS.ma Madre (e Madre nostra), la Beata Sempre Vergine Maria? come già Papa Montini, che ebbe ad affermare "anche Noi abbaiamo il culto dell'uomo", anche questi falsi pastori ora ci vogliono confermare nei peccati (San Paolo si vantava dei suoi peccati? sic), anziché nella fede, cercano a tutti i costi il consenso del mondo, di soddisfare ad ogni capriccio, ad ogni pretesa, rinunciando al santo ammonimento, all'invito alla conversione (dei peccatori, degli eretici, dei non cristiani), al pentimento, al ravvedimento ed al cambiamento di vita. Non ci parlano più dei Novissimi (morte, inferno e Paradiso), dell'imitazione di Cristo, ma solo del sociale, della politica (la TdL), perfino della raccolta differnziata. Sponsorizzano i politici anticlericale ed atei, fanno inchini e salamelecchi a Scalfari e Pannella, mentre perseguitano e distruggono fiorenti ordini religiosi, umiliando santi Padri e condannando alla diaspora quanti non si sottomettono alla loro falsa dottrina.
RispondiEliminaSignore, vieni presto in nostro aiuto ! Amen.