Repubblica.it
(Paolo Rodari - Intervista a George Sporschill) «La Chiesa deve riconquistare credibilità tra la gente, soprattutto sui temi della sessualità e della famiglia. Il cardinale Martini ne parlò anche con Benedetto XVI». Così George Sporschill, il gesuita austriaco che nel 2012 raccolse il Testamento di Carlo Maria Martini, il quale disse: «La Chiesa è indietro di duecento anni se non di trecento ».
Era questa la preoccupazione del cardinale?
«Sì, ascoltare, partecipare alle preoccupazioni degli uomini, è più importante che dare risposte e ordini. Francesco ha compiuto un passo coraggioso promuovendo un’inchiesta sulla famiglia.
L’uomo vuole essere preso sul serio come interlocutore; anche le scienze umane e antropologiche vanno tenute in considerazione per un approccio nuovo ai temi della convivenza, con un linguaggio diverso da quello di Humanae Vitae. Martini pensava che per riconquistare la fiducia di chi si ama, la Chiesa dovesse chiedere perdono, come già fece Wojtyla per i torti verso gli ebrei».
Quali cambiamenti verranno dal Sinodo sulla famiglia?
«Francesco chiede un confronto sulle ferite della famiglia, anche se per molti cardinali la dottrina non cambia... Il Papa è vicino alla gente e sente le preoccupazioni delle famiglie; sa quante sono quelle divise, e conosce le difficoltà delle “ famiglie patchwork”. Questa è la realtà, e non si può cambiarla con i divieti. C’è da chiedersi invece in che modo la Chiesa possa aiutare le persone ad andare avanti. A volte l’amore che teneva unita una coppia muore. L’amore non può essere
annullato ma può dischiudersi un amore nuovo, forse più profondo. Nessuna situazione è senza uscita. Non servono i precetti calati dall’alto senza il rispetto per ogni singola persona ».
Cosa pensa dell’opportunità di dare la comunione ai divorziati?
«In maggioranza, i sacerdoti più vicini alla gente la danno. Una volta un cardinale schivò il problema dicendo di non poter sapere, caso per caso, chi fosse risposato o non avesse consumato il matrimonio. Per cui dava la comunione a chiunque alzasse la mano. Sarebbe più onesto se la Chiesa trovasse una risposta nuova. Dare la comunione non vuol dire avallare una situazione, ma dare più forza a chi ha più bisogno di aiuto. Come potremmo negarci a chi si strugge nella ricerca
dell’amore? La comunione con Gesù non è un premio al merito, è la più grande delle grazie. Disse un giorno un prete prima di dare la comunione: “Nessuno è degno, tutti sono invitati“».
Qual era il pensiero di Martini?
«Egli era un biblista, non un dogmatico. Parlava il linguaggio della Bibbia. Noi viviamo, diceva, nelle contraddizioni: si fallisce, si cerca di ricominciare; esiste l’odio e la riconciliazione, c’è posto per i forti come per i deboli. Martini andò alle persone con un atteggiamento che col passare degli anni si è fatto sempre più attento e amorevole. Non dava risposte fredde o precetti, stabiliva un rapporto profondo, di immedesimazione con l’interlocutore; e quando non riusciva a comprendere le sue vie taceva, e pregava ancora più intensamente. Così molti hanno trovato la propria via verso l’amore».
Pensa che Francesco sia un Papa vicino alle posizioni di Martini?
«Hanno molti lati in comune. Sono gesuiti, vivono nella pratica degli esercizi. La loro fede ha radici profonde, e vanno incontro alle persone con grande libertà. Parlano il linguaggio biblico della condivisione. Sanno dare coraggio ai deboli e sfidare i forti, nella consapevolezza che a Dio nulla è impossibile. Amano gli esseri umani e attingono coraggio dalla fede in Dio. Regole e dogmi sono relativi: vanno posti al servizio dell’amore».
Il cardinale Walter Kasper ha detto che la Chiesa non è un castello per pochi eletti. Come accogliere chi è lontano?
«Mi viene in mente la Cattedra dei non credenti, eretta a Milano da Martini, che accoglieva non con prediche, ma con l’ascolto. I non credenti hanno molto da dirci; e lo stesso vale ad esempio per gli omosessuali, per chi si sente estraneo alla Chiesa».
(Paolo Rodari - Intervista a George Sporschill) «La Chiesa deve riconquistare credibilità tra la gente, soprattutto sui temi della sessualità e della famiglia. Il cardinale Martini ne parlò anche con Benedetto XVI». Così George Sporschill, il gesuita austriaco che nel 2012 raccolse il Testamento di Carlo Maria Martini, il quale disse: «La Chiesa è indietro di duecento anni se non di trecento ».
Era questa la preoccupazione del cardinale?
«Sì, ascoltare, partecipare alle preoccupazioni degli uomini, è più importante che dare risposte e ordini. Francesco ha compiuto un passo coraggioso promuovendo un’inchiesta sulla famiglia.
L’uomo vuole essere preso sul serio come interlocutore; anche le scienze umane e antropologiche vanno tenute in considerazione per un approccio nuovo ai temi della convivenza, con un linguaggio diverso da quello di Humanae Vitae. Martini pensava che per riconquistare la fiducia di chi si ama, la Chiesa dovesse chiedere perdono, come già fece Wojtyla per i torti verso gli ebrei».
Quali cambiamenti verranno dal Sinodo sulla famiglia?
«Francesco chiede un confronto sulle ferite della famiglia, anche se per molti cardinali la dottrina non cambia... Il Papa è vicino alla gente e sente le preoccupazioni delle famiglie; sa quante sono quelle divise, e conosce le difficoltà delle “ famiglie patchwork”. Questa è la realtà, e non si può cambiarla con i divieti. C’è da chiedersi invece in che modo la Chiesa possa aiutare le persone ad andare avanti. A volte l’amore che teneva unita una coppia muore. L’amore non può essere
annullato ma può dischiudersi un amore nuovo, forse più profondo. Nessuna situazione è senza uscita. Non servono i precetti calati dall’alto senza il rispetto per ogni singola persona ».
Cosa pensa dell’opportunità di dare la comunione ai divorziati?
«In maggioranza, i sacerdoti più vicini alla gente la danno. Una volta un cardinale schivò il problema dicendo di non poter sapere, caso per caso, chi fosse risposato o non avesse consumato il matrimonio. Per cui dava la comunione a chiunque alzasse la mano. Sarebbe più onesto se la Chiesa trovasse una risposta nuova. Dare la comunione non vuol dire avallare una situazione, ma dare più forza a chi ha più bisogno di aiuto. Come potremmo negarci a chi si strugge nella ricerca
dell’amore? La comunione con Gesù non è un premio al merito, è la più grande delle grazie. Disse un giorno un prete prima di dare la comunione: “Nessuno è degno, tutti sono invitati“».
Qual era il pensiero di Martini?
«Egli era un biblista, non un dogmatico. Parlava il linguaggio della Bibbia. Noi viviamo, diceva, nelle contraddizioni: si fallisce, si cerca di ricominciare; esiste l’odio e la riconciliazione, c’è posto per i forti come per i deboli. Martini andò alle persone con un atteggiamento che col passare degli anni si è fatto sempre più attento e amorevole. Non dava risposte fredde o precetti, stabiliva un rapporto profondo, di immedesimazione con l’interlocutore; e quando non riusciva a comprendere le sue vie taceva, e pregava ancora più intensamente. Così molti hanno trovato la propria via verso l’amore».
Pensa che Francesco sia un Papa vicino alle posizioni di Martini?
«Hanno molti lati in comune. Sono gesuiti, vivono nella pratica degli esercizi. La loro fede ha radici profonde, e vanno incontro alle persone con grande libertà. Parlano il linguaggio biblico della condivisione. Sanno dare coraggio ai deboli e sfidare i forti, nella consapevolezza che a Dio nulla è impossibile. Amano gli esseri umani e attingono coraggio dalla fede in Dio. Regole e dogmi sono relativi: vanno posti al servizio dell’amore».
Il cardinale Walter Kasper ha detto che la Chiesa non è un castello per pochi eletti. Come accogliere chi è lontano?
«Mi viene in mente la Cattedra dei non credenti, eretta a Milano da Martini, che accoglieva non con prediche, ma con l’ascolto. I non credenti hanno molto da dirci; e lo stesso vale ad esempio per gli omosessuali, per chi si sente estraneo alla Chiesa».
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