Suor Cristina, il diavolo e l’acqua santa
Lancio osé Con «Like a Virgin»: la religiosa trasforma Madonna in Cristina D’Avena di Aldo Grasso
In principio era il Verbo, ma alla fine sono solo canzonette. Per tutta la settimana ha tenuto banco il lancio del disco di suor Cristina Scuccia: la vincitrice di The Voice of Italy ha scelto Like a Virgin per promuovere il suo album d’esordio. Like a Virgin di Madonna? Quella canzone al cui testo Tarantino ha dedicato un’inequivocabile e molto spinta esegesi nel film «Le iene»?
È così. Solo che Sister Cristina, come la chiamano ora i suoi discografici, ha tentato di trasformare il diavolo in acqua santa: «Ho voluto restituire un significato nuovo alla canzone, quasi farla diventare una preghiera». Nel video, girato con abilità da Marco Salom, la spregiudicata spigliatezza di Madonna lascia il posto a una specie di Cristina D’Avena che si prende troppo sul serio: si atteggia, cerca ispirazione in una cartolina veneziana per turisti.
E la Ciccone cosa dice della Scuccia? Su Twitter Madonna l’ha presa in giro, accusandola prima di aver copiato, poi accostando le foto dei due videoclip, infine affidando il commento a un ironico hashtag: «toccata per la prima volta».
In passato suor Cristina, la religiosa della comunità di Milano delle Orsoline della Sacra Famiglia, aveva avuto uno strepitoso successo su YouTube. Ma se allora la viralità nasceva dalla sorpresa, oggi la costruzione a tavolino del lancio appare tremendamente scontata.
«Signore, perdona loro, perché sanno quello che fanno» (K. Kraus).
http://www.corriere.it/spettacoli/14_ottobre_26/suor-cristina-diavolo-l-acqua-santa-760d1850-5ce0-11e4-abb7-a57e9a83d7e3.shtml
SUOR CRISTINA CANTA
“MADONNA”?
E IO FARÒ “MICKEY ROURKE” IN
NOVE SETTIMANE E MEZZO
Se nulla fosse fatto dagli organismi della Santa Sede competenti per le religiose, in tal caso io potrei sentirmi anche legittimato ad offrirmi ad un regista di video clips per girare nuovamente la colonna sonora del film Nove settimane e mezzo …
Autore
Ariel S. Levi di Gualdo
Ariel S. Levi di Gualdo
Più vado avanti nella mia vita sacerdotale e più cresce in me il fondato sospetto che peggio di noi preti riescono ad esserlo solo le suore. Che Suor Cristina Scuccia abbia una bella voce è fuori discussione. Certo, avrebbe potuto impiegare meglio questo dono di Dio, per esempio entrando come voce solista nel grande coro della Diocesi del Santo Padre diretto magistralmente dal presbitero romano Marco Frisina.
Il buon Popolo di Dio, col quale chi scrive vive a stretto contatto, è alquanto infastidito dalle performance della religiosa; e lo è nella misura in cui mai nessun figlio vorrebbe vedere il proprio genitore rivestito di una maschera grottesca sopra una passerella del Gay Pride. Nessuno vorrebbe mai vedere la propria madre all’osteria da Carmelina la Zozzona lungo la via provinciale impegnata a fare da allegra intrattenitrice ai camionisti in trasferta. Quindi nessuna delle membra vive del Popolo di Dio gradisce che una vergine consacrata si prenda gioco della verginità — peraltro liberamente scelta come offerta e dono di consacrazione a Dio — cantando la canzone di una autrice come Barbara Eleonora Ciccone, in arte “Madonna”, che nel corso della sua lunga carriera ha oltraggiato e dissacrato in ogni modo la fede cattolica ed i suoi simboli più cari: dal Cristo in croce alla Madre di Dio. E per meglio capire di chi stiamo parlando vi invito a vedere un paio di video, giusto per entrare nell’ordine di idee di chi realmente sia il personaggio Barbara Eleonora Ciccone, in arte Madonna, della quale l’improvvida orsolina ha interpretato una canzone molto particolare, non altro per il suo doppio senso [vedere qui, qui]. Detto questo, che è verità oggettiva non passibile di smentita in quanto storia documentata di trent’anni di provocazioni e di dissacrazioni anti-cattoliche da parte della Signora Ciccone in arte Madonna, si rimane più che mai sconcertati all’udire l’improvvida suorina che si arrampica sugli specchi nel tentativo di rispondere all’intervistatore dell’Avvenire, come ad altri intervistatori, circa il suo desiderio di “cristianizzare” qualche cosa di oggettivamente blasfemo, quindi in sé e di per sé diabolico [vedere qui].
La canzone di questa satanassa italo-americana che la suorina ha scelto di interpretare, come dicevo è una canzone molto particolare: Like a Virgin, come una vergine, dolosamente ignara che le vergini verso le quali il buon Popolo di Dio riversa affetto e venerazione, compresi i cattolici tiepidi e quelli distaccati dalla vita ecclesiale, sono figure straordinarie come Lucia di Siracusa od Agata di Catania, tanto per rimanere nell’ambito d’origine di Suor Cristina. E né Lucia né Agata sarebbero state liete d’essere accompagnate nel loro martirio di sangue con le parole della canzoneCome una vergine, lanciata da una geniale imprenditrice di se stessa come la Signora Ciccone, che negli anni ottanta comincia la propria carriera provocando il pubblico col suo stesso nome d’arte, visto che universalmente, da credenti e da non credenti, la Madonna è identificata con Maria di Nazareth. E per noi credenti la Madonna è la Madre di Dio, forse è bene ricordarlo non tanto alla suorina farfallina, ma alla sua superiora generale, forse più farfallina della sua giovane professa, visto che dietro ai cattivi allievi ci sono sempre e di rigore dei cattivi maestri.
Per capire Suor Cristina, formatasi in Sicilia e divenuta suora nelle Orsolinedella Sacra Famiglia, bisogna entrare nel mondo ecclesiale molto complesso di quest’isola, dove esistono antiche chiese di fondazione apostolica o personalmente visitate dall’Apostolo Paolo, come ad esempio la gloriosa Chiesa di Siracusa, edificata per volontà del Principe degli Apostoli dopo quella di Antiochia: Ecclesia Syracusana Prima Divi Petri Filia Et Prima Post Antiochenam, Christo Dicata [La Chiesa di Siracusa è la prima figlia di San Pietro e la seconda dopo la Chiesa di Antiochia, dedicata a Cristo].
Con una sua breve epigrafe, Giuseppe Tomasi principe di Lampedusa riassume nel suo Gattopardo lo stato e la psicologia di una intera società: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi!”. O per dirla in altre parola a chi pretenderebbe di imporre anche agli altri la propria mancanza di memoria storica: ieri, se i fedeli non davano il voto alla Democrazia Cristiana insulare più corrotta e più collusa coi poteri mafiosi, venivano minacciati dai preti che sarebbero finiti sicuramente a bruciare tra le fiamme dell’inferno. Oggi, cambiata la musica ma non i suonatori, un considerevole numero di preti cresciuti ormai da quattro decenni nel supremo culto dei peggiori esponenti del modernismo ed infarciti di esegesi protestanti — grazie non ultimo alla prolifica opera di cattivi maestri come il prete teologo in giacca e cravatta Giuseppe Ruggeri, una sorta di piccolo Hans Küng della Magna Grecia — ti passano davanti vestiti in abiti civili ostentando La Repubblica e L’Espresso sottobraccio; e nei loro pubblici discorsi ti citano l’ultimo articolo di Paolo Flores d’Arcais su Micromega, dialogando con laica “maturità” coi cultori dell’aborto, dell’eutanasia, dell’omosessualismo …
È quindi presto detto: se un seminarista osa indossare una talare, lo sbattono fuori dal seminario, dal quale però non sbattono fuori i seminaristi che la sera vanno a letto indossando ilbaby doll al posto del pigiama. Allo stesso modo può scordarsi il sacerdozio chiunque osi porre in discussione la suprema autorità teologica di Karl Rahner, del falso profeta di Bose e di tutti i perniciosi nipotini dell’uno e dell’altro che si sono moltiplicati negli studi teologici siciliani per la mancata vigilanza dei vescovi che si sono succeduti nelle varie diocesi a partire dagli anni Settanta. E dopo quattro decenni di siffatta devastazione ecco infine giungere al golpe supremo l’esercito di coloro che Leonardo Sciascia soleva definire come gli uomini, i mezz’uomini, gli … ma facciamola enunciare direttamente a Sciascia la sua mitica classificazione, senza indurre un prete a sporcarsi più di tanto la bocca:
«Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà … Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini … E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi… E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito … E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre … Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo … »
[don Mariano Arena al capitano Bellodi – dall’opera Il giorno della civetta]
Questo è l’ambito sociale, ecclesiale ed ecclesiastico nel quale nasce, cresce, studia e si forma Cristina Scuccia, nata a Comiso, nel ragusano, nelle splendide zone della Sicilia Sud Orientale, trasferitasi poi da suora a Milano. Chi dunque crede che il problema sia Suor Cristina, sbaglia. Il problema è una Chiesa particolare non più in grado di esprimere un corretto sentire, pensare e vivere cattolico; che non contenta di questo elimina alla radice come problema o come autentico attentato di lesa maestà tutto ciò che invece è vivere cattolico, sentire cattolico e pensare teologico cattolico, con tutta la logica e coerente pastoralità che da ciò ne consegue.
Suor Cristina è dunque il naturale risultato della cultura dei gattopardi, il naturale risultato di generazioni di preti che hanno confuso la modernità con le eresie moderniste; che da quattro decenni ignorano ormai la teologia dei grandi Padri della Chiesa e che grazie alla venefica scuola di certi maestri ti rispondono che non hanno mai studiato la metafisica di San Tommaso d’Aquino perchè nel corso delle prime lezioni presso lo studio telogico gli hanno spiegato che ormai è superato, giungendo infine al sacerdozio dopo essere stati formati su testi di teologi non cattolici d’area tedesca e dopo essere stati infarciti di hegelismo nel corso di studi filosofici e teologici ridotti talora ad una penosa farsa, dove sono offerti come unici e soprattutto indiscutibili punti di riferimento — oltre ai divi Hegel e Rahner —, autori come Schillebeeckx, Teilhard de Chardin, Cox, Heidegger, Schleiermacher, Kierkegaard, Barth, Bohnöffer, Bultmann, Moltmann, Cullmann, Lutero, Loisy, Freud, Cartesio, Kant, Gentile …
Il problema di Suor Cristina è molto più complesso, se analizzato in un’ottica socio-ecclesiale siciliana ed usando come pertinente metro di lettura due geni letterari: il Tomasi di Lampedusa e lo Sciascia. Pertanto bisogna far notare — cosa che faccio notare alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica — che Suor Cristina appartiene ad una congregazione religiosa per la quale forse la Santa Sede dovrebbe procedere quanto prima con una adeguata visita apostolica, se i suoi organismi competenti non fossero troppo impegnati con le Suore Francescane dell’Immacolata, che malgrado certi loro problemi interni e forse pure qualche loro chiusura mentale, in ogni caso hanno sempre cantato le proprie lodi solo a Dio ed alla Madonna Madre di Dio, non certo alla Madonna-Ciccone.
Questa stessa congregazione di suore, nel cuore della Città greca di Siracusa non ha trovato di meglio da fare che mutare due proprie ex case di formazione in alberghi, una addirittura inBeauty Farm [vederequi], gestita direttamente da suore ormai trasformate da vergini consacrate in imprenditrici, prive di vita comune e di senso di vita religiosa. Una lussuosa beauty farm a quattro stelle e passa camuffata a livello amministrativo da “casa per ferie” alla quale è stato dato il nome di “Casa di Maria”, con spirito non meno blasfemo rispetto a quello della loro giovane consorella che canta un irriverente inno a doppio senso sulla verginità lanciato da una cantante che s’è rinominata Madonna in palese vilipendio della Mater Dei.
Suor Cristina è solo la punta visibile di uno stato di degrado e di decadenza della vita religiosa di questa congregazione per la quale urgono adeguati provvedimenti. Da una parte abbiamo infatti le orsoline della Sacra Famiglia che ospitano nella propria lussuosa e costosa beauty farm dei ricchi settantenni che vanno a farsi un po’ di relax con la loro diletta nipotina ucraina di 25 anni, senza che alcuna pia suora si sogni certamente di chiedergli il certificato di matrimonio o di negare a tale deliziosa coppia una camera matrimoniale; dall’altra l’emblema della nuova generazione di loro suore che canta le canzoni di quella notoria satanassa della pop star Madonna, anzichè sgranare santi rosari di riparazione alla Beata Vergine Maria.
Se nulla fosse fatto dagli organismi della Santa Sede competenti per le religiose, in tal caso io potrei sentirmi anche legittimato ad offrirmi ad un regista di video clips per girare nuovamente la colonna sonora del film Nove settimane e mezzo[vedere qui], dove Kim Basinger abbozzava un innocente spogliarello che oggi potrebbe essere proiettato senza problema nei cinema parrocchiali, tanto risulterà essere castigato se messo a confronto con le immagini veramente indecenti che ci vengono propinate ai giorni nostri. E nel video io farò il ruolo che in quella pellicola faceva il giovane Mickey Rourke in quei lontani anni Ottanta.
Può essere che dinanzi a quel video il mio santo vescovo cada svenuto a terra con la segretaria che corre a rianimarlo coi sali e col robusto vicario generale diocesano che lo solleva dal pavimento? Non è detto, perché potrebbe essere che il mio santo vescovo ed il robusto vicario generale diocesano, essendo entrambi uomini forgiati da grande esperienza pastorale, sul mio video clip se la ridano di gusto dicendosi in privato l’uno con l’altro: «In fondo, vista e considerata Suor Cristina, anche noi preti abbiamo pur diritto alla nostra parte!», compreso il dire ciò che pensiamo riguardo a questa cultura di decadenza, di relativismo e di metodica distruzione della teologia cattolica e della pastorale.
__________________________
Come atto di riparazione per le scellerate gesta della orsolina Cristina e di chi le ha dato corda all’interno della sua Famiglia religiosa, offro ai lettori dell’Isola di Patmos un adeguato canto della tradizione popolare
http://isoladipatmos.com/suor-cristina-canta-madonna-e-io-faro-mickey-rourke-in-nove-settimane-e-mezzo/
Ora veniamo al secondo pensiero (quello promesso nelle prime righe dell’articolo), lasciamo perdere la governance mondiale e la sua colonna sonora pop e guardiamo in casa, nella Chiesa. La domanda che vorrei porre è semplice: siamo sicuri di avere già sperimentato tutte le tecniche di formazione ed evangelizzazione debite e opportune? Mi regala le parole Cattaneo sulla Nuova Bussola Quotidiana: “Ora ci chiediamo: invece di prospettare soluzioni ambigue, che non fanno che disorientare i fedeli, perché non è stata detta nessuna parola sulla “bellezza della castità”, come valore autenticamente umano e cristiano? O forse che la castità non è più una virtù? O forse che la Chiesa non ha più il coraggio di indicare ai giovani, ai fidanzati e anche alle coppie sposate, il valore della castità e della verginità per il Regno di Dio? Non sarebbe questo il vero messaggio profetico per il nostro tempo?”. E qui avvertiamo tutta la drammaticità dei tempi. Lungi dall’accusare un complotto mondiale dei Padri Sinodali, è però evidente la crisi di strumenti culturali, il senso di inferiorità e la paura di fronte al trionfo dei registri della dissoluzione. Umanamente encomiabile addirittura, quando operata in buona fede, la disponibilità a perdere posizioni economiche e teologiche, pur di non perdere le pecorelle (e ormai si teme di perdere la totalità del gregge!). In fondo non è colpa di nessuno in particolare, è un’epoca che ci trascina tutti, e che dovrebbe incitare tutti a chiedere una riconsacrazione del mondo o qualcosa di simile. Serve una soluzione in tutto anti-pelagiana, un’offerta di sé e del creato alla pura Grazia, un ravvivamento della preghiera, come vorrebbero quei neo-pelagiani dei tradizionalisti (mi sia concesso dirlo col sorriso, da semi-tradizionalista, e senza alcuna polemica verso l’amato Papa). Invece degradiamo: i Padri non parlano di castità; i figli ne parlano ma scimmiottando una diva del pop-porn; e continuiamo a sperare che da ciò possa sgorgare sa Dio quale rinascimento cattolico o anche solo umano. Che volete, non ho soluzioni da offrirvi, mi nasce tiepido solo un consiglio: invochiamo la Madonna quella vera, Aiuto dei cristiani, perché ci protegga e custodisca, e impariamo a cantare unanimi Colei che non fu “like a virgin” ma Semper Virgo e Tota Pulchra.
Like a sister
di don Marco B.
“Like a virgin”, come una vergine. Siamo nel 1980 e una piccante Madonna,
icona dello sfacelo culturale propagandato per mezzo musicale, si snoda
sensuale tra croci e veli bianchi sulle acque della Laguna. 2014, tocca
al fenomeno mediatico Suor Cristina
interpretare il ruolo della vergine rinnovata dal suo amato, forte del
velo sponsale (questa volta bruno e da monaca) e del medesimo scenario
lagunare. “Leggendo il testo, senza farsi influenzare dai precedenti, si
scopre che è una canzone sulla capacità dell’amore di fare nuove le persone. Di riscattarle dal loro passato.
Ed è così che io ho voluto interpretarla. Per questo l’abbiamo
trasformata dal brano pop-dance che era, in una ballata romantica un po’
alla Amos Lee” così dichiara la giovane consacrata. Che dirne? Non
mi interessa buttarla sul moralistico (accusando la cantante) né
sull’etico (maledicendo il malcostume dei tempi correnti), ma raccolgo
due altri ordini di pensieri entrambi ispirati al McLuhan di “il mezzo è
il messaggio”.
Dunque, tra tanti brani d’amore, si è voluto scegliere un brano conteso tra interpretazioni anche volgari, “Like a virgin”.
L’importante, a detta degli autori, era “non farsi influenzare dai
precedenti”: può bastare? A mio parere no. Sposto il problema
dall’intenzione degli artisti al campo dell’arte, dai precedenti più o
meno ingombranti del brano (cosa qualcuno ha detto di esso) alla sua
storia degli effetti (di quali significati è attualmente portatore nel
mondo), dalle pie intenzioni del nuovo lancio discografico al predominio
culturale del genere e del singolo selezionati. La mia sentenza è
spietata: l’arte
ha i suoi linguaggi e le sue stagioni cui si sottraggono parzialmente
solo i grandi geni, la storia degli effetti di “Like a virgin” è
emblematica del cupo decorso artistico vigente, e quindi in tale
contesto la possibilità di evangelizzare con un re-make di Madonna non è
impossibile ma, se possibile, stocastica:
cioé, se riesce, le riesce per caso. Peggio, riesce perché la gente è
abbastanza ignorante da lasciarsi commuovere dalla suora giovane
cantante senza preoccuparsi della natura del brano. E ciò in linea di principio consacra la deriva new-age dell’evangelizzazione,
quando cioè la gente segue un predicatore solo in nome della simpatia e
del carisma, praticamente a prescindere dal messaggio che viene
proposto (cristiano, buddista, anarchico: è optional). Suor Cristina
dunque evangelizza davvero? Come? Prende un brano controverso e ne fa un
manifesto dell’amore. Quale amore? La Caritas che è Cristo? Vedo due possibili risposte. Una è confondere l’Amore cristiano col “love” all’americana,
termine transitato dal Sessantotto al Burning man, senza veri appigli a
Nostro Signore: ciò farebbe della sorella non una evangelizzatrice
bensì una corruttrice. L’altra è tentare
una sorta di setaccio dei semina verbi, le tracce di Cristo nascoste
nella cultura acristiana, per estrarle e riportarle alla loro buona
terra nella Chiesa. Credo che quest’ultimo sia il disegno di Suor Cristina, ma continuo a reputarlo fallimentare.
Non sto semplicemente asserendo che è difficile dare un nuovo
significato a elementi che ne hanno già ricevuto uno e ben solido dalla
tradizione che li ha generati: “Like a virgin”, per esempio, nasce dall’ambiente della dissoluzione pop e di questo parla. Non mi limito a rigirare la frittata di McLuhan ripetendo un mantra aprioristico - il mezzo è il messaggio
- quasi che il pop di per sé sia inadatto a evangelizzare, per il solo
fatto d’essere musica bassa nata dal basso per compiacere le fasce basse
che amano volare basso. No, mi preme un concetto più specifico, ed è
solo per questo che sto scrivendo l’ennesimo articolo controcorrente
(fregandomene per il resto di Suor Cristina, Giosy Cento, i Gen,
Frisina, the Priests e tutto il resto: prediligo la Missa letta e nel
tempo libero ascolto solo Jordi Savall). Ritengo dunque che il pop non
sia solo un ambito della modernità, di quelli con i quali è duro ma in
fondo possibile confrontarsi e cimentarsi. A mio avviso il
pop è massimo emblema della modernità e della secolarizzazione, di quel
processo di svuotamento dell’umano, di trionfo degli ideali
rivoluzionari, di demolizione del cristianesimo, di radicamento della
post-religiosità tanto ben illustrato da Del Noce.
Due amici mi aiuteranno a svolgere il concetto, entrambi hanno scritto
per il Dossier del Timone n.135: Dissoluzione Pop. Carlo Susa, esperto
di storia del teatro e dello spettacolo, ha messo anzitutto in evidenza la natura idolatrica del mondo dello spettacolo,
denunciata anzitempo dai Padri della Chiesa ed esplosa nuovamente
nell’era del Cinema. Samuel Thomas, citato da Susa, ci insegna infatti
che i divi “incarnano un bisogno moderno di fede, bisogno religioso più
che artistico”, che trova il suo coronamento nella “mitica” Hollywood. Il divismo appare appagamento spurio della domanda religiosa,
e se è vero che dagli anni sessanta “sembra di assistere a un
ridimensionamento dell’aura delle star cinematografiche”, è pur vero che
“il cinema ha perso progressivamente la sua posizione dominante in
favore della televisione e, più recentemente, di altri mass media”. In
questa logica suor Cristina è sicura di essere effettivamente agente
evangelizzatrice e non, pur suo malgrado, replicato del divismo
massmediatico? Andiamo oltre. Roberto Manfredini, penna e cervello
free-lance della rete, di invidiabile acume e di vasti interessi,
sostiene che “il decadimento della cultura pop è indice di una saturazione del mercato della dissoluzione”
in cui “le devianze sessuali e i comportamenti antisociali sdoganati
dalle odierne pop-star passano quasi inosservati, soppiantandosi a
vicenda in una sorta di manierismo porno-soft”.
Ma da dove inizia questa corsa allo sfacelo? Chi sarebbe il primo
protagonista del passaggio di consegne dal divismo anomico del Cinema a
quello antinomico della Pop culture? “La gara alla ‘pornificazione’
inizia con Veronica Ciccone, nota a tutti come Madonna” la quale debutta
quando “il consolidamento del disordine morale permette la liaison tra
marketing e trasgressione”. Regina
dell’osceno, bisessualità divina, pansessualismo, moda omosessualista:
queste le coordinate culturali in cui si snoda la carriera musicale
della Ciccone. Contro questo Moloch, paradigma e veicolo preferenziale del decadimento spirituale e della disumanizzazione, suor Cristina vorrebbe lanciare il suo sogno evangelizzante. Ha perso in partenza, a giudicare dal contest,
e senza tacere del problema tecnico di base: nessun critico serio le
riconosce una voce all’altezza dell’esposizione mediatica, e i più
malevoli non tardano a suggerire che di carriera non si sarebbe mai
parlato, qualora Cristina non avesse avuto un velo in testa. Sconfitta
che costa cara, in termini di kulturkampf, perché implicitamente afferma che il modello vincente è davvero quello pop, cui persino la vita consacrata si inchina.
Vergogna per molti, che vedono beffata la propria scelta di castità,
sulle note di un brano risemantizzato con successo da uno degli spezzoni
più volgari del lungometraggio, il celeberrimo incipit di “Le Iene”, ad opera del più nicciano tra gli autori viventi, Quentin Tarantino.
Tirando
le fila, difficile dire come risolvere una tanto impari sfida, e certo
non è con il conservatorismo di maniera che se ne verrà fuori. Se però,
al di qua del mero caso, rimane un posto per la ragione e per la
progettualità umana, non c’è dubbio che siano quantomeno da evitarsi: l’ignoranza (il video è bello e in fondo nessuno più sa la storia di Madonna), il divismo (suor Cristina è simpatica e questo ci basta), l’imprudenza (confrontarsi con modelli culturali dominanti è sempre vincente), l’innocentismo
(bastano un velo e una buona intenzione per redimere la peggio cultura
anticristica). Concludo dunque la digressione, già raggiunto dai primi
sfottò, che non riesco a confutare, della cultura laica: “Chiaro, dopo
l’inedito orrendo scritto da Neffa in molti avranno spinto perché Sister
Cristina si rifacesse a un repertorio di classici, tanto per non andare
di male in peggio, ma tra i classici esistono brani più dichiaratamente
rivolti all’Amore, senza dover per forza tirare in ballo una che già
dal nome diceva quali fossero le sue intenzioni rispetto allo
scandalizzare i cattolici”. Prender lezioni di fede dal Fatto Quotidiano,
che pena. Non voglio nemmeno argomentare alla Vassallo, ipotizzando una
posa ‘idealistico-hegeliana’ in suor Cristina: la contraddizione come
mezzo di redenzione, l’esaltazione dell’anticattolico come frontiera di
riaffermazione di un cattolico restaurato. Ma va’, le suore nostrane
mica arrivano a tanto, sono brava gente. Più banalmente vedo
il successo del registro culturale progressista, verso il quale il
cattolicesimo degli ultimi decenni si trova sempre meno munito di
anticorpi, succube, quasi mendicante.
Ora veniamo al secondo pensiero (quello promesso nelle prime righe dell’articolo), lasciamo perdere la governance mondiale e la sua colonna sonora pop e guardiamo in casa, nella Chiesa. La domanda che vorrei porre è semplice: siamo sicuri di avere già sperimentato tutte le tecniche di formazione ed evangelizzazione debite e opportune? Mi regala le parole Cattaneo sulla Nuova Bussola Quotidiana: “Ora ci chiediamo: invece di prospettare soluzioni ambigue, che non fanno che disorientare i fedeli, perché non è stata detta nessuna parola sulla “bellezza della castità”, come valore autenticamente umano e cristiano? O forse che la castità non è più una virtù? O forse che la Chiesa non ha più il coraggio di indicare ai giovani, ai fidanzati e anche alle coppie sposate, il valore della castità e della verginità per il Regno di Dio? Non sarebbe questo il vero messaggio profetico per il nostro tempo?”. E qui avvertiamo tutta la drammaticità dei tempi. Lungi dall’accusare un complotto mondiale dei Padri Sinodali, è però evidente la crisi di strumenti culturali, il senso di inferiorità e la paura di fronte al trionfo dei registri della dissoluzione. Umanamente encomiabile addirittura, quando operata in buona fede, la disponibilità a perdere posizioni economiche e teologiche, pur di non perdere le pecorelle (e ormai si teme di perdere la totalità del gregge!). In fondo non è colpa di nessuno in particolare, è un’epoca che ci trascina tutti, e che dovrebbe incitare tutti a chiedere una riconsacrazione del mondo o qualcosa di simile. Serve una soluzione in tutto anti-pelagiana, un’offerta di sé e del creato alla pura Grazia, un ravvivamento della preghiera, come vorrebbero quei neo-pelagiani dei tradizionalisti (mi sia concesso dirlo col sorriso, da semi-tradizionalista, e senza alcuna polemica verso l’amato Papa). Invece degradiamo: i Padri non parlano di castità; i figli ne parlano ma scimmiottando una diva del pop-porn; e continuiamo a sperare che da ciò possa sgorgare sa Dio quale rinascimento cattolico o anche solo umano. Che volete, non ho soluzioni da offrirvi, mi nasce tiepido solo un consiglio: invochiamo la Madonna quella vera, Aiuto dei cristiani, perché ci protegga e custodisca, e impariamo a cantare unanimi Colei che non fu “like a virgin” ma Semper Virgo e Tota Pulchra.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.