L’anno zero della Chiesa: “Parlare chiaro per farsi capire”
La “strada” indicata da Francesco: dialogo franco all’interno e ascolto all’esterno
«Va sconfitta la tendenza al clericalismo, che riassumo in un consiglio ricevuto una volta quando ero giovane: “Se vuoi andare avanti, pensa chiaramente e parla oscuramente”. Un invito all’ipocrisia. Bisogna evitarla a ogni costo».
Sta in queste parole, confidate un anno fa da Francesco ai superiori degli ordini religiosi, una chiave di lettura su quanto accaduto nel Sinodo straordinario sulla famiglia.
Sta in queste parole, confidate un anno fa da Francesco ai superiori degli ordini religiosi, una chiave di lettura su quanto accaduto nel Sinodo straordinario sulla famiglia.
Un’assemblea che rappresenta soltanto la prima tappa di un lungo percorso e che si è conclusa con inediti accenni di attenzione e vicinanza alle famiglie «ferite», alle coppie sposate civilmente, e anche alle convivenze. Ma che su alcuni punti «caldi» - la possibilità di riammettere in certi casi e a certe condizioni i divorziati risposati ai sacramenti e la pastorale per le persone omosessuali - non ha raggiunto il consenso dei due terzi dei padri sinodali. Un Sinodo caratterizzato, come mai era accaduto prima, dall’assoluta libertà di parola, sollecitata all’inizio dei lavori dallo stesso Francesco.
Da una parte ci sono quanti hanno affermato che su certi argomenti non era neanche possibile aprire una discussione: è la linea incarnata soprattutto da alcuni porporati curiali, come il Prefetto dell’ex Sant’Uffizio Gerhard Ludwig Müller e il Prefetto della Segnatura apostolica Leo Raymond Burke, sostenuta in aula con forza anche dal Prefetto della Congregazione dei vescovi, Marc Ouellet e dal «ministro dell’Economia» George Pell. Dall’altra c’è chi si è detto favorevole ad approfondire la possibilità di concedere in certi casi i sacramenti ai risposati e ha proposto un atteggiamento più comprensivo e accogliente verso le persone omosessuali, come hanno fatto il cardinale Reinhard Marx a nome dei vescovi tedeschi, il cardinale di Vienna Christoph Schönborn e il vescovo italiano Bruno Forte. Il tema dei gay, marginale rispetto alla riflessione sulle sfide riguardanti la famiglia e citato nei testi preparatori soprattutto in relazione all’atteggiamento da tenere verso i figli che vivono con queste coppie, ha finito per diventare l’argomento più controverso del Sinodo, a motivo della formulazione notevolmente aperturista (e poco rappresentativa degli umori dell’aula) contenuta nel documento di lavoro di metà percorso, poi emendato nella stesura finale. Un testo che ha provocato anche la vivace reazione dei vescovi africani.
Alle «tentazioni» a cui ha assistito in aula, citate nel suo discorso finale - quella dell’«irrigidimento ostile» di chi si considera «padrone» della dottrina, e quella del «buonismo distruttivo, che in nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle» - Francesco ha contrapposto l’atteggiamento dei «pastori veri», che «portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro fedeli».
Il metodo della «parresía», cioè della franchezza nell’esprimersi senza timori reverenziali, e dell’«ascolto umile», ha prodotto un effetto a cui la Chiesa non era più abituata. E non potrà non avere ripercussioni anche a livello locale. È difficile infatti immaginare che in un sinodo diocesano non vi sia ora chi chieda uguale franchezza e libertà di espressione.
Il tema della cura pastorale delle famiglie in difficoltà e dei sacramenti per i divorziati risposati non è peraltro nuovo. Era emerso l’ultima volta nel corso del Sinodo sulla nuova evangelizzazione del 2012. Benedetto XVI, figura molto più complessa di certi cliché nella quale hanno cercato di schiacciarla certi sedicenti «ratzingeriani», nel giugno di quell’anno, dall’incontro mondiale delle famiglie a Milano, aveva usato parole da pastore che mostra di «portare nel cuore» gioie e lacrime dei fedeli: «Il problema dei divorziati risposati è una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi. E non abbiamo semplici ricette».
«Sarebbe sbagliato leggere ciò che è accaduto al Sinodo con le categorie usate per descrivere le cronache parlamentari - spiega a La Stampa padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica - parlando di minoranze e maggioranze. La Chiesa non è un’assemblea parlamentare e non va letta con categorie politiche. E questo anche quando vota, perché da sempre ha votato nel corso della sua storia. Pensiamo al conclave. È invece importante notare che nel dialogo si sono confrontate, con piena libertà di espressione, posizioni differenti tra loro». «A emergere - conclude Spadaro - sono in fondo due approcci, due diverse visioni di Chiesa e del rapporto tra la Chiesa e la storia, il mondo».
ANDREA TORNIELLICITTÀ DEL VATICANO
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