I prudenti vescovi francesi bloccano sul nascere il bis del caos sinodale
Il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi
Roma. La conferenza episcopale francese ha deciso che a livello nazionale non vi sarà alcuno sviluppo e approfondimento del dibattito sinodale andato in scena il mese scorso a Roma. Qualche vescovo locale, rimasto a casa mentre nell’Aula Nuova si discuteva di ostia ai divorziati risposati, di aperture più o meno convinte alle coppie omosessuali e di cammini penitenziali da affidare alla supervisione del vescovo diocesano, ha chiesto durante l’assemblea autunnale ospitata come di consueto a Lourdes che, oltre alle dotte ed esaurienti relazioni di chi a Roma c’era, il confronto fosse esteso ai presuli francesi. Il cardinale André Vingt-Trois, resosi subito conto che la discussione avrebbe potuto facilmente travalicare i confini di quanto discusso dai padri sinodali nelle due settimane di lavoro romane, ha preso il microfono e ha invitato i confratelli a “globalizzare il meno possibile e a lavorare lì dove si è”, cioè nelle diocesi.
L’obiettivo dell’arcivescovo di Parigi, che del Sinodo straordinario è stato uno dei tre presidenti delegati, era quello di evitare che iniziasse a formarsi e consolidarsi una posizione dell’episcopato francese destinata, nel breve o medio termine, a scontrarsi con Roma, soprattutto se alla fine del percorso biennale di confronto sulla famiglia le attese di gran parte dei fedeli dell’Europa centro-settentrionale non troveranno ascolto nell’Aula sinodale. Non ci sarà neppure un nuovo questionario da inviare nelle parrocchie della Francia, nonostante tale ipotesi fosse stata abbozzata perfino dal cardinale Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo.
Una decisione, quella di Vingt-Trois e del presidente della conferenza episcopale locale, mons. Georges Pontier, che ha lasciato interdetti diversi vescovi, già pronti a discutere di matrimonio e famiglia in occasione dell’assemblea ordinaria primaverile, ultima possibilità di confronto prima del Sinodo del 2015. Nel suo intervento – che riepilogava sommariamente l’andamento dei lavori a Roma e metteva in luce i punti salienti della relazione finale – l’arcivescovo di Parigi ha riconosciuto che a essere in gioco è la definizione stessa del matrimonio come sacramento: “Le cose sembravano chiare fino a poco tempo fa”, ma “i cambiamenti culturali” dell’epoca contemporanea “pongono interrogativi sul fondamento del sacramento matrimoniale”. In ogni caso, ha rassicurato tutti il porporato, non c’è da attendersi una “decisione romana” chiamata “a risolvere tutti i problemi”, anche perché tale ipotesi sarebbe rigettata da un episcopato che invece – anche per motivi storici – rivendica più autonomia almeno in fatto di pastorale, se proprio non è possibile avere diritto di parola sulla dottrina. “Sarebbe illusorio pensare che il Papa possa decidere soluzioni pastorali particolari. Può decidere orientamenti, ma sta a noi trovare le vie”, ha chiarito Vingt-Trois, facendo intendere che ben poco di nuovo c’è da attendersi anche dall’assise dell’anno prossimo e dalla successiva esortazione che sarà firmata da Francesco. Di questo si discuterà a livello di diocesi nei mesi che porteranno al Sinodo del 2015. Non tutti, però, sono d’accordo con l’impostazione scelta dai vertici della gerarchia francese. Il primate delle Gallie e arcivescovo di Lione, il cardinale Philippe Barbarin, ha espresso più d’un dubbio sull’idea di aumentare il peso delle chiese locali rispetto al centro – ipotesi, questa, molto a cara anche a vasti settori dell’episcopato tedesco. Barbarin teme che lasciando la pastorale in mano ai vescovi, senza precise e vincolanti direttive di Roma, si determinerà nient’altro che “un grande disordine”.
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