ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 30 dicembre 2014

Ecco la Francia, vedova prediletta

Senza preti né battesimi. Ecco la Francia, vedova prediletta


Roma. In tutta la Francia, nel 2014, sono stati ordinati ottantadue nuovi preti. Mai la cifra era stata così bassa. Mancano le vocazioni, la crisi è spaventosa, dice il portavoce della conferenza episcopale nazionale, mons. Bernard Podvin, a cavallo delle festività natalizie in un messaggio che di gioioso ha ben poco: “Quando si ordinano cento preti l’anno e ne muoiono ottocento, è chiaro dove sia il problema”, dice. Nella Francia un tempo “figlia prediletta” della chiesa, oggi ci sono solo tredicimila sacerdoti – cinquemila in meno rispetto a dodici anni fa – vale a dire più o meno uno ogni cinquemila abitanti.
E la maggior parte è in là con gli anni, al punto che in un decennio il bilancio sarà ancora più drammatico e non basteranno accorpamenti di parrocchie sulla scia di quanto, tra non poche polemiche, sta facendo da qualche mese il cardinale Timothy Dolan a New York. Si andrà avanti con il programma di chiusure delle chiese “a scarsa frequentazione”. Qualcuna, anche se dal passato illustre e magari impreziosita da opere d’arte di un certo livello, sarà demolita: troppo oneroso mantenerle per i pochi, per lo più anziani, che vi entrano per assistere alle messe domenicali. Il riscaldamento costa, le tasse sono alte, e di trasformare centinaia di edifici di culto cattolici in musei alla mercé di turisti di passaggio non se ne parla. Forse, si adotterà il modello da tempo sperimentato a Vienna dall’arcivescovo Christoph Schönborn: vendita delle chiese a chi può permetterselo e a chi, soprattutto, ha fedeli con cui riempirle. Nella capitale austriaca, ad esempio, tra i più attivi acquirenti si annoverano le comunità ortodosse, in netta espansione a scapito proprio dei cattolici, ormai divenuti una stabile minoranza. Tanto non si sarebbero potute garantire le messe, visto che preti non ce ne sono più, aveva detto Schönborn rispondendo a quei pochi che avevano mostrato qualche perplessità sul metodo scelto per far fronte alla progressiva estinzione. A poco sembra servire anche “l’importazione” di preti stranieri, specie dall’Africa, in pieno fermento vocazionale: tappano la falla, ma non risolvono il problema.

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Negli ultimi tempi, da Parigi a Lione, sono state lanciate diverse iniziative per invertire la tendenza, da ultimo il tentativo di rievangelizzare la Ville Lumière attraverso gruppi di giovani mandati a testimoniare la fede cattolica nei boulevard e nelle piazze dove, intanto, si vietava però l’allestimento dei presepi in nome del rispetto della sacra laïcité bastione fondamentale della République. Il punto è che, metteva nero su bianco la Conferenza episcopale francese già in un rapporto pubblicato meno di due anni fa e quanto mai attuale, il declino affonda le radici nel passato: se nel 1972 si definiva cattolico l’87 per cento della popolazione, oggi lo fa il 64. Di questi, solo il 4,5 per cento dichiara di essere “praticante”, cioè di recarsi a messa ogni domenica. Era il 20 per cento quarant’anni fa. Una crisi ancora più evidente se si prendono in esame i numeri dei sacramenti celebrati: in dieci anni, il numero dei matrimoni cattolici è calato del 10 per cento (ora è al 29,5), mentre i battesimi sono passati dai 385 mila del 2002 ai 300 mila di oggi. Di questo passo, entro meno di mezzo secolo, i battezzati in Francia saranno l’eccezione, una minoranza esigua. Non basta, riconoscono i vescovi locali, inserire il caso francese dentro la più ampia crisi dell’Europa secolarizzata e progressivamente sempre più decristianizzata. Altrove nel mondo, infatti, i cristiani crescono. Di poco, ma lo fanno: un punto e mezzo percentuale in più rispetto al 2012, con l’exploit in Africa e – in parte – in America meridionale.

Padre Spadaro: Francesco autorevole perché vicino alla gente


Papa Francesco tra i fedeli in Piazza San Pietro - OSS_ROM
Secondo un sondaggio Demos, realizzato per conto di un quotidiano italiano, Papa Francesco è il personaggio pubblico in cui gli italiani ripongono più fiducia. Padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, parte da questo dato per tracciare una riflessione sul magistero del Papa nell'anno che sta per chiudersi. L'intervista è di Fabio Colagrande:
R. – Oggi c’è bisogno di una fiducia diffusa e raramente altre istituzioni – vediamo, per esempio, la politica – riescono a dare questa fiducia. Il Papa certamente ha impostato un rapporto di autorevolezza molto particolare: è stato cioè in grado di realizzare un rapporto diretto con le persone, quindi di prossimità, di vicinanza e tanto più è vicino, tanto più è autorevole; mentre noi sappiamo che in generale le forme di autorità si distinguono per la loro capacità di distanza e quindi divisione – come dire – divisione generale e distante dai singoli casi. Quindi direi che il Papa riscuote tanta fiducia perché c’è bisogno di spiritualità e il Papa risponde a questo bisogno in una maniera diretta, immediata, vicina, prossima. Questa, secondo me, è la chiave di fondo.
D. – Eppure il Natale 2014 è stato anche caratterizzato, a livello giornalistico, da un articolo di uno dei più noti scrittori cattolici, Vittorio Messori, che ha espresso dubbi sulla svolta di Papa Francesco…
R. – I dubbi, le difficoltà e direi le resistenze, in realtà, nei confronti del Papa ci sono, ma non vedrei in queste resistenze un problema. Anzi direi che forse sono l’evidenza dell’efficacia dell’azione di Francesco. Soprattutto un aspetto, che mi sembra quello più significativo: l’appello di Francesco a vivere un cristianesimo maturo, libero, che non ha problemi a confrontarsi anche in maniera conflittiva con le difficoltà di fronte a questo modello di cristianesimo ripiegato su se stesso, timoroso, impaurito, ossequioso: ecco, queste forme di cristianesimo reagiscono, ma indubbiamente la strada segnata – direi – non solo dal Papa, ma da tutto il processo che la Chiesa ha vissuto in questi anni, dal Concilio Vaticano II, spinge nella direzione verso cui Francesco sta andando.
D. – Alcuni rimproverano a Papa Francesco l’abitudine – tra virgolette – di bastonare i cattolici e sottolineano come, invece, il Papa sia molto apprezzato in ambienti distanti dalla Chiesa e sia molto considerato e molto apprezzato anche da molti non credenti. Cosa significa tutto ciò, secondo lei?
R. – Sono due cose differenti. La prima: direi che il Papa non “bastona” i credenti, semmai rivolge a loro un appello, un esame di coscienza e un esercizio spirituale. Anche il famoso discorso alla Curia, per gli auguri natalizi, è stato un discorso molto denso, molto forte, che ha avuto il suo nucleo in un appello a fare memoria del rapporto con Cristo: “evitare l’Alzheimer spirituale”, come lui lo ha definito. Quindi fare memoria dell’incontro con Cristo per andare avanti. Chiaramente, facendo memoria, ci si rende conto come è la vita che noi viviamo: è una vita segnata da miserie, da peccati. E quindi il Papa fa appello ad una coscienza nuova, soprattutto perché il peccato non finisca per essere corruzione. Quindi il Papa diventa molto duro, molto forte, perché vuole che la Chiesa testimoni Cristo e non testimoni una serie di pratiche, di idee, di ideologie in cui rischia di cadere il cristianesimo. D’altra parte questo messaggio è molto accolto da ambienti anche distanti, perché in fondo il messaggio che predica Francesco è un Vangelo puro: non è tanto il Papa che colpisce, quando il messaggio che lui poi riesce a comunicare con la sua persona, con assoluta semplicità e coerenza. Quindi arriva direttamente: se una volta c’era bisogno di grandi interpretazioni - a volte il messaggio del Papa nella sua purezza è stato poi chiuso e ingabbiato in interpretazioni e visioni - qui il Papa comunica direttamente. Il messaggio arriva nel momento in cui parte, possiamo dire… Questa è una grande forza: è il fascino del Vangelo, alla fine.
D. – Enzo Bianchi, priore di Bose, ha scritto che “più il Papa proseguirà nella strada dell’aderenza al Vangelo, sine glossa, più scatenerà le forze demoniache”. Cosa significa, secondo lei, questa lettura?
R. – A volte si intende Papa Francesco come un Papa dolce, buono e lui effettivamente è così, è molto buono, è molto dolce; ma è la dolcezza evangelica, che spesso poi diventa lotta, diventa conflitto. Nei suoi testi, anche nei testi che ha scritto prima di diventare Papa, la parola “lotta” ricorre tantissime volte. Direi che il Vangelo - in realtà – unisce, ma anche divide, perché svela i cuori. Certamente – ma lo stiamo vivendo e stiamo anche assistendo anche a quello che avviene in certi circoli – la parola del Papa viene strumentalizzata, viene abusata; il Papa stesso viene criticato e attaccato. Tutto questo fa parte del processo, il Papa ne è consapevole e quindi il conflitto, in qualche modo, è inevitabile. E’ vero c’è questa potenza di male che emerge e che diventa conflittiva nei confronti – diciamo - di un bene, che però è molto diffuso, capillare e che avanza. 
(Adriano Sofri) Scherzando sulla singolarità di due papi, Francesco disse: «Ce ne furono addirittura tre in una sola volta, ma allora non si capiva chi fosse quello vero». Con lui si capisce. Il cardinale australiano Pell citò a sua volta i precedenti, e non scherzava: «Francesco è il 266esimo papa, e la storia ne ha conosciuti 37, fra falsi papi e antipapi».
Il 2015 sarà decisivo per Francesco, cui la provvidenza vorrà dare salute; tanto più se avesse in animo di dimettersi raggiunti gli 80 anni, alla fine del 2016. A ottobre si concluderà il sinodo sulla famiglia, alla cui apertura si era ventilato uno scisma. La nozione ha tre versioni: secessione, scissione, e scisma. Secessione accantonata, con la Lega assoldata dall’annessionismo russo. La scissione è un tic infantile, o senile, delle sinistre perdute. E lo scisma? Il sinodo è finito all’andata con un pareggio in casa del papa. Nelle sfere alte non si corrisponde all’entusiasmo che Francesco suscita fra i fedeli (e gli infedeli), con quel suo andamento fra Chance il giardiniere e il buon pastore. Suoi avversari vengono allo scoperto, più con Kasper che con lui. Eminenze si barcamenano, come don Abbondio — «Oh che sant’uomo! Ma che tormento!» — aspettando il prossimo conclave. Lo scisma non verrà, perché Francesco aggira la dottrina, investendo turbinosamente i comportamenti. Il suo eclettismo, che i perplessi chiamano populismo, non è facile da metter nero su bianco, e chiede di essere imitato pastoralmente, cioè umanamente. Leggete l’elenco di malattie che ha rinfacciato alla Curia. Basta prendersi per padreterni, arruffianarsi, e andare attorno con quella faccia da funerale: la fede è gioia. (La traduzione è mia). Ma la faccia, direbbe don Abbondio, se uno non ce l’ha, non se la può dare. Francesco propone che fra comandamenti e comportamenti si allarghi la flessibilità. Anche nella piazza San Pietro piena di gente che viene a sentirsi dire Buonasera, i cattolici osservanti non saranno la maggioranza. Alla gente non è arrivata ancora una notizia sulla conversione del patrimonio immobiliare (nemmeno a me), ma che Francesco abbia fatto mettere delle docce sotto il colonnato del Bernini, quella sì. Il suo successore forse le farà smontare, ma intanto un bel po’ di clochard si saranno ripuliti.
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