Che
il futuro Cardinal Ravasi si fosse un po' montato la testa l'avevamo
capito da tempo. Il suo fare istrionico non è mai passato inosservato né
all'interno né all'esterno delle mura leonine.
Pensiamo ad esempio a
tutte le sue iniziative improntate al dialogo con il mondo contemporaneo
ma in realtà volte a raggranellare consensi influenti. Tutt'altro
discorso rispetto alla battaglia contro il carrierismo portata avanti
dal Papa che a febbraio 2010 ammoniva:
"Non è forse una tentazione quella della carriera, del potere, una
tentazione da cui non sono immuni neppure coloro che hanno un ruolo di
animazione e di governo nella Chiesa? Lo ricordavo qualche mese fa,
durante la consacrazione di alcuni Vescovi: “Non cerchiamo potere,
prestigio, stima per noi stessi. Sappiamo come le cose nella società
civile, e, non di rado nella Chiesa, soffrono per il fatto che molti di
coloro ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se
stessi e non per la comunità".
Pure,
non voglio dilungarmi in una serie di magari inutili considerazioni,
giacché il neo Cardinale fa tutto da sé! Prendiamo infatti l'intervista pubblicata stamane da Avvenire e leggiamola con attenzione sin dall'incipit:
Domanda:
Cardinal Ravasi... Ma che cosa direbbero i suoi amici Luigi «Lillo»
Santucci e padre David Maria Turoldo a vederla così, «principe della
Chiesa»?
Risposta:
«Ah, avrebbero fatto sicuramente dell’ironia, amicale si capisce,
perché nel ruolo di cardinale c’è anche un aspetto di protocollo
sontuoso che avrebbe sollecitato qualche loro reazione divertita... Però
entrambi sarebbero stati davvero contenti del successo dell’amico; e –
come sosteneva Oscar Wilde – è difficile restare amici quando uno
diventa famoso».
Eccolo,
il principe rinascimentale parlare di "successo" e citare addirittura
Oscar Wilde - mica pizza e fichi - per confermare che "è difficile
restare amici quando uno diventa famoso". Dunque il Cardinalato coincide
per Ravasi con un evento mondano, una promozione blasonata, un
privilegio aristocratico, l'ingresso in un club di personaggi famosi...
Ma la Chiesa di Cristo che c'entra?
Andiamo avanti...
Domanda:
Tutt’e due non hanno mai nascosto una certa dialettica con la
gerarchia. Avrebbero interpretato la sua nomina come un positivo segnale
di cambiamento nella Chiesa?
Risposta:
«È un aspetto che può avere il suo valore. È interessante ad esempio
notare come, nelle nomine di questo concistoro, sia rappresentata tutta
la variegata diversità di una comunità ecclesiale che di sua natura è
complessa e mutevole. Ma c’è un altro dato che rende significativa la
scelta: il Pontificio Consiglio per la Cultura di per sé non domanda un
cardinale alla sua testa e il fatto che invece sia avvenuto testimonia –
a mio parere – che il Papa (e la Chiesa in generale) vogliono
testimoniare una presenza più qualificata in tale ambito. Il quale è
particolarmente complesso, delicato, e a volte ha avuto reazioni
piuttosto aspre nei confronti della Chiesa e dello stesso Papa».
Quindi
Ravasi non ha alcun pudore nello svelare che è lui, ma certo che è lui,
la presenza "più qualificata" nell'ambito della Cultura della Chiesa. E
che la sua ascesa al Cardinalato sarebbe voluta non solo dal Papa, ma
dalla Chiesa "in generale". Insomma, una sorta di ispirazione discesa
direttamente dallo Spirito Santo e non la volontà del Cardinal Bertone,
avrebbero spinto il Papa a nominarlo Cardinale...
Avanti su, altre chicche, Eminenza!
Domanda:
Eppure oggi sembra di notare nel mondo degli intellettuali e della
cultura più deferenza nei confronti della Chiesa. Meno ribellione, poca o
nessuna contestazione. Ma c’è poi un dialogo più vero, più profondo?
Risposta:
«Sì, è vero che questa è l’atmosfera di fondo – al di là di alcune
figure che polemizzano in modo sarcastico e quasi folkloristico contro
la religione. Davvero l’atmosfera è cambiata rispetto per esempio al
Sessantotto. Oggi c’è però il problema di costringersi reciprocamente a
discutere, confrontarci, operare su temi molto precisi e non di vaga
spiritualità o di deferenza per un’istituzione antica che comunque ha
una rispettabile tradizione. E qui sta il ruolo del mephòrios».
Risposta: «Mephòrios,
ovvero "colui che sta sulla frontiera". Lo dicevo recentemente in un
incontro di Curia, presente anche il Papa: considero la mia posizione in
Vaticano con questo aggettivo greco, usato nella classicità per
indicare il sapiente e coniato da Filone di Alessandria, un tipico ebreo
che scriveva però in greco e dialogava col platonismo. L’uomo di
cultura cristiano dev’essere mephòrios, cioè stare sulla
frontiera, i piedi ben piantati sul proprio terreno (che è poi
l’orizzonte della fede) ma continuando a guardare ciò che sta al di là.
Infatti, da quando sono a questo posto, posso dire di aver aperto
iniziative di frontiera».
Una
berretta per il Mephòrios! Ma sì, Ravasi l'uomo che sta sulla
frontiera! In realtà il futuro Cardinale saprà bene che Filone non usa
l'aggettivo methòrios (non mephòrios! il theta si traslittera th e non
ph!) per indicare un uomo di cultura perfetto, dialogante, bensì lo usa
per qualificare ad esempio quel genere di vita che è per metà rivolta a
Dio e per metà rivolta alla generazione. E' dunque una "natura"
intermedia e non il connotato proprio di un uomo di cultura (cfr. Philo
Judaeus, Qui res divinarum heres sit, passim), e tale natura
mediana peraltro Filone la assegna all'umanità in genere ("viviamo
dall'inizio alla fine nella mediocrità - en to methorio -"). L'aggettivo
methòrios significa dunque "mediocre", "a metà strada" e lo si applica a
ciò che è mescolato, insomma ciò che non è nè carne nè pesce... E per
inciso nel greco classico non ha mai indicato "il sapiente" né tantomeno
è stato coniato da Filone, giacché lo si ritrova in Tucidide, Platone e
Aristotele!
Eppure al novello
Cardinale non manca l'abilità di piegare parole, citazioni, visioni,
alle sue esigenze oratorie. Come un mago del logos a mo' di quei retori
antichi presi in giro da Luciano di Samosata in opere del genere
"l'elogio della mosca" o "il giudizio delle vocali". O di quei
grammatici sempre pronti a scrivere libri zeppi di citazioni, come il
famoso Didimo d'Alessandria, detto calcentero (stomaco di bronzo!)...
Ravasi
è tuttavia l'uomo del cortile. No, non quello in cui piantar patate e
gustosi ortaggi. No, il cortile di Ravasi è quello dei gentili, una
fondazione nata da un'idea che, introdotta in maniera ortodossa in un
discorso del Papa del dicembre 2009, si è trasformata nell'iniziativa
più vistosa del Cardinal Meforio (che adesso vorrebbe anche invitare
Odifreddi a dialogare... sì quello dei "cristiani=cretini").
Il
Cortile dei Gentili dovrebbe però nei piani del Cardinal Meforio
promuoverlo presso il milieu culturale più influente a livello europeo,
in vista di una candidatura al Papato.
E
c'è già chi scommette che si farà chiamare Papa Paolo VII o, perché
no?, Giovanni Paolo III. Per arrivare al papato Ravasi ha le armi
mediatiche (la sua rubrica su Canale 5, gli articoli sul giornale della
Confindustria, la totale devozione del Corriere della Sera): il prossimo
Papa dovrà essere mediatico - così pensa qualcuno in Vaticano - e dovrà
recuperare la disinvoltura di Giovanni Paolo II davanti alle
telecamere... Peccato però che il suo sponsor, già commentatore di
partite di pallone in tv, e grande compagnone di politici, finanzieri e
imprenditori, sia stato l'artefice dei più clamorosi scivoloni mediatici
del pontificato di Papa Benedetto!
Poi
ha le armi finanziarie che nascono dai circoli che attorno a sé raduna
(e c'è chi giura dall'Osservatore Romano che in Vaticano, nel suo
ufficio di Via della Conciliazione, Ravasi chieda sempre di essere
informato sul reddito di tutti coloro che vanno a fargli visita). Grandi
nomi dell'arte e dell'architettura, nomi famosi e appariscenti che
possono promuovere in ogni angolo del mondo il nome di Ravasi quale
ideale candidato al Papato e renderlo visibile e accettabile alle
elites.
E poi ha un'arma forse un po' spuntata in Vaticano, ma di certo assai pericolosa: l'ambizione.
Pensate
che il futuro Cardinale si è fatto dare quale spazio per ricevere i
suoi clientes ed amici in Vaticano, in occasione della nomina a
Cardinale, la Sala del Trono. Sì, il Vescovo che lavorava da Cardinale
ora già si immagina assiso sul trono di Pietro e invita i suoi amici a
porgergli omaggio nella Sala forse più simbolicamente significativa del
Palazzo Apostolico (e sappiamo bene quanto a Ravasi stiano a cuore i
simboli!).
A
proteggerlo, ça va sans dire, il Cardinal Bertone, che lo ha eletto a
suo consulente culturale. Addirittura, durante la crisi scoppiata dopo
il caso Boffo nel 2009, crisi che vedeva il Cardinal Bertone opposto a
Ruini e sempre bersagliato dagli amici di quest'ultimo, Bertone si
rivolgeva a Ravasi quale raccoglitore dei suoi lunghi sfoghi telefonici
per le rappresaglie che a suo dire il Cardinale di Sassuolo aveva
cominciato a sferrargli... così testimoniavano affranti sottoposti del
neo Cardinale, cercando di elemosinare pressioni sui giornalisti più
legati a Ruini affinché si placassero gli attacchi al Segretario di
Stato.
Poi,
a ridosso dell'estate del 2010, c'è stato un freno alle attività
ravasiane, con la bocciatura del progetto della Biennale del Vaticano
nel 2011 e l'annuncio della creazione di un nuovo Dicastero in
competizione con quello ravasiano: il Consiglio per la Promozione della
Nuova Evangelizzazione. Oggi, però, il neo Cardinale rivela che il
progetto Biennale ci sarà - tal quale quello precedente - nel 2013.
Certo, lui pensa, a un Cardinale chi può dire no?
In
verità, tuttavia, per quella data Ravasi già si immagina Arcivescovo di
Milano! E non lo nega a nessuno. A chi lo incontrò già a luglio di
quest'anno fu lesto nel dire: "chissà se ci rivedremo ancora in questa
sede". Ma Ravasi non nasconde le sue ambizioni papaline neppure ai
giornalisti. Anzi, utilizza la finestra dell'Avvenire per rilanciare la
sua figura non solo quale uomo di cultura, ma anche quale uomo di
Chiesa, che sta maturando un'esperienza pastorale utile a prendere il
posto di Tettamanzi per trovarsi in pole position in un prossimo
conclave:
Domanda: A proposito: si parla talvolta di un suo passaggio alla pastorale, anzi ancor più precisamente di un ritorno a Milano. Per dirla chiara: qualcuno la vede come un altro Martini, strappato agli studi e gettato nella mischia di una grande diocesi. Non le chiedo se è vero, ma solo se accetterebbe la sfida.
Risposta: «Realisticamente si tratta più di un desiderio (o di un timore...) che di una possibilità concreta. La domanda in sé ha però una base di verità: la funzione di un capo dicastero è anche quella di essere uomo di Chiesa, dunque pastore, con un campo pastorale. Per questo ogni sabato e domenica, quando sono in sede, accetto incarichi in tutta la periferia di Roma. Impartisco cresime, celebro feste patronali, partecipo a processioni con tanto di banda e fuochi artificiali... E con questo ho dribblato anche la sua domanda su Milano».
Dribblato?
Il Cardinale si fa un po' rosso in viso come la sua nuova veste, ma non
nasconde trattarsi di un suo desiderio. E aggiunge che no, lui non è
estraneo ad esperienze pastorali - come sono in tanti ad affermare in
Vaticano - lui anzi va persino dietro alle bande e alza gli occhi al
cielo per ammirare i fuochi artificiali...
Peccato
che le bande non suonino la musica dodecafonica! E che alle feste
patronali non partecipino impegnati intellettuali dei circoli radical
chic europei...
Ravasi intanto si consola organizzando in questi giorni un "pranzo rinascimentale"
in Vaticano, nell'ambito della Plenaria del Consiglio per la Cultura,
pranzo "in cui ognuna delle portate verrà presentata per mostrare come
senso estetico e comunicazione di un significato stanno assieme". Ha
quindi aggiunto che non bisogna andare ai fast food (sì perché lui non
deve faticare per arrivare alla fine del mese), perché "il fast food è
la negazione del dialogo attraverso il cibo". Perciò ha aggiunto "Non
dimentichiamoci che nel cuore della liturgia c'é un pasto nel quale i
cibi sono dei simboli".
Il colmo però lo si è raggiunto a margine dell'intervista rilasciata dall'ambizioso Cardinale al Corriere di oggi.
Il giornalista Armando Torno, dopo aver ricevuto la confessione di
Ravasi "sto leggendo il cimitero di Praga di Umberto Eco", aggiunge:
"Eco ci ha detto alla notizia della nomina di Ravasi: 'se lo senti
ricordagli che tifo per lui. Se diventa Papa finalmente darò del tu al
Pontefice. Per la prima e ultima volta'".
Che
dire? Potremmo citare Wittgenstein e ripetere con lui che "l'ambizione è
la morte del pensiero" o piuttosto con De Gaulle potremmo affermare che
"la caratteristica dei veri ambiziosi è quella di farsi portare dalle
onde senza curarsi della schiuma" ma forse ci conviene citare l'aforisma
di Jerome K. Jerome: "l'ambizione è semplice vanità passata di grado".
Ad
ogni modo, il più azzeccato sembra questo pensiero tratto da "I
caratteri" di La Bruyère (grande intenditore di giochi cortigiani): "Lo
schiavo ha un solo padrone; l'ambizioso ne ha tanti quante sono le
persone utili alla sua fortuna."
Buona fortuna dunque al Cardinal Meforio!
*
P.S.:
Se è vero che "anche una vergine i servizi del Vaticano la possono far
trovare ignuda", è vero allo stesso tempo che le minacce poco si
addicono a uomini di Chiesa e non cambieranno la mia parresia - chi ha
orecchie per intendere intenda!
di Francesco Colafemmina
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