Papa
Francesco, nel tradizionale discorso per gli auguri alla curia vaticana, ha
diagnosticato e indicato 15 malattie presenti appunto nella curia, ma anche in
ogni cristiano e comunità cristiana. Ecco una mia interpretazione di queste
malattie elencate dal Papa:
La malattia del sentirsi «immortale» o
«indispensabile»
È
una malattia presente in coloro che credono che le cose funzionano e vanno solo
perché ci sono loro. È la malattia del clero moderno, dei preti showman, che
fanno della liturgia e della predicazione il palcoscenico delle loro
innovazioni e vanità. È la malattia di coloro che pensano che ogni propria
amenità sia geniale e come tale da imporre in maniera dittatoriale, con
conseguenze devastanti, alle comunità loro affidate.
La malattia dell’eccessiva operosità
È la malattia tipica degli
uomini di Chiesa di oggi. Di quelli che ti devono far fare qualcosa per farti
comprendere il mistero. Di quelli che o porti palloni, cesti e giocattoli
all’altare oppure non partecipi attivamente alla liturgia. È la malattia del
fare, della chiesaong, poveraperipoveri, dell’azione a discapito
dell’adorazione e contemplazione; della Chiesa ridotta a centro sociale. È la
malattia di chi aborre il silenzio, di chi è terrorizzato dalla divisione dei
ruoli.
La malattia dell’«impietrimento» mentale e spirituale
La malattia dell’«impietrimento» mentale e spirituale
Conseguenza della malattia
precedente: se la Chiesa serve solo a dare il pane, serve solo per i poveri di
denaro, ogni aspetto spirituale è un accessorio da eliminare o un intralcio da
superare. Questa è la malattia dei novatori che, con abili giochi di parole, si
spacciano per liberi e indipendenti, ma sono impietriti e schiavi delle loro
ideologie. La realtà che ostinatamente non si conforma ai loro schemi non è la
conferma dell’idiozia e della fallacità delle loro ideologiche teorie, bensì il
continuo punto di partenza per le solite e obsolete novità.
La malattia dell’eccessiva pianificazione
La Chiesa oggi è stata resa
un’azienda. Fatta di numeri e di bilanci. La bontà delle opere si certifica dal
numero dei partecipanti, non dalla qualità delle conversioni. Ecco allora che
si ragiona in termini di avvicinamento al mondo, di percepire e intrecciare i
bisogni dei contemporanei. Se poi essi necessitano di peccato che glielo si
dia. Se essi necessitano di banalità (perché dal mondo drogati e anestetizzati
a riceverle), i cattolici incartano le stesse droghe e anestetici con un velo
di sacralità, illudendosi così di santificare gli uomini.
La malattia del mal coordinamento
È la malattia che ben si esprime
in molti movimenti. È la malattia dei laici che vogliono fare i preti (anche e
soprattutto nella liturgia, ma anche nel discernimento e nella direzione
spirituale), perché i preti hanno deciso di fare i laici creando così un vuoto
che più di qualcuno si sente in dovere di riempire. È la malattia di coloro che
si sostituiscono ai superiori nel discernimento e stabilimento di norme e riti.
È la malattia di chi stabilisce cosa è bene e male nella liturgia, nel pieno e
beato menefreghismo di ciò che l’autorità preposta a farlo ha stabilito. È la
malattia della teologia del supermarket dottrinale, dove ciascuno prende solo
ciò che gli piace o pensa gli serva, ignorando che spesso i bisogni che non
pensiamo di avere sono indotti e non reali.
La malattia dell’Alzheimer spirituale
La malattia dell’Alzheimer spirituale
Questa è una delle più gravi. È
la malattia tipica dei nostri tempi. È la malattia di chi crede che la Chiesa
sia nata nel 1962 (o anche il 13 marzo 2013). È la malattia degli eretici e
degli scismatici, di coloro che mettono parentesi alla storia della Chiesa,
ignorando che Essa è nata con Gesù Cristo e non è morta né con Costantino né
con il Concilio Vaticano II. È la malattia tipica dei progressisti novatori,
ottusamente convinti che ogni novità, per il semplice fatto di essere nuova (ma
è la ripetizione stantia di vecchie eresie) è buona. Così nella preghiera come
nella dottrina. È la malattia che ben sintetizza i mali di oggi. Guarita questa
ne guarirebbero anche molte delle altre.
La malattia della rivalità e della vanagloria
La malattia della rivalità e della vanagloria
È la malattia delle fazioni e
delle correnti politiche mascherate di religione. È la malattia di coloro che
pregano per la morte del Papa se questi è Pio XII, ma poi esaltano una becera e
ridicola papolatria se il Papa è Francesco. È la malattia, anche questa, dei
preti prime donne, che incentrano tutto sulla loro persona, sulle loro
“qualità”, rendendosi fine di ogni atto e predicazione e non tramite per
arrivare a Gesù Cristo.
La malattia della schizofrenia esistenziale
La malattia della schizofrenia esistenziale
È la malattia della religione
dell’esperienza, dove questa è eretta a metro e misura di tutto. Ciò che io
provo è ciò che vero, ciò che io vedo e sento è ciò che io voglio continuare a
vedere e sentire. È la malattia della sterilità, di chi – questi sì – non sanno
alzare lo sguardo al cielo e stupirsi che c’è qualcosa, e Qualcuno, che va
oltre la nostra limitata esperienza. È la malattia annessa a quella
dell’eccessiva operosità: mi adopero solo per ricevere, e subito, credo solo
provo. Moderni san Tommaso che, a differenza dell’Apostolo, non hanno le piaghe
di Cristo ove mettere il dito per credere, ma le pieghe dei propri entusiasmi
dove perdere continuamente la fede o ridurla a un mero eccitamento passeggero.
È la malattia dello stordimento, del continuo alzarsi dei toni e dei segni per
stupire le persone.
La malattia delle chiacchiere e dei pettegolezzi
La malattia delle chiacchiere e dei pettegolezzi
È la malattia di coloro che
pensano di dover sempre dire la loro, che la loro opinione e la loro esperienza
sia necessaria e universale. È la malattia delle opinioni in materia di fede,
delle chiacchiere su ciò che è vero e certo. È il mormorare su ciò che la
Chiesa ha stabilito per immutabile e adoperarsi, con chiacchiere e
pettegolezzi, affinchè nella pratica si faccia ciò che la teoria proibisce e
nega.
La malattia di divinizzare i capi
La malattia di divinizzare i capi
Malattia cara ai nostri cari
vaticanisti e papolatri. È la malattia di chi qualche mese fa idolatrava Papa
Francesco perché abbassava il finestrino della macchina da solo, come se i
predecessori avessero file di schiavi a farlo. È la malattia di tutti coloro
che dal 13 marzo 2013 (ma anche dal 28 febbraio dello stesso anno) hanno
incominciato, o ripreso, a sentire (e non ascoltare) il Papa, pretendo adesso
che gli si obbedisca, quando fino a un mese prima gli sputavano veleno contro.
È la malattia del “seguo il Papa perché mi piace”, simile a quella del “seguo
il Cristo che mi piace”. È una malattia squallida, di gente senza attributi,
che non sa prendere posizione e non ha un’idea da difendere, anche a costo di
sbagliare e poi cambiarla. È la malattia degli schiavi.
La malattia dell’indifferenza verso gli altri
La malattia dell’indifferenza verso gli altri
È una malattia che i sedicenti
progressisti rimproverano ai sedicenti tradizionalisti rei, a loro dire, di
preoccuparsi del sesso degli angeli e ignorare la sofferenza del prossimo che
hanno vicino. I sedicenti progressisti (che io chiamerei eretici) ignorano che
loro si preoccupano (a parole) del prossimo che hanno accanto, ma ignorando
l’esistenza degli angeli. E ignorando, cosa gravissima, che spesso gli uomini
più che del pane, hanno bisogno di sapere che senso ha la loro condizione, la
loro sofferenza, la loro povertà, i loro fallimenti. Questi vengono dalla fede,
più che dall’assistenza sociale. Assistenza sociale certamente importante, ma
da non confondere con l’annuncio del Vangelo.
La malattia della faccia funerea
Io parlerei anche della malattia della faccia festosa. Di chi ignora la vita e la realtà e pensa che tutto sia bello e positivo. È la malattia degli insensibili, che non sanno piangere con chi piange e ridere con chi ride (cfr. Rm 12,15); è la malattia di coloro che, anche qui, prendono solo ciò che gli fa comodo. Perché non siamo più capaci di accettare il dolore, la morte, la penitenza, il sacrificio e il fallimento. Abbiamo chiamato nome alle cose pensando che esse cambiassero di conseguenza. Ma la realtà non cambia e abbiamo ridicoli teatranti che ignorano i veri bisogni di chi hanno introno.
La malattia dell’accumulare
È la malattia della Chiesa SpA, del clero manager e
aziendalista. Del prete che fa il prete a orario e che è iscritto a qualche
sindacato per la salvaguardia dei diritti dei sacerdoti di fronte al papa
capitalista. È la malattia di chi scambia la fede per profitto, di chi accumula
titoli e numeri, facendo della preghiera e della fede una questione di bilanci.
La malattia dei circoli chiusi
La malattia dei circoli chiusi
È la malattia delle sette che
sono sette anche se approvate dalla Santa Sede, dal vescovo o dai Papi. È la
malattia dei movimenti e dei gruppetti laicali, che per difendere il loro
carisma (ammesso che lo sia) si arrogano il diritto di fare tutto, ma compiendo
solo abusi su abusi. È la malattia dell’esclusivismo, di chi pensa che solo il
proprio modo di vivere la fede sia vero e giusto e tutti gli altri deplorevoli
e da convertire al proprio. Malattia questa da non confondere con quella dei
circoli aperti, dove ogni modo di intendere la fede, dall’cattolico
all’eretico, è buono perché quel che conta è l’esperienza.
La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi
La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi
È la malattia dei preti manager
e dei laici amministratori delegati. Di coloro che vogliono apparire, perché si
è fatto dell’apparire il riferimento di ogni sentire. O appari o non esisti. È
la malattia della Chiesa 2.0, della fede sui social network (e prima o poi
anche dei sacramenti). È la malattia di chi non capisce (e quindi disprezza)
ciò che non vede, conosce e sente. È la malattia di quelli che considerano
inutile la clausura, la penitenza e il nascondimento. È la malattia della
perdita del pudore.
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