STRAVAGANZE PAPALI ED ALTRO
1 – Edizione aggiornata dei Vangeli – Mt. Lc.
“Panta rei”, tutto scorre secondo Eraclito l’oscuro così come, secondo, lo spirito vaticansecondista, tutto si aggiorna, anche il Vangelo. E non tanto in termini teologici o morali e men che meno secondo chissà quale ermeneutica, quanto addirittura in termini storici e letterali. Fino a ieri, 17 dicembre 2014, abbiamo creduto che Gesù fosse nato a Bethleem di Giuda, stando a Matteo (2, 1), a Luca (2, 1/20) e fede prestando al profeta Michea (5, 2) che vaticinò, in nome di Dio, e sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, Bethleem quale luogo natale di Cristo. “ E tu, Bethleem-Efrata, tu sei piccola fra le migliaia di Giuda; ma da te mi uscirà Colui che deve regnare in Israele”.
Basta con le certezze, predica papa Bergoglio e con quanto sa di dogmatico, di sistematico, di rigido e di regola. La mente ceda il posto al cuore sicché la misericordia prevalga sulla ragione e questa si abbandoni al dubbio. Guai a colui che è troppo sicuro di aver trovato Dio, ammonisce nell’omelìa di Santa Marta del 15 dicembre scorso. Ora è tempo di rivedere anche la storia e la vita di Cristo nella prospettiva moderna.
Ieri, 17 dicembre, dicevamo, nell’udienza generale del mercoledì, tenutasi in Piazza San Pietro in occasione del suo 78° genetliaco, davanti a una massa oscillante di fedeli plaudenti più consona a un concertone rock, al cospetto di numerose coppie di “tangueros” argentini che disegnavano figure sinuose e sensuali fra una milonga e un tango, Sua Santità ha rivelato la corretta edizione storica dei Vangeli.
Tema: la famiglia. Riferimento: la Sacra famiglia.
“Quella di Nazareth non era una famiglia finta, irreale. Maria, la mamma, cucinava, faceva tutte le cose della casa, stirava le camicie, Giuseppe, il papà faceva il falegname. Gesù viene come un figlio di famiglia. Non nasce in una grande città come Roma, ma in una periferìa piuttosto malfamata, Nazareth. Ė un Dio sottomesso. Ha perso 30 anni lì, in quella periferìa malfamata. Non ha fatto guarigioni o altri prodigi in quegli anni. Quello che era importante lì era la famiglia, ma non è stato tempo sprecato: erano grandi santi, Maria Immacolata e Giuseppe. E Gesù mai in quel luogo si è scoraggiato” (Corriere della Sera on-line 17 dic. 2014).
Qualcuno, leggendo, potrebbe pensare che il quotidiano citato, di cultura laicista abbia, ad effetto, riportato le parole del pontefice forzandole nel senso di una distorta comunicazione. Ed allora, onde fugare qual che sia sospetto di manipolazione, vediamo come e qualmente le stesse dichiarazioni vengon trascritte sugli organi di stampa cattolica. Chiediamo al lettore un briciolo di pazienza con cui possa leggersi quanto in appresso riportiamo.
“Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, che ha formato Lui stesso. L’ha formata in uno sperduto villaggio della periferìa dell’Impero Romano. Non a Roma, che era la città capo dell’Impero, non in una grande città, ma in una periferìa quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata. Lo ricordano anche i vangeli, quasi come un modo di dire:«Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?» (Gv. 1, 46). . . Gesù è rimasto in quella periferìa per 30 anni. . . Ma uno dice. « Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso 30 anni, lì, in quella periferìa malfamata? Ha perso 30 anni!» E Lui ha voluto questo” (Avvenire on-line– Il compleanno del papa – 17 dic. 2014).
Sicché, non solo Gesù è nato a Nazareth, ma in quel risiedere per 30 anni in quel malfamato paese potrebbe aver perso tempo. Non si sa mai! Intanto la supposizione che papa Bergoglio mette in bocca a “uno” è tutta sua così come fu sua quella di “un parroco” che contestava la nomina di un divorziato a padrino di Battesimo - argomento di cui abbiamo parlato recentemente.
Sarebbe poi da precisare che, fatti rapidi conti, con i due anni intercorsi fra la nascita - a Bethleem sia chiaro, non a Nazareth - e la visita dei Magi, più quelli dell’esilio in Egitto, dovremmo concludere che gli anni passati a Nazareth non sarebbero 30 ma molti di meno. Facciamo 25.
La cosa che, poi, dà il segno della caratura culturale di questo papa venuto dalla fine del mondo, è quell’insistere, oramai stantìo, ossessivo, momotematico ed ecolalico, sulle “periferìe” che, abbinato all’altro delle “sfide”, sta segnalando questo papato come un annuncio continuo di riforma per una Chiesa che, fino al 1963 non avrebbe combinato alcunché di buono. Parole, parole, annunci, interviste, discorsi, tweets, libri: una ridda di comunicazione che lascia storditi. E siamo a un anno e mezzo di pontificato.
Nazareth, poi, perché malfamata? Era forse un covo di banditi, di predoni, di bestemmiatori? La pericope di Gv. 1, 46 è un modo di dire che dà l’indicazione di un campanilismo provinciale, non ancora estinto ai nostri tempi – si pensi alle storielle su Cuneo – per il quale non si è autorizzati a definire “malfamato” un paese solo perché i suoi abitanti appaiono ad altre comunità come bizzarri, capricciosi, testoni o sciocchi. Tutto ma non malfamati. Se andiamo a sfrucoliare, vediamo che la tanto grande e santa Gerusalemme è, rispetto alla malfamata Nazareth, altro che malfamata! Diremmo di conio delinquenziale, tana di coloro che diventeranno assassini di Cristo.
La cosa, infine, che maggiormente deprime, in tutta questa vicenda, è la piaggerìa di che sono intrisi gli organi di stampa, e financo quelli cattolici, che non si premurano nemmeno di correggere le cappellate del pontefice tanta è la fede che si presta ad ogni sua parola e il delirio che si crea attorno ad ogni suo gesto.
Domanda: e questo papa sarebbe “il maestro in Israele?” (Gv. 3, 10).
2 – Giullari sull’ambone e cardinali in navata.
Non si è spenta l’eco di quella trasmissione televisiva di pochi giorni fa’ in cui il giullare nostrano Roberto Benigni, indossato il robone da teologo similmente al somaro di Fedro che si mise una pelle di leone, ha intrattenuto, dall’ambone della RAI, 9 milioni di spettatori svelando loro il significato del Decalogo.
Siamo disposti ad ammettere l’esistenza di tanti individui che riescono a riempire il tempo della propria esistenza standosene ad ascoltare il bercio e le stravaganze di un comico che, dopo aver fatto strame di Dante - e chi scrive si vanta di averne stroncato, nel luglio 2006, i commenti riportati su un diffuso quotidiano finanziario, bloccandone la profluvie di amenità e sconcezze alla quarta puntata delle tredici previste – ma non riusciamo a comprendere come eminenti uomini di Chiesa riescano a vedere in questi il sostituto di S. Agostino, di S. Tommaso Aquinate, di S. Bonaventura.
(Non ci si meravigli, ché non sono rare le celebrazioni eucaristiche in fogge da pagliacci in pieno rituale carnevalesco, specialmente nelle chiese nordeuropee e sudamericane).
Sorpresa destò, nel 9 dicembre 2007, l’intervista in cui il cardinal Bertone definì “altateologìa” la cosiddetta “lectura Dantis” che il comico l’anno precedente tenne in Santa Croce di Firenze, una lettura infarcita di luoghi comuni, di passaggi allusivi, di bischerate estemporanee e di spropositi letterarï. In altra intervista, concessa ad Andrea Tornielli (IlGiornale 11 febb. 2008), lo stesso principe della Chiesa se ne venne fuori dicendo che il Benigni poteva senz’altro essere considerato uno dei più grandi teologi del ‘900.
Testimonianza di come sìasi degradata e impoverita la cultura in chi dovrebbe essere pastore, guida e maestro. Possiamo dire che questo è l’effetto del Vaticano II, quel Concilio che qualcuno ha detto stare alla Chiesa come il ’68 alla società?
Sembrava che, da quel tempo ad oggi, molto conformismo che alligna nelle sacre stanze si fosse sbiadito lasciando il posto a un realismo logico e al buon senso. Ed, invece, eccoci ancora con un presule che, davanti alla telecamera o al taccuino di un giornalista, non sa trattenersi dall’intrupparsi con la massa liquida, gelatinosa ed amorfa dei 9 milioni di benignidipendenti. Diciamo di Mons. Rino Fisichella, l’arcivescovo delegato dall’emerito papa ex Benedetto XVI alla “nuova evangelizzazione” che – Il Giornale 18 dicembre 2014, pag 33 – definisce lo spettacolo del comico preso col commento ai 10 Comandamenti, come “un moderno elogio della verità”.
Frase del tutto roboante ma pseudo culturale, floscia, vanesia e vuota – come vuoto è il consuntivo dello stesso monsignore in termini di evangelizzazione - perché l’elogio della verità non è né antico né moderno, è elogio e basta. Cristo Via-Verità-Vita è ieri, oggi e domani: sempre.
E anticipando qualche obiezione in merito il Mons. dichiara, con una sdrucciola litote, che lo “spettacolo non è stato verboso ma nuovo modo per comunicare un ideale di vita”. Perciò, come non applaudire il guitto? domanda Fisichella. Costui ha, udite udite! citato anche il Talmud, l’accolta dei più indegni e vergognosi epiteti diretti a Gesù, alla Vergine e ai cristiani. Non per niente il rabbinato italico si è complimentato con questo pisquano, vedendo in quest’operazione di velenosa gnosi, il grimaldello, il piede di porco per scardinare le ultime resistenze del Cattolicesimo.
Ma vediamo, in breve, chi è costui che si pone come dispensatore di stili e di ideali di vita e di pensiero.
L’attore toscano fu colui che, in pieno festival canoro di Sanremo, anno 1980, riferendosi al papa GP II lo appellò “wojtylaccio”; colui che, in varie serate, negli studi RAI rete 1 intrattenne presenti e telespettatori saltabeccando da una parte all’altra del palco, ravanando nella patta degli uomini e manipolando la sottogonna delle signorine presenti accompagnando le “scoperte”, come un becero bordone, con un lessico da osteria che nemmeno il Belli; colui che, in serate successive se la prese con i San Pio da Pietrelcina, le Madonne, i Papi sganasciandosi in un torrenziale e fecale scilinguagnolo che mandò in visibilio i beoti dirigenti RAI, spettatori e chierici; colui che, successivamente, senza essersi purificata e sciacquata la bocca, declamava il mistico ed altissimo “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio” (Par. XXXIII,1).
Nel 1982 anticipò qualcosa sui comandamenti maggiormente irridendo il sesto e il nono, rimproverando a Dio il divieto di poter concupire anche le mogli altrui. Oggi, invece, con una capriola a 180 gradi si impanca a guru, a Dottore della Chiesa ed esegeta.
Un miscredente, un comunistello astuto, un circense, un affarista che, fiutata l’aria e avvertito il cambio di vento, s’è guadagnato, in pochi mesi, fama così possente da scalzare anche quelle autorità dottrinarie che, fino al 1963, erano per la Chiesa i fondamenti e i primipili della fede.
Una riflessione: Paolo, Agostino, Tommaso, Bonaventura, Bellarmino hanno dato testimonianza alla verità annunciata da Cristo, ma non crediamo che, come il guitto toscano, si siano intascati milioni di euri. Per quella testimonianza ebbero a soffrire. Perciò, cari prelati: finitela con questa indecorosa e languida pantomima e date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. E siate serî davanti a Dio e agli uomini.
3 - Olimpiadi romane e Vaticano
Con commozione, enfasi e profonda convinzione, il cardinale Josè Saraiva Martins ha dichiarato che non ci sarebbero difficoltà a far disputare alcune gare olimpiche – quelle del 2024 a cui aspira Roma – come il tiro con l’arco, in Piazza San Pietro, con l’alternativa dei giardini vaticani o della villa di Castel Gandolfo.
“Ė arrivato per il Vaticano il momento di scendere in gioco” ha affermato deciso e volitivo. (La Repubblica, 18/12/2014).
Noi non vogliamo postillare siffatta notizia, lasciando ai lettori la libertà di interpretarla e di trarne le conseguenze. Noi ricordiamo che i cristiani scesero nelle arene non per giocare ma per offrire la vita per amor di Dio e fedeltà alla sua legge.
1 – Edizione aggiornata dei Vangeli – Mt. Lc.
“Panta rei”, tutto scorre secondo Eraclito l’oscuro così come, secondo, lo spirito vaticansecondista, tutto si aggiorna, anche il Vangelo. E non tanto in termini teologici o morali e men che meno secondo chissà quale ermeneutica, quanto addirittura in termini storici e letterali. Fino a ieri, 17 dicembre 2014, abbiamo creduto che Gesù fosse nato a Bethleem di Giuda, stando a Matteo (2, 1), a Luca (2, 1/20) e fede prestando al profeta Michea (5, 2) che vaticinò, in nome di Dio, e sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, Bethleem quale luogo natale di Cristo. “ E tu, Bethleem-Efrata, tu sei piccola fra le migliaia di Giuda; ma da te mi uscirà Colui che deve regnare in Israele”.
Basta con le certezze, predica papa Bergoglio e con quanto sa di dogmatico, di sistematico, di rigido e di regola. La mente ceda il posto al cuore sicché la misericordia prevalga sulla ragione e questa si abbandoni al dubbio. Guai a colui che è troppo sicuro di aver trovato Dio, ammonisce nell’omelìa di Santa Marta del 15 dicembre scorso. Ora è tempo di rivedere anche la storia e la vita di Cristo nella prospettiva moderna.
Ieri, 17 dicembre, dicevamo, nell’udienza generale del mercoledì, tenutasi in Piazza San Pietro in occasione del suo 78° genetliaco, davanti a una massa oscillante di fedeli plaudenti più consona a un concertone rock, al cospetto di numerose coppie di “tangueros” argentini che disegnavano figure sinuose e sensuali fra una milonga e un tango, Sua Santità ha rivelato la corretta edizione storica dei Vangeli.
Tema: la famiglia. Riferimento: la Sacra famiglia.
“Quella di Nazareth non era una famiglia finta, irreale. Maria, la mamma, cucinava, faceva tutte le cose della casa, stirava le camicie, Giuseppe, il papà faceva il falegname. Gesù viene come un figlio di famiglia. Non nasce in una grande città come Roma, ma in una periferìa piuttosto malfamata, Nazareth. Ė un Dio sottomesso. Ha perso 30 anni lì, in quella periferìa malfamata. Non ha fatto guarigioni o altri prodigi in quegli anni. Quello che era importante lì era la famiglia, ma non è stato tempo sprecato: erano grandi santi, Maria Immacolata e Giuseppe. E Gesù mai in quel luogo si è scoraggiato” (Corriere della Sera on-line 17 dic. 2014).
Qualcuno, leggendo, potrebbe pensare che il quotidiano citato, di cultura laicista abbia, ad effetto, riportato le parole del pontefice forzandole nel senso di una distorta comunicazione. Ed allora, onde fugare qual che sia sospetto di manipolazione, vediamo come e qualmente le stesse dichiarazioni vengon trascritte sugli organi di stampa cattolica. Chiediamo al lettore un briciolo di pazienza con cui possa leggersi quanto in appresso riportiamo.
“Dio ha scelto di nascere in una famiglia umana, che ha formato Lui stesso. L’ha formata in uno sperduto villaggio della periferìa dell’Impero Romano. Non a Roma, che era la città capo dell’Impero, non in una grande città, ma in una periferìa quasi invisibile, anzi, piuttosto malfamata. Lo ricordano anche i vangeli, quasi come un modo di dire:«Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?» (Gv. 1, 46). . . Gesù è rimasto in quella periferìa per 30 anni. . . Ma uno dice. « Ma questo Dio che viene a salvarci ha perso 30 anni, lì, in quella periferìa malfamata? Ha perso 30 anni!» E Lui ha voluto questo” (Avvenire on-line– Il compleanno del papa – 17 dic. 2014).
Sicché, non solo Gesù è nato a Nazareth, ma in quel risiedere per 30 anni in quel malfamato paese potrebbe aver perso tempo. Non si sa mai! Intanto la supposizione che papa Bergoglio mette in bocca a “uno” è tutta sua così come fu sua quella di “un parroco” che contestava la nomina di un divorziato a padrino di Battesimo - argomento di cui abbiamo parlato recentemente.
Sarebbe poi da precisare che, fatti rapidi conti, con i due anni intercorsi fra la nascita - a Bethleem sia chiaro, non a Nazareth - e la visita dei Magi, più quelli dell’esilio in Egitto, dovremmo concludere che gli anni passati a Nazareth non sarebbero 30 ma molti di meno. Facciamo 25.
La cosa che, poi, dà il segno della caratura culturale di questo papa venuto dalla fine del mondo, è quell’insistere, oramai stantìo, ossessivo, momotematico ed ecolalico, sulle “periferìe” che, abbinato all’altro delle “sfide”, sta segnalando questo papato come un annuncio continuo di riforma per una Chiesa che, fino al 1963 non avrebbe combinato alcunché di buono. Parole, parole, annunci, interviste, discorsi, tweets, libri: una ridda di comunicazione che lascia storditi. E siamo a un anno e mezzo di pontificato.
Nazareth, poi, perché malfamata? Era forse un covo di banditi, di predoni, di bestemmiatori? La pericope di Gv. 1, 46 è un modo di dire che dà l’indicazione di un campanilismo provinciale, non ancora estinto ai nostri tempi – si pensi alle storielle su Cuneo – per il quale non si è autorizzati a definire “malfamato” un paese solo perché i suoi abitanti appaiono ad altre comunità come bizzarri, capricciosi, testoni o sciocchi. Tutto ma non malfamati. Se andiamo a sfrucoliare, vediamo che la tanto grande e santa Gerusalemme è, rispetto alla malfamata Nazareth, altro che malfamata! Diremmo di conio delinquenziale, tana di coloro che diventeranno assassini di Cristo.
La cosa, infine, che maggiormente deprime, in tutta questa vicenda, è la piaggerìa di che sono intrisi gli organi di stampa, e financo quelli cattolici, che non si premurano nemmeno di correggere le cappellate del pontefice tanta è la fede che si presta ad ogni sua parola e il delirio che si crea attorno ad ogni suo gesto.
Domanda: e questo papa sarebbe “il maestro in Israele?” (Gv. 3, 10).
2 – Giullari sull’ambone e cardinali in navata.
Non si è spenta l’eco di quella trasmissione televisiva di pochi giorni fa’ in cui il giullare nostrano Roberto Benigni, indossato il robone da teologo similmente al somaro di Fedro che si mise una pelle di leone, ha intrattenuto, dall’ambone della RAI, 9 milioni di spettatori svelando loro il significato del Decalogo.
Siamo disposti ad ammettere l’esistenza di tanti individui che riescono a riempire il tempo della propria esistenza standosene ad ascoltare il bercio e le stravaganze di un comico che, dopo aver fatto strame di Dante - e chi scrive si vanta di averne stroncato, nel luglio 2006, i commenti riportati su un diffuso quotidiano finanziario, bloccandone la profluvie di amenità e sconcezze alla quarta puntata delle tredici previste – ma non riusciamo a comprendere come eminenti uomini di Chiesa riescano a vedere in questi il sostituto di S. Agostino, di S. Tommaso Aquinate, di S. Bonaventura.
(Non ci si meravigli, ché non sono rare le celebrazioni eucaristiche in fogge da pagliacci in pieno rituale carnevalesco, specialmente nelle chiese nordeuropee e sudamericane).
Sorpresa destò, nel 9 dicembre 2007, l’intervista in cui il cardinal Bertone definì “altateologìa” la cosiddetta “lectura Dantis” che il comico l’anno precedente tenne in Santa Croce di Firenze, una lettura infarcita di luoghi comuni, di passaggi allusivi, di bischerate estemporanee e di spropositi letterarï. In altra intervista, concessa ad Andrea Tornielli (IlGiornale 11 febb. 2008), lo stesso principe della Chiesa se ne venne fuori dicendo che il Benigni poteva senz’altro essere considerato uno dei più grandi teologi del ‘900.
Testimonianza di come sìasi degradata e impoverita la cultura in chi dovrebbe essere pastore, guida e maestro. Possiamo dire che questo è l’effetto del Vaticano II, quel Concilio che qualcuno ha detto stare alla Chiesa come il ’68 alla società?
Sembrava che, da quel tempo ad oggi, molto conformismo che alligna nelle sacre stanze si fosse sbiadito lasciando il posto a un realismo logico e al buon senso. Ed, invece, eccoci ancora con un presule che, davanti alla telecamera o al taccuino di un giornalista, non sa trattenersi dall’intrupparsi con la massa liquida, gelatinosa ed amorfa dei 9 milioni di benignidipendenti. Diciamo di Mons. Rino Fisichella, l’arcivescovo delegato dall’emerito papa ex Benedetto XVI alla “nuova evangelizzazione” che – Il Giornale 18 dicembre 2014, pag 33 – definisce lo spettacolo del comico preso col commento ai 10 Comandamenti, come “un moderno elogio della verità”.
Frase del tutto roboante ma pseudo culturale, floscia, vanesia e vuota – come vuoto è il consuntivo dello stesso monsignore in termini di evangelizzazione - perché l’elogio della verità non è né antico né moderno, è elogio e basta. Cristo Via-Verità-Vita è ieri, oggi e domani: sempre.
E anticipando qualche obiezione in merito il Mons. dichiara, con una sdrucciola litote, che lo “spettacolo non è stato verboso ma nuovo modo per comunicare un ideale di vita”. Perciò, come non applaudire il guitto? domanda Fisichella. Costui ha, udite udite! citato anche il Talmud, l’accolta dei più indegni e vergognosi epiteti diretti a Gesù, alla Vergine e ai cristiani. Non per niente il rabbinato italico si è complimentato con questo pisquano, vedendo in quest’operazione di velenosa gnosi, il grimaldello, il piede di porco per scardinare le ultime resistenze del Cattolicesimo.
Ma vediamo, in breve, chi è costui che si pone come dispensatore di stili e di ideali di vita e di pensiero.
L’attore toscano fu colui che, in pieno festival canoro di Sanremo, anno 1980, riferendosi al papa GP II lo appellò “wojtylaccio”; colui che, in varie serate, negli studi RAI rete 1 intrattenne presenti e telespettatori saltabeccando da una parte all’altra del palco, ravanando nella patta degli uomini e manipolando la sottogonna delle signorine presenti accompagnando le “scoperte”, come un becero bordone, con un lessico da osteria che nemmeno il Belli; colui che, in serate successive se la prese con i San Pio da Pietrelcina, le Madonne, i Papi sganasciandosi in un torrenziale e fecale scilinguagnolo che mandò in visibilio i beoti dirigenti RAI, spettatori e chierici; colui che, successivamente, senza essersi purificata e sciacquata la bocca, declamava il mistico ed altissimo “Vergine Madre, Figlia del tuo Figlio” (Par. XXXIII,1).
Nel 1982 anticipò qualcosa sui comandamenti maggiormente irridendo il sesto e il nono, rimproverando a Dio il divieto di poter concupire anche le mogli altrui. Oggi, invece, con una capriola a 180 gradi si impanca a guru, a Dottore della Chiesa ed esegeta.
Un miscredente, un comunistello astuto, un circense, un affarista che, fiutata l’aria e avvertito il cambio di vento, s’è guadagnato, in pochi mesi, fama così possente da scalzare anche quelle autorità dottrinarie che, fino al 1963, erano per la Chiesa i fondamenti e i primipili della fede.
Una riflessione: Paolo, Agostino, Tommaso, Bonaventura, Bellarmino hanno dato testimonianza alla verità annunciata da Cristo, ma non crediamo che, come il guitto toscano, si siano intascati milioni di euri. Per quella testimonianza ebbero a soffrire. Perciò, cari prelati: finitela con questa indecorosa e languida pantomima e date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. E siate serî davanti a Dio e agli uomini.
3 - Olimpiadi romane e Vaticano
Con commozione, enfasi e profonda convinzione, il cardinale Josè Saraiva Martins ha dichiarato che non ci sarebbero difficoltà a far disputare alcune gare olimpiche – quelle del 2024 a cui aspira Roma – come il tiro con l’arco, in Piazza San Pietro, con l’alternativa dei giardini vaticani o della villa di Castel Gandolfo.
“Ė arrivato per il Vaticano il momento di scendere in gioco” ha affermato deciso e volitivo. (La Repubblica, 18/12/2014).
Noi non vogliamo postillare siffatta notizia, lasciando ai lettori la libertà di interpretarla e di trarne le conseguenze. Noi ricordiamo che i cristiani scesero nelle arene non per giocare ma per offrire la vita per amor di Dio e fedeltà alla sua legge.
di L. P.
UNA GITA AI CASTELLI – PAPA FRANCESCO SPALANCA LE PORTE DI CASTEL GANDOLFO E TRASFORMA LA RESIDENZA ESTIVA DEI PONTEFICI IN UN LUOGO APERTO A TUTTI
Il Papa conserverà ovviamente un appartamento privato, anche se già da arcivescovo di Buenos Aires non era abituato ad andare in villeggiatura. Qualche numero: la tenuta si estende su un’area di 55 ettari, 30 dei quali tenuti a giardino, mentre il resto è coltivato. Nelle ville lavorano 55 persone con relative famiglie…
Paolo Rodari per “la Repubblica”
Jorge Mario Bergoglio da arcivescovo di Buenos Aires non usava andare in villeggiatura. Eletto Papa, anche. Anzi, pochi mesi dopo l’elezione, ha fatto sapere in Vaticano che avrebbe gradito che le Ville Pontificie di Castel Gandolfo venissero adibite ad altri scopi. Quali? Anzitutto la condivisione. Rendere le Ville accessibili a tutti, fedeli e turisti insieme. E con le Ville, parte del Palazzo Apostolico, eccezion fatta naturalmente per l’appartamento pontificio nel quale, anche solo per brevi periodi, il Papa se vuole può sempre alloggiare.
Nel Palazzo, l’idea che inizierà a prendere corpo già dalla settimana prossima (ma l’allestimento finirà in primavera) è quella di creare una sorta di museo, ovvero una Galleria dei Ritratti dei Pontefici, che si sono avvicendati al Soglio di Pietro dal 1500 ad oggi, con tanto di stemmi e didascalie a spiegarne l’araldica. «Poiché in tutto il percorso dei Musei Vaticani solo raramente i visitatori si imbattono nei ritratti dei Pontefici — spiega Sandro Barbagallo, curatore delle Collezioni Storiche dei Musei — e in tali occasioni non c’è nessuna opportunità né di poterne leggere il nome, né di conoscere quale ruolo più o meno importante abbiano avuto nella Storia del Papato, abbiamo pensato di aiutarli a conoscere la loro “vera” storia.
L’apertura di questa Galleria sarà, infatti, un’occasione per far conoscere al grande pubblico la vita, le gesta e le virtù di Papi santi, magnanimi e benigni, generosi committenti e protettori di geni artistici, ma anche dalle rispettive insegne araldiche, spesso coincidenti al nobile casato di appartenenza».
Condividere ciò che si ha, financo il proprio patrimonio — quello archeologico delle ville, palazzo a parte, parla di un’area di circa 55 ettari di cui 30 tenuti a giardino e i restanti 25 destinati all’attività agricola — è nel dna di Francesco. E, infatti, spiega il direttore delle ville Osvaldo Gianola, «qui si tratta di una svolta che chiamerei proprio della condivisione. Aprire anche i giardini e il palazzo che fino a ieri erano appartenuti alla sfera privata dei Papi, è un grande gesto di condivisione.
E anche, se posso dirlo, di spending review. Nelle ville lavorano 55 persone con relative famiglie. Ci sono giardinieri, agronomi, operai, uscieri, esperti di arte topiaria, contadini, coltivatori. Far arrivare ogni giorno dei turisti significa valorizzare al massimo il loro lavoro e renderlo utile a tutti. E anche questa è stata una delle preoccupazioni che ha spinto Francesco ad aprire: far sì che il lavoro di questa gente acquisti un significato nuovo».
Non solo, dunque, dal Palazzo Apostolico vaticano: seppure l’appartamento resterà sempre a sua disposizione, è in qualche modo pure dal palazzo di Castel Gandolfo che il Papa si tiene alla larga. Anche se, a onore del vero, Francesco non è un’eccezione. Come spiega Barbagallo, coautore con monsignor Paolo Nicolini del volume “Il Palazzo Apostolico e le Ville Pontificie di Castel Gandolfo”, presto in uscita per le Edizioni Musei Vaticani, «molti Papi non hanno abitato “a Castello”, ognuno per ragioni diverse, ma tutte condivisibili».
Papa Braschi, ad esempio, «non amava la campagna». E così sui colli non mise mai piede. Altri Pontefici, alcuni eletti sul Colle Quirinale già anziani (l’ultimo conclave convocato sul Quirinale ebbe luogo nel 1846), furono impossibilitati a partire per la villeggiatura proprio a causa dell’età avanzata. I medici pontifici, in sostanza, non lo permisero loro: sarebbero potuti morire durante il viaggio. In qualche caso, invece, furono gli stessi medici a convincere i Pontefici della salubrità delle Ville Pontificie: «Il 23 novembre del 1700 — racconta ancora Barbagallo — venne eletto Clemente XI Albani, che nei primi nove anni di pontificato non riuscì mai a lasciare Roma, angustiato per la guerra che imperversava in Europa per la successione spagnola. Fu solo nel 1710 che il medico pontificio Giovanni Maria Lancisi riuscì a convincere il Papa a trasferirsi a Castel Gandolfo, dove fece poi ritorno con regolarità».
Dopo Leone XII, Pio X e Benedetto XV furono costretti a restare in Vaticano a causa delle contese con il Regno d’Italia. Quindi venne Papa Luciani che sui colli non andò mai a motivo di un pontificato troppo breve.
Non così altri Pontefici. Ratzinger ama le Ville. Qui ha trascorso lunghi periodi del suo pontificato, compreso il mese successivo alla rinuncia, dal 28 febbraio 2013. Amava il pomeriggio passeggiare col segretario Georg Gänswein fra lecci, cipressi e la piccola siepe di mortella — le tre specie che negli anni Trenta il direttore Emilio Bonomelli e l’architetto Giuseppe Momo impiantarono creando il curatissimo giardino all’italiana ancora oggi perfettamente conservato — fino al laghetto con i pesci rossi e le carpe nel «giardino della Madonnina» e qui dare un po’ di pane ai pesci.
Il pane, poi, non lo riportava a casa, ma lo nascondeva in una nicchia delle antiche mura della villa di Domiziano, in parte perfettamente intatte. Karol Wojtyla trascorreva anch’egli lunghi periodi a palazzo, facendo anche un po’ di sport nei giardini e ricevendo, privatamente e non, capi di stato e amici.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.