– “gli Unni e gli altri”
di Patrizia Fermani
La famiglia è stata sempre riconosciuta dal nostro ordinamento quale cellula fondamentale della società. Il codice civile ne ha stabilito minuziosamente la disciplina interna, i rapporti patrimoniali e successori, mentre il codice penale ha fornito ad essa una tutela rafforzata tenendo conto soprattutto dei profili etici legati ai legami di parentela e del significato solidaristico della comunità famigliare (cause di non punibilità legate ai rapporti di parentela, reato di maltrattamenti in famiglia etc.). La Costituzione l’ha infine consacrata all’art.29 quale ”società naturale fondata sul matrimonio”.
Il vincolo matrimoniale ha costituito il cemento che forniva alla società famigliare la stabilità, elemento capace di potenziarne al massimo la funzione etico sociale ed educativa.
Ma l’individualismo crescente, l’allentarsi della comune morale religiosa, e le spinte del nichilismo contemporaneo, hanno attaccato la famiglia proprio in questo elemento che ne determinava il carattere unico ed irripetibile. L’introduzione del divorzio ha cominciato immediatamente ad appannare i contorni dell’istituzione, mentre altri fattori concomitanti quali la “ liberazione” sessuale, e il timore della instabilità economica, favorivano il proliferare delle convivenze provvisorie in sostituzione o in attesa del matrimonio.
In ogni caso la scelta della convivenza, con la relativa creazione della “coppia di fatto”, implica naturalmente la rinuncia, sempre reversibile, alle prerogative e la elusione degli obblighi legati al matrimonio, e quindi una valutazione libera dei relativi rapporti costi benefici, e in molti casi si rinuncia a priori ai possibili vantaggi di questo, in cambio della libertà di uncommodus discessus. Attualmente, bisogna riconoscere che il matrimonio come vincolo di fronte allo Stato, cioè di fronte alla collettività, è ormai svuotato di significato dal divorzio ad libitum, e la volontà di rinunciare alla ufficializzazione di un vincolo diventato precario, risulta persino comprensibile. D’altra parte bisogna anche riconoscere che chi sceglie ancora il matrimonio religioso, spesso è soprattutto attratto dall’idea di imbastire per sé e per gli altri una cerimonia socialmente significativa, quale era un tempo il debutto in società delle diciottenni di condizione medio alta.
Intanto, su tutto questo sfondo, si è andato insinuando il fenomeno della pretesa “normalizzazione” dei rapporti omosessuali. A partire dal primo dopoguerra e movendosi dall’area nordamericana, hanno acquistato un potere e una visibilità sempre crescenti quei movimenti di omosessuali che, sfruttando le categorie marxiste della lotta di classe, miravano a costituirsi come minoranza oppressa impegnata a rivendicare diritti diventati presto “diritti civili”. Attraverso la suggestione di formule come questa, e un potere sempre crescente, le pretese avanzate da questi movimenti hanno cominciato a suggestionare la opinione pubblica, per poi entrare nelle agende della politica. È cominciata in altre parole la marcia trionfale che porta la omosessualità a passare da vizio privato a pubblica virtù attraverso lo spostamento dei valori di riferimento della società. L’approdo ultimo di questa irresistibile carriera è adesso il tragico tentativo di appropriarsi della infanzia per inoculare già nei bambini l’idea che omosessuale è bello, forse anche un po’ più bello.
Ma un passaggio fondamentale per questa conquista di posizioni sempre più ambiziose, è stato lo sfruttamento delle “coppie di fatto”, cioè di un fenomeno già collaudato, e il mettersi sulla scia di pretese rivendicazioni di queste, artatamente enfatizzate. Se passa l’idea secondo cui la convivenza è di per sé una realtà che può reclamare una regolamentazione giuridica ad hoc in quanto corroborata e santificata dal vincolo erotico affettivo che la sorregge, per analogia le stesse pretese potranno essere avanzate da due omosessuali che hanno stabilito per un certo tempo una simile comunanza di vita “sentimentale”. Il passaggio successivo sarà quello di vedersi riconoscere tutto quello che è riconosciuto a coppie formate da un uomo e da una donna , attraverso un concetto nuovo di famiglia che non potendo più fare riferimento alla stabilità del matrimonio monogamico indissolubile, può subire un allargamento costante del proprio significato e un mutamento della propria funzione originaria.
Dunque chi ripropone la necessità di dare uno status giuridico definito ai conviventi more uxorio, oggi, come ieri del resto, ha un solo intento: quello di promuovere la ufficializzazione delle convivenze tra gli omosessuali che qualche motivo per aspirare a quella ce l’hanno e ben dichiarato: conquistare la propria normalizzazione e la possibilità di mettere su il teatrino grottesco della famigliola allietata dai “figli” fabbricati o adottati. Fine che smaschera il disprezzo profondo e inguaribile verso quei bambini ridotti a mero oggetto di un egotismo e di un cinismo fuori misura.
Fino ad un certo punto non è sfuggita a molti la pretestuosità della regolamentazione giuridica delle “coppie di fatto”, della quale si avvertiva l’inutilità sociale e l’irrilevanza dal punto di vista dell’interesse pubblico. Come si è cominciata ad avvertire, sulla scia delle esperienze francesi, che si trattava della testa di ponte per passare alla regolamentazione giuridica delle convivenze omosessuali che l’interesse pubblico lo soddisfano ancora meno mentre attentano con le pretese adottive al rispetto dovuto da tutti ai propri simili specie se innocenti indifesi. La Chiesa che avvertiva anche l’inganno, parlava ancora alto e forte in difesa della creazione e delle sue leggi eterne, e con la sapienza di sempre, vedendo in anticipo per mezzo dei papi, il male che si andava annidando nelle sirene della politica e nella spirale delle ideologie nichiliste. I documenti del Magistero in materia parlano con una chiarezza che solo una volontà truffaldina pretende ora di oscurare.
Dopo molti cambi di etichette i vari progetti di regolamentazione delle coppie di fatto che ora comprendevano ufficialmente quelle composte da omosessuali, approdarono ai Dico che la onorevole Bindi, cicero pro domo sua, andò propagandando per il territorio nazionale con la benedizione di gesuiti e parroci à la page oppure banalmente sprovveduti. Perché la politica che non riesce da decenni a partorire una idea seria, si autogiustifica con le favole imbastite mediaticamente dal migliore offerente. Una politica all’altezza di Dolce e Gabbana.
Sui Dico, finì per cadere il governo Prodi. E per un certo periodo qualcuno pensò anche di trarre un sospiro di sollievo. Potevamo concederci un po’ di ricreazione? No di certo, perché ogni attentato agli assetti fondamentali della famiglia e alla trama dei suoi rapporti naturali implica una aggressione alla legge naturale che tutto regge. Migliaia di bambini hanno continuato ad essere dilaniati nel ventre materno dai ferri del medico non obiettore, Englaro ha continuato a proporsi come un padre amorevole e un cittadino esemplare, i laboratori hanno continuato a fabbricare esseri umani selezionati e scongelati come le pere argentine, e piano piano ha cominciato a fare capolino l’idea che se omosessuale è bello, anzi è più bello, merita di essere insegnato a scuola insieme alla iniziazione erotica. E siccome, come è stato osservato sconsolatamente, l’uomo si abitua ad ogni mostruosità, basta somministrargliela a piccole dosi, ci hanno pensato Tv e giornalismo di regime a fornire la giusta dose quotidiana, mentre purtroppo a chi andava in Chiesa non venivano somministrati antidoti di sorta. Tuttavia a Roma la bandiera dei principi non negoziabili sventolava ben visibile a dispetto di quanti, preti e laici, avrebbero voluto ammainarla. Essa indicava che non si poteva venire ancora a patti con la realtà, bisognava tornare indietro, invertire la rotta e risalire la corrente.
Ma poi all’improvviso quella bandiera è stata ammainata con un colpo secco sparato dalla loggia delle benedizioni ed è cominciato il secondo capitolo di questa storia della nostra storia.
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PS. Con ”Gli Unni e gli altri” il Cardinale Ottaviani faceva riferimento nei suoi diari alla distruzioni spesso cieche operate dai bombardamenti alleati.
– di Patrizia Fermani
La via cattolica alla distruzione della famiglia – Il Testo Unico delle convivenze – di Patrizia Fermani
Seconda parte – Breve storia di una marcia trionfale
per leggere la prima parte, “Gli Unni e gli altri”, clicca qui.
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di Patrizia Fermani
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Ecco ora aprirsi improvvisamente, con stupefacente chiarezza, la via cattolica alla distruzione definitiva della famiglia. Non soltanto della famiglia definita dal matrimonio religioso indissolubile, diventata invisa anche all’ala sinistra (nel senso di minacciosa) del progressismo vaticano, ma proprio di quella ancora individuata dall’articolo 29 della Costituzione. Una famiglia che potrebbe avere i giorni contati, se lo spirito catto-progressista diventerà vento di tramontana anche dalle parti del Quirinale.
Infatti il disegno di legge presentato da associazioni “cattolicissime” e vantato con ammirevole sicurezza da Introvigne al Convegno di Milano sulla famiglia, se approvato, segnerebbe da un lato la definitiva consacrazione dell’omosessualismo di regime, e dall’altro lo affossamento definitivo della famiglia naturale sopravvissuta al divorzio e ancora formalmente difesa dalla Costituzione.
È innegabile come si stia profilando una nuova famiglia fondata eufemisticamente sul “legame affettivo” che è la vecchia convivenza more uxorio, ma prescinde dalla differenza sessuale dei componenti, ed è santificata dalle parole . Infatti, poiché il sesso è diventato solo una variazione di genere, e l’amore assorbe ogni virtù cristiana, si sta facendo entrare in una opinione pubblica sempre più confusa l’idea obbligatoria che il rapporto sessuale abituale tra persone dello stesso sesso non solo è cosa che appartiene alla “natura”, ma che, attraverso l’amore, ottiene anche la grazia per inserirsi senz’altro nella realtà cristiana. La nuova famiglia cristiana è questa, tanto larga da poter ricomprendere qualunque variante, tranne forse quella su cui è stato appeso il cartello di “tradizionale”, vecchio arnese per nostalgici ormai superati dai tempi.
Ecco dunque che il disegno di legge, chiamato pudicamente “ Testo unico delle convivenze”, si propone di dare veste giuridica cattolica a questa trasformazione “culturale”, con un intervento legislativo deciso, che superi le resistenze di quanti ancora diffidano del “nuovo” che avanza.
Per prima cosa, all’articolo 1, si dà per scontato che la convivenza “more uxorio” tra persone di sesso diverso è ontologicamente equivalente a quella tra persone dello stesso sesso, e risulta dunque sottinteso che l’omosessualità è solo una variante ordinaria della sessualità, come il colore dei capelli è una variante naturale della capigliatura.
In secondo luogo, la stabilità del rapporto e il legame affettivo, resi ufficiali dalla iscrizione nell’apposito registro, sono capaci di attribuire a tale realtà di fatto uno status giuridico. Cioè la tutela giuridica viene giustificata da un primo elemento, la stabilità del rapporto, che dipende esclusivamente dalla volontà individuale, e da un secondo, il legame affettivo, irriducibile ovviamente a qualunque possibilità di verifica.
Si parte quindi dallo schema dei Dico, superando a piè pari oltre le ragioni etiche, anche quelle formali che si erano opposte alla loro approvazione. In barba dunque anche alle più elementari esigenze di certezza del diritto.
Tuttavia al di là di questo pur vistoso tallone di Achille, il disegno di legge rivela, più o meno mascherato, un più vasto intento eversivo dell’ordinamento che ora viene attaccato in profondità.
La novità fondamentale sta infatti nella manomissione della legge penale, proposta con stupefacente audacia dagli articoli 22, 23, 24 e 25. In particolare nella manipolazione dell’art. 307 c.p., che dall’articolo 22 del disegno di legge risulta formalmente stravolto con conseguente stravolgimento dei relativi principi ispiratori.
Infatti l’articolo 307 c.p. indica in modo tassativo quanti, ai sensi della legge penale, devono essere considerati “prossimi congiunti” , cioè “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti” mentre, dice la norma, “ nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”. Ma ora, secondo l’articolo 22 del disegno di legge “cattolico”, ai prossimi congiunti devono essere parificati ai fini della legge penale i conviventi, nel senso ampio che sappiamo.
Il diritto penale, si sa, non è assimilabile ad una morale né ad una filosofia, ma è inscindibilmente legato ad entrambe. Infatti la legge penale si prefigge, e si è tradizionalmente prefissa, di tutelare le condizioni di coesistenza pacifica (ne cives ad arma veniant) e di contenimento delle pulsioni negative, ma anche di conservazione dei valori portanti della società. Per questo elegge a beni giuridici, cioè ad interessi meritevoli della tutela rafforzata offerta dalla sanzione penale, quei valori che sono stati riconosciuti oggettivamente tali dalla collettività, al di là delle scelte individuali o di parte. Certo alcuni criteri di valutazione legati alle immancabili variazioni del costume, sono destinati a modificarsi. Basti pensare a quello che oggi può essere considerato ragionevolmente come offensivo del comune senso del pudore rispetto ad un passato non troppo remoto.
Ma c’è un nucleo immodificabile che non può essere violato senza compromettere con l’intera tenuta del sistema anche quella della società, se non si vuole cadere nell’anarchia e nel caos. Si tratta di quel nucleo essenziale riconducibile alla legge naturale che, almeno per l’etica cattolica, è anche la stessa legge di Dio. E se ad ogni norma è sotteso un bene che essa protegge, questo è anche la sua chiave interpretativa, sicché ogni norma va letta nella logica dei relativi valori di riferimento. Quando più valori entrino in conflitto fra loro si ricorre al principio del bilanciamento degli interessi, che tiene conto della gerarchia dei valori in gioco.
Moltissime sono le norme penali che, pur senza definirla, riguardano direttamente o indirettamente la famiglia, e la ancorano anzitutto ai vincoli di parentela dai quali sono legate le singole persone, anche indipendentemente dal dato della convivenza. Tale famiglia, che ha coinciso fin dall’inizio con la famiglia monogamica fondata sul matrimonio, viene presa in considerazione anche come comunità caratterizzata dal legame di solidarietà che stringe i suoi componenti. Questo ha consentito alla giurisprudenza di considerare come possibili vittime del reato di maltrattamenti in famiglia, per evidenti ragioni umanitarie, anche i domestici o le persone conviventi stabili col nucleo famigliare anche non legati da vincolo di parentela.
Tuttavia quando il legislatore fa riferimento ai rapporti che qualificano il gruppo famigliare, per ricollegare ad essi determinati effetti (ad esempio per stabilire attenuanti, aggravanti o cause di non punibilità, o la facoltà di astenersi dal deporre nel processo penale ecc), si richiama sempre ai rapporti di parentela, quelli in base ai quali l’art.307 individua i ”prossimi congiunti”, dalla rosa dei quali sono esclusi significativamente anche l’adottante e l’adottato. In altre parole, per individuare la famiglia la legge tiene conto soltanto dei legami di sangue o di quelli di coniugio che sono potenzialmente alla base di altri rapporti di sangue, e li ritiene infungibili. La ragione è chiara. Sono soltanto questi infatti i legami che fondano l’identità famigliare, che inseriscono ogni individuo in una storia irripetibile di spiriti e di corpi in cui ciascuno può riconoscersi come parte di un tutto. C’è una logica ben precisa nelle norme che tutelano a vario titolo il valore dei rapporti famigliari, una logica che sostiene un sistema di valori. E non si può certo pensare che sia possibile forzare il senso profondo delle singole norme senza stravolgere anche un intero sistema di principi e la morale cui esso si ispira.
Per questo, quando si pretende di equiparare i rapporti di parentela a quelli derivanti dalla convivenza tra omosessuali, come vorrebbe il disegno di legge in questione, non si fa altro che stravolgere dai suoi fondamenti tutto il sistema valoriale su cui si regge la disciplina penalistica dei rapporti famigliari e lo stesso concetto di famiglia che vi è sotteso. Uno stravolgimento dagli effetti devastanti, anche pratici, che andrebbe a scontrarsi anche con la normativa costituzionale. A meno che non si accarezzi magari l’idea di porre prima o poi sul tappeto pure il tema della revisione dell’articolo 29, diventato ora un po’ ingombrante con quel riferimento alla società “naturale” che lascia poco spazio a quanto naturale non è.
È evidente dunque che il concetto di famiglia fondata sul matrimonio è uscito completamente dall’orizzonte degli estensori del disegno di legge e che essi hanno fatto proprio quello allargato capace di adattarsi a tutte le varianti in voga. Ma una volta equiparati ai prossimi congiunti il convivente omosessuale, è la stessa idea dei legami di sangue che sostengono la famiglia a dissolversi come neve al sole, come si dissolve definitivamente anche quel significato di famiglia che il legislatore penale ha fissato con tanta chiarezza, e per il quale il legame che unisce i prossimi congiunti va al di là delle vicende particolari interne alla famiglia, e non sopporta estensioni analogiche. Conviene ripeterlo, per questa via anche l’abbattimento della famiglia “naturale” sarebbe completato.
Questa negazione radicale del significato profondo dei rapporti famigliari lo troviamo del resto emblematicamente anche nella norma che, sempre secondo il disegno di legge, attribuisce al convivente omosessuale, e non ai prossimi congiunti, la decisione relativa allo espianto degli organi, alle pratiche funerarie ecc. E viene in mente per analogia, mutatis mutandis, la terribile vicenda di Terry Schiavo, fatta morire per decisione del marito, su autorizzazione del giudice, mentre ai genitori e al fratello veniva impedito manu militari di salvarle la vita. Il criterio implicito adottato anche lì fu quello della negazione del valore della famiglia naturale.
Inutile dire che se il vincolo affettivo, quale elemento nobilitante delle convivenze, diventa il presupposto necessario e sufficiente per fondare una tutela giuridica anche penalistica, questo nuovo criterio interpretativo sarà capace di prevalere su e a dispetto di qualunque altro, e sarà adattabile a tutte le più fantasiose varianti in conflitto con il modello della famiglia naturale. Come avverrebbe ad esempio se la norma che prevede l’omicidio, quale causazione della morte di un uomo, fosse estesa alla causazione della morte di un qualunque essere vivente: il bene protetto non sarebbe più il valore intrinseco della vita umana, ma quello meramente biologico comune a qualunque organismo capace di vita con il conseguente abbassamento dell’uomo al piano della mera biologia.
Intanto con la manomissione dell’articolo 307 c.p. si introduce un doppio regime: uno che vale per l’accertamento dei rapporti di parentela e uno specifico per quelli di convivenza: per i primi occorre dimostrare il vincolo di sangue o di coniugio che debbono essere oggettivamente verificati. Per i legami di convivenza basta evidentemente l’autocertificazione di permanente affettività.
Siamo di fronte ad una operazione di truffa ai danni della legge, dei cittadini e di tutti quelli che accorrono festanti ad applaudire chi si presenta come difensore dei valori della famiglia unica e irripetibile, e che, invece, rischiano di vedere un giorno approvato, a loro nome, proprio quanto hanno cercato di combattere.
Si tratta del resto della stessa tecnica già utilizzata altrove, che consiste nel formulare una proposta di legge che se fosse stata presentata autonomamente non sfuggirebbe magari al controllo preventivo di costituzionalità, inserendola in una normativa preesistente. È cioè una trovata analoga, anzi peggiore, di quella ideata dallo Scalfarotto quando ha attaccato alla già disastrata e inapplicabile legge Mancino, relegata da tempo tra i cimeli di una esemplare insipienza del legislatore di turno, il carretto delle pretese tutele omofiliache. Anche lì si pretenderebbe di creare attraverso l’ampliamento della sfera delle norme “antirazziste”, la tutela di un nuovo bene giuridico, quello della scelta omoerotica, che tutti devono rispettare obbligatoriamente, quale nuovo valore sociale.
Ma qui, nel sedicente testo unico sulle convivenze, l’obiettivo risulta persino più ambizioso: infatti la promozione della omosessualità come valore sociale avviene addirittura per abbassamento della famiglia vera al piano interrato delle convivenze omosessuali. E il tutto mentre si va gridando a gran voce, pour épater le bourgeois catholique , che un bambino per il momento ha bisogno di un padre e di una madre. Domani chissà. Il “diritto vivente” cui si appella la relazione al disegno di legge, può essere il bel vaso di Pandora da cui trarre qualunque novità, un po’ come quella “morale di situazione”, che nella attuale teologia vaticana ha sostituito anche i comandamenti.
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PS. Le norme del disegno di legge in questione che tradiscono platealmente l’intento di dissolvere la famiglia vera nella palude di ogni indistinzione sono molte, ma si è ritenuto che la manomissione dell’art. 307 c.p. possa riassumere quell’intento in modo esemplare.
http://www.riscossacristiana.it/la-cattolica-alla-distruzione-della-famiglia-il-testo-unico-delle-convivenze-di-patrizia-fermani/
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di Patrizia Fermani
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Ecco ora aprirsi improvvisamente, con stupefacente chiarezza, la via cattolica alla distruzione definitiva della famiglia. Non soltanto della famiglia definita dal matrimonio religioso indissolubile, diventata invisa anche all’ala sinistra (nel senso di minacciosa) del progressismo vaticano, ma proprio di quella ancora individuata dall’articolo 29 della Costituzione. Una famiglia che potrebbe avere i giorni contati, se lo spirito catto-progressista diventerà vento di tramontana anche dalle parti del Quirinale.
Infatti il disegno di legge presentato da associazioni “cattolicissime” e vantato con ammirevole sicurezza da Introvigne al Convegno di Milano sulla famiglia, se approvato, segnerebbe da un lato la definitiva consacrazione dell’omosessualismo di regime, e dall’altro lo affossamento definitivo della famiglia naturale sopravvissuta al divorzio e ancora formalmente difesa dalla Costituzione.
È innegabile come si stia profilando una nuova famiglia fondata eufemisticamente sul “legame affettivo” che è la vecchia convivenza more uxorio, ma prescinde dalla differenza sessuale dei componenti, ed è santificata dalle parole . Infatti, poiché il sesso è diventato solo una variazione di genere, e l’amore assorbe ogni virtù cristiana, si sta facendo entrare in una opinione pubblica sempre più confusa l’idea obbligatoria che il rapporto sessuale abituale tra persone dello stesso sesso non solo è cosa che appartiene alla “natura”, ma che, attraverso l’amore, ottiene anche la grazia per inserirsi senz’altro nella realtà cristiana. La nuova famiglia cristiana è questa, tanto larga da poter ricomprendere qualunque variante, tranne forse quella su cui è stato appeso il cartello di “tradizionale”, vecchio arnese per nostalgici ormai superati dai tempi.
Ecco dunque che il disegno di legge, chiamato pudicamente “ Testo unico delle convivenze”, si propone di dare veste giuridica cattolica a questa trasformazione “culturale”, con un intervento legislativo deciso, che superi le resistenze di quanti ancora diffidano del “nuovo” che avanza.
Per prima cosa, all’articolo 1, si dà per scontato che la convivenza “more uxorio” tra persone di sesso diverso è ontologicamente equivalente a quella tra persone dello stesso sesso, e risulta dunque sottinteso che l’omosessualità è solo una variante ordinaria della sessualità, come il colore dei capelli è una variante naturale della capigliatura.
In secondo luogo, la stabilità del rapporto e il legame affettivo, resi ufficiali dalla iscrizione nell’apposito registro, sono capaci di attribuire a tale realtà di fatto uno status giuridico. Cioè la tutela giuridica viene giustificata da un primo elemento, la stabilità del rapporto, che dipende esclusivamente dalla volontà individuale, e da un secondo, il legame affettivo, irriducibile ovviamente a qualunque possibilità di verifica.
Si parte quindi dallo schema dei Dico, superando a piè pari oltre le ragioni etiche, anche quelle formali che si erano opposte alla loro approvazione. In barba dunque anche alle più elementari esigenze di certezza del diritto.
Tuttavia al di là di questo pur vistoso tallone di Achille, il disegno di legge rivela, più o meno mascherato, un più vasto intento eversivo dell’ordinamento che ora viene attaccato in profondità.
La novità fondamentale sta infatti nella manomissione della legge penale, proposta con stupefacente audacia dagli articoli 22, 23, 24 e 25. In particolare nella manipolazione dell’art. 307 c.p., che dall’articolo 22 del disegno di legge risulta formalmente stravolto con conseguente stravolgimento dei relativi principi ispiratori.
Infatti l’articolo 307 c.p. indica in modo tassativo quanti, ai sensi della legge penale, devono essere considerati “prossimi congiunti” , cioè “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti” mentre, dice la norma, “ nella denominazione di prossimi congiunti, non si comprendono gli affini allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”. Ma ora, secondo l’articolo 22 del disegno di legge “cattolico”, ai prossimi congiunti devono essere parificati ai fini della legge penale i conviventi, nel senso ampio che sappiamo.
Il diritto penale, si sa, non è assimilabile ad una morale né ad una filosofia, ma è inscindibilmente legato ad entrambe. Infatti la legge penale si prefigge, e si è tradizionalmente prefissa, di tutelare le condizioni di coesistenza pacifica (ne cives ad arma veniant) e di contenimento delle pulsioni negative, ma anche di conservazione dei valori portanti della società. Per questo elegge a beni giuridici, cioè ad interessi meritevoli della tutela rafforzata offerta dalla sanzione penale, quei valori che sono stati riconosciuti oggettivamente tali dalla collettività, al di là delle scelte individuali o di parte. Certo alcuni criteri di valutazione legati alle immancabili variazioni del costume, sono destinati a modificarsi. Basti pensare a quello che oggi può essere considerato ragionevolmente come offensivo del comune senso del pudore rispetto ad un passato non troppo remoto.
Ma c’è un nucleo immodificabile che non può essere violato senza compromettere con l’intera tenuta del sistema anche quella della società, se non si vuole cadere nell’anarchia e nel caos. Si tratta di quel nucleo essenziale riconducibile alla legge naturale che, almeno per l’etica cattolica, è anche la stessa legge di Dio. E se ad ogni norma è sotteso un bene che essa protegge, questo è anche la sua chiave interpretativa, sicché ogni norma va letta nella logica dei relativi valori di riferimento. Quando più valori entrino in conflitto fra loro si ricorre al principio del bilanciamento degli interessi, che tiene conto della gerarchia dei valori in gioco.
Moltissime sono le norme penali che, pur senza definirla, riguardano direttamente o indirettamente la famiglia, e la ancorano anzitutto ai vincoli di parentela dai quali sono legate le singole persone, anche indipendentemente dal dato della convivenza. Tale famiglia, che ha coinciso fin dall’inizio con la famiglia monogamica fondata sul matrimonio, viene presa in considerazione anche come comunità caratterizzata dal legame di solidarietà che stringe i suoi componenti. Questo ha consentito alla giurisprudenza di considerare come possibili vittime del reato di maltrattamenti in famiglia, per evidenti ragioni umanitarie, anche i domestici o le persone conviventi stabili col nucleo famigliare anche non legati da vincolo di parentela.
Tuttavia quando il legislatore fa riferimento ai rapporti che qualificano il gruppo famigliare, per ricollegare ad essi determinati effetti (ad esempio per stabilire attenuanti, aggravanti o cause di non punibilità, o la facoltà di astenersi dal deporre nel processo penale ecc), si richiama sempre ai rapporti di parentela, quelli in base ai quali l’art.307 individua i ”prossimi congiunti”, dalla rosa dei quali sono esclusi significativamente anche l’adottante e l’adottato. In altre parole, per individuare la famiglia la legge tiene conto soltanto dei legami di sangue o di quelli di coniugio che sono potenzialmente alla base di altri rapporti di sangue, e li ritiene infungibili. La ragione è chiara. Sono soltanto questi infatti i legami che fondano l’identità famigliare, che inseriscono ogni individuo in una storia irripetibile di spiriti e di corpi in cui ciascuno può riconoscersi come parte di un tutto. C’è una logica ben precisa nelle norme che tutelano a vario titolo il valore dei rapporti famigliari, una logica che sostiene un sistema di valori. E non si può certo pensare che sia possibile forzare il senso profondo delle singole norme senza stravolgere anche un intero sistema di principi e la morale cui esso si ispira.
Per questo, quando si pretende di equiparare i rapporti di parentela a quelli derivanti dalla convivenza tra omosessuali, come vorrebbe il disegno di legge in questione, non si fa altro che stravolgere dai suoi fondamenti tutto il sistema valoriale su cui si regge la disciplina penalistica dei rapporti famigliari e lo stesso concetto di famiglia che vi è sotteso. Uno stravolgimento dagli effetti devastanti, anche pratici, che andrebbe a scontrarsi anche con la normativa costituzionale. A meno che non si accarezzi magari l’idea di porre prima o poi sul tappeto pure il tema della revisione dell’articolo 29, diventato ora un po’ ingombrante con quel riferimento alla società “naturale” che lascia poco spazio a quanto naturale non è.
È evidente dunque che il concetto di famiglia fondata sul matrimonio è uscito completamente dall’orizzonte degli estensori del disegno di legge e che essi hanno fatto proprio quello allargato capace di adattarsi a tutte le varianti in voga. Ma una volta equiparati ai prossimi congiunti il convivente omosessuale, è la stessa idea dei legami di sangue che sostengono la famiglia a dissolversi come neve al sole, come si dissolve definitivamente anche quel significato di famiglia che il legislatore penale ha fissato con tanta chiarezza, e per il quale il legame che unisce i prossimi congiunti va al di là delle vicende particolari interne alla famiglia, e non sopporta estensioni analogiche. Conviene ripeterlo, per questa via anche l’abbattimento della famiglia “naturale” sarebbe completato.
Questa negazione radicale del significato profondo dei rapporti famigliari lo troviamo del resto emblematicamente anche nella norma che, sempre secondo il disegno di legge, attribuisce al convivente omosessuale, e non ai prossimi congiunti, la decisione relativa allo espianto degli organi, alle pratiche funerarie ecc. E viene in mente per analogia, mutatis mutandis, la terribile vicenda di Terry Schiavo, fatta morire per decisione del marito, su autorizzazione del giudice, mentre ai genitori e al fratello veniva impedito manu militari di salvarle la vita. Il criterio implicito adottato anche lì fu quello della negazione del valore della famiglia naturale.
Inutile dire che se il vincolo affettivo, quale elemento nobilitante delle convivenze, diventa il presupposto necessario e sufficiente per fondare una tutela giuridica anche penalistica, questo nuovo criterio interpretativo sarà capace di prevalere su e a dispetto di qualunque altro, e sarà adattabile a tutte le più fantasiose varianti in conflitto con il modello della famiglia naturale. Come avverrebbe ad esempio se la norma che prevede l’omicidio, quale causazione della morte di un uomo, fosse estesa alla causazione della morte di un qualunque essere vivente: il bene protetto non sarebbe più il valore intrinseco della vita umana, ma quello meramente biologico comune a qualunque organismo capace di vita con il conseguente abbassamento dell’uomo al piano della mera biologia.
Intanto con la manomissione dell’articolo 307 c.p. si introduce un doppio regime: uno che vale per l’accertamento dei rapporti di parentela e uno specifico per quelli di convivenza: per i primi occorre dimostrare il vincolo di sangue o di coniugio che debbono essere oggettivamente verificati. Per i legami di convivenza basta evidentemente l’autocertificazione di permanente affettività.
Siamo di fronte ad una operazione di truffa ai danni della legge, dei cittadini e di tutti quelli che accorrono festanti ad applaudire chi si presenta come difensore dei valori della famiglia unica e irripetibile, e che, invece, rischiano di vedere un giorno approvato, a loro nome, proprio quanto hanno cercato di combattere.
Si tratta del resto della stessa tecnica già utilizzata altrove, che consiste nel formulare una proposta di legge che se fosse stata presentata autonomamente non sfuggirebbe magari al controllo preventivo di costituzionalità, inserendola in una normativa preesistente. È cioè una trovata analoga, anzi peggiore, di quella ideata dallo Scalfarotto quando ha attaccato alla già disastrata e inapplicabile legge Mancino, relegata da tempo tra i cimeli di una esemplare insipienza del legislatore di turno, il carretto delle pretese tutele omofiliache. Anche lì si pretenderebbe di creare attraverso l’ampliamento della sfera delle norme “antirazziste”, la tutela di un nuovo bene giuridico, quello della scelta omoerotica, che tutti devono rispettare obbligatoriamente, quale nuovo valore sociale.
Ma qui, nel sedicente testo unico sulle convivenze, l’obiettivo risulta persino più ambizioso: infatti la promozione della omosessualità come valore sociale avviene addirittura per abbassamento della famiglia vera al piano interrato delle convivenze omosessuali. E il tutto mentre si va gridando a gran voce, pour épater le bourgeois catholique , che un bambino per il momento ha bisogno di un padre e di una madre. Domani chissà. Il “diritto vivente” cui si appella la relazione al disegno di legge, può essere il bel vaso di Pandora da cui trarre qualunque novità, un po’ come quella “morale di situazione”, che nella attuale teologia vaticana ha sostituito anche i comandamenti.
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PS. Le norme del disegno di legge in questione che tradiscono platealmente l’intento di dissolvere la famiglia vera nella palude di ogni indistinzione sono molte, ma si è ritenuto che la manomissione dell’art. 307 c.p. possa riassumere quell’intento in modo esemplare.
http://www.riscossacristiana.it/la-cattolica-alla-distruzione-della-famiglia-il-testo-unico-delle-convivenze-di-patrizia-fermani/
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