I cardinali nel mirino non sono soltanto quelli che difendono l’insegnamento tradizionale della Chiesa su matrimonio e famiglia. Ieri faceva impressione vedere in primo piano sul sitoVatican Insider un attacco durissimo al cardinale cinese Zen Ze-kiun, arcivescovo emerito di Hong Kong, accusato di voler dirigere la Chiesa cinese dal di fuori e di opporsi al promettente dialogo tra Cina e Santa Sede. Ormai chiunque provi anche solo a porre qualche domanda sulla “gioiosa macchina da guerra” che vuole pacificare il mondo intero, viene stroncato senza pietà, ovviamente sempre invocando la misericordia. Il problema è che il genuino slancio missionario del Papa avrebbe bisogno di collaboratori competenti più che di guardiani della rivoluzione e clericali in carriera.
E così il povero cardinale Zen, una delle figure più significative della Chiesa cinese contemporanea, sicuramente quello che conosce meglio i governanti di Pechino (che più volte da vescovo ha affrontato a muso duro) è finito sulla lista dei cattivi. Certo, Zen è un cinese se vogliamo atipico, temperamento focoso che non va per le spicce quando c’è da affermare una verità, tanto che a 83 anni a Hong Kong sta spesso in piazza insieme ad altri dimostranti per chiedere la libertà o per chiedere conto a Pechino – lo ha fatto nei giorni scorsi - della scomparsa di due vescovi di cui non si sa nulla da molti anni.
Ma cosa ha fatto di male il cardinale Zen? Secondo l’accusa si oppone al dialogo tra Cina e Santa Sede proprio in un momento in cui un qualche successo storico sembra vicino, e favorisce la spaccatura nella Chiesa cinese cercando di condizionare l’atteggiamento dei cattolici nei confronti di Pechino. Sarebbe dunque un pericoloso disturbatore nel processo di riconciliazione in Cina.
Accuse pretestuose e ridicole per chi conosce la situazione e il cardinale Zen. Ma bisogna almeno sinteticamente ricordare da dove ha origine il problema cinese: ovvero dalla decisione del regime comunista, poco dopo la vittoria militare di Mao Zedong, di istituire una Chiesa nazionale cattolica sotto il controllo del Partito comunista. Stesso trattamento per le altre religioni riconosciute. Lo scopo era evidente: mettere sotto controllo il fenomeno religioso come primo passo verso la completa estirpazione delle religioni. Per la Chiesa cattolica, pur minoritaria, la questione era ed è più complicata perché fa riferimento a un capo straniero, la cui “influenza” su cittadini cinesi è ovviamente ritenuta inaccettabile. Non per niente Cina e Santa Sede non hanno mai allacciato relazioni diplomatiche, e la Santa Sede è ormai uno dei pochissimi stati a riconoscere Taiwan (almeno formalmente) come legittimo governo cinese.
A quel punto comunque i cattolici avevano due possibilità: aderire all’Associazione patriottica creata dal governo e quindi accettare il primato del regime comunista; o continuare a professare apertamente il primato di Pietro ed entrare in clandestinità. La divisione dei cattolici – dai vescovi fino all’ultimo fedele - ha origine qui, anche se negli anni le cose si sono via via complicate e i confini tra le “due Chiese” si sono fatti sempre meno distinti (molti vescovi “patriottici” negli anni passati sono tornati in comunione con il Papa). Con le lettere alla Chiesa in Cina di Giovanni Paolo II (1996 e 1999) e di Benedetto XVI (2007) un cammino di riconciliazione tra le diverse anime del cattolicesimo cinese è stato avviato, ma in anni recenti il regime di Pechino ha cercato di riallargare le ferite imponendo l’ordinazione di “suoi” vescovi.
Nel frattempo poi, quella linea di divisione che ha caratterizzato i cattolici cinesi si è replicata a Roma tra chi è disposto a fare concessioni unilaterali a Pechino pur di arrivare a normalizzare le relazioni e chi invece invoca la fermezza nei confronti di un regime che non ha mai dato segnali di reale cambiamento nei confronti della libertà religiosa. Appare evidente che in Segreteria di Stato prevale la prima corrente (e non è una novità del Pontificato di Francesco), molto criticata invece dal cardinale Zen, che non si è mai opposto al dialogo ma piuttosto al compromesso politico, giudicando non sinceri i governanti di Pechino.
Nel frattempo poi, quella linea di divisione che ha caratterizzato i cattolici cinesi si è replicata a Roma tra chi è disposto a fare concessioni unilaterali a Pechino pur di arrivare a normalizzare le relazioni e chi invece invoca la fermezza nei confronti di un regime che non ha mai dato segnali di reale cambiamento nei confronti della libertà religiosa. Appare evidente che in Segreteria di Stato prevale la prima corrente (e non è una novità del Pontificato di Francesco), molto criticata invece dal cardinale Zen, che non si è mai opposto al dialogo ma piuttosto al compromesso politico, giudicando non sinceri i governanti di Pechino.
I problemi finora insormontabili nel dialogo Cina-Santa Sede sono due: la nomina dei vescovi, e il ruolo dell’Associazione patriottica. Per i vescovi, la Chiesa non può accettare che la loro nomina sia decisa o pesantemente condizionata da un governo, ma il regime comunista di Pechino non può accettare che ci possano essere nomine che non siano controllate dal Partito. L’altra questione, che è legata, riguarda l’Associazione patriottica la cui natura di controllo della Chiesa non può ovviamente essere accettata dalla Santa Sede.
Il cardinale Zen ritiene da molti anni che la Chiesa abbia già concesso troppo a Pechino e oggi trova immotivato l’ottimismo del Segretario di Stato, cardinale Parolin, che recentemente ha parlato di rapporti «promettenti» e di entrambe le parti che vogliono il dialogo. Come ha scritto: «Nessuno nega che senza il dialogo non si risolvono i problemi. Ma perché il dialogo riesca occorre la buona volontà da ambedue le parti. Da parte di Roma, c'è ovviamente questa buona volontà. Ma c'è anche dalla parte di Pechino? Supporre che ci sia, in un ottimismo infondato, è pericoloso. Può essere ""wishful thinking". Se la controparte non è disposta a cedere niente e noi vogliamo arrivare ad ogni costo ad un accordo, l'unica cosa da fare è di arrenderci, vendere noi stessi. Dunque noi non temiamo il dialogo. Non siamo contrari al dialogo, ma abbiamo paura di un compromesso ad oltranza, un cedere senza una linea di fondo».
Ma Zen ha criticato anche due interviste fatte da Vatican Insider ad altrettanti vescovi cinesi, che sembravano “pilotate” per criticare coloro – come Zen – che mettono i puntini sulle i.«Sembra che qualcuno voglia farci tacere», aveva denunciato Zen appena 3 giorni fa sull’agenzia Asia News, facendo notare che è «crudele e ingiusto» intervistare vescovi che non sono in condizione di parlare liberamente, come è per chi sta in Cina. Ed ecco quindi pronta la risposta di Vatican Insider sotto forma di lettera aperta di un “sacerdote clandestino” che nega a Zen il diritto di parlare di Chiesa cinese. Prontamente Asia News ha pubblicato l’intervento di un altro “sacerdote clandestino” che invece sostiene le ragioni dell’arcivescovo emerito di Hong Kong (davvero curiosa questa coincidenza di posta che arriva lo stesso giorno dalla Cina).
Ma è indubbio che, per la collocazione della testata, l’attacco di Vatican Insider è significativo. Qualcuno evidentemente ritiene che mettere a tacere Zen sia un passo fondamentale per far progredire i rapporti con la Cina e riconciliare i cattolici. Illusione: si fa solo un piacere al Partito Comunista cinese. Quando nel 2009 il cardinale Zen andò in pensione, ci fu chi a Roma brindò prevedendo una rapida normalizzazione dei rapporti con Pechino, ma negli anni successivi le cose non solo non sono progredite, sono anche peggiorate per i cattolici.
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-se-un-cardinalee-dato-in-pastoai-comunisti-cinesi-11863.htm
Un sacerdote cinese:
Un sacerdote cinese:
«Se Pechino non concede libertà alla Chiesa, le diplomazie sono inutili»
di Peace *
Sin
dagli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, i rapporti fra Cina e
Vaticano sono divenuti oggetto di attenzione da parte dei media
internazionali. Ogni evento collegato a questa questione sarà sempre
sotto gli occhi dei giornali e porterà nuove analisi da parte loro sulla
situazione. Guardando agli ultimi anni, partendo dal 2008, la Cina ha
ordinato il maggior numero di vescovi illeciti (ovvero senza il mandato
papale) della sua storia e ha convocato l'ottava Assemblea dei
rappresentanti cattolici. Questi fatti hanno portato le relazioni
sino-vaticane al punto più basso degli ultimi decenni.
Secondo
analisi e notizie apparse sui giornali, la Cina e la Santa Sede
avrebbero deciso di mitigare le proprie posizioni dalla metà dello
scorso anno (2014). Oggi i contatti fra Cina e Santa Sede sono
abbastanza frequenti, e la loro relazione - si dice - potrebbe presto
divenire un rapporto diplomatico ufficiale. Di certo non importa dove
questi contatti possano condurre: il dialogo fra due parti è sempre
apprezzabile e degno di lode. Infatti soltanto attraverso contatti
sinceri e dialoghi costruttivi si potrà portare la situazione a una
conclusione soddisfacente per entrambi. Sui punti cruciali di questa
relazione e sulle sue prospettive per il prossimo futuro, vorrei
presentare alcuni punti per la discussione e la riflessione.
Anzitutto
vorrei sottolineare come nel processo di dialogo e contatto - inclusi
gli sforzi per costruire relazioni diplomatiche fra la Cina e la Santa
Sede - entrambe le parti si sono sedute al tavolo con scopi ovviamente
diversi. Il governo cinese sta considerando i pro e i contro di una
relazione ufficiale con la Santa Sede, che rappresenterebbe un
inevitabile influsso del cattolicesimo sulle ideologie marxiste. Inoltre
questo sviluppo potrebbe portare influenze positive dal punto di vista
internazionale, in particolare ora che la Cina diventa sempre più
importante per le politiche mondiali.
Dal punto di
vista della Santa Sede, invece, lo scopo principale è che la comunità
cattolica possa praticare con libertà il diritto alla libertà religiosa
nella terra di Cina.
Dall'inizio degli anni Ottanta
del secolo scorso, la posizione degli ultimi tre pontefici sulla
"Questione Cina" è sempre stata chiara e consistente. I cattolici di
Cina, come i fedeli cristiani di altre parti del mondo, possono e
dovrebbero godere della libertà religiosa anche nella Repubblica
popolare. Questo significa che ogni cattolico cinese dovrebbe vedersi
riconosciuta la propria dignità umana e personale, e quindi avere il
diritto a vivere la propria fede in maniera libera come recita la
"Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo" riconosciuta dalle
Nazioni Unite.
In molte occasioni la Santa Sede ha
invitato il governo cinese a intraprendere azioni concrete per garantire
questo diritto fondamentale per tutti i cittadini della Repubblica
popolare cinese. Tuttavia, purtroppo, noi non abbiamo visto alcuna
azione particolare al riguardo: e perciò non vi è alcun modo in caso di
abusi a questa libertà di ottenere protezione legale- secondo l'attuale
legislazione cinese - attraverso metodi amministrativi e giudiziari.
Noi
riteniamo che il diritto alla libertà religiosa dovrebbe essere il
punto principale nei dialoghi e nei contatti fra la Cina e la Santa
Sede. Guardando alla situazione attuale della società cinese dal punto
di vista politico, non è facile sostenere che il governo di Pechino
voglia mettere davvero in pratica e proteggere il diritto alla libertà
religiosa per tutti i propri cittadini. Sotto l'attuale situazione
sociale e politica in Cina, sembra che non si possano vedere segnali
positivi riguardo questa questione.
Vi prego di considerare i seguenti punti.
Il
primo punto riguarda i principi di "indipendenza e auto-gestione della
Chiesa, che deve essere governata in maniera democratica" delineati dal
governo cinese riguardo la Chiesa cattolica di Cina. Questi principi
sono stati chiaramente definiti "incompatibili con la dottrina
cattolica" all'interno della "Lettera ai vescovi, sacerdoti, consacrati e
fedeli laici della Chiesa cattolica di Cina" inviata nel 2007 dal Papa
emerito Benedetto XVI. Tuttavia, in questi anni abbiamo osservato come
l'attitudine del governo cinese nei confronti della Chiesa cattolica
cinese sia di fatto delegare il controllo della stessa al Partito
comunista. Oggi non vediamo alcun beneficio od opportunità per il
governo cinese che lo spinga ad abbandonare questi principi.
Al
secondo punto vorrei considerare la questione della nomina dei vescovi,
uno dei punti più controversi nelle relazioni fra Cina e Vaticano. Come
dovremmo risolvere questa situazione? È una delle domande più difficili
per entrambe le parti coinvolte nel dialogo. Da quello che possiamo
vedere, il governo cinese ha ormai un considerevole diritto di parola
sulla questione dato che negli ultimi 15 anni la Santa Sede ha
riconosciuto un buon numero di vescovi graditi all'esecutivo (per la
maggior parte, cinquantenni). Nei prossimi 20 anni almeno, le difficoltà
che questo stato di cose porterà alla vita della Chiesa in Cina non
possono essere sottostimate.
Al terzo punto, quello
peggiore, c'è il fatto che anche se i primi due problemi potranno
essere risolti tramite il dialogo e i contatti fra la Cina e la Santa
Sede questo non vuole dire per forza che la comunità cattolica cinese potrà godere del diritto alla libertà religiosa.
Dato che questo diritto fondamentale non dipende soltanto da questi due
problemi - anche se naturalmente non sottovalutiamo l'importanza di
queste problematiche per la vita della Chiesa - la realizzazione della
libertà religiosa in Cina dipende da una vera attuazione dei diritti
umani nella nazione. E su questa non vi è una prospettiva ottimista,
data l'attuale situazione politica e sociale. Vediamo perché:
1)
Per quanto riguarda la politica, i conflitti e gli scontri interni al
Partito sono oggi molto intensi. E noi non possiamo sapere con chiarezza
quale delle parti in causa sia interessata a un dialogo con il
Vaticano. Ci domandiamo se coloro che si oppongono ai dialoghi con il
Vaticano potrebbero usare questa occasione per censurare e bloccare
coloro che invece sono a favore. Questa complicatissima situazione
politica rappresenta quanto meno il momento "non migliore" per dialogare
con la Cina da parte della Santa Sede.
2) Dal
punto di vista del governo cinese, la questione della Chiesa cattolica
in Cina non è isolata ma collegata con i problemi di altre religioni ed
etnie. È impossibile per il governo risolvere il punto dei cattolici
senza affrontare altre questioni come quella del Tibet, dello Xinjiang e
della gestione autonoma di alcuni gruppi etnici. Se il governo cinese
non prepara un piano che comprenda tutte le questioni etniche e
religiose, per risolvere i problemi ad esse collegati, sarà difficile
separare il punto della Chiesa e la natura dell'accordo del Vaticano per
proteggerne la libertà religiosa.
3) Dal
punto di vista della Chiesa cattolica, anche se il governo cinese fosse
sincero abbastanza da voler risolvere il problema della "indipendenza e
auto-gestione della Chiesa, che deve essere governata in maniera
democratica" e quello della nomina dei vescovi questo non vorrebbe dire garantire davvero alla comunità cattolica il diritto di godere di piena libertà religiosa.
Se il governo non decide di concedere davvero il diritto alla libertà,
alla democrazia e agli altri diritti umani, allora risolvere i due
problemi di cui sopra non porteranno libertà alla comunità. Ad esempio,
se non viene garantita la libertà di stampa allora la Chiesa continuerà a
vivere dei limiti nella libera informazione sulla vita cattolica in
Cina; se il governo non rispetta il diritto dei genitori a scegliere la
migliore educazione per i propri bambini, allora l'educazione cattolica
continuerà a essere limitata; se la terra di Cina rimane proprietà dello
Stato, allora la Chiesa non potrà avere proprietà immobiliari. Sono
molti i problemi e le questioni sociali che vanno risolti, e che sono
collegati all'esercizio della libertà religiosa dei cattolici cinesi.
Questi problemi non si risolveranno presto. E prima della loro
soluzione. ogni accordo firmato da entrambe le parti sarà soltanto una
lettera morta, senza alcun contenuto reale.
Il
quarto punto, alla luce di quelli presentati fino ad ora, è quello della
garanzia e del rispetto della libertà religiosa: molto c'è ancora da
fare prima di arrivare a questo risultato, e ci vorrà molto tempo. La
risoluzione di questi problemi dipenderà anche da un altro fatto: se i
cristiani cinesi saranno in grado di divenire una coscienza sociale. I
semi del Vangelo possono essere sparsi in questa terra. Qui, oggi,
questi semi possono divenire profetici, luce e sale della società in
Cina. Di conseguenza:
1) Per i cattolici in
Cina, come dice il Papa emerito Benedetto XVI nella "Lettera ai
vescovi, sacerdoti, consacrati e fedeli laici della Chiesa cattolica di
Cina", il compito fondamentale è quello della formazione per il presente
e il futuro, per un periodo considerevole di tempo. Questo perché
soltanto il lavoro di formazione permette ai vescovi, sacerdoti,
consacrati e fedeli laici di essere profeti di questo tempo, lievito
della società, e diffondere i semi del Vangelo in questa terra di Cina.
2)
Per quanto riguarda la Santa Sede va detto che la sua funzione
principale non è diplomatica o politica, ma quella di aiutare il Santo
Padre a confermare la fede dei cristiani di Cina. Lo scopo ultimo della
diplomazia e delle politiche della Santa Sede non è null'altro se non
quello di aiutare i cristiani cinesi a vivere in piena comunione
ecclesiale. La vita di ogni Chiesa locale dovrebbe essere aperta. Sulle
questioni sociali deve poterci essere un buon livello di collaborazione
fra le Chiese e i governi locali. Tuttavia, il prerequisito è che i
governi locali devono rispettare in maniera coscienziosa il diritto alla
libertà religiosa dei gruppi cattolici, o almeno che non si usino forze
politiche o ideologiche per intervenire negli affari interni della
religione. Nei dialoghi fra la Segreteria di Stato e il governo cinese,
quest'ultimo dovrebbe garantire la promozione del diritto alla libertà
religiosa per le comunità e i singoli fedeli cattolici; inoltre i mezzi
diplomatici dovrebbero essere usati per evitare che forze politiche o
ideologiche intervengano con la forza nella Chiesa cattolica. Il governo
cinese ha bisogno che la Chiesa divenga una vera Chiesa cattolica di
Cina, ma nella comunione con la Chiesa universale che ne garantisca
l'indipendenza, e non con l'intervento del governo nel lavoro religioso o
negli affari interni. Prima di stabilire relazioni diplomatiche fra
Cina e Santa Sede, bisogna assicurare la comunione ecclesiale e la
libertà religiosa delle comunità cattoliche cinesi. Fino a che questo
obiettivo fondamentale non verrà raggiunto, credo che non si debba avere
fretta nelle relazioni diplomatiche. Un proverbio cinese dice: "Chi ha
troppa fretta non arriverà mai". Il tempo della Chiesa è il tempo di
Dio: la Chiesa crede nella morte e risurrezione di Cristo. La Chiesa ha
tempo, può aspettare altri 300 anni.
La Santa Sede,
inoltre, non ha motivo di sospendere la nomina di vescovi per la Chiesa
cinese nell'ottica di voler evitare l'irritazione del governo cinese in
questo processo di dialogo e contatti. Dato che la missione della
Chiesa è sempre una missione di fede, teologia e pastorale, non deve
agire sulla base di motivazioni politiche o diplomatiche. L'esistenza di
un episcopato è essenziale alla vita di una Chiesa locale. Le
esperienze della vita cattolica ci hanno sempre mostrato che dove
esistono vescovi, là esiste una Chiesa.
L'episcopato
è una delle espressioni fondamentali della Chiesa. E se la comunità di
una Chiesa locale non ha vescovo e il popolo di Dio ha urgente bisogno
di un pastore, allora la Santa Sede dovrebbe considerare la validità dei
candidati con il giusto potenziale e nominare un vescovo fra questi.
Soltanto così facendo si confermerà la fede dei fratelli di Cina.
Possono verificarsi situazioni in cui nessuno sia in grado di essere
vescovo. Ma se il candidato accetta questa missione, accetta di portare
la Croce che ne deriva, allora la Santa Sede non ha motivo di ritardare o
negare la nomina per ragioni politiche o diplomatiche. Le persecuzioni
religiose non possono essere la causa che impedisce la nomina di
vescovi.
I vescovi nominati dalla Santa Sede
possono testimoniare la loro fede nella persecuzione. Questo può
esprimere con maggior forza la vita del Vangelo e l'amore di Cristo per
la Sua Chiesa. Inoltre, il Papa emerito Benedetto XVI ha dichiarato
"incompatibili con la dottrina cattolica" i principi di "indipendenza e
gestione democratica" della Chiesa.
Questioni
altrettanto serie come le ordinazioni episcopali illegittime - senza
mandato papale - sono offese secondo il sistema canonico della Chiesa
cattolica. Alcuni membri della Chiesa in Cina vivono ancora in questo
stato, che danneggia seriamente la comunione ecclesiastica. Nel momento
in cui si dovranno nominare vescovi per la Chiesa di Cina, candidati
come questi non dovrebbero essere considerati anche se non si vogliono
considerare le loro qualità personali. Se la Chiesa permette la nomina
di un sacerdote con questi difetti pubblici ci troveremo davanti a una
questione inaccettabile dal punto di vista morale e lontana dalla
verità, a meno che il sacerdote in questione non rinunci in pubblico ai
principi di "indipendenza dalla Santa Sede" e "gestione democratica
della Chiesa". Per le stesse ragioni, se la Santa Sede deve considerare
dei candidati all'episcopato, dovrebbero avere priorità sugli altri
coloro che si oppongono a questi dettami.
Se un
vescovo nominato dalla Santa Sede è abbastanza coraggioso da
testimoniare il Vangelo sotto la persecuzione politica, allora mostra la
forza innata della Buona Novella e l'amore di Cristo per la Sua Chiesa.
Al contrario, i vescovi che appoggiano i principi del governo e che
vengono ordinati senza mandato papale non possono lavorare in maniera
armoniosa all'interno della Chiesa.
Se un sacerdote
ha elevate virtù personali, è rispettato ed è in grado di guidare bene
il popolo di Dio ma allo stesso tempo accetta i principi contrari alla
dottrina, non dovrebbe essere scelto per la dignità episcopale. In tal
caso saremmo davanti a una persona che sbaglia in maniera consapevole e
aperta. Se una persona del genere venisse nominata vescovo dalla Santa
Sede, allora dal punto di vista morale sarà come se la Santa Sede
avallasse questi errori.
Allo stesso modo vi sono
sacerdoti che si oppongono in pubblico a questi principi: se la Chiesa
locale ne ha bisogno, allora la Santa Sede dovrebbe prendere in
considerazione le qualità personali di costoro e - se valide - procedere
alla nomina episcopale.
* "Peace" è lo pseudonimo di un sacerdote non ufficiale della Chiesa in Cina
Dialogo?
VATICANISTA DE LA STAMPA
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