Potrà sembrare un caso ma la crisi della famiglia – almeno nel nostro Paese – è andata di pari passo con il venir progressivamente meno della devozione a san Giuseppe. Per certi versi è paradossale che questo sia accaduto dopo un Concilio Vaticano II che Giovanni XXIII aveva posto proprio sotto la protezione di san Giuseppe con la Lettera apostolica Le Voci (1961). Ma probabilmente l’ondata progressista seguita al Concilio fece sì che la devozione a san Giuseppe fosse considerata una di quelle superstizioni preconciliari che erano superate da una Chiesa ormai protesa nell’abbraccio al mondo.
Ad ogni modo la stretta relazione tra crisi della famiglia e oscuramento della figura di San Giuseppe risulta più chiara se pensiamo che tanti psicologi sono concordi nel sostenere che uno dei principali problemi della nostra società è l’eclissi o l’assenza del padre. Mancano i padri e manca un modello di paternità, come invece san Giuseppe è stato per tante generazioni.
«San Giuseppe è la più bella figura d'uomo concepibile e che il Cristianesimo ha realizzato», diceva don Luigi Giussani, sottolineando che il padre putativo di Gesù era «un uomo come tutti gli altri, aveva il peccato originale come me».
Alcuni anni fa Vittorio Messori si era interrogato sui motivi per cui San Giuseppe è stato volutamente messo da parte da molti nella Chiesa, ed è interessante rileggere la sua riflessione: «Secondo alcuni avrebbe operato qui quella “rivolta contro i padri” che ha portato la cultura moderna a rifiutare lo stesso Padre Eterno; e ha portato, forse, certo mondo cattolico a rimuovere questa figura cui più che a ogni altra è legata l’idea della paternità umana. La contestazione della famiglia avrebbe poi reso poco simpatica ad alcuni quella notazione di Luca («Gesù tornò a Nazareth e stava loro sottomesso», 2,51) che dà avallo evangelico all’autorità, in senso forte, dei genitori. Anche i problemi legati a castità e verginità devono aver contribuito alla rimozione di questo sposo «al di là dell’eros». Difficile, sotto il bombardamento sessualista, capire la comunità di vita di Nazareth, implicante un amore pieno e profondo e al contempo non orientato al sesso. Una coniugalità nuova, anticipatrice della condizione eescatologica (Lc 20,35), ma incompresa oggi da molti» (da La sfida della fede, SugarCo 2008).
Oggi, in tempi di martellamento della propaganda gender, queste parole appaiono ancora più drammaticamente vere. L’eliminazione di San Giuseppe è stata la premessa di un’opera di distruzione della società e dell’identità umana. Tutti i problemi più gravi che oggi ci troviamo di fronte hanno la loro origine diretta o indiretta nella distruzione della famiglia e del modello di paternità e maternità: dall’economia alla corruzione, dalla criminalità alle dipendenze.
E come non pensare anche alle difficoltà emerse nel Sinodo straordinario sulla famiglia dello scorso ottobre e nel dibattito attualmente in corso, nel comprendere la profondità e le implicazioni della strada indicata dalla famiglia di Nazareth. Non sono stati pochi i vescovi e i cardinali che hanno mostrato una evidente incapacità a concepire e ritenere possibile il valore della castità nell’amore, e della vera responsabilità paterna. Il declino della devozione a san Giuseppe, che è anche protettore della Chiesa, ha chiaramente portato confusione tra i cattolici e anche tra i pastori.
La festa di san Giuseppe che celebriamo oggi è allora cruciale per comprendere le radici della crisi attuale della società e della confusione che regna nella Chiesa. Ma è anche il punto da cui ripartire per invertire la tendenza. Recuperare San Giuseppe, affidarsi a lui, contemplare la sua paternità e promuoverne la devozione è già l’inizio di una società più umana.
di Riccardo Cascioli
La calma, la coerenza e la logica di San Giuseppe!
L’episodio è molto noto e ci viene raccontato nel Vangelo di S. Matteo.
Quando san Giuseppe scoprì che sua promessa sposa aveva concepito un figlio del quale egli non era il padre, fu messo davanti ad una situazione assurda, poiché la Madonna era evidentemente santa. Egli non poteva assolutamente dubitarne perché la Sua santità risplendeva in ogni modo possibile. Si era creata, quindi, una situazione sconvolgente e con la quale egli non poteva convivere.Invece di denunciarla, come prescriveva la legge ebraica, egli escogitò l’unica soluzione logica: “Qui c’è uno di troppo. Ma, chi se ne deve andare via non è certo questa Madre, che è Signora e Regina, né tanto meno il Figlio che Ella ha concepito. Qualcuno se ne deve andare, e questo sono io. Abbandonerò la casa e sparirò. Non capisco questo mistero, ma non mi ribellerò contro di esso. Finirò i miei giorni lontano da qui, venerando questo mistero che non riesco a penetrare”.
E decise di abbandonare il focolare di notte, lasciando Nostra Signora sola col frutto del Suo grembo.
Di fronte all’incomprensibile, san Giuseppe reagì con una logica lineare. Analizzate la sua calma. E una calma che soltanto gli uomini di logica possono vantare. Egli doveva abbandonare il maggior tesoro della Terra, cioè Maria Santissima, e questo gli procurava una sofferenza immensa, inimmaginabile. Ma egli restava calmo.Il Vangelo racconta che, mentre dormiva, «ecco un angelo del Signore gli apparve in sogno, dicendo: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché colui che in lei è stato concepito è opera dello Spirito Santo. Essa darà alla luce un figlio e tu gli porrai nome Gesù, perché sarà lui che salverà il popolo suo dai suoi peccati”».
Non so se ci avete fatto caso ma, la sera prima del tremendo atto che stava per compiere, san Giuseppe dormiva beatamente… E anche questo era logico. Egli doveva intraprendere un lungo viaggio, e perciò doveva prima riposarsi. Piegato dall’immane sofferenza, egli tuttavia dormiva. L’angelo gli apparve e sciolse il mistero. Ed egli continuò a dormire tranquillamente. All’alba, egli si alzò e riprese la vita quotidiana come se niente fosse. Somma calma, somma coerenza, somma logica! In onore di san Giuseppe, la cui festa oggi celebriamo, ecco questo piccolo commento che vuol essere anche un elogio della logica.
(Plinio Corrêa De Oliveira)
“Non est dúbium, quin bonus et fidélis homo fúerit iste Joseph, cui Mater desponsáta est Salvatóris. Fidélis, inquam, servus, et prudens, quem constítuit Dóminus suæ Matris solátium, suæ carnis nutrítium, solum dénique in terris magni consílii coadjutórem fidelíssimum" (Lect. VI – II Noct.) -SANCTI JOSEPH SPONSI BEATÆ MARIÆ VIRGINIS, CONFESSORIS ET ECCLESIÆ UNIVERSALIS PATRONI
Nella recensione di Epternach (o Echternach) del martirologio geronimiano, troviamo in questo giorno il natale di un martire, Giuseppe d’Antiochia, che non sembra possibile identificare con il purissimo Sposo della Vergine Immacolata. Al contrario, altri martirologi posteriori, a partire dal X sec., menzionano oggi: In Betlehem sancti Joseph nutritoris Domini, come fa, per es., il martirologio di Farfa. Da questa breve notizia è nata la grande solennità che si celebra in questo giorno da parte della Chiesa cattolica.
In verità, la notizia del martirologio non sembra esatta, in quanto, dopo la nascita del Salvatore in Betlemme, la sacra Famiglia visse a Nazaret. Per cui, è molto probabile che san Giuseppe abbia concluso il suo viaggio terreno prima dell’inizio della missione pubblica di Gesù (infatti, esclusi i c.d. vangeli dell’infanzia, non troviamo più menzione presso gli Evangelisti del Custode della Sacra Famiglia) a Nazaret, dove però non è stata mai trovata la sua tomba, sebbene all’inizio del XX sec. le suore Notre Dame di Nazaret, facendo, non molto lontano dalla Basilica dell’Annunciazione, dei lavori di scavo per il loro convento, abbiano trovato una necropoli, identificando una tomba, che si vorrebbe di san Giuseppe. Ma non vi sono prove su questo. La tomba di san Giuseppe continua ad essere un mistero (cfr. Alessandro Conti Puorger, La prima famiglia uscita dal sepolcro). Va dato conto che grande scalpore ha suscitato la recente notizia, riportata dalla rivista Biblical archaeology review (v. anche qui) circa la recente scoperta a Nazaret di un’abitazione del I sec. d.C. e di due tombe, di cui una – si è supposto – sarebbe di san Giuseppe. Ma ovviamente non ci sono prove in tal senso, sebbene il noto archeologo Padre Manns non esclude che, successive indagini, possano condurre a qualche esito (v. Réflexions en marge d’une découverte archéologique à Nazareth).
Quel che è certo è che a Nazaret, alle spalle della Basilica dell’Annunciazione, sorge la c.d. Chiesa della Nutrizione, che la tradizione afferma sorgere sul luogo in cui visse la Sacra Famiglia (v. qui).
Il mistero della tomba del Padre putativo del Signore ha fatto sorgere la convinzione che san Giuseppe fosse stato assunto in Cielo come Maria, giacché allo stesso era riconosciuta una preminenza ed una regalità sui santi al pari di quella della sua Beatissima Sposa Immacolata (v. qui).
Francisco de Zurbarán, Cristo incorona S. Giuseppe, XVI-XVII sec., Museo de Bellas Artes, Siviglia |
Juan de Valdés Leal, Incoronazione di S. Giuseppe, 1665-70 |
Ecco quanto scriveva, sul punto, san Francesco di Sales nel suo Sur les vertues de st. Josephed anche Entretien XIX (édit. d’Annecy, t. VI, p. 363): «Che ci resta da dire ormai se non che questo glorioso Santo ha tanto credito nel Cielo presso Colui che lo ha tanto favorito elevandolo al cielo in corpo ed anima; e ciò è tanto più probabile in quanto noi non abbiamo di lui nessuna reliquia qui in terra: e mi sembra che nessuno possa dubitare di questa verità. Come infatti avrebbe potuto rifiutare questa grazia a S. Giuseppe Colui che gli era stato obbediente tutto il tempo della sua vita? Senza dubbio, quando Nostro Signore discese al Limbo, Giuseppe gli parlò così: “Mio Signore, ricordatevi, per favore, che quando veniste dal cielo in terra, io vi ricevetti nella mia casa, nella mia famiglia; e da quando foste nato, io vi accolsi tra le mie braccia. Ora dunque che voi dovete andare al Cielo, portatemi con voi. Se vi ricevetti nella mia famiglia, ricevetemi nella vostra, poiché voi ci andate. Se vi ho portato nelle mie braccia, ora prendetemi sulle vostre e come ho avuto cura di nutrirvi e condurvi nel corso della vostra vita mortale, abbiate cura di me e conducetemi nella vita immortale” .... Se è vero che noi dobbiamo credere, in virtù del Santissimo Sacramento che riceviamo, che i nostri corpi risusciteranno il giorno del Giudizio, come potremmo dubitare che Nostro Signore abbia fatto salire al Cielo questo glorioso San Giuseppe che aveva avuto l’onore e la grazia di portarlo così spesso tra le sue braccia? Egli è dunque in Cielo, in corpo e anima: quanto a me, non ne dubito. Come saremo felici di meritare di avere parte alle sue sante intercessioni!» (Cfr. André Doze, Les intuitions de S. Francois de Sales sur le mystère desaint Joseph, in Cahiers de Josefologie, 28 (1990), pp. 211-244).
Alla stessa idea sembrava credere lo stesso Giovanni XXIII, che, nell’omelia pronunciata nel maggio 1960 per la canonizzazione di san Gregorio Barbarigo, si riferiva prudentemente alla “pia credenza”, cioè all’idea antica secondo la quale sia san Giovanni Battista sia san Giuseppe sarebbero già risorti in corpo e anima e sarebbero entrati con Gesù in Cielo, all’Ascensione. Il Pontefice si riferiva, ovviamente, ai misteriosi versetti di Matteo in base ai quali «... e i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, entrarono nella Città Santa e apparvero a molti» (Mt 25, 52 s.) (cfr. Giovanni XXIII, Omelia in occasione della Canonizzazione di san Gregorio Barbarigo, Solennità dell’Ascensione, Basilica Lateranense, 26 maggio 1960).
Questo pensiero era anche condiviso da san Bernardino da Siena (v. Giovanni Crisostomo Trombelli, Vita, e culto di San Giuseppe, Sposo di Maria Vergine, e Padre putativo di Gesù Cristo Salvator Nostro, Bologna 1767, pp. 174-175; Amadio Maria da Venezia, Vita di S. Bernardino da Siena, etc., Roma 1826, p. 177; Celestino Piana, San Bernardino da Siena teologo, in Aa. Vv., S. Bernardino da Siena. Saggi e ricerche pubblicate nel quinto centenario della morte (1444-1944), ed. Vita e Pensiero, Milano 1945, pp. 137 ss., partic. pp. 199-200), dal Suarez (In Som. S. Thomae, 111a, q. XXIX, disp. VIII, sect. II, edit. Vivès, t. XIX, p. 128), e da teologi come A. H. Lépicier nel suo Tractatus de s. Ioseph, III ed., Roma 1933.
Una consolante credenza per noi rimasti quaggiù, che, però, l’Enciclopedia Cattolica non sembra avvalorare. Per essa, infatti, «nel testo biblico citato, ... secondo la migliore interpretazione, si tratta di una risurrezione transitoria non perenne, di alcuni giusti al tempo della morte di Cristo» (v. G. Stano, voce Giuseppe, santo). In senso analogo è la corrispondente voce del celebre Dictionnaire de Théologie Catholique, per il quale «La théologie ne dispose d’aucun moyen pour contrôler la valeur de ces hypothèses superposées» (v. qui e qui).
La devozione a san Giuseppe si è sviluppata nel popolo cristiano in maniera così sorprendente e secondo leggi così ammirabili che è impossibile non riconoscerne l’opera della divina Provvidenza.
Conveniva che, durante i primi tre secoli, la divinità del Redentore risplendesse in tutto il suo fulgore sul mondo idolatra. Anche le prime feste dell’anno liturgico furono quelle che si ricollegavano al mistero della salvezza del mondo, come la Pasqua, l’Epifania ed il santo Battesimo. Quando il primo pericolo politeista e l’eresia ariana furono sconfitte, la teologia si soffermò di preferenza a studiare i rapporti esistenti tra la natura divina e la natura umana nell’unica persona del Redentore: è così che nacquero le feste che riguardano principalmente la santa umanità di Gesù, come il Natale, la Presentazione al tempio, la Dormizione della Santissima Vergine.
Fu questa l’età d’oro della teologia mariana, inaugurata dal Concilio di Efeso e che, durante tutto l’Alto Medioevo, fu l’ispiratrice feconda di feste, di processioni, di basiliche e di monasteri dedicati alla Madre di Dio, tanto che il culto di Nostra Signora si unì alla fede cattolica a tal punto da divenirne una precisa caratteristica. Le più antiche pitture cristologiche delle catacombe rappresentavano già il bambino Gesù sulle ginocchia di sua Madre e la pietà della Chiesa continua ad adorarlo tra le braccia di Maria. Il cattolico sa che Maria è il capolavoro della creazione e che l’onore che le viene reso risale sino a Dio. Egli sa che Gesù stesso, quale suo Figlio, vuol essere in obbligo di onorarla e di amarla infinitamente; perciò il fedele, onorando ed amando Maria, sa anche che non fa altro che seguire, sebbene lontanissimo, è vero, l’esempio stesso di Gesù.
Ma, dopo Maria, viene colui che, pur non essendo totalmente il padre di Gesù, ebbe, nondimeno, su di Lui una vera autorità paterna. Questi è Giuseppe, che non fu semplicemente padre putativo del Salvatore nel senso che i giudei, ignorando il mistero dell’Incarnazione, credevano Gesù suo figlio; ma anche fu il vero depositario dell’autorità del Padre Eterno, investito per questo della patria potestas in seno alla santa Famiglia di Nazaret. L’Angelo non trasmette dunque gli ordini del Signore, relativi alla fuga in Egitto ed al ritorno in Palestina, a nessun altro che a Giuseppe: è lui che, con Maria, impose al divino Infante il nome di Gesù; è lui che si impegnò a partire per l’esilio con la sua purissima Sposa; è ugualmente su di lui che pesa la responsabilità della vita della santa Famiglia. E poiché, nella santa casa di Nazaret, sotto l’autorità paterna di Giuseppe, Dio volle consacrare le primizie della Chiesa, è a buon diritto che quest’ultima riconosce e venera come suo Patrono speciale il primo capo di questa famiglia di Dio sulla terra, san Giuseppe appunto.
Il culto liturgico verso questo grande patriarca – l’ultimo dei Patriarchi dell’Antico Testamento e che non a caso, come questi, viene definito «uomo giusto» - assunse uno sviluppo considerevole nel XV sec., grazie soprattutto a santa Brigida di Svezia, a Giovanni (Jean) Gerson ed a san Bernardino da Siena. Il papa francescano Sisto IV inserì la sua memoria nel Breviario romano con il rango di festa semplice; Clemente IX l’elevò al rito doppio e Gregorio XV ne fece una festa di precetto. Infine, Pio IX attribuì a san Giuseppe il titolo di Patrono della Chiesa cattolica.
Roma cristiana, oltre una splendida cappella consacrata a san Giuseppe nella basilica vaticana, ha dedicato a questo glorioso patriarca, il più sublime tra i santi perché fu, in ragione delle sue funzioni, il più vicino a Maria ed a Gesù, molte chiese e cappelle. Tra le più antiche, si devono menzionare la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami sulla Custodia Mamertini, nel Foro romano (Mariano Armellini, Le chiese di Roma dal secolo IV al XIX, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p. 540); San Giuseppe ad caput domorum, presso la porta Pinciana (ibidem, p. 301); San Giuseppe alla Lungara, nella città Leonina (ibidem, pp. 655-656); Santi Giuseppe ed Orsola, annessa al monastero delle Agostiniane dette delle Orsoline, alla via Vittoria (ibidem, p. 339); San Giuseppe de linea, eretta un tempo dalla famosa Vittoria Colonna, ma oggi distrutta (ibidem, p. 469); San Giuseppe ai piedi del Collis hortorum, in piazza di Spagna (ibidem, p. 342); San Giuseppe di Cluny, in via Poliziano, presso la più nota via Merulana; San Giuseppe sulla via Nomentana (Massimo Alemanno, Le chiese di Roma moderna, vol. I, Il centro e i quartieri di Roma nord, Armando Editore, Roma 2004, pp. 119–121); San Giuseppe al Quartiere Trionfale; ecc.
È probabile che la scelta del mese di marzo per la festa che si istituì tardivamente in onore di san Giuseppe, fu motivato dalla commemorazione che, durante la santa Quarantena, la Chiesa fa dell’antico patriarca Giuseppe, il cui l’elogio, pronunciato da sant’Ambrogio, si legge dopo il II Notturno della III Domenica di Quaresima: Ex libro S. Ambrosii Episcopi, de Sancto Ioseph.
La messa è improntata sul Comune dei Confessori e su altre messe più antiche del Sacramentario. La scelta denota d’altronde buon gusto liturgico.
Il Vangelo odierno (Mt 1, 18-21) è quello della Vigilia di Natale: bisogna notarvi che, secondo l’ordine dell’Angelo, Giuseppe, a titolo di rappresentante dell’Eterno Padre, ed in segno della patria potestas sul Verbo incarnato, gli impose il nome di Gesù e, con il nome, gli affidò la missione di riscattare il genere umano mediante l’obbedienza sino al sacrificio del Calvario. San Giuseppe entra così nei disegni di salvezza di Dio e fa parte di un piano magnifico dell’incarnazione del Verbo.
La preghiera sull’oblazione ha oggi un senso speciale, poiché l’offerta inaugurale dell’ostia che presentiamo a Dio sul santo altare, fu compiuta per la prima volta nel tempio di Gerusalemme, quando, quaranta giorni dopo Natale, Maria e Giuseppe portarono il Verbo incarnato nel tempio: ut sisterent eum Domino.
Il prefazio è pur esso proprio ed è stato approvato da Benedetto XV.
Come l’antico Giuseppe custodì il grano che doveva salvare l’Egitto durante i sette anni di carestia, così lo Sposo purissimo della Vergine Maria custodì contro la crudeltà di Erode il vero Pane della vita eterna, che dà la salvezza al mondo intero. Tale è ancora oggi la missione di Giuseppe in cielo ed è per questo che la Chiesa domanda con insistenza che la sua potente intercessione custodisca nelle anime la vita mistica di Gesù, mediante la corrispondenza fedele alla grazia.
Ci sia permesso concludere con un dettaglio. Nel Vangelo matteano, come ricordato da Vito Abbruzzi, san Giuseppe viene definito “vir iustus”, non già “senex”, come, invece, ad es., lo considerava san Bernardino da Siena (v. qui). Ora san Girolamo, che era un ciceroniano puro, parlando di questo termine affermava che, quando prese in moglie Maria (secondo la liturgia tradizionale della Chiesa il 23 gennaio) e poi nacque Gesù, egli era un uomo nel suo pieno fulgore, anche sessuale, era pienamente viripotente, era appunto “vir”. L’evangelista non usa il termine senex. Per cui l’iconografia, soprattutto occidentale e per lo più barocca (anche se non solo), che rappresentava san Giuseppe come un anziano, non appare biblicamente fondata. Diversamente san Giuseppe non avrebbe richiesto una moglie, ma una badante! Pertanto, perché vir e perché iustus può escludersi che non fosse sposato/vedovo di un precedente matrimonio. Il che squalifica gli apocrifi che vorrebbero che i c.d. fratelli di Gesù fossero figli di un precedente matrimonio di Giuseppe (v. Vito Abbruzzi, San Giuseppe: “mezzo uomo” o “uomo giusto”?, in questo blog).
Bartolomé Esteban Murillo, S. Giuseppe conduce Gesù Bambino per mano, 1670-75 circa, Hermitage, San Pietroburgo |
Guido Reni, S. Giuseppe ed il Bambino, 1620 circa, Hermitage, San Pietroburgo |
Guido Reni, S. Giuseppe ed il Bambino, 1640 circa, Museum of Fine Arts, Houston |
Guercino, S. Giuseppe, XVII sec., Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze |
Francisco de Goya y Lucientes, Transito o morte di S. Giuseppe, 1787, Monasterio S. Joaquín y Sta. Ana, Valladolid |
Clemente de Torres, S. Giuseppe ed il Bambino Gesù, XVII sec., Hermitage, San Pietroburgo |
Gaspar Miguel de Berrío, Patronato di S. Giuseppe, 1737, Museo Nacional de Bellas Artes, Santiago del Cile |
Lodovico Pogliaghi, S. Giuseppe col Bambino, Chiesa di San Gervasio e Protasio, Trezzo sull’Adda (Milano) |
Tommaso Lorenzone, S. Giuseppe col Bambino e la Vergine, 1869, Basilica di Maria Ausiliatrice, Valdocco, Torino |
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.