ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 20 aprile 2015

Ci paga la jizah

Isis avanza e la Chiesa condanna (con qualche precisazione)




O si paga la jizah, l’antica tassa per la protezione dei cristiani che perfino l’Impero ottomano declinante aveva mandato in soffitta, o si viene uccisi. E’ la sintesi del filmato, ventinove minuti in tutto, che Al Furqan Media ha messo in rete per spiegare cosa tocca ai cristiani se non accettano la “vera fede”. La prospettiva, come detto, è quella di finire come i ventotto etiopi, la cui esecuzione chiude il video. Alcuni decapitati, altri colpiti con arma da fuoco alla nuca. Nel filmato compare anche un’istantanea di Benedetto XVI rivestito dei paramenti sacri.


LE PAROLE DEL SEGRETARIO GENERALE DELLA CEI, GALANTINO




Non sarà una guerra di religione, certo, ma i cristiani ormai non passano più solo per il coltello di Jihadi John. E’ di qualche giorno fa la notizia che dodici migranti sarebbero stati gettati in mare da un barcone salpato dalle coste libiche da quattordici musulmani. Sull’episodio – il primo nel suo genere – aveva gettato acqua sul fuoco il segretario generale della Cei, mons. Nunzio Galantino. In un’intervista concessa alla Stampa, sabato scorso, il presule ha infatti sostenuto che “bisogna innanzitutto capire bene lo svolgimento dei fatti e non attribuire a questa tragedia significati che potrebbe non avere”. E poi, ha aggiunto Galantino, “quando ci sono persone stipate per giorni nei barconi, in condizioni così precarie, ogni minima lite o risentimento può far scatenare atteggiamenti imprevedibili”. Non si tratta però di minimizzare, assicura: “Cercare di capire non significa sottovalutare la situazione generale dei cristiani, che si sta aggravando, come purtroppo quotidianamente vediamo. Significa soltanto essere prudenti prima di iscrivere subito il fatto terribile che è accaduto nell’ambito di una guerra di religione”.

LA DISTRUZIONE DELLE TOMBE CRISTIANE A MOSUL

Venerdì scorso erano state postate online le immagini della profanazione del cimitero di Mosul. “Gli uomini dello Stato islamico hanno distrutto  le tombe cristiane del cimitero della città, le lapidi sono state prese a martellate. A testimoniare la nuova profanazione, gli stessi terroristi che hanno postato foto e video su Internet”, ha scritto la Radio Vaticana, aggiungendo che “i miliziani hanno anche giustificato lo scempio sostenendo che le tombe simboleggiano che i morti sono più vicini ad Allah dei vivi e dunque le immagini sulle lapidi dovevano essere cancellate e i loro sepolcri demoliti”.

“PERDERE TUTTO MA MANTENERE LA FEDE”

L’ultimo appello alla comunità internazionale, affinché intervenga presto a porre un argine all’espansione del Daesh, è arrivato dal vescovo ausiliare di Babilonia dei Caldei, mar Yousif Mirkis. “Siamo una minoranza fragile e sono orgoglioso che i cristiani non abbiano abiurato la loro fede. Spesso i cristiani hanno preferito perdere tutto, ma mantenere la fede”.

LA POSIZIONE DEL CARDINALE PAROLIN

La posizione della Santa Sede è quella spiegata dal segretario di stato, il cardinalePietro ParolinTenendo una lectio magistralis all’Università Gregoriana, lo scorso 11 marzo, Parolin aveva spiegato che “nel disarmare l’aggressore per proteggere persone e comunità non si tratta di escludere l’extrema ratio della legittima difesa, ma di considerarla tale – extrema ratio appunto – e soprattutto attuarla solo se è chiaro il risultato che si vuole raggiungere e si hanno effettive probabilità di riuscita”, aveva detto. “Non sto qui solo richiamando una costante dell’insegnamento della chiesa, ma anche quelle norme del diritto internazionale che hanno fatto superare la convinzione secondo cui l’uso della forza armata si può solo umanizzare, ma non eliminare”.

“LECITO E URGENTE ARRESTARE L’AGGRESSIONE”

A settembre, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, aveva detto: “E’ sia lecito sia urgente arrestare l’aggressione attraverso l’azione multilaterale e un uso proporzionato della forza. Come soggetto rappresentante una comunità religiosa mondiale che abbraccia diverse nazioni, culture ed etnicità, la Santa Sede spera seriamente che la comunità internazionale si assuma la responsabilità riflettendo sui mezzi migliori per fermare ogni aggressione ed evitare il perpetrarsi di ingiustizie nuove e ancor più gravi”.

Matteo Matzuzzi

http://www.formiche.net/2015/04/20/lis-avanza-la-chiesa-condanna-qualche-distinguo/
Le parole di papa Bergoglio, ben meditate, hanno richiamato quelle di Giovanni Paolo II e prevedibilmente scatenato l’ira della Turchia, che però era stata messa in linea di conto – Fondamentale che l’ira di Erdogan non alimenti irresponsabilmente pericolosi fuochi anticristiani tra i musulmani turchi – Paragoni improvvidi tra la franchezza di Bergoglio e i cosiddetti ‘silenzi’ di Pacelli - Joseph Ratzinger cardinale e papa
Domenica 12 aprile in San Pietro papa Francesco, durante il saluto iniziale ai fedeli di rito armeno -convenuti nella Basilica per il centenario del “martirio” (NdR: le virgolette sono nel Bollettino della Sala Stampa vaticana) armeno – ha evocato “tre grandi tragedie inaudite” del secolo scorso: la prima è “quella che generalmente viene considerata come ‘il primo genocidio del XX secolo’ (Giovanni Paolo II e Karekin II, Dichiarazione comune, Etchmiadzin, 27 settembre 2001): essa ha colpito il vostro popolo armeno – prima nazione cristiana – insieme ai siri cattolici e ortodossi, agli assiri, ai caldei e ai greci”. La seconda e la terza sono quelle provocate da “nazismo e stalinismo”.
Nel messaggio consegnato dal Papa alla fine della celebrazione eucaristica a Karekin II (Supremo patriarca e Catholicos di tutti gli armeni), a Aram I (Catholicos della Grande Casa di Cilicia), Nerses Bedros XIX Tarmouni (Patriarca di Cilicia degli armeni cattolici)  e a Serz Sargsyan (presidente della Repubblica di Armenia) si riprendono tra l’altro le parole già citate della Dichiarazione comune del 2001 sul genocidio e si definisce quanto accaduto un secolo fa “un orribile massacro che fu un vero martirio del vostro popolo (…) Davvero fu quello il ‘Metz Yeghern’, il ‘Grande Male’ come avete chiamato quella tragedia”.
L’uso del termine “genocidio” (perdipiù associato agli altri perpetrati “dal nazismo e dallo stalinismo”, agli “stermini di massa come quelli in Cambogia, in Ruanda, in Burundi, in Bosnia” e ai massacri contemporanei di cristiani o per ragioni etniche) ha – secondo un rito collaudato – suscitato le ire della Turchia ufficiale, che ha anche richiamato il proprio ambasciatore. Stavolta più del solito: non solo sostenuti, ma anche minacciosi i toni del presidente Erdogan, non nuovo del resto a reazioni intemperanti, come quando, conosciuti i risultati del referendum elvetico di fine novembre 2009 per il divieto di costruzione di nuovi minareti su suolo elvetico, aveva con arroganza ‘ordinato’ alla Confederazione di annullare la consultazione popolare.
La definizione di “genocidio” (richiamando Giovanni Paolo II) il Papa l’ha data all’interno di un discorso e di un messaggio, ambedue sicuramente ben preparati, certo dalla Segreteria di Stato ma corrispondendo a una forte volontà (leggi magari: imposizione) di Francesco. Stavolta non si è trattato di un’esternazione orale spontanea (che già comunque la diceva lunga su quel che pensava il Papa), come ad esempio  - secondo fonti diplomatiche attendibili- era accaduto il 3 giugno 2013 nell’incontro con il patriarca Nedros Bedros XIX. Ciò significa che il Papa (e conseguentemente anche la Segreteria di Stato) devono avere messo bene in conto la dura reazione turca, quella di Erdogan in prima linea. Tale reazione ha avuto (e probabilmente avrà) toni al di là dell’accettabile, perfino oggettivamente irresponsabili e pericolosi nell’alimentare un’ira ingiustificata contro i cristiani da parte di gruppi musulmani. Toni che in parte (ma solo in parte) si possono comprendere considerata la situazione interna della Turchia e l’approssimarsi delle elezioni di giugno. Fondamentale ora che Erdogan non forzi troppo la corda, così – tra qualche mese – da poter riprendere rapporti diplomatici corretti, anche a protezione dei cristiani di Turchia.
E’ certo evidente che l’utilizzo cosciente, voluto, da parte del Papa del termine “genocidio” rischia di annullare anche le timidissime aperture di Erdogan in materia di libertà religiosa all’interno del Paese. Il che evidentemente contrasta con uno degli obiettivi prioritari della diplomazia vaticana, quello di assicurare ai cristiani dell’una o dell’altra parte del mondo condizioni decorose perché possano esprimere pubblicamente la loro fede. Tuttavia il Papa deve aver deciso, anche in base ai sempre nuovi documenti storici che gli sono stati consegnati, di parlare un linguaggio di verità allo scopo di smuovere con una forte scossa una situazione molto cristallizzata e caratterizzata in primo luogo da un odio ormai incancrenito fra le parti. C’è chi dice che non era il momento di farlo, date anche le gravi tensioni esistenti nel bacino del Mediterraneo. Si può qui osservare che l’occasione era unica, la più solenne, a cento anni dall’inizio del genocidio: se non ora, quando sarebbe rivenuta l’occasione per parlare un linguaggio di verità su un tale tragico evento di un passato non prossimo, eppure sempre dolorosamente vivo nella carne di chi ha sofferto la perdita di parenti e amici (de facto tutti gli armeni)?
Le valutazioni del Papa sono condivise anche dagli storici più seri, come Michael Hesemann che, dedicandosi al tema e frugando dal 2011 tra le carte segrete degli Archivi vaticani, ha trovato una ventina di documenti molto importanti per chiarire gli avvenimenti e l’atteggiamento della Santa Sede (in primo luogo di papa Benedetto XV) nei confronti di quanto di orribile stava succedendo con l’applicazione brutale da parte dei ‘Giovani Turchi’ al potere a Costantinopoli di un’ideologia esasperatamente nazionalistica, nel senso della costruzione di una Grande Turchia riservata ai soli turchi musulmani e senza minoranze religiose ed etniche (vedi di Hesemann il recentissimo “Völkermord an den Armeniern”, ed. Herbig, München).
Significativo nel messaggio papale anche il passo sull’ “ecumenismo del sangue”, un fatto tragico che accomuna nella morte in odium fideicristiani delle varie confessioni. Constatiamo pure qui una ripresa voluta della celebrazione dei martiri del XX secolo durante il Giubileo del 2000. E’ un ecumenismo, quello del sangue, purtroppo sempre molto d’attualità non solo in Medio Oriente e che consolida, a livello di vita quotidiana, il rapporto umano con gli ortodossi (in questo caso specie quelli facenti capo al Patriarcato di Costantinopoli).  
BENEDETTO XVI E IL CARDINALE RATZINGER
L’espressione ‘Metz Yeghern’, il ‘Grande Male’ come “tristemente significativa” a indicare il genocidio fu usata anche da Joseph Ratzinger in veste di Papa, il 20 marzo 2006. Interessante ricordare che Joseph Ratzinger, da cardinale, il 17 settembre 2004, nel corso di un convegno pastorale a Velletri sull’esortazione apostolica ‘Ecclesia in Europa’, aveva motivato dettagliatamente il suo ‘no’ a un ingresso della Turchia nell’Europa comunitaria, rispondendo a una nostra domanda sul tema (vedi in questo stesso sito, rubrica ‘Intervista a cardinali’, “Il card. Ratzinger su Turchia e Ue a Velletri”)
FRANCESCO E PIO XII
C’è stato anche chi ha colto l’occasione per paragonare criticamente la franchezza di Francesco ai cosiddetti ‘silenzi’ di Pio XII. Una comparazione assai improvvida, già per il diverso contesto storico in cui i due Pontefici si sono trovati ad agire. Pacelli era de factoprigioniero in un Vaticano che le SS avrebbero potuto annettere in pochi minuti; Bergoglio parla invece con piena libertà di parola. Poi: se Pacelli avesse denunciato pubblicamente, ad alta voce, i crimini nazisti in corso, ne avrebbero patito conseguenze gravissime i cristiani nell’Europa occupata. Bergoglio invece si riferisce al manifestarsi del lucido e folle disegno sterminatore da parte turca di un secolo fa: è un giudizio storico corredato da molte prove documentali. E’ evidente che per i cristiani di Turchia, già di per sé considerati cittadini di serie B, ci potrebbero essere restrizioni ulteriori, prevedibilmente però ancora sopportabili. Per quanto riguarda i cosiddetti ‘silenzi’ di Pacelli vale infine la pena di ricordare che de facto (e anche qui la documentazione si infoltisce sempre più) Pio XII aiutò – specie attraverso la ‘rete’ ecclesiale - in molti modi concreti i perseguitati, ad esempio aprendo loro le porte dei conventi, fornendo loro protezione, vitto e alloggio, falsificando i documenti.   

Altri cristiani muoiono per la loro fede …

Avevamo già parlato dei martiri copti, uccisi dall’Isis. Oggi apprendiamo di questi altri neo-martiri etiopi, uccisi per la loro fede cristiana, perché non hanno voluto convertirsi alla religione maomettana. Qui le orribili immagini.
Eppure non solo nei paesi del Vicino Oriente e nel Nord-Africa i cristiani sono perseguitati. è notizia di pochi giorni fa del caso di Nauman Masih, giovane cristiano di 14 anni, bruciato vivo da alcuni ragazzi musulmani del Lahore, e che è morto pochi giorni fa per le conseguenze delle bruciature ricevute.
O ancora si possono ricordare i 12 profughi cristiani gettati in mare dai loro compagni di sventura musulmani, perché, appunto, di fede cristiana (vqui e qui). E la cosa drammatica è che alcuni alti prelati si ostinino a negare tale evidenza perché, secondo i loro teoremi, l'islam non sarebbe contrario alla fede cristiana .... (vqui). Tale situazione la lamenta ancheChiesa e postconcilio
Lasciamo ad ogni lettore di buon senso il giudizio su queste supposte ipotesi, che sono riprovate da coloro che vivono da vicino quell'esperienza (vqui). Chi parla, invece, lo fa, avulso dalla realtà, al sicuro nel suo aureo palazzo ... .

Libia, l’Isis fa strage di cristiani: assassinati 29 etiopi copti

Un video diffuso sul web mostra l’uccisione a Barqa, nell’est del paese, di 29 etiopi di fede cristiana

di Guido Olimpio

Un Tweet di Site che mostra alcune immagini della strage

WASHINGTON - L’Isis in Libia non ha la forza dei combattenti in Siria o Iraq, ma sa come prendersi i titoli. Con le stragi di ostaggi. Un video diffuso sul web mostra l’uccisione a Barqa, nell’est del paese, di 29 etiopi di fede cristiana. Un’esecuzione secondo il consueto modus operandi: gli uomini mascherati, la fila dei prigionieri, l’uccisione. Il portavoce, che impugna una pistola e ricorda il famigerato Jihadi Joe, ribadisce che i cristiani devono convertirsi o pagare la tassa prevista dalla legge islamica, monito accompagnato dalle solite minacce contro «le nazioni crociate». Segue la decapitazione di alcune delle vittime. Una scena truculenta che è la parte finale di un lungo filmato propaganda preparato dal «canale» al Furqan, l’ala mediatica del movimento. Nel documento compaiono immagini di chiese e simboli cristiani demoliti, così come c’è una foto di Papa Ratzinger. Simboli nemici da abbattere: «Diciamo ai cristiani che vi troveremo ovunque, anche se sarete protetti in roccaforti fortificate», afferma un militante Isis.

Ripetizione

Non avendo a disposizione degli occidentali, l’Isis ha probabilmente cercato altre «prede» ed ha sequestrato - non è chiaro dove e quando - un gruppo di etiopi cristiani. Una ripetizione di quanto avvenne a Sirte in febbraio fa con la barbara uccisione degli egiziani copti e di un povero ghanese. Una sortita seguita da alcune operazioni militari minori e attentati contro un paio di ambasciate a Tripoli. Azioni contrastate dalla risposta delle altre milizie che agiscono in Libia, a partire da quelle di Misurata. Secondo gli osservatori l’Isis locale è coordinato da alcuni «ufficiali» mandati dal Califfo nella speranza di aprire un nuovo fronte. Quanto ai numeri c’è grande incertezza. Il Dipartimento di Stato, citando fonti aperte, parla tra i mille e i 3 mila combattenti, ma è un dato tutto da verificare.

Strategia

La strategia dei jihadisti radicali è abbastanza evidente. Cerca di ampliare la sua presenza nell’Est della Libia, punta ad attirare nei suoi ranghi gli elementi di altre formazioni, tenta di rafforzare il proprio apparato militare (più debole rispetto a quello dei rivali) e usa la doppia carta attentati-esecuzioni per mantenere la pressione. Non molto diverso dalla tattica usata in Iraq. Le uccisioni di decine di civili e l’impiego di attentatori suicidi sono fondamentali poi sotto l’aspetto della propaganda. In questo modo l’Isis si inserisce in modo sanguinoso nel caos libico presentandosi come il nemico dei paesi occidentali, dalla Francia all’Italia.

http://www.scuolaecclesiamater.org/2015/04/altri-cristiani-muoiono-per-la-loro-fede.html

Il mondo (islamico) visto da Papa Francesco

20 - 04 - 2015Guido Salerno Aletta
Il mondo (islamico) visto da Papa Francesco
Ha una missione storica, Papa Francesco.
Ancora una volta, come fu per Giovanni Paolo II, che lottò per la sconfitta del Comunismo e consacrare finalmente la Russia al Cuore immacolato della Madonna, esaudendo la richiesta di Fatima. Erano regimi che negavano la libertà di religione, considerando l’uomo e la sua storia solo dal punto di vista del materialismo e della lotta di classe. Ma, come già aveva ricordato Giovanni Paolo II nella Enciclica Centesimus Annus, la caduta del Comunismo non rende il Capitalismo l’unica forma possibile di organizzazione sociale.
Ora, che si combatte questa sorta di Terza guerra mondiale a pezzi, come l’ha definita Papa Francesco, ci sono stati che strumentalizzano la religione musulmana per espandere la propria area di influenza, mentre gli estremisti massacrano senza pietà i cristiani solo perché tali.
Se quella che si combatte è dunque una guerra mondiale per il dominio, ma all’interno del medesimo sistema di potere, occorre creare un fronte esterno, religioso, umano, che riunisca tutti coloro che si oppongono a questo conflitto.
Non è casuale, quindi, che Papa Francesco, già nella sua visita apostolica a novembre in Turchia, abbia sottolineato che “occorre portare avanti con pazienza l’impegno di costruire una pace solida, fondata sul rispetto dei fondamentali diritti e doveri legati alla dignità dell’uomo. Per questa strada si possono superare i pregiudizi e i falsi timori e si lascia invece spazio alla stima, all’incontro, allo sviluppo delle migliori energie a vantaggio di tutti.”
Per questo è “fondamentale che i cittadini musulmani, ebrei e cristiani – tanto nelle disposizioni di legge, quanto nella loro effettiva attuazione –, godano dei medesimi diritti e rispettino i medesimi doveri. Essi in tal modo più facilmente si riconosceranno come fratelli e compagni di strada, allontanando sempre più le incomprensioni e favorendo la collaborazione e l’intesa. La libertà religiosa e la libertà di espressione, efficacemente garantite a tutti, stimoleranno il fiorire dell’amicizia, diventando un eloquente segno di pace.
Il Medio Oriente, l’Europa, il mondo attendono questa fioritura. Il Medio Oriente, in particolare, è da troppi anni teatro di guerre fratricide, che sembrano nascere l’una dall’altra, come se l’unica risposta possibile alla guerra e alla violenza dovesse essere sempre nuova guerra e altra violenza.
Per quanto tempo dovrà soffrire ancora il Medio Oriente a causa della mancanza di pace? Non possiamo rassegnarci alla continuazione dei conflitti come se non fosse possibile un cambiamento in meglio della situazione! Con l’aiuto di Dio, possiamo e dobbiamo sempre rinnovare il coraggio della pace! Questo atteggiamento conduce ad utilizzare con lealtà, pazienza e determinazione tutti i mezzi della trattativa, e a raggiungere così concreti obiettivi di pace e di sviluppo sostenibile”.
E’ stata una staffilata dunque, per la Turchia di Erdogan, la frase di Papa Francesco: il ricordo del genocidio degli Armeni da parte dell’Impero Ottomano, che ne temeva l’indipendenza sostenuta dalla Russia degli Zar, ha colpito le ambizioni del governo di Ankara, che ha approfittato delle difficoltà dell’Egitto, dopo la caduta di Mubarak, per espandere la sua influenza nell’area mediterranea. La colpa, ancora una volta, è stata dell’Unione europea: dopo aver tenuto la Turchia in lista d’attesa per anni, improvvisamente ha deciso di non ammetterla, creando un desiderio di rivalsa di cui oggi si vedono gli effetti.
Questa politica di espansione, definita neo-Ottomana, ha dovuto fare perno sul fattore religioso, enfatizzando anche i conflitti prima sopiti e soprattutto abbandonando per la prima volta dai tempi di Ataturk la tradizionale laicità del potere politico turco. Ankara, dopo le cosiddette primavere arabe, ha dato sostegno ai Fratelli musulmani in Egitto, consentendo la vittoria del Presidente Morsi, poi soppiantato da Al Sisi dopo un periodo di turbolenze. Così, è stato evidente il suo appoggio al governo islamista libico di Tripoli e Misurata, che si scontra con quello di Bengasi sostenuto a sua volta dall’Egitto di Al Sisi.
Le antiche colpe del genocidio armeno richiamano responsabilità attuali. Le religioni, ebraica, cristiana e musulmana, devono essere strumento di pace: per costruire un mondo in cui gli uomini non vengono né uccisi, né depredati economicamente da altri uomini.
Pace e sviluppo sostenibile sono le due facce della nuova medaglia, il conio di Francesco.

1 commento:

  1. Chiudiamo in una stanza uno jihadista munito di scimitarra e il card. Parolin così ci può dare una dimostrazione di quando usare la legittima difesa come extrema ratio! Troppo comodo sparare idiozie nelle università, con "lectio magistralis" che sanno solo avvalorare ciò che disse Oscar Wilde :"Tutti coloro che sono incapaci d'imparare si sono messi a insegnare".

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.