ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 25 aprile 2015

Doglie del parto


Stiamo soffrendo in modo inaudito per lo stato della Chiesa; ma non è una sofferenza sterile, bensì il preludio di una rinascita. Certamente il Corpo mistico non può morire né rinascere: è nato una volta per tutte dal costato trafitto del Redentore crocifisso e cresce incessantemente verso la propria consumazione celeste. La sua componente terrena, tuttavia, essendo legata alle vicissitudini della storia, può conoscere alterne fasi di fioritura o di declino. Se è vero – come è vero – che il suo stato di salute non si misura sull’indice di gradimento mediatico del suo (supposto) capo visibile, in questi anni non possiamo certo esultare, se osserviamo quanto la pratica delle virtù evangeliche si sia drammaticamente rarefatta e il ricorso al sacramento della Penitenza sia vistosamente precipitato; se poi si mettono in conto le assoluzioni invalide per mancanza di sincero pentimento e di proposito efficace, la situazione si rivela ancora più tragica.

Tra pochi mesi, per giunta, partirà l’inedito giubileo della misericordia (come se un anno santo non servisse per sua natura a concedere il perdono di Dio a chi ha le disposizioni interiori necessarie, con la remissione delle pene del Purgatorio a chi è libero da qualsiasi attaccamento al peccato…). Dei missionari pontifici saranno incaricati di recarsi in ogni singola diocesi per garantire l’ottemperanza alla volontà papale, casomai qualche vescovo o parroco renitente osasse pensare di mantenersi entro i limiti della sana dottrina. Essi avranno la facoltà di rimettere anche i peccati che comportano la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica: un Guglielmo di Nogaret potrebbe farsi assolvere sul campo, mentre monsignor Faure starà certamente nutrendo speranze in un’insperata riconciliazione con la nomenklatura romana.

Scherzi a parte, il numero di confessioni sacrileghe – e di conseguenti comunioni sacrileghe – aumenterà in modo esponenziale. Come si farà, oltretutto, a distinguere i sacerdoti dei quali ci si può fidare perché, nell’assolvere e nel consacrare, intendono realmente fare ciò che fa la Chiesa? Non tutti hanno il dono spirituale di percepire, come una santa madre di famiglia di mia conoscenza con cinque figli a carico e marito disoccupato, se un sacerdote è stato generato o no dalla mistica unione di Gesù e Maria insieme sofferenti sul Calvario. Sarebbe a dire che non tutti i sacerdoti sono ugualmente consacrati? Ovviamente no: è sufficiente che siano stati validamente ordinati; ma non tutti hanno la stessa fecondità spirituale. Una cosa è rigenerare le anime con il Sangue di Cristo (e con il proprio, mescolato ad esso), un’altra è fungere da animatore-intrattenitore-aggregatore a servizio di una struttura socio-assistenziale.

Il secondo può pure lavorare ad orario, dedicando il tempo libero ai suoi interessi preferiti, leciti o meno; il primo è crocifisso in permanenza con Colui che rappresenta e, proprio come il divino Agricoltore, si sforza senza posa di liberare dai rovi la Sua vigna e di tenerne lontano le bestie selvatiche. Dato però che la cinta è stata abbattuta e che la vigna si ribella, in quanto ama i suoi rovi e non vuole separarsene, il compito del ministro fedele appare sempre più come una missione impossibile. Se poi la vigna soffre acutamente per i parassiti che la infestano a causa dei suoi stessi peccati, a cui non vuole assolutamente rinunciare, come fa un Pastore, per quanto misericordioso, a provare giusta compassione per essa? Senza meno sarà afflitto dal suo stato, ma in coscienza non potrà sentirsi solidale con sofferenze colpevoli, se la sua coscienza è retta. È pur vero che il Figlio di Dio si è fatto peccato per la nostra giustificazione (cf. 2 Cor 5, 21), ma non perché chi è rinato dal Suo sacrificio continuasse a crocifiggerlo…

Non tutte le sofferenze sono uguali: quelle di cui si è responsabili per ostinazione nel peccato non portano nulla di buono, ma sono utilizzate dal diavolo per spingere i fedeli di Cristo alla bestemmia e all’apostasia, dopo averli indotti alla disobbedienza, a meno che il peccatore non ascolti il sussurro dello Spirito Santo, che di quelle stesse sofferenze si serve per spingerlo alla conversione. Per quanto sembrino intollerabili, invece, quelle provocate in un’anima pura dal triste spettacolo del male, ormai ammesso e giustificato anche da (falsi) uomini di Chiesa, hanno uno sbocco positivo; una madre sa di che si tratta, perché ha sperimentato nel fisico un dolore simile per analogia. Questi sono dolori del parto: sta per nascere un mondo veramente nuovo, nel quale la Sposa di Cristo che è sulla terra, purificata dalle menzogne e dai peccati che ne derivano, risorgerà santa e immacolata, come la vuole il suo Sposo. Per il momento tutto questo non si vede, perché è come un feto nascosto nel grembo materno; ma un giorno – forse non lontano – verrà alla luce, partorito dalla Vergine Madre come già una volta ai piedi della Croce.

Secondo la profezia della beata Anna Caterina Emmerich, combinata con la visione di papa Leone XIII, si può calcolare che occorra resistere ancora per venti-trent’anni. Visto che per Lui mille anni sono come un giorno solo, si tratta di una manciata di minuti, neitempi di Dio – i quali non sono una scusa per lasciare che i peccatori perseverino nel peccato grave (attribuendone la responsabilità, in definitiva, a Colui che in realtà lo aborrisce), ma un’opportunità di salvezza che la sua infinita pazienza concede loro. Forse alcuni di noi vedranno la nuova èra dall’alto, festeggiandola con gli Angeli e i Santi; l’importante è che la loro preghiera non ci abbandoni per tutto il tempo in cui dovremo lottare in questo mondo, in cui i demòni si sono scatenati e scorrazzano indisturbati dappertutto – anche nelle chiese. Ebbene, sono cominciate le contrazioni, ci avviciniamo alla battaglia decisiva; ma non abbiamo nulla da temere, purché rimaniamo fedeli a Colui che ha vinto il mondo e dona anche a noi la capacità di vincerlo grazie alla fede in Lui (cf. Gv 16, 33; 1 Gv 5, 5).

La donna, quando partorisce, è afflitta perché è giunta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo (Gv 16, 21).
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