ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 21 aprile 2015

Misericordia non kasperiana

Padre Pio e il professore di filosofia

Un uomo, con i gomiti poggiati sul balcone e la testa fra le mani, era da tempo in sacrestia. Io gli ero a fianco, pregando.
Appena ritto, gli domandai: «Non ti senti bene?». «No! Sto bene, grazie!», rispose prontamente.
 «Se ti posso essere utile, ritienimi a tua disposizione», replicai.
Dopo un grosso respiro, disse: «Padre Pio mi ha cacciato dalla confessione perché non voglio figli. Sono professore di filosofia. A parte la mancanza di volontà di mettere al mondo altri figli, non ritengo giusto che la Chiesa o Cristo mi vengano a regolare i fatti miei in casa mia e, tanto meno, mi va giù di accettare un modo di fare così duro di un frate dal quale son venuto a trovare un po’ di pace. Sono sorpreso per l’incomprensione e la durezza di Padre Pio nei miei confronti».
«Mi dispiace vederti così e sentirti parlare in questo modo», gli dissi. Poi, feci più o meno il seguente ragionamento: «Il mondo non può averlo fatto l’uomo né può essersi fatto da sé; un essere supremo deve esistere per fare dal nulla ogni cosa, cioè per creare. Questo essere noi lo chiamiamo Dio. Egli, avendo offerto la materia prima, cioè l’essere di ogni cosa e avendola messa nell’esistenza con il suo lavoro, è il Padrone assoluto, il Signore dell’universo.
Tutto gli appartiene, anche l’uomo. A ogni cosa ha il diritto di dettare leggi perché raggiunga il fine proprio. Dio ha il diritto di dettare leggi all’uomo, il quale ha il dovere di ubbidire a Dio e rendergli conto.
La generazione è soggetta alle leggi che Dio ha posto nella natura dell’uomo. La Chiesa, che ha la missione divina di difendere e far conoscere la Legge di Dio, ha il diritto/dovere di ammaestrare l’uomo secondo il Volere di Dio, di cui è promotrice.
I sacerdoti, incaricati a parlare a nome di Dio e della Chiesa, hanno il diritto di chiedere agli sposi cristiani la loro conformità o meno alle Leggi sulla generazione e, nello stesso tempo, hanno il dovere di assolvere in confessione solo chi, sinceramente pentito, promette di conformarsi a ciò che è stabilito da Dio.
Padre Pio, quindi, aveva il diritto di chiederti in confessione circa l’osservanza degli obblighi matrimoniali e il dovere di assolverti o meno secondo il tuo comportamento. Se ti ha cacciato è segno che tu hai mostrato di essere restio ad accettare l’impegno cristiano e, quindi, di non poter ricevere l’assoluzione».
Il professore rispose: «è giusto! Io non ho accettato anzitutto il contenuto dell’invito di Padre Pio e, di conseguenza, neanche il modo. Ora ho capito. Mai avevo sentito parlare così. La sua durezza mi ha terribilmente scosso e mi ha aperto la ragione più che a cercare la verità, a crederla senza discutere. Se non sono io il padrone della vita, è giusto ubbidire a Dio e a chi parla in suo nome».
Tornò quindi, pentito, a confessarsi dal Padre ed ebbe l’assoluzione.

Pierino Galeone,
Padre Pio. Mio Padre,
pp. 60-61
http://www.settimanaleppio.it/dinamico.asp?idsez=2&id=741

Padre Pio e il medico disperato

dal Numero 15 del 12 aprile 2015
Un giorno vidi un uomo che piangeva. Mi avvicinai e gli chiesi: «Perché piangi?». «è la settima volta che il Padre, sgridandomi, mi caccia via. Non ce la faccio più. Mi voglio ammazzare!».
«Un motivo ci sarà», dissi subito.
«Io sono un medico – chiarì –; sin dalla prima confessione Padre Pio mi cacciò perché non solo commettevo atti impuri, ma non riuscivo neppure a promettere di non farli più. Era più forte di me. Impazzivo. Volevo morire. Avrei voluto andarmene, ma non ci riuscivo. Ora, lontano da lui sto male; se gli sto vicino, mi caccia. Voglio morire, non voglio più vivere!».
«Senti, dottore, non disperarti – risposi – ora vado dal Padre e gliene parlerò. Preghiamo, intanto».
Il medico mi trattenne bruscamente: «No! Ascolta. L’ultima volta in cui mi sono presentato dal Padre in confessione, di fatto mi ha dato l’assoluzione. Però mi ha detto: “Amico mio, questa volta ti do l’assoluzione a patto che, fra quindici giorni, quando tornerai a confessarti, non avrai fatto più nessun peccato brutto. Diversamente, non venire più da me”.
Felice che Padre Pio, finalmente, mi stava per dare l’assoluzione, accettai la proposta. Ebbi l’assoluzione. Qualche giorno dopo, però, peccai di nuovo. A casa non riuscivo a stare. Qui tremo solo al pensiero di presentarmi al Padre.
Ho tentato, di nascosto, di infilarmi nel convento con gli altri, ma egli appena mi ha visto, senza che gli dicessi nulla, ma ha cacciato così duramente che la gente è rimasta molto turbata. Qualcuno, in verità, si è messo dalla mia parte. Io, per vergogna, non ho spiegato a nessuno la mia situazione, lasciando così, purtroppo, interpretare male il modo di agire del Padre.
Intanto mi sentivo schiacciato da una duplice vergogna: quella della bruttura del peccato e quella di essere stato cacciato pubblicamente.
Inoltre, sono rimasto convinto che nel Padre davvero viveva Cristo. Infatti, senza dirgli nulla, mi ha letto nel cuore e ha mantenuto il patto, cacciandomi.
Volevo verificare se davvero fosse un uomo di Dio. Ora mi sento morire: ho avuto prova che è un santo, che mantiene la parola e che non mi resta nulla da fare, se non scomparire. Io non voglio andarmene, mi voglio ammazzare!».
Dopo averlo attentamente ascoltato: «Va bene! – risposi – ora lasciami andare».
Andai dal Padre e gli riferii tutto. «Preghiamo tanto la Madonna», mi disse.
Io, nel pomeriggio, partii. Dopo qualche settimana tornai a San Giovanni Rotondo e vidi quel medico, una volta disperato, ora così sorridente e felice, venirmi incontro, con le braccia aperte, per abbracciarmi.

Pierino Galeone,
Padre Pio. Mio Padre,
pp. 58-59

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