ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 26 maggio 2015

La "grande" impresa

Siamo tutti mamme irlandesi

E Dublino è un faro di libertà e di eguaglianza per tutti. Celebriamo con entusiasmo la vittoria del yes al matrimonio gay, insieme con tutti i partiti irish e con le opinioni nobili giovanili progressive e altre meravigliose certezze coltivate in tutto il mondo occidentale

Non solo unioni civili. Grazie alla vittoria dei "sì", in Irlanda gli omosessuali potranno anche sposarsi (LaPresse)
Quel che penso io non importa. Siamo tutti mamme irlandesi, celebriamo con entusiasmo la vittoria del yes al matrimonio gay, insieme con tutti i partiti irish e con le opinioni nobili giovanili progressive e altre meravigliose certezze coltivate in tutto il mondo occidentale nel segno dell’eguaglianza e della libertà e dell’amore. Oggi l’Irlanda, paese caro a tutti noi nipotini di Nora Barnacle e a tutti noi microliberisti impenitenti e sfrenati, è un faro di luce alto nel mare notturno della contemporaneità. Seguiremo il suo esempio appena possibile, saranno altre lacrime, altri entusiasmi, altre voci altre stanze e altri unanimismi benedetti.
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Ridefinire il matrimonio a prescindere dal sesso dei contraenti è un’impresa a suo modo grande. Avrà conseguenze colossali: nella giurisdizione, nell’antropologia, nell’ingegneria biologica e genetica, nella schiavitù delle donne portatrici e nella indifferenza di spermifici e banche dati, nella storia sociale e umana e religiosa e mitologica della nostra civiltà. Ma molto grandi, molto più di quanto non si pensi in questa fase di festeggiamenti superficiali per una conquista così “amazing”. Non l’ho mai sottovalutata, fin da quando dopo gli olandesi fu Zapatero a compierla, la grande impresa del nostro tempo, con un tratto di penna che cancellò le “discriminazioni” di genere dal codice civile, e lo fece, come disse, nel nome di una democrazia e di un socialismo “ciudadani”, che riconoscono una sola verità, quella della maggioranza delle opinioni. Nacquero il progenitore A e il progenitore B, al posto della morale di Aristotele e San Tommaso avanzò quella di Pedro Almodovar, e fu l’inizio della grande movida anche su suolo latino.
Il Papa dei criteri non negoziabili fu sconfitto e sostituito da un gesuita scaltro e non judgemental, ma non so fino a che punto. Era un compagno di strada interessante e carismatico, almeno per noi laici non omologati, per gli psicoanalisti rive gauche che la sanno lunga, per le femministe che conoscono la fatica mercenaria di un parto di poveri in favore dei desideri dei ricchi. Ma siamo in pochi, sputtanati dai cretini omofobi, dai residui insopportabili di vecchie culture discriminatorie, per superare le quali invece di trasformare la loro violenta ignoranza in mite ragione e presa sulla realtà si è creduto bene di opporre la pazzia della boda gay al cosiddetto matrimonio tradizionale, quello del lineage, della consanguineità, della progenie o eredità di genere e specie. Si sa, siamo molto civili, abbiamo una illuministica paura del sangue, salvo intrufolarci a raschiare dal seno delle donne un grumo di sangue e a gettarlo come rifiuto ospedaliero.
Irlanda a parte, l’ideologia L.G.B.T. dilaga come testimonianza di una nuova lotta alla schiavitù, si fa programma scolastico, si sottrae al controllo della ragione, si festeggia contro gli intrusi, quelli che vogliono saperne di più e magari capire che senso abbia l’autodefinizione sessuale come ultimo capitolo dell’autodeterminazione culturale e politica. Non tengono più le costituzioni e le corti supreme, non tengono le leggi, i referendum vinti da preti e laici contro scientisti e nuovi faustiani, si smantella tutto quel che c’era prima e al suo posto si mette quel che viene dopo. E’ la logica del nichilismo, bellezza, e non puoi farci niente. C’è solo da sperare che a correggere noi sterilizzatori della tradizione non arrivino i ripopolatori islamici del mondo: lo farebbero con scarsa grazia.
di Giuliano Ferrara | 24 Maggio 2015 

http://www.ilfoglio.it/cultura/2015/05/24/matrimonio-gay-irlanda-giuliano-ferrara-siamo-tutti-mamme-irlandesi___1-v-129117-rubriche-papa-francesco_c151.htm

Irish coffee e matrimoni gay, una beffa

Non truffate. Le nozze gay passano quasi ovunque e il referendum irlandese farà sensazione perché si equivoca su amore, desiderio e solidificazione dell’unione sociale tra uomo e donna in vista di fini sociali. Si vota venerdì
di Giuliano Ferrara | 20 Maggio 2015 

Foto LaPresse
Se mi dicono omofobo, gli sputo in un occhio. Se gli dico omofili, sono autorizzati a sputarmi in un occhio. Omofobia e omofilia non c’entrano. C’entrano le dispute di cultura su come vediamo la società e le sue istituzioni secondo ragione e legge. Non si sa bene, ma pare che l’Irlanda metterà in Costituzione il diritto al matrimonio a prescindere dal sesso, lo farà con un referendum che si terrà venerdì. La cosa fa notizia perché l’Irlanda, il paese di Oscar Wilde, viene da una tradizione cattolica paradossalmente analoga a quella vittoriana britannica: sanzioni contro l’omosessualità fra adulti consenzienti fino agli inizi degli anni Novanta, grandi scandali pruriginosi, omosessualità e omofobia diffuse e morbosamente perseguite eccetera. Il New York Times lascia il commento a un confratello irlandese del Times di Dublino.

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Alla fine tutto bene quel che finisce bene. Farsi superare in laicità ideologica dalla chiesa non giudicante di monsignor Bruno Forte, almeno per quelli di noi che si sono sposati in Municipio e che non si faranno seppellire tra gli incensi mirabili e santi, sperando in una bella omelia nel cortile di casa tenuta da un vecchio e caro amico o da una vecchia e cara amica, basta che sia breve, non ha più quasi senso. Il rispetto per ogni tipo di amore, consigliabile in quanto amore umano e variante cospicua nella vita e nella letteratura, ma non naturale, per carità, non riguarda solo le mamme irlandesi. Siamo tutti mamme irlandesi. In un certo senso. Perfino Marine Le Pen e Matteo Salvini evitano di parlare della chose, della cosa, e Madame si circonda di gay per alludere e ammiccare. Va bene, va bene. Ci arrendiamo.

Lucrezio apre il poema sulla natura delle cose, scritto a metà del primo secolo a. C.,  con un Inno a Venere, hominum divumque voluptas, che è come si dice una bellezza. Oggi gli scientisti pazzi, col capello arruffato e i pensieri in disordine, trattano Lucrezio come il prototipo del loro materialismo e del loro ateismo che libera l’uomo e la donna dai loro dolori di vivere. Lasciamoli fare. L’inno però è al desiderio che genera, che accoppia secondo narrazione (qui ce vo’) e ragione biblica, “maschio e femmina li creò”. Il professor Vito Mancuso scrive su Repubblica che ci sono passi della Bibbia che vanno tralasciati, insieme con una celebre e ardente lettera di san Paolo, e anche questo ci può stare: non tutto quel che è stato scritto, sebbene sotto ispirazione trascendente, è compatibile con le carte dell’Onu sulla liberazione dell’ego riproduttivo e sui diritti umani. Ma che c’entra la Bibbia?

L’amore non ha alcunché a che vedere con il matrimonio, come il divorzio, che ne è la moltiplicazione abusiva per rito sommario o ripudio, piuttosto che la negazione-superamento critico nell’interesse della famiglia (come ci dissero, convincendoci a votare no alla sua abrogazione in un referendum del 1974, poi s’è visto, firmato Achille Ardigò, che avevano ragione Fanfani e il povero beato Paolo VI). Amor vincit omnia, ma il matrimonio è come l’ufficio postale, serve a disbrigare una faccenda privata in ambito pubblico, dando carattere di certezza, scripta manent, alla comunicazione umana, e ai figli da educare secondo una promessa che si chiama famiglia biparentale tradizionale. Che c’entra l’amore di un maschio per un maschio e di una femmina per una femmina con il matrimonio? Niente. Accordi privati ratificati pubblicamente possono tranquillamente risolvere piccolissimi, microscopici problemi di tipo pratico. E la vita di coppia tra persone dello stesso sesso, come anche la vita promiscua eventuale, etero o omo, va rispettata toto corde nei soli limiti in cui gli altri sono rispettati. Poi c’è l’amore, e l’agostiniano fac quod vis, fa’ ciò che vuoi, che riguarda il peccato e la grazia, non la legge, non le istituzioni sociali. Discriminare è d’uopo, o anche gli asini hanno il diritto allo studio, i maiali alla doccia, le gazzelle alla passeggiata lenta, i leoni agli spaghetti, e tutti noi nelle nostre mille differenze a tutto ciò che cerca di unire e consolidare la società umana, magari anche in vista della sua propagazione come genere?

Non truffate. Il matrimonio gay passa ormai quasi ovunque, e la beffa irlandese farà sensazione, se ci sarà, perché si equivoca sull’amore, sul desiderio, sulla solidificazione dell’unione sociale tra uomo e donna in vista di fini sociali. Il matrimonio gay, anche in questa forma da irish coffee, è solo un attacco devastante al matrimonio come tale, è una offensiva culturale spiegabile, forse perfino legittima, che viene ratificata nell’equivoco assetto di tutte le maggioranze morali, sentimentali, emozionali. Bisognerebbe essere Leali, Buoni, Giusti e Tolleranti, L.G.B.T., non bugiardi.

Non basta defilarsi per non essere sconfitti. Lezione irish per la chiesa

Gli errori di strategia dei vescovi e un paese che getta “il bambino della fede con l’acqua sporca del clericalismo”
di Nicoletta Tiliacos | 26 Maggio 2015 
Foto LaPresse
Roma. Il referendum irlandese sul matrimonio gay dimostra che non basta tirarsi fuori da una competizione per evitare di essere considerati perdenti. La chiesa cattolica irlandese, che ha scelto di rimanere defilata e non giocare la partita, è la vera sconfitta della sfida di cui il 22 maggio si è perfezionato solo l’ultimo aspetto simbolico. A leggere certi commenti, si potrebbe pensare infatti che fino a oggi gli omosessuali in Irlanda fossero privi di diritti. E invece dal 2010 esiste l’unione civile gay, in tutto e per tutto parificata al matrimonio, dallo scorso gennaio anche con la possibilità di adozione. Alla vigilia del referendum, inoltre, era stata annunciato, indipendentemente dal responso delle urne, un prossimo provvedimento per la legalizzazione dell’utero in affitto. Rimaneva dunque solo l’ultimo ostacolo simbolico da abbattere, così come in Francia e in Gran Bretagna e negli Stati Uniti e ovunque: il termine “matrimonio” da applicare a tutti. Che questo ora avvenga perfino nella cosiddetta “cattolicissima” Irlanda è la novità sconvolgente che fa gridare al miracolo chi non vede l’ora, anche in Italia, di arrivare presto allo stesso esito, passando per unioni civili da trasformare in un paio di passaggi (tribunali e Consulta) in matrimonio vero e proprio.

ARTICOLI CORRELATI Il referendum in Irlanda e il peso delle parole Ma sul referendum irlandese, per favore, non scomodate Oscar Wilde "Perché nella mia Irlanda oggi è morta la democrazia"Torniamo all’Irlanda. In queste ore c’è chi sottolinea la diversità di aplomb dei perdenti irlandesi rispetto a quelli francesi. Sobriamente pronti a riconoscere la sconfitta e a farsene una ragione i primi, tuttora bellicosi e sulla breccia i secondi, che negli ultimi tre anni, dopo il “mariage pour tous” approvato dal Parlamento francese, hanno visto crescere adesioni, ruolo politico, capacità di iniziativa. E’ che in Francia la mobilitazione cristiana contro le nozze gay – e soprattutto contro lo scardinamento della filiazione che questo comporta – si avvale fin dall’inizio di argomenti e di alleati laici, come dimostra l’appello contro l’utero in affitto di centosessanta esponenti della sinistra superlaica, pubblicato dieci giorni fa da Libération; in Irlanda tutto questo non è avvenuto o comunque è avvenuto troppo tardi. Ammutolita dal timore di vedersi per l’ennesima volta rinfacciare scandali veri e presunti, la chiesa d’Irlanda ha rinunciato alla prima linea, quasi ammettendo di non aver diritto di parola. Su Causeur.fr, il sito laico diretto da Elisabeth Lévy, un editoriale dedicato al referendum irlandese sottolinea il peso dell’unanimità politica e dell’azione pro nozze gay di sigle che vanno da Google a Facebook, da Twitter a Uber. Nell’entusiasmo egalitarista cullato dai social network, che fa sentire buoni, bravi e giusti perché i diritti sono uguali per tutti, scrive Causeur, si è persa tra i giovani la memoria di quello che il cattolicesimo irlandese ha rappresentato in termini di identità nazionale e di lotta per l’emancipazione dell’Inghilterra protestante. Prevale oggi il fastidio – in molti casi il rifiuto – per una chiesa che ha a lungo avuto il monopolio educativo, e che oggi rischia, secondo Causeur, di veder gettato “il bambino della fede con l’acqua sporca del clericalismo”, in una situazione in cui crollano i fedeli praticanti e le vocazioni. “Nella velocissima apostasia di questi ultimi decenni – scrive ancora Causeur – l’Irlanda si disfa di alcune storiche catene clericali, ma si trova di fronte a un vuoto morale che non può essere colmato né dal liberalismo, che ha portato l’isola alla rovina, né il risorgente nazionalismo dello Sinn Fein, snaturato in politica di prossimità”. La chiesa cattolica irlandese ha scelto di lasciare – tardivamente, come si è detto – ai laici del collettivo Mothers and Fathers Matter (una Manif pour tous irlandese) la parola nella campagna referendaria. Ma se quella scelta ha pagato in un paese secolarizzato come la Francia, non è azzardato ipotizzare che la prudenza della chiesa sia stata vissuta in un contesto molto diverso – la già “cattolicissima” Irlanda – come una sorta di diserzione, magari dettata da ottime intenzioni. Anche per questo la lezione irlandese va considerata con attenzione, da chi pensa che abbia senso combattere contro il Mondo Nuovo (cfr. Huxley).
http://www.ilfoglio.it/cultura/2015/05/26/irlanda-nozze-gay-non-basta-defilarsi-per-non-essere-sconfitti-chiesa___1-v-129155-rubriche_c290.htm

Il dopo Irlanda dei vescovi: “Il matrimonio gay valore per la Chiesa”


ROMA – “Cosa possiamo dire a una gioventù che non si ritrova negli orientamenti della Chiesa? Come dobbiamo impostare una pratica dell’eros? Qui ci troviamo di fronte a problemi con cui fare i conti, altrimenti la gente finirà per allontanarsi”. L’allarme pacato lanciato a metà lavori da un sacerdote e docente scuote i tavoli messi a rettangolo fra i 50 convenuti all’Università Gregoriana di Roma, nella giornata di studio organizzata per il Sinodo dei vescovi previsto in autunno.

Come racconta Marco Ansaldo su Repubblica,
“Matrimonio e divorzio”, “Sessualità come espressione dell’amore” sono i titoli su cui si discute. Temi di un’attualità bruciante, dopo il sì del referendum in Irlanda sulle nozze gay. Ci sono molti big della Chiesa, come il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco di Baviera e capo dei vescovi tedeschi, l’arcivescovo di Marsiglia Georges Pontier che è presidente della Conferenza episcopale francese, quello di Havre, Brunin, il vescovo di Dresda, Koch, quello della Bassa Sassonia, Bode, lo svizzero Gmur, il segretario generale dei vescovi tedeschi Langendorfer, teologi emeriti e professori universitari come il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo. Tutti ospitati dal vice rettore della Gregoriana, padre Hans Zollner, e vincolati a non attribuire la paternità delle dichiarazioni agli intervenuti. Lavori a porte chiuse, a cui è stata invitata a partecipare, quale unico media italiano, La Repubblica.
E la discussione è stata ampia e molto libera. Sfiorando anche l’argomento delle unioni gay richiamato dal voto irlandese. «La questione non è tema del Sinodo — precisa un sacerdote e teologo tedesco — ma è comunque materia culturale. Se fra due persone dello stesso sesso c’è una relazione forte, che porta a un riconoscimento, questo deve diventare un vincolo anche per la Chiesa». Aggiunge poi: «Personalmente dico che questa unione dovrebbe essere riconosciuta, anche se non come matrimonio. Se la Chiesa non la riconosce, ciò non significa una discriminazione, ma che si intende riaffermare il principio della famiglia costituita da un uomo e una donna».
Una posizione innovativa. Nessuno qui si oppone. Il confronto, anzi, si allarga. «È chiaro — afferma un monsignore francese — che stiamo vivendo una nuova realtà pastorale». E, a proposito dei divorziati risposati, continua una docente: «Con l’allungarsi della vita anche la frontiera della fedeltà si sposta. Ma la disciplina della Chiesa oggi è lungi dall’essere immobile. Dopo un fallimento, un abbandono, ci si può impegnare in una nuova vita con un’altra persona. Questi problemi ci arrivano da esponenti impegnati anche nel magistero, oltre che dai fedeli». Applausi, e si va oltre.
Commenta un vescovo tedesco: «I dogmatici dicono che l’insegnamento della Chiesa è fisso. Invece uno sviluppo esiste. E abbiamo bisogno di uno sviluppo sulla sessualità. Anche se non dobbiamo fissarci solo su questa ». Ammette un presbitero che è anche professore: «Essendo la nostra una vita da single, il celibato di noi preti rende difficile parlare agli altri delle loro vite di coppia».
Nessuno qui usa la parola «parresìa », franchezza, termine chiave del pontificato di Francesco. Ma la discussione alla tavola della Gregoriana si svolge tutta alla sua ombra. Un sacerdote e docente svizzero, che fa un intervento spaccato al secondo seguendo da buon elvetico il proprio orologio, parla senza indugi di «carezze, baci, “coito” nel senso del “venire insieme”, co-ire», come di «quel che accompagna le luci e le ombre non coscienti delle pulsioni e del desiderio». Un suo collega: «L’importanza dello stimolo sessuale rappresenta la base per un rapporto duraturo». Si cita Freud. Viene richiamato Fromm. «La mancanza della sessualità — si aggiunge — può accomunarsi alla fame, alla sete. La domanda che la caratterizza è: “Hai voglia di fare sesso?”. Ma questo non significa desiderare l’altro, se l’altro non vuole. La domanda dovrebbe essere: “Tu mi desideri?”. Ecco allora come il desiderio sessuale dell’altro può unirsi all’amore» (…)
http://www.blitzquotidiano.it/rassegna-stampa/il-dopo-irlanda-dei-vescovi-il-matrimonio-gay-valore-per-la-chiesa-2194800/
Effetto Bergoglio in Irlanda: La Messa è Finita.
Francesco Federico                 
EFFETTO BERGOGLIO IN IRLANDA: LA MESSA È FINITA

Scritto il 24 mag, 2015

duomo
Che l’Irlanda, antica roccaforte del cattolicesimo, vari a furor di popolo le nozze gay (“e chi sono io per giudicare”, dirà il vescovo di Roma…), è un evento storico. Si avverte un cupo rumore di frana, come se una montagna – effetto Bergoglio? – stesse venendo giù.

Del resto in Sudamerica già da anni la Chiesa sta crollando (i dati sono terribili): ora l’Europa, il cuore della cristianità.
Ciò che rende dominante il laicismo – diceva il cardinal De Lubac – è che si imbatte e strumentalizza “un cristianesimo sempre più minorato, ridotto ad un teismo vago e impotente”.

BARACK E BURATTINI

Oggi solo questo teismo è permesso.
Invece della Chiesa cattolica conosciuta finora è minacciata perfino la sopravvivenza.
C’è posto solo per una sua ridicola parodia laicizzata, da “cortigiana” umanitaria (per dirla con Andrea Emo), per una “agenzia religiosa” che sui grandi temi della vita si sottomette al diktat ideologico obamiano, che rinuncia al proselitismo e al “Dio cattolico” (“non esiste un Dio cattolico”, dice Bergoglio), che si scioglie nell’ecumenismo massonizzato delle tante religioni, che si occupa del clima e della spazzatura differenziata, insegnando le buone maniere (buongiorno, buonasera, grazie e scusa) e facendo pipponi assistenziali sui poveri.
Ma per la vera Chiesa Cattolica non c’è più posto, come mostra il dramma dell’ultimo grande papa, Benedetto XVI, “dimissionato”, autorecluso e silenziato.

LA VERA CHIESA

La Chiesa che ha illuminato e vinto il tenebroso mondo degli dèi e ha ribaltato la storia pagana e antiumana, la Chiesa del Verbo di Dio fatto carne che ha la pretesa di annunciare la Verità, la Chiesa dei grandi santi, dei martiri, dei missionari, la Chiesa della liturgia divina e della grande arte, la Chiesa di Madre Teresa e del pensiero forte, dei grandi papi e di padre Pio, con l’irrompere del soprannaturale, la Chiesa che ha tenuto testa per secoli alla ferocia musulmana e ai grandi totalitarismi genocidi del XX secolo, questa Chiesa oggi non ha più diritto di cittadinanza.
Ieri, monsignor Galantino – secondo un tweet di Alberto Mingardi – pare abbia detto in un convegno: “Quando la Chiesa era cattolica e la messa era in latino…”.

Un lapsus freudiano rivelatore ed esplosivo. Infatti ora siamo all’ultimo atto della “liquidazione della Chiesa Cattolica”, come preconizzò Giuseppe Prezzolini, laico ma preoccupato per il baratro verso cui stava correndo il mondo cattolico, ansioso di “modernizzarsi” e arrendersi a tutte le mode ideologiche del momento.
Però a liquidare la Chiesa non sono le persecuzioni, né l’odio laicista, ma – come disse Paolo VI – è “l’autodemolizione” dall’interno.

La via del baratro fu imboccata non con il Concilio – come credono certi lefebvriani – ma alla sua fine, esattamente 50 anni fa, con il “post-Concilio”.

Nei giorni scorsi sui giornali, si è ricordato che sono cinquant’anni anche dalla prima messa in lingua italiana e un altro intellettuale laico come Elémire Zolla, in quei giorni, arrivò a sottolineare l’avvenimento con toni apocalittici: “7 marzo: muore la Messa, muore il Gregoriano. Ascoltato per l’ultima volta. Oramai, come un ramo secco, la Chiesa verrà bruciata”.

In realtà il problema non fu tanto l’uso della lingua volgare nella liturgia (cosa, secondo me, positiva), ma la successiva “riforma liturgica” del 1969 e soprattutto la sostanziale (non legale) messa al bando della precedente, millenaria liturgia cattolica.
Joseph Ratzinger ha fatto capire bene, molti anni dopo, l’enorme errore, anche teologico, che fu commesso allora. Che ebbe conseguenze colossali, anche nel tragico smarrimento della fede.

SALVARE LA CATTEDRALE

Ma curiosamente a quel tempo a lanciare l’allarme in modo drammatico per una Chiesa che di colpo rifiutava il suo rito bimillenario (quello attorno al quale erano state costruite le nostre cattedrali), furono soprattutto gli intellettuali laici.
Che protestarono con la stessa costernazione con cui oggi consideriamo le tragiche devastazioni compiute dall’Isis nell’antico Medio oriente.
Il 5 settembre 1966 uscì un primo appello a Paolo VI per la salvaguardia della liturgia latino-gregoriana (pochi mesi prima che l’alluvione devastasse l’antica bellezza cattolica di Firenze).
Quel manifesto-appello fu firmato da una quarantina di grandi intellettuali e impressiona rileggere oggi alcuni di quei nomi: Jorge Luis Borges, Salvatore Quasimodo, Eugenio Montale, Giorgio De Chirico, Robert Bresson, Jacques Maritain, François Mauriac, Gabriel Marcel, Maria Zambrano, Cristina Campo, Elena Croce, Wystan Hugh Auden, Jorge Guillen, Elémire Zolla, Philip Toynbee, Evelyn Waugh, Salvador De Madariaga, Carl Theodor Dreyer, Julien Green, Elsa Respighi, Francesco Gabrieli, José Bergamin, Fedele D’Amico, Luigi Dallapiccola, Victoria Ocampo, Wally Toscanini, Gertrud von Le Fort, Augusto Del Noce, Lanza Del Vasto.
L’appello fece molta impressione, anche in Vaticano, ma non riuscì a fermare la frana. Così nel 1971 ne uscì un altro e stavolta furono ancora di più gli intellettuali che si aggiunsero.
Ricordo qualche nome: Agatha Christie, Graham Greene, Harold Acton, Mario Luzi, Andrés Segovia, William Rees-Mogg (il direttore del Times), Joan Sutherland, Guido Piovene, Giorgio Bassani, Adolfo Bioy Casares, Ettore Paratore, Gianfranco Contini, Giacomo Devoto, Giovanni Macchia, Massimo Pallottino, Rivers Scott, Wladimir Ashkenazy, Colin Davis, Robert Graves, Yehudi Menuhin, Kenneth Clark, Malcolm Muggeridge.

AUTODEMOLIZIONE

Fu pressoché inutile, ma di lì a poco lo stesso Paolo VI si rese conto della tragedia in corso: il crollo della frequenza religiosa, migliaia di preti e religiosi che lasciavano l’abito, intellettuali cattolici subalterni all’ideologia marxista, gran parte dei giovani sedotti dai miti della rivoluzione (da Fidel Castro a Mao, dai Vietcong a Che Guevara, fino a Stalin), il dilagare della Teologia della liberazione e di teologie moderniste che demolivano la dottrina cattolica.
Paolo VI negli ultimi anni pronunciò parole sempre più drammatiche: “Credevamo che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. E’ venuta invece una giornata di nuvole e tempeste, e di buio”, “da qualche parte il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”, “l’apertura al mondo fu una vera invasione del pensiero mondano nella Chiesa… Noi siamo stati forse troppo deboli e imprudenti”.
Paolo VI denunciò “coloro che tentano di abbattere la Chiesa dal di dentro” e prese a citare i libri di Louis Bouyer, “La décomposition du catholicisme” e “Religieux et Clercs contre Dieu”.
All’amico Jean Guitton confidò: “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel Vangelo di san Luca: ‘Quando il Figlio dell’uomo tornerà, troverà ancora la fede sopra la terra?’. Ciò che mi colpisce quando considero il mondo cattolico”, proseguiva il papa, “è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non-cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa”.

Poi, grazie a Dio, arrivarono Giovanni Paolo II e Joseph Ratzinger. La barca di Pietro venne faticosamente riparata, la bussola della fede ritrovò la via e una generazione di giovani sperimentò di nuovo la bellezza del cristianesimo.
Ma questa primavera è stata gelata da qualcosa di potente e di oscuro che, per la prima volta nella storia della Chiesa, ci pone davanti al dramma di un “papa emerito” autorecluso in Vaticano e di “un vescovo vestito di bianco” che viene acclamato da tutti i nemici di sempre della fede cattolica e che ha riportato la Chiesa alla subalternità alle ideologie mondane degli anni Settanta (è stata riesumata perfino la Teologia della liberazione e il suo fondatore Gutierrez ora pontifica dal Vaticano).
Sembra il baratro finale. A meno che Dio….

Antonio Socci

Da “Libero”, 24 maggio 2015
Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

www.antoniosocci.com//effetto-bergogl…

1 commento:

  1. che vomito!!!!che pianto!!!!Gesù ha detto:Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano! ...Signore illumina le loro menti affinché si convertano e vivano....amen!!!

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