ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 14 giugno 2015

C’è poc’a ffare

Come tutti sanno, il padre del pensiero occidentale fu condannato a morte dalla magistratura della civilissima Atene per empietà e corruzione dei giovani. La prima imputazione si riferiva al rifiuto di praticare la religione della città, la seconda all’attività di formazione intellettuale e morale. Dato che gli dèi dell’Olimpo erano idoli, dietro i quali si nascondevano spiriti immondi, e che la migliore gioventù ellenica (fra cui un tale soprannominato Platone per la sua robusta costituzione fisica) era stata da lui allenata a ragionare correttamente onde immunizzarsi dai sofisti, che fanno tristemente scuola anche oggi, non possiamo che dare ragione a Socrate e torto alle autorità ateniesi, considerate – in modo del tutto improprio e anacronistico – antesignane dell’attuale democrazia. Conveniamo quindi con il Sommo Poeta, il quale, non potendo porlo in Paradiso perché non cristiano, non lo relega neanche all’Inferno, bensì nel Limbo, dove immagina di incontrare altri sublimi ingegni dell’antichità, fra i quali si sente modestamente sesto tra cotanto senno (Inferno, IV 102).

C’è poc’a ffare – risponderebbe il geniale Fiorentino, aspirando le gutturali come gli Etruschi: i grandi sono grandi e hanno coscienza di esserlo. Ma qual è per noi l’interesse della vicenda ricordata? Le accuse ingiustamente rivolte a Socrate sono – ahimé – estremamente attuali, ma in relazione a quanti, nella società e nella Chiesa, si sono fatti continuatori dell’antica sofistica greca: quelli sì che sono degli empi (in quanto oppositori non di un culto pagano, ma dell’unica religione vera, quella rivelata e fondata dal Verbo incarnato) e dei corruttori di giovani. Le due colpe risultano peraltro strettamente legate: chi rinnega la verità divina e tralascia l’obbedienza che le è dovuta devia inevitabilmente la gioventù su una cattiva strada, quella della perdizione. Se già le insulsaggini e le banalità che da cinquant’anni si ripetono nella cosiddetta catechesi hanno lasciato aperto il campo all’impurità, alla droga e all’occultismo, figuriamoci quale non sarà l’effetto di una menzogna grossolana e conclamata…
Quasi due anni fa moriva – con una “sedazione” da lui stesso richiesta – un cardinale di Santa Romana Chiesa che, nonostante la palese eterodossia, è stato immediatamente dichiarato da più illustre confratello niente meno che “padre della chiesa”. C’è da chiedersi a quale chiesa si riferisse, visto che ne esiste pure una che si qualifica di Satana; non può comunque trattarsi di quella di Cristo, l’unica veramente tale. Orbene, da conversazioni notturne tenutesi qualche anno prima nell’antica Città santa, teatro dell’umana Redenzione, si arguisce inequivocabilmente che l’eminente personaggio, già biblista di fama mondiale, non credeva più nel Dio della rivelazione cristiana, se mai aveva creduto in Lui. Le sue affermazioni evocano piuttosto l’idea di una divinità immaginaria, sostanzialmente impotente di fronte al male e capace unicamente di incoraggiare gli umani a lottare per la pace e la giustizia (intese, ovviamente, in senso esclusivamente intramondano). Uno psicanalista freudiano parlerebbe di proiezione di un bisogno frustrato, un intellettuale marxista di oppio dei popoli.
Nell’introdurre la pubblicazione di dette illuminanti conversazioni, l’incompreso profeta ha l’ardire di definire se stesso non antipapa (come qualcuno l’aveva frettolosamente etichettato per la cocciuta opposizione agli ultimi Pontefici), ma ante-papa (cioè uno che intende aprire la strada ad un futuro Vescovo di Roma). A qualche anno di distanza, c’è da rimanere a bocca aperta: sembra che fosse tutto preparato. Non sentiamo forse parlare sempre di un Dio che non sarebbe cattolico, di credenti e non-credenti rigorosamente equiparati, di un impegno cristiano dall’orizzonte meramente terreno?… E come non dedurre da tutto questo l’evidente eliminazione del peccato e della responsabilità morale, una somma indifferenza al costante Magistero precedente, una strana preferenza per l’Islam e l’Ebraismo, liberi da quell’ingombrante fardello che risulta il dogma trinitario con la divinità di Cristo? E si potrebbe continuare…
Mi sembra che, riguardo all’accusa di empietà (asébeia), ce ne sia abbastanza per provarla. E per la corruzione dei giovani? Se, parlando con migliaia di bambini, non si nomina Gesù nemmeno una volta, c’è qualcosa che non va, già solo per questo. Se poi, in relazione alla loro sofferenza, si afferma che il Cielo è muto, siamo alla bestemmia. Il Dio in cui abbiamo la grazia di credere si è fatto uomo per poter soffrire per le nostre colpe, dopo averci rivelato che la causa del male è il peccato originale. La sofferenza innocente dei piccoli è dovuta alla disobbedienza umana e al disordine che ha introdotto nel mondo; essa è però assunta da Gesù nel Sacrificio redentore e trasformata in implorazione irresistibile per la conversione degli increduli e dei peccatori. Paradossalmente, essa porta dunque in sé un’opportunità di salvezza anche per chi si rifiuta di fornire loro la risposta che il Figlio di Dio ci ha dato con la Sua Passione.
Dovendo però evitare questa conclusione, che pure è accessibile a tutti i cristiani da ben duemila anni, non si può proporre altro, a un gruppo di ragazzini in situazioni familiari compromesse, che sogni e fantasie, piuttosto che la fede e una seria educazione umana, e si finisce per rivelarsi così, in definitiva, un vero e proprio corruttore di giovani: come potranno difendersi, infatti, da chi vuole violarne l’innocenza propinando loro stupefacenti, pornografia e perversioni sessuali? Che cosa opporranno alla seduzione e all’inganno di questo mondo? Dei sogni irrealizzabili? O la fuga in un mondo immaginario in cui, in fondo, son tutti buoni? O qualche slogan scandito in coro battendo le mani? Proprio i bambini feriti sul piano affettivo sono i più esposti agli abusi… Chi non tiene la testa sotto la sabbia sa benissimo che nemmeno alla scuola elementare sono più al sicuro. Forza, corriamo allegramente tutti insieme verso l’abisso!
L’Ellade antica, nonostante l’eccelso livello di progresso artistico e intellettuale, dal punto di vista morale non brillava di certo. Ricordo bene che, al liceo, nel tradurre i lirici greci mi scervellavo, nella mia verginità anche mentale, a cercar di capire come mai un poeta usasse pronomi maschili nelle sue brucianti dichiarazioni d’amore; la famosa ode della gelosia di Saffo, poi, mi suonava decisamente esagerata… La professoressa di greco, buon’anima, se la sbrigava accennando sibillinamente – e di sfuggita – al cosiddetto amore efebico: sarebbe stato inammissibile spiegare che, a quell’epoca, i teneri virgulti della nostra età erano iniziati alla sodomia; dovrò arrivare all’università perché mi si sveli l’arcano. Oggi vien da sorridere: in certe scuole superiori si leggono testi che ne descrivono minuziosamente gli atti, se ai fini della sperimentazione non dovesse bastare ciò che anche un bambino può agevolmente vedere sul suo telefono.
Il diavolo sa bene, d’altronde, che gli esseri umani, essendo creati a immagine del Lógos, sono più influenzabili dalla parola che non dall’immagine; bisogna pertanto deformarne il pensiero. In simile contesto, i Pastori cattolici – almeno i più seguiti – hanno smesso di dire la verità in modo chiaro e fermo per la salvezza dei loro fedeli, ma si divertono a giocare con le parole per affermare tutto e il contrario di tutto: non usano il termine matrimonio, ma ammettono impossibili “unioni” tra persone dello stesso sesso, che aprono altresì la strada all’adozione di innocenti che non hanno colpa alcuna per subire una condanna così orribile. I sofisti antichi, se non altro, erano giocolieri ben più fini e smaliziati; ma dopo il ’68 certe sottigliezze sono ormai superflue… Per grazia di Dio, tuttavia, siamo passati incolumi attraverso la barbarie intellettuale dei nostri tempi; ormai nessuno potrà più privarci dell’acume e della luce razionale che sono riflesso creato del Verbo divino – il medesimo che brillò nella mente di Socrate, sebbene egli non fosse del tutto esente, a giudicare dal Convivio di Platone, dal vizio dei suoi contemporanei.
Don Giorgio Ghio
Sacerdote, nato a Roma il 12 luglio 1964, attivo in Sabina.

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