ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 30 giugno 2015

Il pallaio?

La Chiesa di Francesco in 46 pallii

Celebrazione Santi Pietro e Paolo, Basilica di San Pietro, 29 giugno 2015
Foto: Bohumil Petrik / ACI Group

La Chiesa pensata da Papa Francesco prende forma in 46 pallii, che sono la storia di altrettante scelte che il Papa ha fatto durante l’anno. Perché tra i nuovi arcivescovi metropoliti ci sono scelte perfettamente in linea con il pontificato di Benedetto XVI, come quelle del Cardinal Rainer Maria Woelki, spostato da Berlino a Colonia, o come quella di Carlos Osoro Sierra, arcivescovo di Madrid soprannominato “il piccolo Francesco,” ma di certo non un vero e proprio progressista. Ma ci sono anche nomine considerate di rottura, come quella dell’arcivescovo Blaise Cupich a Chicago, un profilo completamente differente da quello dei grandi vescovi americani che lo hanno preceduto. Quale il criterio adottato?

Si può pensare che da una parte Papa Francesco ha provato a portare a termine la transizione da un modello di vescovo ad un altro avviata da Benedetto XVI. Si trattava di una transizione necessaria dal modello di vescovi in posti chiave che guidavano le Conferenze Episcopali in stretto rapporto con Roma a una nuova generazione di vescovi, dalla vocazione pastorale ma teologicamente formati. Pastori credibili, che sappiano portare avanti la tradizione della Chiesa, e andare oltre le difficoltà fornite da un mondo secolarizzato.
Benedetto XVI, che aveva parlato spesso di demondanizzazione della Chiesa, aveva chiesto più volte di annunciare la gioia del Vangelo, aveva avviato questa transizione. La nomina a Berlino del Cardinal Woelki; quella dell’arcivescovo André Joseph Leonard alla sede di Bruxelles; e poi, la promozione a Philadelphia di un vescovo dalla grande caratura pastorale e dalla dottrina ferma come Charles J. Chaput; la nomina di Wilhelm Eijk, poi creato cardinale, alla guida della diocesi di Utrecht (Olanda);  e la stessa promozione di Carlos Osoro Sierra ad arcivescovo di Valencia; sono alcuni degli esempi di come Benedetto XVI avesse cominciato il lavoro di ri-bilanciamento dell’episcopato. Vescovi forti nella fede, ma che fossero in grado anche di avere un tratto pastorale unico.
Papa Francesco ha ripreso il lavoro inserendo in due posti chiave, a Colonia e Madrid, il Cardinal Woelki e l’arcivescovo Carlos Osoro Sierra, entrambi conosciuti per il tratto umano (un servizio televisivo di qualche tempo fa esaltava anche lo stile di vita umile del Cardinal Woelki) e abbastanza forti nella dottrina. E completa il quadro il Cardinal Antonio Canizares Llovera, che era stato arcivescovo di Toledo e primate di Spagna, che poi è stato prefetto della Congregazione per il Culto Divino e che ora è tornato a casa, a fare il pastore, come davvero desiderava da tempo.
La situazione però è più complessa di quello che si può vedere. La nomina del Cardinal Woelki come arcivescovo di Colonia ha portato alla promozione di Heiner Koch come arcivescovo di Berlino. Anche lui presente alla celebrazione in San Pietro, riceverà il pallio come vescovo metropolita. Ma ha una linea pastorale molto vicina a quella  incarnata dal Cardinal Reinhard Marx, presidente della Conferenza Episcopale, che punta ad una rivoluzione pastorale e che porterà queste istanze al prossimo Sinodo dei Vescovi. Sinodo in cui sarà presente anche Heiner Koch.
La pattuglia tedesca è completata da Stefan Hesse, arcivescovo di Amburgo, che in una intervista dello scorso sabato a Radio Vaticana sezione tedesca ha voluto sottolineare il valore per la Chiesa di Amburgo di essere così unita al Papa, e soprattutto ha sottolineato come lui sia stato nominato appena tre mesi fa direttamente come vescovo di Amburgo, mentre “tutti gli altri erano gà ordinati vescovi prima.”
Non è il solo vescovo di prima nomina che riceve direttamente il pallio. Julian Loew Beng Kim, 50 anni, sino-malese, è stato nominato arcivescovo di Kuala Lumpur improvvisamente, senza alcun passaggio intermedio, in una mossa particolarmente inusuale, perché in genere chi arriva ad una arcidiocesi ha già avuto una esperienza episcopale. L’arcivescovo Ben Kim diventa così il leader spirituale dei 43,865 cattolici di Kuala Lumpur (su una popolazione di 1,7 milioni di persone) e gestirà 57 preti, 14 religiosi (non ordinati sacerdoti) e 98 donne religiose professe.
E Papa Francesco ha guardato “fuori dal mazzo” dei vescovi anche in Italia, tanto che tra quelli che oggi hanno partecipato alla Messa di benedizione dei palli c’è anche Erio Castellucci, arcivescovo eletto di Modena-Nonantola: lui riceverà consacrazione episcopale e pallio nello stesso giorno, il 12 settembre.
Sono 3 gli italiani, e tra loro c’è anche Vincenzo Pelvi, già ordinario militare d’Italia, che è ora arcivescovo di Foggia-Bovino. Era ordinario militare (in Bolivia) anche Oscar Omar Aparicio Cespedes, che in quel ruolo ha partecipato all’ultimo sinodo dei vescovi. Ora è Arcivescovo di Cochabamba, e dunque anche a lui spetterà il pallio.
Andando verso il Sudamerica, è da notare che c’è l’arcivescovo di Asuncion, Edmundo Ponciano Valenzuela Mellid. Ha preso il posto dell’arcivescovo Eustaquio Pastor Cuquejo Verga, che pure era dato per possibile cardinale nell’ultimo concistoro.
Guardando in Africa, c’è il primo vescovo nigerino proveniente dal Niger, Djalwana Laurent Lompo, che amministra l’arcidiocesi di Niamey.  
Ma la disamina veloce dei 46 pallii ci porta anche a vedere quali sono le sfide che oggi la Chiesa affronta. Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago, la cui nomina è stata esaltata da una certa sinistra perché non rispecchia il modello del “cultural warrior” dei vescovi americani, ha preso una posizione morbida sulla recente sentenza della Corte Suprema americana che ha fatto del matrimonio omosessuale un diritto costituzionale.
In una dichiarazione rilasciata sul sito dell’arcidiocesi, l’arcivescovo Cupich ha sottolineato che “la ragione per la scelta” della Corte Suprema è “quella di garantire eguali diritti per tutti i cittadini,” e ha messo in luce come “i rapidi cambiamenti sociali segnalati dalla scelta della corte ci richiamano a mature e serene riflessioni” sulla strategia della Chiesa, che dovrà “essere pronta a offrire la sua saggezza radicata nella fede e un ampio raggio di esperienza umana.” E ha ricordato che il Catechismo della Chiesa cattolica predica rispetto, e che comunque la scelta della Corte non ha conseguenze nel Sacramento del matrimonio e che “nel portare avanti il nostro tradizionale concetto di matrimonio, siamo chiamati a supportare quelli che osno entrati in questo sacro amorevole amore con Dio e tra loro.”
Dichiarazione che appare meno dura di quella della Conferenza Episcopale USA, quasi a voler marcare una differenza dei toni. Ma anche meno sferzante di quella dei vescovi irlandesi, guidati dall’Arcivescovo di Arnagh Eamon Martin, anche lui alla cerimonia della benedizione del pallio. L’arcivescovo Martin ha preso carta e penna più volte, durante il referendum irlandese, per difendere con forza il matrimonio tradizionale.
Anche il Papa ha difeso con forza il matrimonio tradizionale, ma l’ampia varietà di posizioni che sono rappresentate in questi nuovi arcivescovi metropoliti rende a volte difficile individuare un criterio preciso. Il Papa cerca i pastori adeguati alle situazioni, e li trova guardando al loro lato pastorale, probabilmente, prima che al modo in cui sono in grado di difendere la dottrina.
Oltre ai grandi temi, ci sono le sfide più squisitamente geopolitiche, come quelle dell’Asia, e in particolare del rapporto con la Cina. Primo Papa che ha avuto il permesso a sorvolare lo spazio aereo cinese, nonostante le aperture e le rinnovate relazioni grazie anche al nuovo governo cinese, Papa Francesco deve fare i conti con una situazione che per i sacerdoti fedeli a Roma resta difficile.
L’arcivescovo Paul Xiao Ze-Jiang di Guyiang, in Cina, avrebbe dovuto ricevere il pallio, ma non può a causa della situazione politica della Cina. Perché mentre la Santa Sede lo riconosce come arcivescovo di Guyiang, il governo cinese dice che è solo il vescovo di Guizhou, un circoscrizione creata dallo stesso governo cinese nel 1999 dai territori delle diocesi di Guiyang, Nanlong, la sola diocesi suffraganea di Guyiang, che tra l’altro non ha un vescovo sin dal  1952) e Shiqian (una prefettura apostolica che non ha un prefetto sin dal 2011.
C’è poi un pallio che è il risultato di un riordine amministrativo, quello dei greco cattolici ungheresi. Lo scorso 20 marzo, Francesco ha elevato l'Eparchia di Hajdúdorog per i cattolici di rito bizantino a Metropolia, con sede a Debrecen, e ha nominato monsignor Fülöp Kocsis, finora vescovo eparchiale di Hajdúdorog, primo metropolita: ha partecipato oggi alla celebrazione di benedizione dei pallii.
Il riordino di Papa Francesco non si era fermato qui: sempre lo scorso 20 marzo, aveva elevato l'Esarcato apostolico di Miskolc per i cattolici di rito bizantino ad Eparchia, rendendola suffraganea della Sede metropolitana di Hajdúdorog e ha nominato primo vescovo eparchiale Atanáz Orosz, finora esarca apostolico di Miskolc, trasferendolo dalla sede titolare di Panio; aveva eretto l'Eparchia di Nyíregyháza per i cattolici di rito bizantino, con territorio dismembrato dall'Eparchia di Hajdúdorog, rendendola suffraganea della Sede metropolitana di Hajdúorog e nominato amministratore apostolico sede vacante della medesima Eparchia Atanáz Orosz.
Così, in 46 pallii, la Chiesa di Papa Francesco prende forma. E i criteri sembrano vari: da una parte, il continuamento dell’opera di Benedetto XVI; dall’altra, la necessità di nuovi criteri pastorali, per un cambio di passo che Papa Francesco ritiene necessario proprio in quei posti dove più di tutti si è portata avanti la battaglia per l’identità; nella ricerca di questi nuovi profili pastorali, si è anche guardato direttamente a pastori senza alcuna consacrazione episcopale; e poi, in alcune scelte si leggono anche la prudenza diplomatica, e la necessità di alcuni riordini amministrativi. Così si presenta la Chiesa di Papa Francesco: variegata nelle posizioni, alla ricerca di una nuova pastorale, sospesa tra il rinnovamento e la tradizione. Una Chiesa in grado di “hacer lio,” come vuole il Papa, discutere e magari trovare nuove forme di presenza nel mondo.

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