ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 30 giugno 2015

La "non omelia" di Santa Marta

Prima Lettura  Gn 19, 15-29Il Signore fece piovere sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco.
Dal libro della Gènesi
In quei giorni, quando apparve l’alba, gli angeli fecero premura a Lot, dicendo: «Su, prendi tua moglie e le tue due figlie che hai qui, per non essere travolto nel castigo della città di Sòdoma». Lot indugiava, ma quegli uomini presero per mano lui, sua moglie e le sue due figlie, per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuori della città.
Dopo averli condotti fuori, uno di loro disse: «Fuggi, per la tua vita. Non guardare indietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne, per non essere travolto!».
Ma Lot gli disse: «No, mio signore! Vedi, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato grande bontà verso di me salvandomi la vita, ma io non riuscirò a fuggire sul monte, senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. Ecco quella città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù – non è una piccola cosa? – e così la mia vita sarà salva». Gli rispose: «Ecco, ti ho favorito anche in questo, di non distruggere la città di cui hai parlato. Presto, fuggi là, perché io non posso far nulla finché tu non vi sia arrivato». Perciò quella città si chiamò Soar.
Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Soar, quand’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenienti dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazione del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale.
Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore; contemplò dall’alto Sòdoma e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra, come il fumo di una fornace.
Così, quando distrusse le città della valle, Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe, mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato.

http://www.maranatha.it/Feriale/ordinD/13MARpage.htm
taiwan


FESTA ARCOBALENO DI TAIWAN: PIOVE FUOCO DAL CIELO. UN MORTO E 500 FERITI MA LA STAMPA CENSURA – VIDEO



Cercando su Google News la parola “Taiwan” possiamo trovare decine di articoli sulla tragedia che si è consumata due giorni fa nella città New Taipe, al nord dell’isola.
Durante una festa è scoppiato un incendio e più di 500 persone sono rimaste ferite. Una ragazza di vent’anni è morta. Le nostre preghiere sono rivolte a tutti i ragazzi e ai loro familiari: alcuni presentano ustioni sull’80% del corpo, 200 ragazzi sono in gravi condizioni e gli ospedali della zona sono super affollati.
L’incendio potrebbe essere stato causato da un effetto speciale calcolato male: mentre i ragazzi ballavano nella sala di un’acquapark, delle enormi nubi arcobaleno, lanciate sopra di loro, si sono incendiate e, cadendo al suolo, hanno avvolto i partecipanti.
Il video mostra il momento esatto in cui i ragazzi vengono avvolti dalle fiamme che piovono dall’alto e poi il panico e la fuga. La scena è veramente impressionante e se siete sensibili potete anche evitare di guardarla.
La notizia è ovviamente uscita sui maggiori quotidiani online di tutto il mondo. Quasi nessuno, però, ha riportato l’informazione che la festa era, nello specifico, qualcosa di simile ai “Gay Pride” occidentali.
L’unico importante sito che ha avuto il coraggio di dirlo è stato naturalnews.com. Per questo motivo il sito è stato attaccato come se avesse scritto chissà quale bestemmia.
Forse i media ufficiali non se la sono sentita di rovinare un’altra festa: quella che è iniziata subito dopo la legalizzazione dei matrimoni omosessuali negli Stati Uniti, il giorno prima della tragedia di Taiwan.
Forse gli arcobaleni che hanno invaso le strade e tutti i social network non avrebbero avuto lo stesso significato se la gente avesse saputo che era stato proprio un arcobaleno a scatenare l’inferno di fuoco piovuto sopra centinaia di ragazzi.
Così i quotidiani hanno preferito non indagare troppo, limitandosi a scrivere di un anonimo “color party” (festa dei colori) finito in tragedia; difficilmente i lettori avrebbero associato il color party al rainbow party, la festa dell’arcobaleno.
Nell’isola di Taiwan la popolazione non è ancora “moderna” e “avanzata” come la nostra e quindi un vero e proprio Gay Pride avrebbe rischiato di scandalizzare l’opinione pubblica.
Ma le prove che si trattasse di una festa omosessuale, nonostante il titolo meno esplicito, sono molteplici.
I media asiatici come newsplus.my parlano proprio di una “festa arcobaleno” (abbiamo tradotto con Google Translate ma la stessa traduzione è stata riportata anche da Natural News) e dei festeggiamenti per la legge sulle nozze gay americane. Notizie simili si trovano sull’articolo del sito Nanzao.com.
Fuori dall’edificio sono ancora ben visibili gli striscioni dai colori arcobaleno. Anche se l’evento non è stato spinto in maniera diretta a causa della cultura conservatrice dell’isola, i giovani sanno riconoscere bene il simbolismo dell’arcobaleno nello stesso giorno in cui, in diverse città di tutto il mondo, si festeggiava l’orgoglio gay.
In un video che pubblicizzava l’evento possiamo vedere, in alto a sinistra, tra i vari loghi che sponsorizzavano la manifestazione, quello di uno spermatozoo.
Si tratta dell’azienda New Urban Male di Taiwan.
Sulla loro pagina Facebook, proprio il 27 giugno avevano caricato, come immagine del profilo, un orsetto con i colori dell’arcobaleno e la scritta “Love Wins”, l’amore vince, che è stato lo slogan ufficiale dei festeggiamenti per la legge sui matrimoni omosessuali degli USA.
Ora hanno cambiato anche la copertina e, al posto dei due ragazzi a petto nudo che giocano, c’è una foto in cui è scritto che NewUrbanMale è stato l’abbigliamento ufficiale del Manhunt International 2012, un concorso internazionale di modelli omosessuali.
Sotto: alcune foto del Manhunt International.
Ovviamente non tutti i ragazzi che si trovavano nel luogo del disastro erano omosessuali e forse neanche tutti conoscevano il motivo del party.
Però, com’è sembrato evidente al sito Natural News, dal quale abbiamo tradotto la maggior parte delle informazioni che avete letto, il tono da orgoglio omosessuale c’era tutto.
Ma allora perché i giornali hanno evitato di dirlo? Non bisognava rovinare l’intensa propaganda arcobaleno degli ultimi giorni?

Matrimonio Gay negli Stati Uniti, i vescovi USA criticano la sentenza

Arcivescovo Kurtz di Louisville, presidente della Conferenza Episcopale USA, North American College, ottobre 2014
Foto: Bohumil Petrik

La Casa Bianca colore arcobaleno. L’esultanza di Obama. E le parole, ferme e decise, dell’Arcivescovo Joseph E. Kurtz, di Louisville, presidente della Conferenza Episcopale USA: “Nonostante ciò che una minuscola maggioranza della Corte Suprema americana possa dichiarare in questo momento della storia, la natura della persona umana e del matrimonio rimane intatta e intangibile.” I vescovi USA si preparano così alla battaglia culturale, dopo aver perso la battaglia giuridica: con 5 voti a 4, la Corte Suprema USA ha stabilito il 26 giugno il diritto costituzionale al matrimonio omosessuale.
La sentenza si basa sul XIV emendamento della Costituzione USA, che sottolinea come nessuno Stato “farà o metterà in esecuzione una qualsiasi legge che limiti i privilegi o le immunità dei cittadini degli Stati Uniti”, né “potrà privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge…né negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi”.
Il matrimonio omosessuale è legale in 37 Stati (più il District of Columbia, il distretto della capitale Washington), ma non è concesso in 13. Adesso, secondo la sentenza della Corte Suprema USA, il sistema legale attualmente in auge nei 13 Stati che ancora non riconoscono i matrimoni dello stesso sesso sarebbe “incostituzionale” e le leggi in esso contenute “restrittive.”
Sono stati mesi di dibattito alla Corte Suprema, che fino a oggi aveva evitato di pronunciarsi sul diritto dei singoli Stati di vietare le nozze tra omosessuali, anche al momento di riconoscerle a livello federale, nel 2013.
in questa discussione, i media hanno fatto la loro parte. Alla Corte Suprema USA sono arrivati anche gli “amicus brief” (relazioni di soggetti che non sono parte del processo, ma offrono informazioni sul processo) delle multinazionali, che volevano dimostrare come non approvare il matrimonio omosessuale fosse contro l’economia. Il peso dei media ha avuto la sua parte in una decisione presa con una maggioranza risicatissima.
I vescovi USA se l’aspettavano. E così l’arcivescovo Kurtz ha diffuso subito un comunicato a nome dei vescovi USA. “Gesù Cristo, con grande amore, ha insegnato senza ambiguità che sin dall’inizio il matrimonio è l’unione a vita tra un uomo e una donna. Come vescovi cattolici, seguiamo il Signore e continueremo a insegnare e agire secondo questa verità.”
L’arcivescovo ha comparato la decisione della Corte Suprema con la Roe vs. Wade del 1973, che stabilì il diritto costituzionale all’aborto. Anche in quel caso, la sentenza subì le pressioni dei media, e tra l’altro la donna che fu oggetto della sentenza non ha mai abortito e ora è una attivista pro-life. Ha sottolineato l’arcivescovo Kurtz che “nessuna delle decisioni è fondata sulla verità”, e ha insistito che quella della Corte Suprema non  l’ultima parola, perché il matrimonio come istituzione riguarda madri, padri e bambini, e la legge ha “il dovere di sostenere” questo fatto.
Come nel 1973, “oggi la Corte sbaglia ancora. È profondamente immorale e ingiusto che il governo dichiari che due persone dello stesso sesso costituiscano un matrimonio.”

Il matrimonio gay In Nigeria 'male,' dovrebbero rimanere illegale, leader religiosi Say Dopo Corte Suprema

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Un gay pride di bandiera vola sotto la bandiera degli Stati Uniti nel corso di una celebrazione del punto di riferimento la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha legalizzato il matrimonio gay a livello nazionale Venerdì. Reuters
Diversi leader religiosi in Africa hanno spinto in questo fine settimana per la Nigeria a mantenere la sua linea dura sui matrimoni gay, nonostante la recente decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di di legalizzare esso. Tra i più vocale era Timothy Opoola, presidente dell'Associazione cristiana della Nigeria, che ha condannato il Venerdì sentenza, definendola il male e "contro il proposito di Dio," ha riferito di tutta l'Africa .
"È un peccato che l'America - che si chiama il paese di Dio - è ora di andare contro la volontà di Dio", ha detto Opoola, anche un professore di matematica presso l'Università di Ilorin. "E 'stato discusso in Nigeria prima, e la posizione del paese è ancora il meglio che non dovremmo mai permettere il matrimonio gay. Non dovremmo mai permettere lesbismo. Non dobbiamo mai permettere tutto ciò che è male".
La Nigeria ha notoriamente regole severe contro l'omosessualità. Nel 2014, l'allora presidente Goodluck Jonathan ha firmato una legge che autorizza pene detentive fino a 14 anni per le persone in unioni dello stesso sesso e di 10 anni per qualsiasi "persona o gruppo di persone che sostiene la registrazione, il funzionamento e il sostentamento di club gay, delle società , le organizzazioni, le processioni o riunioni ", ha riferito il Washington Post . L'introduzione della legge lo scorso gennaio ha portato a decine di arresti e denunce di tortura, così come una denuncia da parte delle Nazioni Unite.
Il reverendo Nicholas Okoh, arcivescovo di Abuja e Primate della Chiesa della Nigeria, ha detto Domenica che i nigeriani non dovrebbero sostenere il matrimonio gay perché contraddice i piani di Dio. Egli ha aggiunto che il matrimonio dovrebbe essere tra un uomo e una donna, e "quelli che stanno percorrendo quella strada del matrimonio tra persone dello stesso sesso sono percorrendo il sentiero di un vicolo cieco", ha riferito il Guardian .
Leader cristiani non sono gli unici che hanno parlato contro la sentenza della Corte suprema. Alhaji Ibrahim Abdullahi, Segretario Generale della Associazione islamica Missionarie della Nigeria, ha detto a tutta l'Africa che il matrimonio tra persone dello stesso sesso era immorale e dovrebbe essere condannato in tutto il mondo. "Se l'America ora si vede come una nazione che può fare quello che vuole senza mettere in considerazione l'aspetto morale di tale azione, allora è davvero triste", ha aggiunto.
(traduzione automatica)
Il ribaltamento dei principi non negoziabili
di Stefano Fontana29-06-2015

La sentenza della Corte suprema americana del 26 giugno scorso che obbliga gli Stati dell’Unione a riconoscere il matrimonio omosessuale è tragicamente importante. Essa segna il passaggio alla non negoziabilità dei principi contrari ai principi non negoziabili. Non è un gioco di parole. I principi non negoziabili non solo vengono contestati ma vengono dichiarati non negoziabili i principi contrari. Mentre molti cattolici non digeriscono la non negoziabilità dei principi non negoziabili, gli altri si accaparrano proprio quella – la non negoziabilità – e la fanno propria. Quello che noi buttiamo via per pararci le spalle dall’accusa di integralismo, gli altri fanno propria senza paura di essere accusati di integralismo.
La società ha comunque bisogno di principi non negoziabili, ossia ha bisogno di assolutezza. Sono stati combattuti i “nostri” principi non negoziabili e noi non li abbiamo sufficientemente difesi perché abbiamo pensato che la società non avesse più bisogno di assolutezza per non sembrare integralisti, ma ai nostri sono stati sostituiti i “loro”, che godono ugualmente di non negoziabilità. Anche quando quello all’aborto è stato considerato un diritto si era varcata quella linea rossa. Anche quando si è parlato – al Cairo, a Pechino e poi dappertutto – di “diritti sessuali e riproduttivi” si era varcata quella soglia rossa. Erano nuovi principi non negoziabili sulla base dei quali vietare anche l’obiezione di coscienza. Ma con la sentenza della Corte suprema americana del 26 giugno la cosa appare perfino più dirompente. Ma quello americano non era un buon esempio di una laicità aperta? Di una laicità moderata che, a differenza del giacobinismo francese, non vuole diventare a sua volta una nuova religione? Eppure, anche in America lo Stato si pone non in posizione di neutralità ma di assolutezza: il riconoscimento del matrimonio omosessuale non è negoziabile.
La cosa è molto interessante perché evidenzia che i soggetti che lottano per la secolarizzazione non si accontentano, ma si fanno guidare dai principi. E questo proprio quando tra i cattolici c’è una grande tentazione di mettere da parte i principi e firmare col mondo una tregua. Tregua unilaterale, perché invece il mondo continua a farsi guidare dai “suoi” principi. Il mondo continua ad avere chiaro il progetto strategico, che è di principio. Continua ad essere esigente e coerente e a non fermarsi mai fino a che ottiene il massimo. 
La natura della sentenza americana ha questo significato. Intenderla solo come frutto occasionale di una serie di contingenze o limitarsi a valutarne il significato solo come vulnus alla democrazia perché i giudici della Corte sono nominati e non eletti, oppure, anche, considerarla solo come una negazione del diritto alla libertà religiosa è riduttivo. 
Nei confronti del processo di secolarizzazione i cattolici sono stati troppo ottimisti. Hanno coltivato nei suoi confronti idee che oggi si rivelano non solo superate ma sbagliate: la possibilità di una “fede secolare democratica” comune, la possibile convergenza di tutti verso il riconoscimento di una comune natura umana, l’esistenza di una laicità democratica aperta e rispettosa. Questo ed altro essi si sono sognati, non tenendo conto, come avvertiva Cornelio Fabro, che “secolarizzazione e secolarismo” sono la stessa cosa e non c’è secolarizzazione che non aspiri a diventare secolarismo. Essa non dorme di notte fino a che non lo diviene. Nella secolarizzazione c’era e c’è qualcosa di più, un’anima “religiosa” che pretende tutto e che procede indefettibilmente per principi, anche quando tatticamente sembra accontentarsi di poco. Ormai si tratta della realtà o del suo rovescio. Davanti c’è un avversario che procede per principi mentre spesso ci si illude di poter scendere a patti con esso.
La Corte suprema americana ha scritto, per dirla con le parole che Christopher Dawson ha adoperato per la rivoluzione francese, “una nuova religione civica che avrebbe avuto uno spirito interamente totalitario e che non avrebbe riconosciuto alcun dovere superiore al servizio allo Stato”. Su questa base c’è da attendersi, come nel periodo del Terrore, una “guerra civile religiosa” durante la quale saranno puniti, come disse allora Saint-Just, “non solo i traditori ma anche gli indifferenti”.
Matrimonio gay? In Austria si fa ma non si dice
di Tommaso Scandroglio29-06-2015
In Austria ci sono i matrimoni gay ma non si chiamano così
La felix Austria e anche la gaia Austria, dato che dal primo gennaio del 2010 le coppie omosessuali possono contrarre legittime unioni civili. Si tratta di un vero e proprio matrimonio: ci si unisce davanti ad un ufficiale di stato civile, l’unione per sua natura è vitalizia, c’è l’obbligo in capo ai conviventi di coabitare sotto lo stesso tetto, di essere fedeli l’uno all’altro (o l’una all’altra), di assistere il para-coniuge in tutto e di collaborare al menage domestico. Inoltre esiste la possibilità di accedere all’adozione, lo scioglimento del vincolo è formalizzato e chi è colpevole della separazione deve pagare il mantenimento dell’altro compagno. Insomma dal punto di vista giuridico un vero e proprio matrimonio. Capita però che il 18 giugno scorso il Parlamento austriaco abbia bocciato un progetto di legge che prevedeva la piena equiparazione dei diritti di conviventi omosessuali ai coniugi, definita come «diritto umano di matrimonio ugualitario». In poche parole i parlamentari hanno detto no al “matrimonio” gay. E i “no” sono stati tanti: 110 contro 26 voti invece favorevoli.
Qualcosa non quadra. Il Parlamento cinque anni fa ha approvato sostanzialmente il “matrimonio” omosessuale, ma oggi si rifiuta di farlo dal punto di vista formale. Il passo sarà pure significativo: chiamare “coniuge” in punta di diritto chi è invece solo convivente o civilmente unito è uno scarto semantico che ha la sua importanza perché rimanda non tanto ad un insieme di diritti che gli omo-conviventi hanno già, bensì alla corruzione di un immaginario collettivo che, si vede, i parlamentari austriaci in modo molto puritano vogliono nonostante tutto salvaguardare. Sarà forse una questione di onore nazionale o di falso senso del pudore da preservare. Detto questo, la foglia di fico di quei 110 no alle “nozze” gay, pur da elogiare, non riesce a nascondere la dinamica schizoide che soggiace alle scelte dell’ordinamento austriaco. Sì ai diritti matrimoniali alle coppie omosessuali, no al “matrimonio” omosessuale. 
Viene allora da chiedersi: perché tanta opposizione a qualificare con il titolo di "matrimonio" ciò che da punto di vista sostanziale giuridico è già matrimonio? Sembra un po' quel riflesso negazionista del tossicodipendente che dice: «Io tossico? Saranno gli altri ad esserlo. Non io che mi faccio una dose solo ogni tanto». E così forse sarà parso agli onorevoli di Vienna che cambiar di nome alle unioni civili in “matrimonio”, lo avrebbe fatto esistere per davvero questo “matrimonio” gay. Negare tale appellativo avrebbe di contro convinto tutti che in Austria i gay non possono “sposarsi”. É un po’ quello che accadeva con la mafia in Sicilia. Per decenni i morti ammazzati non si contavano, ma quasi tutti erano concordi che la mafia in Sicilia non esistesse.
D’altronde la lezione di Shakespeare è sempre valida: «Cosa c'è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva sempre il suo profumo». Nel nostro caso, anche se li chiamiamo unioni civili odorano di “matrimonio” perché i diritti sono i medesimi. Ma la riflessione del vecchio William vale anche a rovescio. Può un’unione civile, etero od omo che sia, profumare come il matrimonio? No, sarebbe assegnare indebitamente un nome a una realtà che non ha nulla a che fare con il significato di quel nome. Come chiamare “cerchio” un quadrato. Potete pure farlo, ma ogni volta che lo farete starete semplicemente mentendo, perché la realtà dei fatti è un’altra.
La vicenda austriaca insegna che non si può giocare con le parole. Chi vuole assegnare diritti di convivenza a soggetti che vivono insieme, mima il matrimonio. E sbaglia perché è solo il matrimonio ad essere l’unica forma di convivenza lecita moralmente – perché inscritta nella natura umana – e legittima giuridicamente qui in Italia – perché l’unica riconosciuta dalla nostra Costituzione.

Contro il cosiddetto “matrimonio” tra invertiti, dal Texas si alza una voce fuori dal coro della pazzia  –  di Paolo Deotto

Redazione
Il ministro della Giustizia del Texas, Ken Paxton, ha definito la sentenza della Corte Suprema “una decisione illegale” e viziata di “una corte di attivisti”, che viola il diritto di libertà religiosa e quindi il diritto dei funzionari pubblici di rifiutare atti contrari alle loro convinzioni religiose  = = = = = = =
di Paolo Deotto
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zzzztxsMentre gli Stati Uniti, guidati da quello che è senza dubbio attualmente l’uomo più irresponsabile e pericoloso del mondo, hanno appena aggiunto, con la sentenza della Corte Suprema che vuole imporre a tutti gli Stati dell’unione l’obbligo di celebrare le grottesche “nozze” tra persone malate di omosessualità, un’altra perla alla collana diabolica della loro corsa alla rovina, leggiamo su Ansa e su Il Giornale una notizia confortante.
Ken Paxton, ministro della Giustizia del Texas, ha definito la sentenzauna decisione illegale” e viziata di “una corte di attivisti”.
In particolare Paxton ha sottolineato che la Corte Suprema, che ha “creato” un nuovo diritto costituzionale, con la sua decisione lede il diritto alla libertà religiosa, garantito dalla Costituzione degli Stati Uniti, perché impone ai funzionari addetti alle celebrazioni matrimoniali di compiere atti contrari alle loro convinzioni religiose.
Pertanto in Texas i funzionari pubblici potranno continuare a rifiutarsi di celebrare e trascrivere matrimoni tra persone dello stesso sesso. Poiché questi funzionari potranno subire denunce, il ministro della Giustizia texano ha garantito che godranno di un forte sostegno legale. “Numerosi avvocati – ha concluso – sono pronti ad assistere i loro diritti religiosi gratis ed io personalmente farò tutto quanto in mio potere per difenderli”.
Non è molto, ma è già qualcosa. E si sa che spesso c’è bisogno di chi rompa per primo la barriera del conformismo per avviare una salutare reazione a catena. Il Texas, che tra l’altro è uno dei più popolosi Stati dell’Unione, ha rotto questa barriera, che peraltro è molto fragile, perché non è costruita su materiali solidi e sicuri, ma piuttosto sull’appannamento dei cervelli, sulla resa alle mode più pazzesche, sulla paura ad essere bollati come “voci fuori dal coro”. Il coro tranquillizza, il belato è unico, e il capo-branco dalla Casa bianca dirige e guarda con benevolo sorriso i sudditi fedeli.
Il Texas ha un guizzo di dignità da cui potrebbe nascere molto. Staremo a vedere. Intanto è utile che non una voce qualsiasi, ma una voce autorevole – il ministro della Giustizia – evidenzi la vera caratteristica di una Corte che in teoria dovrebbe garantire le libertà fondamentali, ma che in realtà è “una corte di attivisti”Come la paura e il conformismo sono contagiosi, può esser tale anche il coraggio. Di certo possiamo dire che una prima salutare ribellione alla satanica ossessione omosessualista della Casa Bianca non può che portare effetti benefici, anche se questi effetti si limitassero al solo Stato del Texas. Se un governo federale ha dimostrato da tempo di aver tradito non solo i suoi cittadini, dando spazio ed esaltando le cose più immonde, in un lucido delirio di autodistruzione, un governo statale mostra invece di possedere ancora raziocinio e di non accettare di farsi travolgere dalla marea di fango che da Washington ha già infettato tanta parte del mondo.
Proprio oggi Carlo Manetti ci propone un articolo molto interessante e approfondito (clicca qui), utilissimo per capire cosa realmente sia la Corte Suprema degli Stati Uniti. La tanto conclamata patria della libertà si va sempre più palesando come il più grande pericolo per l’umanità.
Dal Texas arriva un  segnale di dignità e di speranza. Buona fortuna al Texas!
http://www.riscossacristiana.it/contro-il-cosiddetto-matrimonio-tra-invertiti-dal-texas-si-alza-una-voce-fuori-dal-coro-della-pazzia-di-paolo-deotto/

Chi sono e cosa rappresentano i nove giudici della Corte Suprema USA  –  di Carlo Manetti

Redazione
Il motto del parlamentarismo britannico del XVIII secolo era: «Il Parlamento britannico può tutto, salvo cambiare l’uomo in una donna». Puro buon senso. Ma la pazzia supera agilmente anche il più ovvio buon senso  = = = = = = =
di Carlo Manetti
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zzzzcrtsprmVenerdì scorso, mentre il mondo subiva una delle giornate in cui maggiormente si diffondeva a livello planetario (dalla Francia alla Tunisia, dalla Somalia al Kuwait, fino alla cittadina curda siriana di Kobane) la violenza del terrorismo islamico, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha sentenziato che nessuno Stato dell’Unione potrà, d’ora innanzi, rifiutarsi di riconoscere a coloro che hanno celebrato il cosiddetto “matrimonio” omosessuale i medesimi diritti di cui godono le persone regolarmente sposate. A favore di questa decisione hanno votato i quattro giudici notoriamente liberal (Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan), ai quali si è aggiunto, a sorpresa (ma non troppo), Anthony Kennedy, considerato un “conservatore”; contro hanno votato, invece, il presidente della Corte, John Glover Roberts, ed i giudici Antonin Gregory Scalia, Clarence Thomas e Samuel Alito, i quali, tutti e quattro, hanno redatto congiuntamente un parere in dissenso, per rimarcare quanto, a loro avviso, questa decisione rappresentasse un abuso ed un eccesso di potere da parte della Corte stessa.
Ruth Bader Ginsburg, nata a Brooklyn il 15 marzo 1933, rappresenta uno dei vertici dell’ideologia liberal in magistratura. Ha collaborato, come volontaria, con l’ACLU (American Civil Liberties Union, Unione Americana per le Libertà Civili), potente organizzazione non governativa tesa ad indurre i giudici e, più in generale, l’opinione pubblica a dare una interpretazione libertaria e laicista della Costituzione statunitense; le sue battaglie vanno dalla difesa della libertà di espressione (anche e soprattutto nelle sue forme più estreme) al tentativo di eliminare ogni simbolo religioso nella sfera pubblica; dalla lotta a favore dell’aborto a quella per la strenua difesa dell’ideologia gender; dalla liberalizzazione di ogni tipo di sostanza stupefacente all’immigrazionismo più estremo… Fu nominata alla Corte Suprema da Bill Clinton e prestò giuramento il 10 agosto 1993, come primo Giudice da lui scelto.
Stephen Breyer, nato a San Francisco il 15 agosto 1938, è uno dei più compiuti teorici dello sfruttamento a fini politici del diritto, che va sotto il nome di «pragmatismo giuridico»; nel suo libro «Libertà attiva: interpretare la nostra Costituzione democratica», attribuisce alla magistratura (ed a quella della Corte Suprema, in modo particolare) un ruolo attivo, oltre il dettato stesso delle norme. In questa visione, i padri costituenti non hanno lasciato tanto un insieme di norme e/o di principi, quanto un regime democratico, che i giudici hanno il compito di preservare ed incrementare, in una logica di progressiva attuazione dell’ideologia liberal. I suoi testi rappresentano il grimaldello giuridico per scardinare quel poco che resta di società naturale. Ha svolto una brillante carriera, tanto forense, quanto giudiziaria, nel corso della quale è stato anche procuratore speciale nel caso Watergate nel 1973. È stato scelto come Giudice della Corte Suprema da Bill Clinton ed ha prestato giuramento il 3 agosto 1994.
Sonia Sotomayor, nata a New York il 25 giugno 1954 da una famiglia portoricana di umili origini, superando non poche difficoltà, compì una brillante carriera giudiziaria. Questi suoi successi personali, la sua origine etnica ed i problemi, soprattutto di carattere economico, superati, uniti all’adesione all’ideologia liberal, le hanno dato una visione dell’uomo ai limiti del determinismo social-razziale; ripeteva spesso, anche in occasioni ufficiali ed in consessi universitari la frase che l’ha resa celebre: «Spero che una saggia donna latina, con la ricchezza delle sue esperienze, sia in grado, più spesso che no, di raggiungere una conclusione migliore rispetto a un uomo bianco che non ha vissuto quella vita»; questa è divenuta la sintesi della sua filosofia giuridica e di vita, con conseguenze anche molto pesanti sulla sua attività di giudice, fino a farle emettere pronunce, a dir poco, discutibili, come quella del caso Ricci v. De Stefano, in cui annullò un esame per la promozione ad ufficiale di un certo numero di pompieri perché i vincitori del concorso erano tutti bianchi o ispanici e, tra loro, non c’era nessun nero. Barack Obama l’ha nominata Giudice della Corte Suprema ed ella ha giurato il 9 agosto 2009.
Elena Kagan, nata a New York il 28 aprile 1960, a parte un generico orientamento di sinistra, non si segnala ideologicamente per nulla di specifico (ha anche al suo attivo poche pubblicazioni), fatta eccezione che sul tema dell’omosessualismo. Come preside della facoltà di giurisprudenza di Harvard, ha sempre escluso dall’Università i reclutatori militari, ritenendoli intrisi di una cultura contraria all’omosessualismo[1]; ha anche sostenuto una causa contro l’«emendamento Solomon», la legge che vietava i finanziamenti federali alle facoltà che discriminavano i reclutatori militari. Barack Obama l’ha elevata al rango di Giudice della Corte Suprema ed ella ha giurato il 7 agosto 2010.
Discorso diverso rispetto a tutti i precedenti vale, invece, nei confronti di Anthony Kennedy, nato a Sacramento, in California, il 23 luglio 1936. Gran parte della sua carriera di avvocato si è svolta nel suo Stato natale, dove ha potuto conoscere Ronald Reagan e collaborare con lui, quando questi era Governatore, all’emanazione di una tassa statale. Le sue posizioni, in campo giudiziario, non sono mai state conservatrici, anche se, in alcuni casi, ha rifuggito alcuni eccessi liberal; ha sempre mantenuto un atteggiamento sostanzialmente progressista; si pensi, a titolo di esempio, alla sua posizione sull’aborto: è favorevole al riconoscimento di tale pratica criminale come diritto soggettivo della donna, salvo poi essere contrario al cosiddetto «aborto a nascita parziale»[2]. Sulle questioni più specificamente riguardanti il tema dell’omosessualismo, la sua posizione è sempre stata fortemente liberal: ha inquadrato il problema unicamente sotto la dimensione della privacy personale, non ha riconosciuto la benché minima rilevanza sociale al problema e, quindi, ha sempre rifiutato di considerare un qualunque riferimento all’oggettiva natura umana. Quando, il 30 novembre 1987, Ronald Reagan lo ha nominato Giudice della Corte Suprema, il Presidente usciva da un momento difficile: il suo primo candidato, Robert Bork, era stato respinto dal Senato ed il suo secondo, Douglas Ginsburg, aveva dovuto rinunciare, dopo aver ammesso l’uso giovanile di marijuana; ecco che, politicamente, la scelta di un progressista moderato avrebbe potuto rafforzare la Presidenza, ricucendo lo strappo con il Senato, che, infatti, approvò, il 3 febbraio 1988, Kennedy con 97 voti a 0. Egli giurò il 18 febbraio del medesimo anno. Ecco che la sua decisione di votare a favore dell’imposizione del cosiddetto “matrimonio” omosessuale risulta molto meno sorprendente di quanto svariati commentatori, soprattutto europei, abbiano voluto rappresentare.
Tutti e quattro i Giudici che hanno votato contro l’imposizione del cosiddetto “matrimonio” omosessuale sono membri (salvo il Presidente John Roberts, la cui appartenenza è dubbia, ma la cui vicinanze ideale è certa) della Società Federalista di Diritto e Politiche Pubbliche Studi, più nota semplicemente come Società Federalista. Nata, nel 1982, come associazione di studenti, che non si riconoscevano nel taglio fortemente liberal della maggioranza delle università di giurisprudenza statunitensi, fonda tutta la sua dottrina giuridica sul principio secondo il quale il giudice deve applicare la legge e non le sue preferenze personali: tra l’ideologia del giudice e la volontà del legislatore, nelle sentenze, deve sempre prevalere la seconda sulla prima; è l’interpretazione diametralmente opposta a quella liberal, che vede, invece, nel diritto unicamente uno strumento tecnico per l’affermazione e la realizzazione delle proprie idee politiche.
John Glover Roberts, nato a Buffalo il 27 gennaio 1955, è un giudice di orientamento conservatore, vicino, se non affiliato, alla Società Federalista, che, però, non ha mancato di difendere, come avvocato, attivisti omosessualisti. Ha svolto gran parte della sua carriera giudiziaria in collaborazione con Presidenti repubblicani. È stato nominato Presidente della Corte Suprema, in sostituzione del defunto William Rehnquist (1924-2005), per molti versi suo maestro e con cui ha collaborato, dal Presidente Bush figlio ed ha giurato il 29 settembre 2005.
Antonin Gregory Scalia, nato a Trenton l’11 marzo 1936, è considerato, dopo la morte del giudice Rehnquist, l’anima dei giudici conservatori, anche se ha una posizione più favorevole ad un forte potere federale rispetto al sentimento generale degli ambienti conservatori statunitensi. Il suo punto di riferimento politico è Alexander Hamilton (1755-1804), guida ideale del Partito Federalista, di cui George Washington (1732-1799) è stato l’esponente più in vista; Hamilton era favorevole ad un forte potere centrale (federale, appunto) e ad una Banca centrale pubblica, perno di un sistema monetario unificato, contro le posizioni di Thomas Jefferson (1743-1826). Scalia è cattolico, ha nove figli, di cui uno sacerdote, ed è acerrimo nemico di ogni venatura libertaria all’interno del conservatorismo statunitense; è sempre stato contrario all’aborto ed all’omosessualismo, sotto qualunque forma. Ronald Reagan lo ha chiamato alla Corte Suprema, dove ha giurato il 26 settembre 1976.
Clarence Thomas, nato a Pin Point il 23 giugno 1948, è un giudice conservatore, anche se non ha la granitica coerenza di Scalia. In tema di aborto, ad esempio, ritiene che la Costituzione non se ne occupi e che, quindi, la legislazione debba essere rimessa ai singoli Stati; in tema di omosessualismo, la sua posizione è analoga. Il suo voto contrario, quindi, non è tanto dettato dal fatto che il cosiddetto “matrimonio” omosessuale violi la Costituzione, quanto dal fatto che l’argomento, non essendo trattato, deve essere rimessa alla competenza dei singoli Stati e che, dunque, la pronuncia di venerdì della Corte viola i diritti degli Stati stessi. Ritiene che il diritto naturale sia una sorta di background della Costituzione, senza, però, una sua diretta applicabilità. È stato chiamato alla corte suprema da Bush padre ed ha giurato il 23 ottobre 1991.
Samuel Alito, nato a Trenton il 1° aprile 1950, ha svolto una brillante carriera come magistrato e come avvocato; in quest’ultima qualità ha lavorato, per buona parte degli anni ‘80, al servizio del governo federale. È contrario all’aborto ed all’omosessualismo, in forza tanto dell’interpretazione non ideologica della Costituzione, quanto della sua Fede cattolica. È stato chiamato alla corte suprema da Bush figlio ed ha giurato il 31 gennaio 2006.
Il processo di degiuridicizzazione, che, negli ultimi decenni, ha coinvolto tutto l’Occidente, segna, con questa sentenza, un suo acme: la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, nello scontro tra chi vuole far prevalere la propria ideologia sulla legge e chi, invece, ritiene la Costituzione al di sopra delle ideologie individuali dei giudici, ha fatto prevalere i primi. Poiché questo significa, come era facilmente prevedibile, la prevalenza dell’ideologia sulla natura e sulla realtà oggettiva di fatto, l’arbitrio dell’ideologia dominante diviene, concettualmente, senza limiti. Il delirio liberale oggi rifiuta, coerentemente con le sue stesse premesse, anche i limiti di natura che, almeno alle sue origini pareva riconoscere. Il motto del parlamentarismo britannico del XVIII secolo era: «Il Parlamento britannico può tutto, salvo cambiare l’uomo in una donna»; la Corte Suprema degli Stati Uniti si arroga il diritto di fare anche questo.
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[1] Nelle forze armate all’epoca (primi anni 2000) vigeva ancora la cosiddetta politica «don’t ask, don’t tell» («non chiedere, non dire»), secondo la quale, poiché gli omosessuali, per legge, dovevano essere espulsi dalle forze armate, ma, per questioni politiche, questo sarebbe risultato “inopportuno”, i comandi superiori non si informavano sulla vita privata e sulle tendenze dei militari, se questi evitavano ogni atteggiamento di ostentazione delle loro eventuali tendenze contro natura. Tale politica di compromesso era, agli occhi di Elena Kagan, non sufficientemente favorevole agli omosessuali e, soprattutto, all’omosessualismo.
[2] È, forse, la più impressionante e barbara forma di aborto: consiste nel decapitare il bambino non ancora completamente nato.
http://www.riscossacristiana.it/chi-sono-e-cosa-rappresentano-i-nove-giudici-della-corte-suprema-usa-di-carlo-manetti/

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