Commento all’Enciclica “Laudato sì” di papa Francesco
Alcune premesse
Prima di iniziare l’analisi dell’Enciclica Laudato sì di papa Francesco occorre fare alcune premesse sul lavoro che ci accingiamo a svolgere e sul Documento.
L’analisi dell’Enciclica che vogliamo offrirvi sarà schematica, perché vuole essere utile e servire coloro che avrebbero difficoltà a leggere per intero il testo. Costoro, infatti, corrono un serio rischio, quello di fidarsi dei “media” ufficiali che spesso sono guidati solo dal “politicamente” e “teologicamente corretto”.
L’Enciclica è complessa includendo passaggi positivi e passaggi problematici. Ovviamente si tratta di un’enciclica, per cui, nell’esaminarla e commentarla occorre molta cautela e molto rispetto; senza però tacere alcune considerazioni su passaggi che abbiamo già definito “problematici”.
Un lavoro di questo tipo (individuazione dei passaggi positivi e di quelli problematici) farà storcere il naso a molti. Lo farà storcere a coloro che si schierano all’interno di un certo infallibilismo pontificio (quando il Papa parla non può mai dire cose errate) e di un certo normalismo ecclesiale (bisogna sempre comunque evidenziare il bene nei pronunciamenti pontifici trascurando ciò che costituisce problema).
Ma un lavoro di questo genere farà (speriamo di no) storcere il naso anche a coloro che ritengono che se un pontificato nel suo insieme esprime difficoltà e ambiguità bisognerebbe sempre e comunque evidenziarne gli spunti problematici e mai (per strategie particolari) evidenziarne quelli positivi. Posizione –questa- che Il Cammino dei Tre Sentieri rifiuta, non solo perché stiamo parlando di insegnamenti magisteriali (in questo caso di insegnamenti magisteriali pontifici), ma anche perché se si possono (e si devono!) razionalmente utilizzare giuste e corrette affermazioni e considerazioni provenienti anche da autori con convinzioni tutt’altro che buone, a maggior ragione non possono essere taciute le affermazioni di chi è investito dell’autorità di Vicario di Cristo.
Passiamo adesso ad una premessa riguardante l’Enciclica.
Con il rispetto che ci è dovuto ci chiediamo perché –oggi- un’enciclica avente come argomento la questione ambientale quando ben altri sono i problemi che attanagliano l’umanità e la Chiesa. Ci riferiamo alla grande –enorme- questione della Vita di Grazia; e quindi alla questione della diffusione del peccato e consequenzialmente del serio rischio della perdita di molte anime. Parlare dell’eventuale rischio che corre l’ambiente, sorvolando (come accade spesso nella pastorale contemporanea) su un altro rischio -molto più grave!- che è quello che corrono tante anime, può fornire un ulteriore indizio della deriva verso cui il cattolicesimo contemporaneo sembra andare, una deriva di mondanizzazione e dineopaganizzazione. Papa Francesco disse nella Santa Messa con i cardinali, il 14 marzo 2013: «(…) se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una ONG assistenziale, ma non la Chiesa, Sposa del Signore». Parole bellissime e verissime. Ma –ci chiediamo- un’enciclica come Laudato sì non fa correre il rischio di scambiare la Chiesa per una ONG? Non spinge a pensare che tutto sommato per la Chiesa contemporanea la “salvezza” esclusivamente terrena ha ormai preso il sopravvento riducendo l’annuncio cristiano ad un moralismo sterile e umanista?
La Chiesa è tenuta prima di tutto alla salvezza delle anime (salus animarum, suprema lex) e –come sempre ha affermato la Teologia Cattolica- la salvezza di una sola anima glorifica molto di più Dio della salvezza dell’universo intero. San Tommaso dice chiaramente: «Il bene soprannaturale di uno solo è superiore al bene naturale di tutto l’universo» (Summa Theologiae I-II, q.113, a.9).
C’è un passaggio dell’Enciclica (n.211) che dice così: «Solamente partendo dal coltivare solide virtù è possibile la donazione di sé in un impegno ecologico. Se una persona, benché le proprie condizioni economiche le permettano di consumare e spendere di più, abitualmente si copre un po’ invece di accendere il riscaldamento, ciò suppone che abbia acquisito convinzioni e modi di sentire favorevoli alla cura dell’ambiente. È molto nobile assumere il compito di avere cura del creato con piccole azioni quotidiane, ed è meraviglioso che l’educazione sia capace di motivarle fino a dar forma ad uno stile di vita. L’educazione alla responsabilità ambientale può incoraggiare vari comportamenti che hanno un’incidenza diretta e importante nella cura per l’ambiente, come evitare l’uso di materiale plastico o di carta, ridurre il consumo di acqua, differenziare i rifiuti, cucinare solo quanto ragionevolmente si potrà mangiare, trattare con cura gli altri esseri viventi, utilizzare il trasporto pubblico o condividere un medesimo veicolo tra varie persone, piantare alberi, spegnere le luci inutili, e così via. Tutto ciò fa parte di una creatività generosa e dignitosa, che mostra il meglio dell’essere umano. Riutilizzare qualcosa invece di disfarsene rapidamente, partendo da motivazioni profonde, può essere un atto di amore che esprime la nostra dignità». Prescindendo dalla validità o meno di tali indicazioni, non si può negare che parole di questo tipo sembrano più da manuale di buon comportamento civico che da documento pontificio.
Aspetti positivi
Conclusa la premessa, iniziamo ad elencare i passaggi positivi dell’Enciclica. Riporteremo solo il numero dei punti con cui è diviso progressivamente il testo e ometteremo quello dei capitoli e dei paragrafi.
Le questioni ambientali non possono essere risolte con il decremento demografico
Prima che uscisse il Documento si era diffusa la preoccupazione che il testo potesse legittimare il criterio del cosiddetto sviluppo sostenibile, utilizzato dagli ambienti ecologisti per affermare che il vero “cancro” del pianeta è l’uomo e che quindi sarebbe necessario mirare ad una decrescita della popolazione favorendo politiche di controllo demografico. Ad alimentare questo timore era stata la notizia che tra i collaboratori nella stesura del documento vi fosse anche Jeffrey Sachs, noto sostenitore dello sviluppo sostenibile, nonché convinto della opportunità di politiche di controllo delle nascite.[1] È evidente che qualora vi fosse stata una legittimazione di questo tipo, si sarebbe avuto una decisa rottura con l’insegnamento di sempre della Chiesa. Ma, grazie a Dio, così non è stato. Il Documento chiarisce che le proporzioni della popolazione umana non sono la causa o tra le cause della questione ambientale. Al n.50 si cita il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa (n.483) che dice: «(…) «se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale». E poi l’Enciclica aggiunge: «Incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi».
Contraddizione dell’ecologismo: il sostegno all’aborto
Il Documento con chiarezza denuncia la contraddizione, diffusissima, di chi mostra sensibilità nei confronti dell’ambiente ma poi sostiene la legittimità dell’uccisione della vita innocente nel grembo materno. Al n.120 è scritto: «(…), non è (…) compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto. Non appare praticabile un cammino educativo per l’accoglienza degli esseri deboli che ci circondano, che a volte sono molesti o importuni, quando non si dà protezione a un embrione umano benché il suo arrivo sia causa di disagi e difficoltà».
Contraddizione dell’ecologismo: sostegno alla sperimentazione sugli embrioni umani
Un’altra contraddizione che l’Enciclica evidenza nell’ecologismo contemporaneo è quando questo si fa sostenitore, direttamente o indirettamente, delle tecniche di sperimentazione sugli embrioni umani. È scritto al n.136: «D’altro canto, è preoccupante il fatto che alcuni movimenti ecologisti difendano l’integrità dell’ambiente, e con ragione reclamino dei limiti alla ricerca scientifica, mentre a volte non applicano questi medesimi principi alla vita umana. Spesso si giustifica che si oltrepassino tutti i limiti quando si fanno esperimenti con embrioni umani vivi. Si dimentica che il valore inalienabile di un essere umano va molto oltre il grado del suo sviluppo. Ugualmente, quando la tecnica non riconosce i grandi principi etici, finisce per considerare legittima qualsiasi pratica»,
L’ambiente influisce sui comportamenti umani
Veniamo adesso ad un altro elemento positivo del Documento. Nel testo si riscopre un’evidenza che è stata trascurata dal cattolicesimo contemporaneo, essenzialista e tendente ad una sorta di spiritualizzazione neognostica: l’influenza che l’ambiente ha sui comportamenti umani. Leggiamo dall’Enciclica al n.147: «Per poter parlare di autentico sviluppo, occorrerà verificare che si produca un miglioramento integrale nella qualità della vita umana, e questo implica analizzare lo spazio in cui si svolge l’esistenza delle persone. Gli ambienti in cui viviamo influiscono sul nostro modo di vedere la vita, di sentire e di agire. Al tempo stesso, nella nostra stanza, nella nostra casa, nel nostro luogo di lavoro e nel nostro quartiere facciamo uso dell’ambiente per esprimere la nostra identità. Ci sforziamo di adattarci all’ambiente, e quando esso è disordinato, caotico o saturo di inquinamento visivo e acustico, l’eccesso di stimoli mette alla prova i nostri tentativi di sviluppare un’identità integrata e felice». Si prosegue al n.149: «È provato inoltre che l’estrema penuria che si vive in alcuni ambienti privi di armonia, ampiezza e possibilità d’integrazione, facilita il sorgere di comportamenti disumani e la manipolazione delle persone da parte di organizzazioni criminali. Per gli abitanti di quartieri periferici molto precari, l’esperienza quotidiana di passare dall’affollamento all’anonimato sociale che si vive nelle grandi città, può provocare una sensazione di sradicamento che favorisce comportamenti antisociali e violenza».
Denuncia del potere tecnocratico
Il Documento molto chiaramente denuncia il dominio della tecnica (tecnocrazia), che è uno degli elementi distintivi del nostro tempo. Al n.189 è scritto: «La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita, specialmente della vita umana». Quest’ultimo passaggio è interessante perché fa capire come la tecnocrazia sia un palese sovvertimento della natura umana. Al n.109 è scritto: «Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica». Al n.110 si puntualizza: «La vita diventa un abbandonarsi alle circostanze condizionate dalla tecnica, intesa come la principale risorsa per interpretare l’esistenza. Nella realtà concreta che ci interpella, appaiono diversi sintomi che mostrano l’errore, come il degrado ambientale, l’ansia, la perdita del senso della vita e del vivere insieme. Si dimostra così ancora una volta che (si cita l’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium)“la realtà è superiore all’idea”».
Consumismo pervasivo che riduce l’uomo a “ventre”
Un bel passaggio è quando il Documento fa chiaramente capire che la pervasività del consumismo trasforma l’uomo, riducendolo fondamentalmente al suo ventre. È scritto al n.162: «La difficoltà a prendere sul serio questa sfida è legata ad un deterioramento etico e culturale, che accompagna quello ecologico. L’uomo e la donna del mondo postmoderno corrono il rischio permanente di diventare profondamente individualisti, e molti problemi sociali attuali sono da porre in relazione con la ricerca egoistica della soddisfazione immediata, con le crisi dei legami familiari e sociali, con le difficoltà a riconoscere l’altro. Molte volte si è di fronte ad un consumo eccessivo e miope dei genitori che danneggia i figli (…)».
La finanziarizzazione dell’economia
Bene fa l’Enciclica a denunciare la sopravvalutazione del mercato da “mezzo” a “fine” e la conseguente utopia che il mercato possa redimersi e correggersi da sé. Come se il mercato non fosse gestito dagli uomini e questi non fossero macchiati dalla Colpa d’origine. Si dice al n.54: «Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti». E poi al n.109: «La finanza soffoca l’economia reale. Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale. In alcuni circoli si sostiene che l’economia attuale e la tecnologia risolveranno tutti i problemi ambientali, allo stesso modo in cui si afferma, con un linguaggio non accademico, che i problemi della fame e della miseria nel mondo si risolveranno semplicemente con la crescita del mercato. Non è una questione di teorie economiche, che forse nessuno oggi osa difendere, bensì del loro insediamento nello sviluppo fattuale dell’economia. Coloro che non lo affermano con le parole lo sostengono con i fatti, quando non sembrano preoccuparsi per un giusto livello della produzione, una migliore distribuzione della ricchezza, una cura responsabile dell’ambiente o i diritti delle generazioni future. Con il loro comportamento affermano che l’obiettivo della massimizzazione dei profitti è sufficiente. Il mercato da solo però non garantisce lo sviluppo umano integrale e l’inclusione sociale».
Poi si passa alla critica della finanziarizzazione dell’economia. N.189: «Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo. La produzione non è sempre razionale, e spesso è legata a variabili economiche che attribuiscono ai prodotti un valore che non corrisponde al loro valore reale. Questo determina molte volte una sovrapproduzione di alcune merci, con un impatto ambientale non necessario, che al tempo stesso danneggia molte economie regionali».
Valenza sociale della proprietà privata
Un altro passaggio interessante dell’Enciclica è quando si ribadisce la valenza sociale della proprietà privata e la denuncia della sua deriva liberista ed individualista. Concetto, questo, che non tutti coloro che sono legati alla Tradizione Cattolica riescono facilmente a capire. A riguardo basterebbe fare un po’ di ripasso sulla concezione medioevale della proprietà e su come questa si deformò con l’inizio della modernità. È scritto al n.67: «Dio nega ogni pretesa di proprietà assoluta: “Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti” (Lv 25,23)». E poi al n.93: «Il principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni e, perciò, il diritto universale al loro uso, è una “regola d’oro” del comportamento sociale, e (si cita la Laborem excercens di Giovanni Paolo II) il “primo principio di tutto l’ordinamento etico-sociale”. La tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto o intoccabile il diritto alla proprietà privata, e ha messo in risalto la funzione sociale di qualunque forma di proprietà privata. San Giovanni Paolo II ha ricordato con molta enfasi questa dottrina, dicendo che “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno”. Sono parole pregnanti e forti. Ha rimarcato che “non sarebbe veramente degno dell’uomo un tipo di sviluppo che non rispettasse e non promuovesse i diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle Nazioni e dei popoli”. Con grande chiarezza ha spiegato che “la Chiesa difende sì il legittimo diritto alla proprietà privata, ma insegna anche con non minor chiarezza che su ogni proprietà privata grava sempre un’ipoteca sociale, perché i beni servano alla destinazione generale che Dio ha loro dato”. Pertanto afferma che “non è secondo il disegno di Dio gestire questo dono in modo tale che i suoi benefici siano a vantaggio soltanto di alcuni pochi”. Questo mette seriamente in discussione le abitudini ingiuste di una parte dell’umanità.[76]». In conclusione al n.190: «Ancora una volta, conviene evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui».
Aspetti problematici
Avvaloramento di un certo eco-catastrofismo
Il primo aspetto problematico dell’Enciclica è un evidente avvaloramento del “catastrofismo” ecologico. Certo, il Documento cerca in qualche punto di evitare un appoggio esplicito, ma è indubbio che la posizione a riguardo è alquanto chiara. Per esempio, al n.161 è scritto: «Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia». Così al n.164 si dà un esplicito appoggio ai teorici delle fonti, cosiddette “rinnovabili”, di energia: «Per affrontare i problemi di fondo, che non possono essere risolti da azioni di singoli Paesi, si rende indispensabile un consenso mondiale che porti, ad esempio, a programmare un’agricoltura sostenibile e diversificata, a sviluppare forme rinnovabili e poco inquinanti di energia, a incentivare una maggiore efficienza energetica, a promuovere una gestione più adeguata delle risorse forestali e marine, ad assicurare a tutti l’accesso all’acqua potabile».
Eccessiva specializzazione del testo
Un elemento indubbiamente problematico è l’eccessiva specializzazione del testo. Una caratteristica, questa, che pone ulteriori problemi.
Il primo è che fa chiaramente capire che non può essere un testo scritto unicamente dal Pontefice. Ora, si sa che i documenti pontifici non sono sempre materialmente scritti dai papi, ma un conto è quando questa collaborazione manifesta –appunto- una collaborazione nella stesura e nella ricerca delle fonti; altro quando si tratta di interventi senza i quali il contenuto del testo difficilmente sarebbe stato dato alle stampe così come è.
Il secondo è che un documento così lungo e specialistico può facilmente far travalicare l’insegnamento sociale della Chiesa dai suoi limiti. Qui dobbiamo fare una doverosa precisazione. L’Enciclica è inserita all’interno dell’insegnamento sociale della Chiesa, ebbene la Dottrina Sociale della Chiesa non può offrire (non ne ha le competenze) soluzioni tecniche ma solo princìpi ispiratori, orientamenti e criteri di azione per coloro che (con la dovuta grazia di stato) sono chiamati direttamente ad intervenire.[2] E infatti al n.188 si precisa (ma sembra troppo poco): «Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. Ancora una volta ribadisco che la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune».
Il terzo, fa impegnare la Chiesa su tesi non veramente provate. E qui rimandiamo al serrato dibattito in tema di urgenza o meno della questione ambientale.
Accettazione della critica “guardiniana” alla modernità
Al n.203 è scritto: «Il consumismo ossessivo è il riflesso soggettivo del paradigma tecno-economico. Accade ciò che già segnalava Romano Guardini: l’essere umano (si cita dall’opera La fine dell’epoca moderna) “accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto”».
Qui si deve fare una breve digressione sul pensiero del teologo tedesco. Il suo giudizio sulla tecnica richiede un’interpretazione articolata. Da una parte Guardini ha il merito di denunciare la deriva tecnocratica e tecnologista, dall’altra però manca al suo pensiero la capacità di individuare come nelle radici stesse della modernità vi fosse già la deriva tecnocratica e tecnologista. Guardini, infatti, capisce e denuncia che l’uomo nella post-modernità è diventato di fatto vittima di ciò che ha costruito, ma non individua le reali cause di ciò che è avvenuto, e se le individua manca in lui la capacità di giudicare la categoria della modernità come una realtà unitaria. Egli scrive in proposito: «(…) dall’inizio del tempo moderno si viene elaborando una cultura non-cristiana. Per lungo tempo la negazione si è diretta solo contro il contenuto stesso della Rivelazione; non contro i valori etici, individuali o sociali, che si sono sviluppati sotto il suo influsso. Anzi, la cultura moderna ha preteso di riposare precisamente su quei valori. Secondo questo punto di vista, largamente adottato dagli studi storici, valori come ad esempio quelli di personalità e dignità individuale, del rispetto reciproco, dell’aiuto scambievole, sono possibilità innate nell’uomo che i tempi moderni hanno scoperto e sviluppato. Certamente la cultura umana dei primi tempi del cristianesimo ha favorito la loro germinazione, mentre nel Medio Evo sono state ulteriormente sviluppate dalla preoccupazione religiosa per la vita interiore e la carità attiva; ma poi questa autonomia della persona ha preso coscienza di sé ed è divenuta una conquista naturale, indipendente dal cristianesimo. Questo modo di vedere si esprime in molteplici forme ed in modo particolarmente rappresentativo nei diritti dell’uomo al tempo della Rivoluzione francese. In verità questi valori e queste attitudini sono legati alla Rivelazione, la quale si trova in un particolare rapporto a riguardo a ciò che è immediatamente –umano. (…) Il carattere di persona è essenziale all’uomo, ma esso diviene visibile allo sguardo ed accettabile alla volontà, quando, in grazia della adozione a figli di Dio e della Provvidenza, la Rivelazione schiude il rapporto col Dio vivo e personale»[3]. Insomma, sembra che la colpa della modernità non sia tanto già nell’aver separato quanto nell’averdimenticato i fondamenti metafisici dei valori naturali.
Anche l’ecologismo è una forma di antropocentrismo e di tecnocrazia
All’Enciclica sembra mancare una visione integrale del movimento ecologista, pur denunciandone alcune contraddizioni (il sostegno all’aborto e alla sperimentazione sugli embrioni umani). A nostro parere non basta (il che è già importante) smarcarsi dal concetto di sviluppo sostenibile per abbracciare quello di sviluppo sostenibile integrale. In realtà anche l’ecologismo è una forma di antropocentrismo e ditecnocrazia.
Di antropocentrismo, perché la convinzione che l’ambiente possa essere danneggiato dall’uomo è segno di un’altra convinzione quella per cui l’uomo è talmente potente da poter danneggiare ciò che è molto al di sopra di lui. L’Enciclica da una parte insiste giustamente sul fatto che il predominio della tecnica, la sua tirannia, è dovuta al fatto che l’uomo ha volutamente dimenticato i suoi limiti, il suo status creaturale; dall’altra però l’insistere sui danni che le attività dell’uomo abbiano provocato e continuerebbero a provocare sull’ambiente risponde ad una convinzione di sopravvalutazione dell’uomo. A riguardo, infatti, non pochi studiosi affermano che se danni effettivamente ci sono questi vanno addebitati a cicli naturali ma non tanto alle attività umane.
C’è un passaggio molto bello nel Documento in cui si parla dell’umiltà. È al numero 224: «La scomparsa dell’umiltà, in un essere umano eccessivamente entusiasmato dalla possibilità di dominare tutto senza alcun limite, può solo finire col nuocere alla società e all’ambiente. Non è facile maturare questa sana umiltà e una felice sobrietà se diventiamo autonomi, se escludiamo dalla nostra vita Dio e il nostro io ne occupa il posto, se crediamo che sia la nostra soggettività a determinare ciò che è bene e ciò che è male». L’uomo deve essere umile. Appunto: anche non pensando che le sue attività possano pregiudicare le sorti del pianeta. E infatti l’Enciclica sembra bordeggiare: da una parte verso la sopravvalutazione del potere umano; dall’altra verso la constatazione dei limiti costitutivi dell’uomo. Al numero 228 è scritto: «L’amore fraterno può solo essere gratuito, non può mai essere un compenso per ciò che un altro realizza, né un anticipo per quanto speriamo che faccia. Per questo è possibile amare i nemici. Questa stessa gratuità ci porta ad amare e accettare il vento, il sole o le nubi, benché non si sottomettano al nostro controllo. Per questo possiamo parlare di una fraternità universale».
Ma –dicevamo- il movimento ecologista è anche una forma di tecnocrazia perché riconoscere l’ambiente come valore in sé prescindendo dalla sua origine e dal suo fine (ovviamente l’Enciclica si smarca da questa prospettiva) apre le porte ad una lettura puramente quantitativa e tecnica della natura. Se sparisce il fondamento metafisico, sparisce il mistero e rimane la materia nuda che può essere “letta” e “compresa” solo attraverso una prospettiva quantitativa e tecnica.
Eccessivo valore ai cosiddetti “peccati” di non rispetto dell’ambiente
Un altro passaggio problematico è un eccessivo valore che viene dato ai peccati ambientali. Al n. 217 è scritto: «(Alcuni) sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti. Manca loro dunque una conversione ecologica, che comporta il lasciar emergere tutte le conseguenze dell’incontro con Gesù nelle relazioni con il mondo che li circonda. Vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana». Parole che sorprendono se si considera che papa Francesco nell’Evangelii Gaudium ha parlato (rompendo con una Tradizione perenne) di gerarchia delle verità cristiane.[4]
Non vi è un riferimento chiaro alla Teologia della Storia
L’Enciclica sottolinea l’errore dell’uomo di aver troppo sopravvalutato la tecnica affidando ad essa non solo le sorti del proprio destino ma anche la capacità di risolvere ogni problema.
Al Documento, però, manca la capacità di affermare l’impossibilità che questa terra possa divenire una società perfetta. Sembra aleggiare nel testo la convinzione che i danni ambientali possano essere risolti quando l’uomo ne prenderà coscienza e quando si attiverà ad assumere determinati comportamenti. Ora, tutto questo sa di velato utopismo che dimentica una verità fondamentale per comprendere la Rivelazione cristiana e la storia umana: il peccato originale.
La prima distruzione (tragica!) dell’ambiente si è avuta quando Adamo ed Eva peccarono. Allora il giardino si trasformò in selva e la natura da madre in matrigna.Adamo ed Eva non erano proprietari di qualche industria che scaricava selvaggiamente idrocarburi nefasti per l’atmosfera, né decisero insanamente di tagliare alberi o uccidere sadicamente poveri animaletti, rovinarono l’ambiente perché peccarono contro Dio.
Volendo prendere come buona (ma è tutto da dimostrare) che effettivamente il clima stia cambiando e che sono aumentati eventi incontrollabili (alluvioni e quant’altro), alla luce della fede tali fenomeni debbono essere anche inquadrati nella signoria di Dio e quindi nella sua eventuale volontà di castigare. Ecco perché un tempo s’invitavano i fedeli a pregare per il clima, per esempio per propiziare la pioggia in caso di siccità o per evitare alluvioni benedicendo fiumi e torrenti. È un dato storico che il XIII secolo (secolo di grande fede e di grandi santi) fu beneficiato dalla Provvidenza di un clima talmente temperato che in Inghilterra si arrivò a produrre il vino[5].
All’Enciclica sembra mancare quella opportuna prospettiva di Teologia della Storia in cui ciò che incide nella storia umana è soprattutto (nel bene) la scelta di aderire alla Legge di Dio e (nel male) la scelta di peccare.
[1] Cfr. R.Cascioli, Clima e Chiesa. Si ritorna a prima di Galileo, in lanuovabq.it, 29.4.2015.
[2] «La dottrina sociale non dipende dalle diverse culture, dalle differenti ideologie, dalle varie opinioni: essa è un insegnamento costante, che “si mantiene identico nella sua ispirazione di fondo, nei suoi ‘principi di riflessione’, nei suoi ‘criteri di giudizio’, nelle sue basilari ‘direttrici di azione’ e, soprattutto, nel suo vitale collegamento col Vangelo del Signore”». (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 29.6.2004, 85).
[3] R.Guardini, La fine dell’epoca moderna, tr.it., Brescia 2007, pp.98-100.
[4] «Tutte le verità rivelate procedono dalla stessa fonte divina e sono credute con la medesima fede, ma alcune di esse sono più importanti per esprimere più direttamente il cuore del Vangelo. In questo nucleo fondamentale ciò che risplende è la bellezza dell’amore salvifico di Dio manifestato in Gesù Cristo morto e risorto. In questo senso, ilConcilio Vaticano II ha affermato che “esiste un ordine o piuttosto una ‘gerarchia’ delle verità nella dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana”. Questo vale tanto per i dogmi di fede quanto per l’insieme degli insegnamenti della Chiesa, ivi compreso l’insegnamento morale» (Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium, del 24.11.2013, n.36).
[5] La Terra, dall’800 al 1200, conobbe i quattro secoli più caldi degli ultimi ottomila anni. Quando i Vichinghi scoprirono, nel 950, la Groenlandia (che vuol dire “Terra verde”) la chiamarono così per le sue verdi distese; e su quelle terre riuscirono finanche a far pascolare il bestiame; costruirono perfino una cattedrale…e pensare che oggi la Groenlandia non è che tundra ghiacciata. In prossimità del Mille i limiti delle terre arabili si spinsero talmente verso nord che arrivarono a beneficiare la Russia, la Scandinavia e addirittura l’Islanda. Si arrivò a coltivare la vite in Inghilterra e in Belgio, mentre il Sahara si ridusse grazie all’aumento delle precipitazioni. Un famoso storico della scienza, il francese Jean Gimpel, già da tempo ha documentato che nel 1300, nella Foresta Nera, la coltivazione dei cereali e degli alberi da frutto poté essere praticata 150 metri più in alto rispetto a quanto poi si sarebbe potuto fare nel 1500. Questo periodo –tra il IX e il XIII secolo- è ormai definito dagli specialisti “piccolo optimum clima medievale”. La produzione agricola aumentò vertiginosamente.
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