CROCEFISSO
La falce e il martello di Morales
E lo stupore del Papa
Il dono di Evo Morales a Francesco e la precisazione: «L’amore per i poveri è al centro del Vangelo»
Più che esprimere sconcerto, appena lo vede l’espressione di Francesco sembra dire: «Mah». Il Papa è velocissimo nel prendere il crocifisso ligneo intagliato in una falce e martello e porgerlo in orizzontale a un commesso, quasi a evitare - a scanso di equivoci - che lo ritraggano con quell’oggetto tra le mani.
Francesco, a La Paz, ha appena sostato in preghiera sul luogo dell’assassinio di padre Luis Espinal, che difese operai e minatori e fu ucciso dai paramilitari del regime di Luis Garcia Meza il 22 marzo 1980, due giorni prima di Romero in Salvador. Ed Evo Morales spiega al Papa che quel crocifisso fu disegnato proprio dal suo confratello gesuita. Quando il presidente boliviano gli mostra il dono e inizia a parlare, Bergoglio annuisce con un sorriso un po’ tirato. Un frammento delle sue parole captato da microfoni distanti si presta a due interpretazioni: può essere «No está bien eso», questo non va bene; oppure «no lo savia, eso», non lo sapevo.
In effetti il Papa non lo sapeva. Padre Federico Lombardi si è informato, «non lo sapevo neanche io», e conferma: sono stati i gesuiti boliviani a spiegargli che è vero, il disegno si deve a padre Espinal. «Non ho particolari difficoltà a pensare che in quell’epoca volesse esprimere il dialogo tra diverse componenti che si impegnavano per la giustizia, anche al di fuori della Chiesa». Un simbolo che va calato nella storia. «Dipende da come lo si usa, se ne vuole fare un segno identificativo è un altro discorso…».
Di certo Francesco ci tiene a evitare confusioni. La «rivoluzione della fede» che porta al «dono di sé», la richiesta di «giustizia sociale», nascono dal «toccare la carne di Cristo nei poveri», non da una ideologia. Alla fine di ottobre aveva ricevuto in Vaticano Morales e i movimenti popolari che rivedrà giovedì sera a Santa Cruz e invocato “terra, casa e lavoro», prima di spiegare: «È strano, ma se parlo di questo alcuni dicono che il Papa è comunista: non si comprende che l’amore per i poveri è al centro del Vangelo». Quello che ha ripetuto pregando per padre Espinal: «Mi sono fermato qui per ricordare un fratello, un nostro fratello, vittima di interessi che non volevano che si lottasse per la libertà della Bolivia. Padre Espinal ha predicato il Vangelo, il Vangelo che ci rende liberi, e quel Vangelo dava fastidio. Perciò lo hanno eliminato».
di Gian Guido Vecchi
(a cura Redazione "Il Sismografo")
(Luis Badilla) I tempi passano, le cose cambiano, ma certe abitudini seppure sconfessate dalla storia sono dure a morire. Mi riferisco al sincretismo politico-religioso di alcuni - non tutti - movimenti politici latinoamericani inquadrati nella definizione "progressisti o rivoluzionari". Negli anni ‘70 per esempio la forma più ricorrente di questo sincretismo politico-religioso era un manifesto in cui si vedeva Cristo con un Kalashnikov alle spalle e lo zaino del guerrigliero. L'idea, schematica e banale, ma a volte efficace, era quella di dire ai più semplici e umili: Gesù, se fosse qui, ora, sarebbe un nostro militante, un combattente anti-imperialista.
Alcuni mesi fa, in Venezuela, alla presenza del Presidente Nicolas Maduro venne recitato un Padre Nostro "chavista" in cui la parola "Padre" era stata sostituita con un'altra: "Chávez". Ecco alcune "perle": "Chávez nostro che sei in cielo, terra, mare, e nei nostri cuori ...": "Non ci lasciare cadere nella tentazione del capitalismo e liberaci della malvagità dell'oligarchia..."; “Donaci la tua luce come guida per ogni giorno ..."
Si potrebbero elencare molti altri casi identici o simili. Perciò, a dire il vero, il dono insensato di Morales al Papa (una croce composta con la falce e il martello) - gesto poco elegante e immaturo, al limite della provocazione - non ci ha sorpreso più di tanto. Ci aspettavamo qualcosa di simile. Giustamente la "geniale idea" del Presidente si è guadagnano subito un'espressione facciale corrugata di perplessità e di sorpresa da parte del Papa e una frase perentoria: "Questo non è buono!"
Ci auguriamo che il governante andino in queste ore abbia avuto il buon gusto di scusarsi con il Papa, seppure privatamente.
L'incidente di Morales però offre una buona occasione per alcune puntualizzazioni.
Cosa c'è dietro a questi simboli del sincretismo politico-religioso di una certa sinistra latinoamericana?
Anzitutto un notevole analfabetismo su cos'è il Cristianesimo, il Vangelo, il Papa e la gerarchia della Chiesa. Analfabetismo che tra l'altro si palesa in altri comportamenti, come per esempio, infastidirsi ogniqualvolta i vescovi criticano le politiche o le azioni dei governi e ripetere subito la conosciuta litania: “Sono al servizio dell'imperialismo, sono alleati della borghesia, lavorano con la controrivoluzione …”
Dagli anni ’60, in America Latina, le tentazioni di fomentare divisioni nella Chiesa, gerarchia e Popolo di Dio, o di creare “chiese nazionali e patriottiche”, condiscendenti con il regime di turno, sono tanto ricorrenti quanto fallimentare. In alcuni settori del nazionalismo progressista latinoamericano serpeggia l'idea che questi simboli possono spronare la Chiesa a comportamenti politici più impegnati politicamente, proprio perché l'insufficiente o scarsa conoscenza della sua natura e della sua missione fa pensare o credere a questi gruppi, che la Chiesa sia un movimento ideologico o partitico, ora schierata con i ricchi ora schierata con i poveri. Insomma, un'idea schematica che si rapporta con la Chiesa quasi questa fosse un forza ostile o alleata, da combattere perché conservatrice/oligarchica o da accattivare perché progressista/rivoluzionaria.
E' storicamente vero che in diversi Paesi, spesso nei decenni delle dittature militari latinoamericane, gli Episcopati locali si sono divisi e i singoli vescovi hanno avuto atteggiamenti differenti, di maggiore o minore simpatia verso i feroci regimi autoritari. Il terrore del comunismo, gli effetti pratici della Guerra fredda e il sostegno di diocesi straniere ai vescovi locali, sono stati elementi determinanti nel creare separazioni e disaccordi nelle 22 Conferenze Episcopali della regione. E' anche vero però che sostanzialmente la stragrande maggioranza delle gerarchie e dei cattolici latinoamericani non cedette mai, al prezzo della propria vita in migliaia di casi, alla facile e comoda tentazione di trasformare il Vangelo in una piattaforma politica o in un programma sociale rivoluzionario.
Qualche ora fa, Papa Francesco , nel suo discorso ai Movimenti Popolari ha pronunciato parole che possono essere lette anche nell'ambito di quanto abbiamo detto: "Qui voglio soffermarmi su una questione importante. Perché qualcuno potrà dire, a buon diritto, “quando il Papa parla di colonialismo dimentica certe azioni della Chiesa”. Vi dico, a malincuore: si sono commessi molti e gravi peccati contro i popoli originari dell’America in nome di Dio. (...) E desidero dirvi, vorrei essere molto chiaro, come lo era san Giovanni Paolo II: chiedo umilmente perdono, non solo per le offese della propria Chiesa, ma per i crimini contro le popolazioni indigene durante la cosiddetta conquista dell’America.
Chiedo anche a tutti assieme al chiedere perdono, credenti e non credenti, di ricordarsi di molti vescovi, sacerdoti e laici che hanno predicato e predicano la Buona Notizia di Gesù con coraggio e mansuetudine, rispetto e in pace; che nel loro passaggio per questa vita hanno lasciato commoventi opere di promozione umana e di amore, molte volte a fianco delle popolazioni indigene o accompagnando i movimenti popolari anche fino al martirio. La Chiesa, i suoi figli e figlie, sono una parte dell’identità dei popoli dell’America Latina."
Infine una postilla su padre Luis Espinal, per la cui memoria il Papa ha pregato e pronunciato parole amorevoli di giustizia e fratellanza, che sarebbe l’autore dell'ormai famoso crocifisso. Speriamo che sia così e che non si attribuisca ad un morto, ad un martire, un qualcosa che non ha fatto. Persone vicine a lui in queste ore hanno spiegato le intenzioni plastiche e artistiche del sacerdote martire che in molti - lo stesso Morales - vorrebbero proclamato beato. Certo in questo modo non aiutano questa causa, anzi, la ritardano e ostacolano. Si è già visto con il beato Oscar Romero, arrivato agli onori degli altari 30 anni dopo il suo sacrificio, in parte perché c’erano opposizioni tra i membri della gerarchia, ma anche perché la sua figura ed eredità di pastore al servizio del Vangelo è stata espropriata per usi ideologici e partitici svuotando la carica profetica ed evangelica del suo martirio.
Alcuni mesi fa, in Venezuela, alla presenza del Presidente Nicolas Maduro venne recitato un Padre Nostro "chavista" in cui la parola "Padre" era stata sostituita con un'altra: "Chávez". Ecco alcune "perle": "Chávez nostro che sei in cielo, terra, mare, e nei nostri cuori ...": "Non ci lasciare cadere nella tentazione del capitalismo e liberaci della malvagità dell'oligarchia..."; “Donaci la tua luce come guida per ogni giorno ..."
Si potrebbero elencare molti altri casi identici o simili. Perciò, a dire il vero, il dono insensato di Morales al Papa (una croce composta con la falce e il martello) - gesto poco elegante e immaturo, al limite della provocazione - non ci ha sorpreso più di tanto. Ci aspettavamo qualcosa di simile. Giustamente la "geniale idea" del Presidente si è guadagnano subito un'espressione facciale corrugata di perplessità e di sorpresa da parte del Papa e una frase perentoria: "Questo non è buono!"
Ci auguriamo che il governante andino in queste ore abbia avuto il buon gusto di scusarsi con il Papa, seppure privatamente.
L'incidente di Morales però offre una buona occasione per alcune puntualizzazioni.
Cosa c'è dietro a questi simboli del sincretismo politico-religioso di una certa sinistra latinoamericana?
Anzitutto un notevole analfabetismo su cos'è il Cristianesimo, il Vangelo, il Papa e la gerarchia della Chiesa. Analfabetismo che tra l'altro si palesa in altri comportamenti, come per esempio, infastidirsi ogniqualvolta i vescovi criticano le politiche o le azioni dei governi e ripetere subito la conosciuta litania: “Sono al servizio dell'imperialismo, sono alleati della borghesia, lavorano con la controrivoluzione …”
Dagli anni ’60, in America Latina, le tentazioni di fomentare divisioni nella Chiesa, gerarchia e Popolo di Dio, o di creare “chiese nazionali e patriottiche”, condiscendenti con il regime di turno, sono tanto ricorrenti quanto fallimentare. In alcuni settori del nazionalismo progressista latinoamericano serpeggia l'idea che questi simboli possono spronare la Chiesa a comportamenti politici più impegnati politicamente, proprio perché l'insufficiente o scarsa conoscenza della sua natura e della sua missione fa pensare o credere a questi gruppi, che la Chiesa sia un movimento ideologico o partitico, ora schierata con i ricchi ora schierata con i poveri. Insomma, un'idea schematica che si rapporta con la Chiesa quasi questa fosse un forza ostile o alleata, da combattere perché conservatrice/oligarchica o da accattivare perché progressista/rivoluzionaria.
E' storicamente vero che in diversi Paesi, spesso nei decenni delle dittature militari latinoamericane, gli Episcopati locali si sono divisi e i singoli vescovi hanno avuto atteggiamenti differenti, di maggiore o minore simpatia verso i feroci regimi autoritari. Il terrore del comunismo, gli effetti pratici della Guerra fredda e il sostegno di diocesi straniere ai vescovi locali, sono stati elementi determinanti nel creare separazioni e disaccordi nelle 22 Conferenze Episcopali della regione. E' anche vero però che sostanzialmente la stragrande maggioranza delle gerarchie e dei cattolici latinoamericani non cedette mai, al prezzo della propria vita in migliaia di casi, alla facile e comoda tentazione di trasformare il Vangelo in una piattaforma politica o in un programma sociale rivoluzionario.
Qualche ora fa, Papa Francesco , nel suo discorso ai Movimenti Popolari ha pronunciato parole che possono essere lette anche nell'ambito di quanto abbiamo detto: "Qui voglio soffermarmi su una questione importante. Perché qualcuno potrà dire, a buon diritto, “quando il Papa parla di colonialismo dimentica certe azioni della Chiesa”. Vi dico, a malincuore: si sono commessi molti e gravi peccati contro i popoli originari dell’America in nome di Dio. (...) E desidero dirvi, vorrei essere molto chiaro, come lo era san Giovanni Paolo II: chiedo umilmente perdono, non solo per le offese della propria Chiesa, ma per i crimini contro le popolazioni indigene durante la cosiddetta conquista dell’America.
Chiedo anche a tutti assieme al chiedere perdono, credenti e non credenti, di ricordarsi di molti vescovi, sacerdoti e laici che hanno predicato e predicano la Buona Notizia di Gesù con coraggio e mansuetudine, rispetto e in pace; che nel loro passaggio per questa vita hanno lasciato commoventi opere di promozione umana e di amore, molte volte a fianco delle popolazioni indigene o accompagnando i movimenti popolari anche fino al martirio. La Chiesa, i suoi figli e figlie, sono una parte dell’identità dei popoli dell’America Latina."
Infine una postilla su padre Luis Espinal, per la cui memoria il Papa ha pregato e pronunciato parole amorevoli di giustizia e fratellanza, che sarebbe l’autore dell'ormai famoso crocifisso. Speriamo che sia così e che non si attribuisca ad un morto, ad un martire, un qualcosa che non ha fatto. Persone vicine a lui in queste ore hanno spiegato le intenzioni plastiche e artistiche del sacerdote martire che in molti - lo stesso Morales - vorrebbero proclamato beato. Certo in questo modo non aiutano questa causa, anzi, la ritardano e ostacolano. Si è già visto con il beato Oscar Romero, arrivato agli onori degli altari 30 anni dopo il suo sacrificio, in parte perché c’erano opposizioni tra i membri della gerarchia, ma anche perché la sua figura ed eredità di pastore al servizio del Vangelo è stata espropriata per usi ideologici e partitici svuotando la carica profetica ed evangelica del suo martirio.
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