«Dovessi io fare la legge, il ddl Cirinnà non lo assumerei assolutamente, ma è chiaro che il governo deve fare i conti con la realtà che gli sta di fronte». Queste parole di monsignor Nunzio Galantino, segretario della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), in una intervista dell’altro giorno (clicca qui), sono la migliore conferma di quanto abbiamo già scritto nei giorni scorsi a proposito del compromesso sulle unioni civili che si sta cercando di raggiungere.
Monsignor Galantino aveva il giorno precedente smentito la cena (di cui avevamo dato noi notizia) con la senatrice Monica Cirinnà, firmataria del disegno di legge sulle unioni civili (cena di cui invece abbiamo altre conferme); ma alla fine quel che conta sono i fatti, e non c’è certo bisogno di verificare se ci siano stati incontri personali tra un vescovo e una senatrice per vedere dove si sta andando a parare.
Dunque, giustamente a monsignor Galantino non piace il ddl Cirinnà ma riconosce allo Stato il dovere di fare i conti con la realtà. Il messaggio è chiaro: opportunamente emendata, la Cirinnà può tranquillamente essere approvata senza che la CEI ponga ostacoli di nessun genere. Anzi, sarà cura di don Nunzio (come monsignor Galantino ama farsi chiamare) tenere sotto controllo i cattolici che fanno le bizze. Del resto, come abbiamo già ricordato, era stato lo stesso Galantino, ospite a Rai3 da Fabio Fazio (clicca qui) a perorare la causa del riconoscimento delle unioni omosessuali, basta non confonderle con il matrimonio tra uomo e donna. Per questo c’è la contrarietà al progetto originale della Cirinnà: pur chiamata unione civile, nella sostanza è in tutto e per tutto un matrimonio. Ed è sempre per questo che si sta lavorando perciò a un testo di compromesso grazie ai parlamentari cattolici del centro-sinistra.
Ma in che modo emendare la Cirinnà? Per capire dove si vuole attestare il segretario della CEI basta seguire il quotidiano Avvenire, ormai sempre più chiaramente la voce ufficiale non della CEI ma di monsignor Galantino.
Dunque, da molte settimane il quotidiano è impegnato nella pubblicazione di interventi di esponenti cattolici del PD e del centrosinistra che propongono di volta in volta degli aggiustamenti o dei chiarimenti su questo o quel punto controverso. E il direttore Marco Tarquinio non manca poi di rispondere precisando qual è la strada giusta da imboccare, che egli ha più volte sintetizzato nell’espressione “via italiana” al riconoscimento delle convivenze omosessuali. Tale via, che esclude il semplice copia-incolla di legislazioni straniere (la Cirinnà è basata sul modello tedesco), consiste – sempre secondo Tarquinio – nella chiara divisione tra diritti patrimoniali e diritti matrimoniali. In questo modo si può creare un istituto nuovo chiamato “unione civile”, da cui scaturiscono tutta una serie di obblighi economici (inclusa la pensione di reversibilità e i diritti di successione); ma verrebbe escluso qualsiasi diritto sui figli (vedi adozione) che quindi alla fine viene individuato come unico tratto caratteristico del matrimonio. Questa peraltro è anche la posizione espressa nella lettera ai parlamentari che il Forum delle Famiglie (altro strumento totalmente sotto controllo galantiniano) ha pubblicato lo scorso 6 giugno.
Il ragionamento che c’è dietro è sintetizzato in una risposta che Tarquinio ha dato lo scorso 9 giugno agli onorevoli Gian Luigi Gigli e Franco Monaco, entrambi favorevoli a regolare per legge ogni tipo di convivenza, nella convinzione che le «formazioni sociali stabili» siano «un bene per il Paese, qualunque siano le finalità e le motivazioni che le sostengono».
Dice dunque Tarquinio (per conto di Galantino): «Non condivido l’idea (…) di regolare anche le convivenze more uxorio uomo-donna. Un uomo e una donna possono infatti sposarsi, se non lo fanno è per scelta. E l’obiettivo del legislatore dovrebbe essere di rendere "attraente" per tutti il matrimonio, non indebolirlo e creargli alternative sempre meno salde... Due persone dello stesso sesso, invece, sposarsi non possono. Per questo – secondo l’indicazione della Corte costituzionale – può essere utile che la legge si occupi di quel tipo di convivenze. Come sa, il mio convinto auspicio è da qualche anno che si imbocchi una "via italiana" verso una regolazione che non imiti modelli stranieri, ma introduca un modello originale che faccia aumentare il tasso di solidarietà nella nostra società e, al tempo stesso, non possa essere confuso con il matrimonio».
Avete capito bene: secondo il quotidiano della CEI una unione omosessuale fa «aumentare il tasso di solidarietà nella nostra società», concetto che non a caso ricorda certe posizioni che si sono sentite al Sinodo sulla famiglia. Inutile fare presente che laddove sono state riconosciute anche le semplici unioni omosessuali, queste sono state sempre un passo decisivo verso la distruzione dell’istituto familiare. Ma in Italia evidentemente abbiamo dei geni, capaci di cambiare la natura delle cose e sfidare la logica.
Il fatto è che la separazione netta tra diritti patrimoniali e diritti matrimoniali è fuori dalla realtà. Sebbene le adozioni siano una questione importante, non si danno diritti matrimoniali senza anche quelli patrimoniali: da questo punto di vista in Italia la famiglia naturale è già penalizzata dal punto di vista economico, ci manca solo il colpo di grazia della Cirinnà, anche in versione galantinemente corretta.
Visto però che Avvenire è il quotidiano della CEI, non sarà inopportuno ricordare ancora una volta la Nota della stessa CEI del 28 marzo 2007 «a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto». Si dice infatti in questo documento ufficiale: «Riteniamo la legalizzazione delle unioni di fatto inaccettabile sul piano di principio, pericolosa sul piano sociale ed educativo. Quale che sia l’intenzione di chi propone questa scelta, l’effetto sarebbe inevitabilmente deleterio per la famiglia. (…) Un problema ancor più grave sarebbe rappresentato dalla legalizzazione delle unioni di persone dello stesso sesso, perché, in questo caso, si negherebbe la differenza sessuale, che è insuperabile».
Esattamente il contrario di quanto sostengono Tarquinio, monsignor Galantino e con loro tutti i parlamentari che si stanno adoperando per arrivare a un compromesso. E non ci risulta che nel frattempo la Conferenza episcopale abbia pubblicato un documento che smentisca quello del 2007. Anche perché quel documento è perfettamente in linea con il Magistero della Chiesa, oltre che corrispondente alla realtà. L'unica posizione possibile davanti a proposte di legge di questo genere è perciò semplicemente il rifiuto, non c'è nulla da trattare.
E a proposito di realtà, anzi di quella realtà di cui – secondo mons. Galantino – lo Stato dovrebbe tenere conto, sarà anche il caso di ricordare che in Italia le persone con tendenze omosessuali sono circa un milione (l’Istat vi ha dedicato una ricerca ad hoc), meno del 2% della popolazione; mentre le coppie omosessuali conviventi (censimento Istat del 2011) sono 7.591 contro 13.900.000 coppie formate da un uomo e una donna. In pratica tutto questo pandemonio - energie, soldi pubblici, tempo - per lo 0,05% delle relazioni esistenti. E se fosse approvata la legge Cirinnà, la maggior parte di quelle 7.591 relazioni non avrebbe neanche alcun interesse a trasformarsi in unione civile legalmente riconosciuta. Eppure, è da questo 0,05% che il direttore di Avvenire si aspetta un maggiore «tasso di solidarietà» nella società italiana. Niente male per un giornale cattolico.
11-07-2015
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-chi-vuole-il-compromesso-sulla-cirinna-13221.htm
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