L’epurazione del mondo cristiano
Perché la sentenza della Corte suprema americana ha sdoganato la guerra alla libertà religiosa
Un partecipante al Gay Pride di San Josè indossa ali da angelo. Davanti a lui un carro con l’immagine della Madonna con il Bambino (foto LaPresse)
New York. Ora che la realtà del matrimonio gay ha raggiunto il sommo grado di diritto protetto dalla Costituzione, la vasta galassia del cristianesimo americano si pone la più rivoluzionaria delle domande: che fare? Si fa presto a invocare, con Rod Dreher, l’Opzione Benedetto, la rinascita di esperienze comunitarie ispirate a ideali fuori dal mainstream ideologico, ma per qualcuno nemmeno questa ipotesi sarà tollerata dalla società. L’esempio più evidente riguarda scuole e università cristiane, che dovrebbero essere la spina dorsale di questa rinascita benedettina, le quali presto saranno trascinate in battaglie legali per via di statuti e regolamenti che vietano le relazioni fra le persone dello stesso sesso. La libertà religiosa è una condizione necessaria per praticare l’Opzione Benedetto. Ma le università evangeliche che nei loro statuti definiscono il matrimonio come l’unione esclusiva fra un uomo e una donna? Gli istituti che vietano a studenti e professori relazioni fra persone dello stesso sesso? Non saranno immediatamente dichiarati discriminatorie e fuorilegge, anzi incostituzionali?
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L’editorialista del New York Times David Brooks ha descritto martedì la “nuova culture war” che i cristiani si trovano ad affrontare in America dopo la sconfitta sul matrimonio gay. Gli ammaccati paladini dello scontro frontale invitano a rimanere compatti e a “rifiutare e a resistere contro questo incredibile atto di usurpazione giudiziaria”, come ha detto il giurista Robert George. Per quest’area battagliera si profila una resistenza in trincea, dove si risponde colpo su colpo agli attacchi degli avversari, difendendo fieramente il territorio che controlla. Il giro d’interventi organizzato dalla rivista First Things, baluardo della culture war, testimonia che un pezzo dell’élite dei conservatori sociali non ha alcuna intenzione di cambiare strategia. In agenda c’è già la prima battaglia legislativa a livello nazionale: il First Amendment Defense Act, disegno di legge che dovrebbe garantire l’equanime applicazione del primo emendamento. A livello locale si vedono già le prime scaramucce del nuovo scontro, con alcuni funzionari pubblici del Texas che si sono rifiutati di emettere certificati di matrimonio invocando l’obiezione di coscienza. E’ a questa corrente che si rivolge il candidato alla presidenza Ted Cruz, senatore intransigente e idolo dei conservatori del sud, quando invita a “ignorare la sentenza della Corte suprema”. Brooks invita questi indomiti conservatori a “considerare un cambio di rotta”, che consiste nell’abbandonare la “culture war orientata alla rivoluzione sessuale”, che è un processo criticabile ma irreversibile. “Considerate una diversa culture war, una guerra che è allo stesso modo centrale per la vostra fede e molto più potente nella sua persuasiva testimonianza”, scrive Brooks, incoraggiando la nascita di una cultura più ispirata ad Albert Schweitzer e Dorothy Day che a Jerry Falwell e Franklin Graham, più compassionevole e concentrata sulla testimonianza che sull’antagonismo contro l’ordine sociale secolarizzato. Il ragionamento è in parte ispirato dalla Realpolitik: la battaglia è persa, perché incaponirsi sulla stessa strategia fallimentare? In parte, però, si tratta di rinnovare il modo con cui i conservatori sociali si rapportano alla secolarizzazione e il contributo che possono dare alla società senza esserne automaticamente esclusi: “La questione pratica è quella di riparare una società atomizzata, che non perdona ed è inospitale. I conservatori sociali sono ben equipaggiati per riparare questo tessuto, e per essere messaggeri di pace, dignità, impegno, comunione e grazia”.
di Mattia Ferraresi | 02 Luglio 2015
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