ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 22 agosto 2015

Anche gli stolti nel loro piccolo..

Bergoglio, il cattolico protestante

Papa Bergoglio ci stupisce praticamente tutti i giorni, e forse stupire è un verbo non sufficientemente forte. Ma il suo comportamento si può spiegare alla luce della storia del Cristianesimo...



Papa Bergoglio ci stupisce praticamente tutti i giorni, e forse stupire è un verbo non sufficientemente forte. Ma il suo comportamento si può spiegare alla luce della storia del Cristianesimo(1).
 In Palestina ci fu un profeta apocalittico, Gesù, la cui predicazione fece tanta impressione sui contemporanei che quell’uomo fu divinizzato e ne nacque una religione. Egli non lasciò alcuno scritto: tutto ciò che sappiamo di lui risale a compilazioni in vigore nelle varie comunità che si riunivano nel suo nome. Purtroppo queste biografie si contraddicono ampiamente e addirittura alcuni episodi non fanno onore al protagonista. Per esempio Gesù bambino, adirato, uccide un compagno che l’aveva battuto in un gioco. Anche se poi, su preghiera del padre, lo risuscita. La Chiesa dunque (arbitrariamente, dal punto di vista storico) escluse molti Vangeli, e ne ammise soltanto quattro. Il Cristianesimo è di fatto una religione che si reputa fondata su quei quattro testi, e fa sorridere che tanti abbiano contestato la Chiesa partendo dai Vangeli: i dissidenti infatti hanno dimenticato che, limitandosi a quei quattro, obbedivano a quella stessa Chiesa che intendevano contestare.

 La predicazione di Gesù fu apocalittica: la fine del mondo era vicina, molto vicina. Dunque non bisognava occuparsi d’un futuro che forse non si sarebbe avuto, bisognava piuttosto prepararsi all’evento finale. E poiché gli ascoltatori chiedevano un termine più preciso, Gesù profetizzò: (Matteo, 10-16-23) “in verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città d’Israele, prima che venga il Figlio dell’uomo».
 La sua predicazione non intendeva stabilire regole nuove. Matteo, 5, 17: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento”. 19: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti [della Legge], anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli”. Gesù non voleva riformare la religione dei padri, anche perché non ce n’era il tempo, e infatti la sua predicazione riguardava il futuro immediato. Ma la fine del mondo non si ebbe e così nacque una religione del tutto nuova, che si organizzò, creò un clero, istituì dei sacramenti fondati su fragili collegamenti con i Vangeli (tanto fragili che i Protestanti li hanno disconosciuti) e tutto quello che sappiamo.
 Purtroppo, ciò facendo, il Cristianesimo si è allontanato talmente da Gesù, che periodicamente si è levato qualcuno che, in nome di Cristo, ha contestato il Cristianesimo. Il ragionamento è stato semplice: se il fondamento della Fede sono i Vangeli, è ai Vangeli che bisogna tornare. Ecco come si spiega il comportamento di San Francesco. Ed ecco perché la sua apparizione fu vista con estremo allarme, a Roma. Il vagheggiato ritorno ai Vangeli, il disprezzo della ricchezza (fino a distribuire i propri beni ai poveri e vivere d’elemosina), la totale identificazione con i più umili e i più poveri, erano in stridente contrasto con l’organizzazione e il fasto della Chiesa romana.
 L’allarme dell’alto clero era giustificato. Anche in seguito - da Lutero a Calvino, da Zwingli a Hus, dagli anabattisti agli albigesi - tutti coloro che si sono opposti alla Chiesa lo hanno fatto in nome dei Vangeli. Purtroppo, da un lato questi testi non erano sufficienti a fondare una religione – che infatti è figlia più della storia della Chiesa che della predicazione di Gesù – dall’altro questa predicazione era incompatibile con la realtà normale. Era concepibile quando ci si attende di morire fra breve, prima che si sia finito di visitare Israele. Così, nel corso dei secoli, i cristiani si sono trovati dinanzi ad un bivio: dovevano prendere alla lettera i Vangeli o dovevano piegarli al buon senso?
 Si prenda il brano seguente (Matteo 6,25-34): “Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. … 26 Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? 28 E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano; 29 eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro. 31 Non siate dunque in ansia, dicendo: "Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?" 32 Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose. 33 Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più”.
 Prendendo questo testo alla lettera si arriva agli ordini mendicanti – a cominciare dai francescani – e non alla prosperità. Se si attende la fine del mondo mentre ancora i pagani lavorano, si potrà ottenere da loro qualcosa da mangiare. Ma il giorno in cui tutti si aspettassero il cibo come un “soprappiù”, siamo sicuri che Dio si preoccuperebbe di imbandire la tavola? Se nessuno produce il cibo, non soltanto nessuno ne avrà abbastanza per sé, ma soprattutto nessuno ne darà una briciola ai fraticelli che bussano alla porta.
 L’inverosimiglianza del messaggio evangelico (per esempio, il dovere di porgere l’altra guancia) avrebbe dovuto spingere tutti a giudicarlo iperbolico e poetico, e in effetti è ciò che hanno fatto nel corso dei secoli laici e credenti. Ma ogni tanto viene fuori qualcuno che il Vangelo vuole interpretarlo alla lettera e mette tutti in imbarazzo: infatti è difficile dargli torto, perché sarebbe stato come dare torto a Gesù stesso.
 Ecco perché Bergoglio parla di aprire le porte a milioni di immigrati. Inutile obiettare che non è realistico: per chi reputa che “Dio penserà a loro” il problema non esiste. Gli operai che non si riposano la domenica e vanno a lavorare all’Elettrolux sbagliano, perché di quel denaro non hanno bisogno. Come dice il Vangelo “sono i pagani che ricercano tutte queste cose”.
 Bergoglio, come Francesco, riprende alla lettera il Vangelo e fa scandalo. Non è pazzo. Abbraccia quella che nella storia della Chiesa è stata chiamata “la divina follia della Croce”. E si mette – lui, Capo della Chiesa – alla testa di coloro che, nel corso dei secoli, hanno voluto distruggerla in nome dei Vangeli. Ciò si deduce anche dalla poca importanza che attribuisce alla dottrina consolidata. Ad esempio, il concubinato è peccato mortale? Il peccato mortale vieta la somministrazione dei sacramenti? Eppure Berogoglio autorizza i preti a dare l’eucarestia ai risposati perché per lui la compassione, la fratellanza, il perdono contano più della dottrina: “il Sabato è fatto per l’uomo, non l’uomo per il Sabato”.
 Bergoglio è un “evangelico” che contesta radicalmente l’organizzazione di cui è a capo e la dottrina di cui dovrebbe essere il custode, e da “folle della Croce” non tiene conto del più elementare realismo. Ad esempio, maledice il profitto e santifica il lavoro, dimenticando che nessuno dà un lavoro se non spera di ottenerne un profitto. Ma che importa? Tutto il Vangelo echeggia il disprezzo del denaro.
 Non è detto che la Chiesa Cattolica sopravviva a questo Papa. Cattolico significa “universale” ma fra qualche tempo Cattolico sarà il Protestantesimo.
 (1)    Bisogna tenere distinti dei concetti. Il Cristianesimo è la religione fondata sui Vangeli. Il Cattolicesimo è il Cristianesimo fondato sulla dottrina della Chiesa. Il Protestantesimo accetta questa dottrina soltanto in parte.
Di Gianni Pardo 

http://www.affaritaliani.it/cronache/bergoglio-commento-380056.html?ref=rss

Lo strano caso del dottor Bergoglio e mister Francesco

Il Papa Francesco
Non esistono solo due Papi contemporaneamente, ma ci sono anche due Papi fusi in uno solo: Bergoglio e Francesco o, se preferite, Papa Franco e Papa Ciccio. L’unico modo per interpretare la figura dell’attuale pontefice a due anni e mezzo dalla sua ascesa al soglio di Pietro è scindere il suo personaggio in due profili speculari, uno relativo allo statista e l’altro al pastore di anime, uno al Capo dello Stato Vaticano e l’altro alla Guida della Chiesa Cattolica.
Da una parte c’è Bergoglio, il “premier” temporale che ha rivoluzionato stili e metodi nella gestione della Barca di San Pietro, il “papa straniero” – è il caso di dire – che non ha esitato a fare pulizia del marciume interno alla Curia romana e ai suoi organi di potere: l’uomo semplice ma deciso che ha sollevato il velo di ipocrisia sulla pedofilia, usando parole e gesti durissimi (come la creazione di un tribunale ad hoc per giudicare i vescovi che non hanno dato seguito alle denunce di questo reato); il capo di governo che, tuonando contro la corruzione e poco incline ai compromessi con le alte sfere delle banche vaticane, ha avviato una riforma radicale dello Ior, riguardo alla gestione e ai finanziamenti, in nome della trasparenza e dell’efficienza. Bergoglio è anche il leader politico che gode di un peso enorme nella comunità internazionale, lo statista capace di influenzare se non di indirizzare processi storici epocali, vedi la riconciliazione tra Usa e Cuba; il capo del più piccolo Stato del mondo che tuttavia è in grado di mediare tra le più grandi potenze e di essere da queste ascoltato, molto più di quanto non facessero i suoi predecessori. In questo rinnovamento giocano un peso decisivo anche i simboli, dalla croce di ferro agli abiti spartani: dimostrazione di un carisma che si sveste dei suoi segni esteriori per essere più incisivo nel merito. È la forza della povertà di francescana memoria, lo spogliarsi di tutto, per essere più efficaci e credibili anche agli occhi dei potenti.
Dall’altra parte, invece, c’è Francesco, la guida spirituale che ha disorientato il suo gregge sia riguardo ai temi trattati che al loro contenuto. Francesco parla raramente nelle sue omelie di vita ultraterrena e salvezza delle anime (come dovrebbe essere suo compito) e malvolentieri di etica (da ricordare il suo «non c’è bisogno di ossessionarsi» sulle questioni relative alla difesa della vita e della famiglia); mentre concentra più spesso la sua attenzione e la sua verve oratoria su argomenti di natura sociale: denuncia l’emergenza disoccupazione e la mancanza di lavoro che priva l’uomo di dignità, si espone (anche incautamente) sul tema dell’immigrazione, invitando all’accoglienza indiscriminata, dedica un’enciclica ai problemi del riscaldamento globale e dell’inquinamento ambientale, come fosse un guru di Greenpeace. E anche quando si occupa di famiglia, lo fa per criticare il capitalismo e la sua logica di produttività a tutti i costi che toglierebbero tempo da dedicare agli affetti, e non per mettere in guardia dalle vere minacce interne ed esterne all’istituto familiare: il secolarismo (Ratzinger lo avrebbe chiamato relativismo) con conseguente indebolimento dei legami affettivi solidi, e l’ideologia gay-friendly, che depotenzia la famiglia riproducendola in tante pallide copie. Problemi che si possono riassumere in uno solo: ossia l’idea che sia lecito creare più famiglie, sia nel senso di farsi più relazioni in una stessa vita, e spesso contemporaneamente, sia nel senso di attribuire lo status di “famiglia” anche a coppie omosessuali o semplici conviventi. Ma dove c’è la moltiplicazione, si perde l’unità; e dove tutto è famiglia, niente più è famiglia.
Su questi temi invece Francesco sorvola, concedendo un appoggio tiepido o volutamente indiretto a grandi manifestazioni come il Family Day, se non mostrandosi ambiguo, attraverso una (sacrosanta) indulgenza a divorziati e risposati, che però non ribadisce la condanna del peccato in sé; ragion per cui le sue parole si prestano poi a letture equivoche e volutamente faziose sui giornaloni, del tipo “Il Papa apre al divorzio e alle seconde nozze”.
Su questi temi ci vorrebbe più nettezza e più cautela, anche nella scelta degli interlocutori con cui si affrontano, perché se decidi di rilasciare un’intervista a Scalfari, poi non ti puoi aspettare che riporti le tue parole fedelmente e non le strumentalizzi, portando acqua al suo mulino. A tratti non capisci se Francesco sia più ingenuo o più furbo, più incosciente o più “gesuita”, come quando accetta senza battere ciglio (anzi inarcando la bocca in un sorriso) il crocifisso con falce e martello di Evo Morales.
In lui, è evidente, c’è la capacità di parlare in estensione, di raggiungere molte più persone di quanto non facesse Papa Benedetto, di toccare le periferie del mondo, quelle stesse dalle quali lui proviene. Ma si è persa la capacità di parlare in altezza e in profondità, riferendosi alla dimensione ultraterrena e scavando nelle singole coscienze dei fedeli. Lui, Francesco, resta in superficie. È un Papa orizzontale, non verticale. Né alpinista sulle vette del creato né palombaro nei recessi delle anime.
Se Ratzinger si è fatto sopraffare dai lupi che minacciavano il suo gregge, Francesco potrebbe perdere le sue pecore, a vantaggio di un gruppo di capre che lo seguono pedissequamente e di sciacalli, che approfittano di ogni suo gesto, pronti a trasformarsi in iene e avvoltoi, quando sarà il caso. Su questo pericolo, forse è bene che Bergoglio metta in guardia Francesco. O che Franco dica qualche parola di rimbrotto a Ciccio.
http://www.lintraprendente.it/2015/08/lo-strano-caso-del-dottor-bergoglio-e-mister-francesco/

Bergoglio riletto da due vaticanisti

Il 26 agosto Papa Francesco farà la sua centesima udienza generale. Il suo è un successo mediatico indiscusso. Libri su libri sono stati dedicati al Papa argentino che viene dalla “fine del mondo” portando il “resto del mondo” in Europa. Ma davvero questa grande massa di pubblicistica è utile?
Oltre i libri di facile apologia, o quelli di critica poco costruttiva si possono trovare alcuni testi che servono ad entrare meglio nel “problema Francesco” oltre la banalità.
Uno è di un giovane giornalista argentino Andres Beltramo, corrispondente da Roma per Notimex, e l’altro è di un vaticanista di lungo corso che di Papi ne ha seguiti almeno quattro ed è biografo di Giovanni Paolo II, Gianfranco Svidercoschi.
Libri diversissimi tra loro e per questo utili a capire meglio il “mistero Francesco” e soprattutto l’impatto che Papa Bergoglio sta avendo sulla Chiesa, sulla Curia e sul mondo dei lontani che lo osannano senza spesso capire il perché.
Cominciamo da “ Le reforma en marcha” di Beltramo.Per ora è solo in spagnolo, edito da Stella Maris. É una cronaca giornalistica dettagliata e ricca di citazioni, ma soprattutto vista con oggi latinoamericani. Questo rende la lettura preziosa per gli europei. Un capitolo credo che sia in questo senso più prezioso di altri: “De las bergogliadas a los bergoglismos”.
É come una mappa per capire la personalità di Jorge Mario Bergolgio, il suo stile, il suo modo di intendere il papato. Il concetto di “normalità” che vive Francesco come per cercare di essere così vicino alla gente, anche quando oggettivamente non è possibile.
Di genere completamente diverso il libro di Svidercoschi che in poche pagine apre lo scenario della riflessione sulle decisioni che riguardano la realtà della Chiesa cattolica.
Svidercoschi lo dice già nel sottotitolo: una Chiesa che a fatica lo segue. Ma perchè?Perché se Bergolgio piace tanto ai media e alle masse, agli atei e ai lontani, la Chiesa lo segue a fatica?
Svidercoschi parla anche del “disagio dei credenti” nel libro “ Un Papa solo al comando” edito da TAU, e delle critiche, costruttive, che arrivano da dentro la Chiesa cattolica.
Due libri diversi, autori diversi con una caratteristica comune: la onestà intellettuale che rende i lorolibri davvero utili per orientarsi nel “mistero Bergolgio”.
http://www.acistampa.com/story/bergoglio-riletto-da-due-vaticanisti-1152?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+acistampa%2Fnotizie+%28ACI+Stampa%29&utm_content=Netvibes

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