Frenesia USA: quanti vogliono l’Armageddon?
L’accordo raggiunto dalla Casa Bianca con l’Iran sulla rinuncia iraniana alla bomba nucleare? “Dobbiamo sentirci privilegiati, perché questo prova che sono iniziati i Tempi Ultimi”: lo ha detto Michele Bachmann, una ex deputata del Minnesota e figura di spicco del Tea Party, intervistata dalla radio evangelica nel programma “Understanding the Times” (Capire i Tempi). La signora Bachmann ha spiegato che Obama ha adempiuto la profezia di Zaccaria (12.3): “Quel giorno, quando tutte le genti saranno adunate contro Gerusalemme, io farò di essa una pietra inamovibile. Tutti coloro che proveranno a sollevarla si faranno male”.
“I profeti hanno desiderato di vedere questi giorni; io e voi abbiamo il privilegio di viverli”. Molto presto, ha aggiunto la signora, “le armate celesti” di Dio metteranno fine a questo mondo. Non agli Stati Uniti però: l’eroico sforzo dei repubblicani al Congresso per far fallire l’accordo con l’Iran ha ottenuto di risparmiare l’America dall’ira di Dio. Il conduttore della trasmissione, Jan Markell, ha assentito: “Fare cose come queste contro la terra dell’Alleanza di Dio ha conseguenze, orribili conseguenze. Aggiungiamoci altre cose, come la decisione della Corte suprema di giugno e una quantità di altre cose…non è solo che il Giudizio viene, il Giudizio è già qui”.
Episodio sintomatico del modo frenetico-apocalittico in cui viene vissuto l’accordo con Teheran negli ambienti americani cristianisti, influenzati dalla lobby israeliana. La Bachmann non è nemmeno ebrea (discende da immigrati norvegesi), né a quanto pare lo è il marito Marcus Bachmann: sono entrambi influenzati dalla sub-teologia protestante americana chiamata “Dominionism”, che unisce i Cristiani Ricostruzionisti (una setta del calvinismo Usa), i seguaci pentecostali della “Kingdom Now” (il Regno subito!) e della New Apostolic Reformation, una galassia di carismatici in cui ogni credente ritiene di avere dirette rivelazioni da Gesù. Nell’insieme, questa rete si chiama “Dominionist” perché intende realizzare quello passo del Genesi 28 in cui Dio conferisce all’uomo il dominio sulla Terra:
28Dio li benedisse e disse loro:
«Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra;
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente,
che striscia sulla terra».
«Siate fecondi e moltiplicatevi,
riempite la terra;
soggiogatela e dominate
sui pesci del mare
e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente,
che striscia sulla terra».
Costoro, dunque, sono definiti anche “cristiani nazionalisti”: che ritengono di aver dalla Bibbia il mandato di occupare le istituzioni dello Stato, con il compito finale di far sì che gli Usa siano governati dalla “Legge di Dio”, e l’America diventi una teocrazia: insomma con un programma identico a quello degli ayatollah che (come comanda Sion) sognano di distruggere.
Ha contribuito ad alzare questo clima psicopatico da tempi ultimi il discorso pronunciato da Obama il 5 agosto scorso – alla vigilia del 70mo anniversario di Hiroshima: se il Congresso riesce a sabotare il mio accordo con Teheran, ha avvertito, “non lascia a una Amministrazione assolutamente decisa a impedire che l’Iran ottenga un’arma nucleare, che una opzione: una nuova guerra in Medio Oriente. Non lo dico per provocare; enuncio un fatto”: una guerra con un paese quattro volte più esteso e tre volte più popolato dell’Irak, che non richiederebbe per essere domato centinaia di migliaia di soldati americani sul terreno. La sola alternativa – vista dagli Usa avvelenati di guerra – è la guerra. La guerra con l’Iran, tre volte più popoloso dell’Irak e quattro volte più esteso; con in più dietro l’angolo un pericoloso conflitto con Russia e Cina, che può portare alla terza guerra mondiale. Ha evocato la fine dell’alleanza atlantica, perché gli europei – che già resistono alle sanzioni contro la Russia, che danneggia soprattutto loro – non verrebbero con noi a far la guerra all’Iran.
In un crescendo di allarmismo, Obama ha parlato al portafoglio, argomento a cui i senatori sono sensibili:
“Dovremmo escludere paesi come la Cina dal sistema finanziario americano, e siccome essa di trova tra i principali acquirenti del nostro debito, potrebbe scatenare gravi perturbazioni nella nostra economia e sollevare sul piano internazionale delle domande sul ruolo del dollaro come valuta di riserva globale”.
Insomma niente di meno che l’Apocalisse.
Ma come abbiamo visto, forti settori dell’opinione pubblica americana, e loro leaders, vogliono proprio quello. L’Armageddon, la lotta finale del Bene contro il Male, a fianco di Israele contro il mondo intero.
Sicché c’è chi si domanda se il discorso di Obama, invece di dissuadere, non abbia rafforzato la volontà dei contrari all’accordo, freneticamente in attesa degli Ultimi Tempi.
Justin Raimondo (il celebre blogger di Antiwar.com), ottimista, ci ha visto la sconfitta del “Partito della guerra”, quello che l’11 Settembre “ha fatto il colpo di stato”; quei tipi che “secondo il segretario di stato Colin Powell, attorno al vicepresidente Dick Cheney, avevano creato quello che si rivelò un governo separato: Lewis Scooter Libby, il vice ministro della Difesa Paul Wolfowitz, il sottosegretario di stato Douglas Feith” . Tre ebrei neocon (poteva nominarne molti altri) che annidati nel think tank American Enterprise, all’epoca, spinsero per l’invasione dell’Irak, il serio nemico potenziale per Israele. Adesso, secondo Raimondo, questi neocon sono ancora annidati nel governo, ma la lobby che servono non ha però i numeri al Congresso per silurare l’accordo: dunque saluta The Liberation of US Foreign Policy», la liberazione della politica estera Usa dal dominio israeliano.
Fra i pessimisti ci sono i commentatori del sito World socialist Website. Uno di questi, Bill Van Auken, ha letto nel discorso di Obama “l’impressione di un ‘comandante in capo’ che sta perdendo il controllo di un processo che condurrà a una guerra più grave di quelle dell’Irak e Afghanistan
Fareed Zakarias, un giornalista esponente del vecchio establishment che i neocon hanno brutalmente sostituito alla guiida della politica estera Usa (ha lavorato per Foreign Affairs , la rivista del Council on Foreign Relations) ha intervistato Obama per la CNN chiedendogli : “E’ preoccupato all’idea che potrebbe, alla fine del suo mandato, trovarsi davanti alla forte possibilità di dove utilizzare la forza nucleare…pardon, voglio dire la forza militare – per impedire all’Iran di fornirsi di armi nucleari?”: uno studiatissimo lapsus linguae per evocare l’Armageddon.
In un modo o nell’altro, si impianta nelle anime americane la rassegnazione, o la preparazione psichica, o la volontà accesa e messianica alla battaglia finale, alla terza guerra mondiale come inevitabile.
Il generale John Allen, inviato speciale per la “coalizione internazionale anti-ISIS”, ha annunciato la prossima invasione della Siria, o di una zona cuscinetto in Siria, da parte di Usa e Turchia, per proteggere i “terroristi moderati” e scaricarvi il milione e mezzo di profughi dalla Siria oggi rifugiati in Turchia; è stato smentito dalla Casa Bianca: Meyssan sostiene che il generale fa’ parte della vasta congiura che sta cercando, in questo modo, di sabotare l’accordo di Obama con l’Iran; fra le righe di questo accordo ci sarebbe la liquidazione dell’ISI, ormai inutile agli americani, con la collaborazione di Teheran.
Circolano voci (che vengono da Erdogan) secondo cui Putin è diventato ragionevole ed abbandonerà Assad. Meyssan (imbeccato dai servizi di Damasco e probabilmente di Mosca) rende chiaro che non solo la Russia, ma la Cina, considerano non negoziabile la perdita della Siria e del suo regime laico, e conclude: “E’ assurdo immaginare che Washington si lancerà in una Terza Guerra Mondiale contro la Russia e la Cina al solo scopo di sostituire il presidente Bashar al Assad coi Fratelli Musulmani”. E’ una messa sull’avviso: evidentemente a Mosca si osserva con inquietudine la deriva messianica e irrazionalista che cresce nel corpo americano: le vostre fantasie dementi possono diventare realtà.
Lavrov e Putin dal canto loro stanno tentando addirittura una audace mediazione pacificatrice tra Arabia Saudita (l’erede al trono ha fatto la nota visita a sorpresa a Putin) e il regime di Assad in Siria. A fine luglio, incredibile a dirsi, c’è stato un incontro tra l’emiro Mohammad ben Salman (il vice-erede al trono) e il capo della sicurezza nazionale siriana, generale Ali Mamluk. La Russia, in cambio alla rinuncia dei sauditi di destabilizzare la Siria, offre il riconoscimento dello Yemen come “cortile di casa” saudita, in cui non ingerirsi; il che (sperano a Mosca) aprirebbe la via a riconoscere che l’Ucraina è il cortile di casa della Russia: sviluppo che richiede la sconfitta dei neocon a Washigton, con la Nuland messa da parte…Per il momento, Washington intensifica le ostilità in Ucraina e aggrava le sanzioni.
Peggio ancora. Gli Stati Uniti, dai tempi di Bush figlio, si sono ritirati unilateralmente dal Trattato dei missili anti-balistici allo scopo di dispiegare in Europa orientale e meridionale i missili anti-missile: fingendo che sia per difendere gli europei dall’Iran (e noi facciamo finta di crederci) ma in realtà per tenere sotto scacco Mosca con la minaccia di lanci ravvicinati. Ora, nonostante l’accordo con Teheran, Obama ha confermato che continuerà il dispiegamento unilaterale sotto i confini russi, stavolta senza scuse. Secondo gli strateghi russi, fa’ parte del piano americano di mettersi in grado di lanciare un attacco nucleare preventivo contro il territorio russo.
Naturalmente sottovalutando il rischio che l’orso russo, sentendosi con le spalle al muro, provochi al suo interno un “cambio di regime” (che Washington vuole) per tentare il tutto per tutto aggredendo l’Europa. Ed occupandola militarmente. La Russia, con il crollo dei prezzi del greggio, e il costo imposto dalle sanzioni, sta perdendo i mezzi per la sua politica di grande potenza diplomatica e pacificatrice, e il consenso della sua popolazione. Un pericolo che non va sottovalutato.
Ovviamente tutto ciò è reso più complicato dal disordine enormemente crescente in cui la destabilizzazione turco-americana ha portato l’area: il comando siriano di Al Qaeda ha rifiutato il nuovo piano di Usa e Turchia di combattere l’ISIS per liberarne la zona cuscinetto sul confine, a si sta alleando con il Califfato (o almeno ha realizzato con esso un accordo di non belligeranza). Non a caso Al Nusra ha attaccato i “terroristi moderati” addestrati dal Pentagono ammazzandone un buon numero. Il tentativo di voltafaccia Usa di allearsi con l’Iran (sciita) non fa’ che esplodere in un “orribile casino (friggin’ mess”, come ha detto un alto gallonato del Pentagono)
La Turchia stessa si trova con una guerra interna, colpita da continui attentati a firma PKK, che rovinano una parte essenziale della sua economia, il turismo, e provocano la recessione in un paese che, fino a ieri, progrediva. L’I,pero del Caos è diviso al suo interno, Obama forse “sta perdendo il controllo” o lo perdono i neocon, ma una cosa è certa: le tensioni a Washington sono all’apice. L’economia americana, nonostante tutti i trucchi, non si riprende : e forse anche questo rafforza la tentazione di un’uscita bellica dalla crisi, come avvenne nel 1939…La stessa Israele appare profondamente divisa tra fanatismo “religioso” che mira alla battaglia finale, e alcuni generali e dirigenti dei servizi a cui pare che quell’accordo con l’Iran non sia affatto male.
Le potenze destabilizzatrici (fra cui va calcolata la UE) sono contagiate dal caos che hanno sparso: la UE con l’Ucraina, situazione da cui non sa uscire. La “soluzione” trovata per la crisi greca è una demenziale follia che non durerà, si ripresenterà in autunno…con l’economia ellenica ancor peggiorata: una bancarotta unilaterale e disordinata è dietro l’angolo. Le ondate di immigrati e fuggiaschi assaltano Kos e le altre isole greche, e Atene non ha i mezzi per fare nulla, e Bruxelles non sa fare nulla. Ha cercato di imporre a Belgrado un campo-profughi di 400 mila fuggiaschi in Serbia: ricevendone un ovvio rifiuto.
E in questa, Pechino, con la sua svalutazione a sorpresa, ha avviato una corsa alle svalutazioni competitive che gelerà l’economia globale. “Una grande crisi finanziaria è imminente” profetizzano otto ecnomisti internazionali. Non ci vuole molto a prevederla: il sistema finanziario basata su montagne di debiti che garantiscono altri debiti, è al capolinea storico. E non sanno come aggiustarlo, né rimpiazzarlo.
Gli ingredienti per i Tempi Ultimi, purtroppo, si stanno accumulando fra demenza e malvagità. Si avvicinano i tempi visti da Alois Irlmeier? Detesto evocare profezie, ma forse è il caso. Ma di questo, un’altra volta.
http://www.maurizioblondet.it/frenesia-usa-quanti-vogliono-larmageddon/
Confesso : sono stato, in gioventù, un grande ammiratore degli Stati Uniti. Poi, da inviato speciale, ho iniziato a girare questo grande Paese in lungo e in largo ma non nelle solite, note grandi città – New York, San Francisco, Boston, Washington – bensì nell’America profonda, quella, noiosissima, mai battuta dai turisti e dove i giornalisti si recano solo se costretti dai loro direttori. Un paio di anni fa con la mia famiglia abbiamo trascorso le vacanze negli Usa ; lasciammo la Grande Mela per addentrarci nello Stato di New York, su verso Albany e Catskills Mountains, sedotti dalla descrizione, letta sulle guide turistiche, dei tipici, deliziosi villaggi, simbolo di una vecchia America.
Bastarono poche decine di chilometri per restare sconcertati: i villaggi erano davvero vecchi ma tutt’altro che deliziosi. Erano angoscianti, costellati di case derelitte e talvolta piegate su ste stesse ; viaggiavamo su strade piene di buche da cui spuntavano erbacce che nessuno strappava più da tempo e intorno a noi vedvamo solo povera gente. I più fortunati vivevano in baracche di legno, gli altri vagavano trascinando i propri cenci nei carrelli della spesa.
Scoprimmo, allora, l’altro volto dell’America, quello che i turisti non vedono mai sulla Fifth Avenue o nel centro di San Francisco ed è un’America molto più numerosa di quanto si immagini, isolata, ignorata da tutti, abbandonata a se stessa.
Capii allora che erano veritiere le denunce di un commentatore molto coraggioso l’economista Paul Craig Roberts; non uno qualunque, ma uno dei principali collaboratori del presidente Reagan, docente universitario, pluripremiato. Craig Roberts sostiene che parte dei dati concernenti gli Usa, a cominciare da quelli sulla disoccupazione, non sono attendibili, in quanto manipolati alla fonte. Per intenderci : è uno di destra, un liberale. Ma con gli occhi aperti e un’autentica passione civica al servizio del proprio Paese.
Ora, grazie alla segnalazione di un amico, scopro uno studio di due docenti americani, Hershey H. Friedman e Sarah Hertz, intitolato: “Gli Stati Uniti sono il miglior Paese al mondo? Ripensateci”, basato su una serie di statistiche internazionali, da cui trova conferma il ritratto di un Paese in fase di evidente involuzione sociale, politica ed economica. Qualche dato: nella classifica sulla percentuale della popolazione che vive in povertà, gli Usa sono al 35 esimo posto su 153. Quella riguardante i bambini in povertà nei Paesi occidentali è ancora più disastrosa: gli Usa sono 34esimi su 35, solo la Romania fa peggio. Sono il quarto Paese al mondo con la maggior disuguaglianza reddituale, dietro a Cile, Messico e Turchia. E gli stessi americani non si sentono molto felici: sono appena al diciassettesimo posto della classifica mondiale. L’aspettativa di vita è bassa: gli Usa sono appena 42esimi, mentre battono tutti riguardo la popolazione carceraria: hanno 2,2 milioni di detenuti, molto più della Cina (1,6 milioni) che però ha una popolazione oltre 3 volte maggiore e della Russia dell’orribile Putin (600 mila). Secondo una fonte insospettabile, l’Economist, nemmeno Stalin raggiungeva queste cifre.
Potrei continuare ma mi fermo qui. Intuisco lo sconcerto del lettore, che si chiede: ma come? Io pensavo che l’America… Già, lo pensavamo tutti, ma per valutare davvero questo Paese non ci si può limitare agli annunci ufficiali, che descrivono solo una parte della realtà, ignorando tutto quello che non collima con la verità ufficiale, con il mito che Hollywood e le tv continuano ad alimentare. Quanti film avete visto sui 45 milioni di americani in povertà? Quante denunce giornalistiche? Chi solleva questo tema nei dibattiti televisivi? La risposta è sempre la stessa: nessuno.
Tutti pavidi e conformisti, tranne pochi commentatori coraggiosi come Paul Craig Roberts.
That’s America. Purtroppo.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2015/08/11/viva-il-modello-americano-o-forse-no-questi-dimostrano-unaltra-verita/
Viva il modello americano! O forse no, questi dati dimostrano un’altra verità
Bastarono poche decine di chilometri per restare sconcertati: i villaggi erano davvero vecchi ma tutt’altro che deliziosi. Erano angoscianti, costellati di case derelitte e talvolta piegate su ste stesse ; viaggiavamo su strade piene di buche da cui spuntavano erbacce che nessuno strappava più da tempo e intorno a noi vedvamo solo povera gente. I più fortunati vivevano in baracche di legno, gli altri vagavano trascinando i propri cenci nei carrelli della spesa.
Scoprimmo, allora, l’altro volto dell’America, quello che i turisti non vedono mai sulla Fifth Avenue o nel centro di San Francisco ed è un’America molto più numerosa di quanto si immagini, isolata, ignorata da tutti, abbandonata a se stessa.
Capii allora che erano veritiere le denunce di un commentatore molto coraggioso l’economista Paul Craig Roberts; non uno qualunque, ma uno dei principali collaboratori del presidente Reagan, docente universitario, pluripremiato. Craig Roberts sostiene che parte dei dati concernenti gli Usa, a cominciare da quelli sulla disoccupazione, non sono attendibili, in quanto manipolati alla fonte. Per intenderci : è uno di destra, un liberale. Ma con gli occhi aperti e un’autentica passione civica al servizio del proprio Paese.
Ora, grazie alla segnalazione di un amico, scopro uno studio di due docenti americani, Hershey H. Friedman e Sarah Hertz, intitolato: “Gli Stati Uniti sono il miglior Paese al mondo? Ripensateci”, basato su una serie di statistiche internazionali, da cui trova conferma il ritratto di un Paese in fase di evidente involuzione sociale, politica ed economica. Qualche dato: nella classifica sulla percentuale della popolazione che vive in povertà, gli Usa sono al 35 esimo posto su 153. Quella riguardante i bambini in povertà nei Paesi occidentali è ancora più disastrosa: gli Usa sono 34esimi su 35, solo la Romania fa peggio. Sono il quarto Paese al mondo con la maggior disuguaglianza reddituale, dietro a Cile, Messico e Turchia. E gli stessi americani non si sentono molto felici: sono appena al diciassettesimo posto della classifica mondiale. L’aspettativa di vita è bassa: gli Usa sono appena 42esimi, mentre battono tutti riguardo la popolazione carceraria: hanno 2,2 milioni di detenuti, molto più della Cina (1,6 milioni) che però ha una popolazione oltre 3 volte maggiore e della Russia dell’orribile Putin (600 mila). Secondo una fonte insospettabile, l’Economist, nemmeno Stalin raggiungeva queste cifre.
Potrei continuare ma mi fermo qui. Intuisco lo sconcerto del lettore, che si chiede: ma come? Io pensavo che l’America… Già, lo pensavamo tutti, ma per valutare davvero questo Paese non ci si può limitare agli annunci ufficiali, che descrivono solo una parte della realtà, ignorando tutto quello che non collima con la verità ufficiale, con il mito che Hollywood e le tv continuano ad alimentare. Quanti film avete visto sui 45 milioni di americani in povertà? Quante denunce giornalistiche? Chi solleva questo tema nei dibattiti televisivi? La risposta è sempre la stessa: nessuno.
Tutti pavidi e conformisti, tranne pochi commentatori coraggiosi come Paul Craig Roberts.
That’s America. Purtroppo.
http://blog.ilgiornale.it/foa/2015/08/11/viva-il-modello-americano-o-forse-no-questi-dimostrano-unaltra-verita/
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