ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 31 agosto 2015

Siamo stanchi?




Preghiera del migrante. La nota politica di Vincino

Le “parolinate” del card. Parolin


Immigrazione e “parolinate”: le nostre osservazioni.
Sì, parolinate, quelle espresse dal cardinale Segretario di Stato del Santo Padre Francesco, Pietro Parolin e perché, diciamocelo onestamente, qui due sono le cose: o si finge di non sapere, o si finge sapendo di fingere (non vogliamo usare di proposito il termine mentire perché sarebbe tutto un altro discorso).
Il card. Pietro Parolin



Il card. Pietro Parolin


Radio Vaticana ha riportato oggi stralci dell’omelia di Parolin alla Messa al Policlinico Gemelli – vedi qui – e dopo aver tentato di spegnere l’incendio acceso dal piromane segretario della CEI Galantino,  a chi accusa la Chiesa di ingerenza quando parla di immigrazione, il cardinale risponde così:
“Io credo che la Chiesa deve parlare e deve parlare anche su questo tema dell’immigrazione, soprattutto nel senso di chiedere a tutti uno spirito e un’apertura all’accoglienza, a non avere paura dell’altro, e a cercare di integrare le differenze per costruire un mondo più giusto e solidale”.
E di questo vogliamo parlare anche noi non solo perché siamo “membra vive della Chiesa”, ma perchè siamo anche cittadini di questa Nazione, ed essendo nel mezzo (tra voi Pastori e i politici) spesso veniamo tirati di qua e di la e di questo, scusate, siamo anche un po’ stufi, soprattutto quando non si dicono le cose come stanno.
Siamo stanchi di questo idolo invocato quale “spirito di apertura” e di accoglienza, soprattutto quando lo Stato Vaticano non ci dice dove dobbiamo accoglierli, in quali strutture e soprattutto chi deve pagare?
Siamo stanchi che si confonda l’impossibilità oggettiva di non poter accogliere “tutti e chiunque” con “la paura”, ma stiamo scherzando? ma paura di chi e di che? Noi non crediamo che l’Isis colpirà attraverso queste immigrazione, ma santo cielo, basta con questo “non aver paura dell’altro” e ci venga spiegato a quale integrazione ci si riferisce: siamo al sincretismo delle identità culturali?
Siamo stanchi delle frasi ad effetto e degli slogan: “per costruire un mondo più giusto e solidale”, cioè abbiamo bisogno dell’immigrazione forzata per costruire un mondo giusto e solidale?
Una volta la Chiesa parlava usando le frasi del Vangelo, dove sono finite? E di grazia, dove sono questi slogan espressi nei Vangeli?
Ci sono migliaia di Famiglie con figli che in Italia vivono nell’emergenza perché vivono con 1500 euro al mese e non arrivano alla fine del mese e voi, Gerarchia cattolica, avete il coraggio di rivolgervi così magari alimentando sensi di colpa o peggio, alimentando davvero risposte inquietanti o del tipo: no scusi Parolin, ma perché non integrate questi immigrati nella Città del Vaticano o nelle centinaia di strutture cattoliche in disuso o adibite ad hotel di gran lusso a cento euro al giorno?
Noi abbiamo una sola entrata – quando va bene – e ci chiedete soldi, TUTTI: lo Stato ce li prende (trattenute e siamo arrivati al 50%), Voi li chiedete quasi ricattandoci moralmente, ora li dobbiamo anche agli immigrati… per non parlare dell’aiuto alla parrocchia, alla Caritas, alle missioni, no scusate, andiamo a rubare per soddisfare tutte le vostre richieste?
Le strutture dell’Italia sono al collasso e le tasse che ci hanno inflitto sono altissime, siamo quasi a trattenute da usura, ma nessun Vescovo e neppure lei, Parolin, si è mai alzato per difendere i nostri stipendi da fame.
Certo, Parolin ragionevolmente dice:
“Il mio vorrebbe essere, davvero, un appello a tutti a fare il loro dovere. E se qualcuno non lo fa, pensi a qual è la sua responsabilità. Veramente, uniamo le forze per cercare di rispondere a questa emergenza. È un problema mondiale, un problema che esige una risposta ai diversi livelli, con diverse responsabilità, ma che deve vederci tutti coinvolti”.
Bene, cominciamo allora a fare nomi e cognomi di chi deve assumersi queste responsabilità. E’ facile parlare sempre ad anonimi, gli appelli a tutti sono quelli che in genere finiscono per non coinvolgere nessuno. Vero è che noi crediamo in quell’assumersi le responsabilità attraverso le quali poi ognuno di noi risponderà a Dio in base a Mt. 25,31-45 ma risponderete anche voi del carico pesante, del fardello pesante che avete imposto sulle nostre spalle con certi appelli che non risolvono i problemi ma li inaspriscono e li aggravano ulteriormente.
Le sue, Parolin, sono davvero “parole vuote di contenuto”, non sono di aiuto e non aiutano ad affrontare i problemi dell’immigrazione.
Parole, parole, parole, parole, soltanto parole, come ci cantava la grande Mina.
Ci perdoni se abbiamo un po’ giocato con il suo cognome, ma nulla avviene per caso.
Eminenza, il Catechismo della Chiesa Cattolica dice che le autorità delle nazioni hanno il diritto e il dovere di limitare il numero delle nuove entrate in vista del bene comune ( Catechismo della Chiesa Cattolica n. 2241 ) e lascia alle autorità civili il compito “loro proprio” di valutare le capacità concrete di accoglienza e di integrazione della nazione e, in base a ciò, di studiare i mezzi legislativi adeguati e proporzionati, a seconda delle situazioni concrete, per regolare i flussi migratori e tutelare la comunità anche da fenomeni di criminalità che possono approfittare dei flussi migratori stessi. Le nazioni sono le famiglie dei popoli e, come nelle famiglie degli individui, l’accoglienza e l’ospitalità può avvenire solo nella misura del possibile e nella salvaguardia dell’autonomia, dell’identità e dell’esistenza della famiglia stessa – vedi qui -.



Il card. Giacomo Biffi



Il card. Giacomo Biffi


E per evitare di dire noi “parolinate”, lasciamo ora spazio al grande cardinale Giacomo Biffi, che diceva:
“E’ incontestabile, per esempio, il principio che a ogni popolo debbano essere riconosciuti gli spazi, i mezzi, le condizioni che gli consentano non solo di sopravvivere ma anche di esistere e svilupparsi secondo quanto è richiesto dalla dignità umana.  (…) ma non se ne può dedurre – se si vuol essere davvero “laici” oltre tutti gli imperativi ideologici – che una nazione non abbia il diritto di gestire e regolare l’afflusso di gente che vuol entrare a ogni costo. Tanto meno se ne può dedurre che abbia il dovere di aprire indiscriminatamente le proprie frontiere…”
e diceva anche a proposito dell’INTEGRAZIONE: “Bisogna perciò concretamente operare perché coloro che intendono stabilirsi da noi in modo definitivo “si inculturino” nella realtà spirituale, morale, giuridica del nostro paese, e vengano posti in condizione di conoscere al meglio le tradizioni letterarie, estetiche, religiose della peculiare umanità della quale sono venuti a far parte”  – vedi qui –.
Riportiamo ancora alcuni passaggi del testo del cardinale Biffi perchè ci sembra proprio dimenticato e che nessun prelato è riuscito ad eguagliare o a superare:
“Che cosa diremo di illuminante e di pratico alle comunità cristiane, che di questi tempi sono per la verità afflitte da poca chiarezza di idee e da molte incertezze comportamentali?
…. i nostri fedeli non devono nutrire complessi di colpa a causa delle emergenze anche imperiose che essi con le loro forze non riescono ad appianare. Sarebbe un implicito, ma comunque intollerabile e grave “integralismo” il credere che le aggregazioni ecclesiali e i cattolici possano essere responsabilizzati di tutto.
Qualche volta i malintesi sono involontariamente propiziati dalle pubbliche autorità che, quando non sanno che pesci pigliare, fanno appello alle nostre supplenze e fatalmente ci coinvolgono (dando in tal modo implicito riconoscimento che le organizzazioni ecclesiali sono tra quelle che in Italia riescono ancora a funzionare).
(..) Dovere statutario della Chiesa Cattolica e compito di ogni battezzato è di far conoscere esplicitamente Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio morto per noi e risorto, oggi vivo e Signore dell’universo, unico Salvatore di tutti.
Tale missione può essere coadiuvata ma non surrogata dall’attività assistenziale che riusciremo a offrire ai nostri fratelli. Suppone la nostra attitudine al dialogo sincero, aperto, rispettoso con tutti, ma non può risolversi nel solo dialogo. E’ favorita dalla conoscenza oggettiva delle posizioni altrui, ma si avvera soltanto nella conoscenza di Cristo cui noi riusciamo a portare i nostri fratelli, che sventuratamente ancora non ne sono gratificati.
Inoltre l’azione evangelizzatrice è di sua natura universale e non tollera deliberate esclusioni di destinatari. Il Signore non ci ha detto: “Predicate il Vangelo ad ogni creatura, tranne i musulmani, gli ebrei e il Dalai Lama” (cf Mc 16,15). Chi ci contestasse la legittimità o anche solo l’opportunità di questo annuncio illimitato e inderogabile, peccherebbe di intolleranza nei nostri confronti: ci proibirebbe infatti di essere quello che siamo, vale a dire “cristiani”; cioè obbedienti alla chiara ed esplicita volontà di Cristo.
E’ molto importante che tutti i cattolici si rendano conto di questa loro indeclinabile responsabilità. E per essere buoni evangelizzatori, persuasi dentro di sé e persuasivi nei confronti degli altri, essi devono crescere sempre più nella intelligenza e nella gioiosa ammirazione degli immensi tesori di verità, di sapienza, di consolante speranza che hanno la fortuna di possedere: è una effusione sovrumana, anzi divinizzante di luce, assolutamente inconfrontabile con i pur preziosi barlumi offerti dalle varie religioni e dall’Islam; e noi siamo chiamati a proporla appassionatamente e instancabilmente a tutti i figli di Adamo.
(..) Agli immigrati cattolici – quale che sia la loro lingua e il colore della loro pelle – bisogna far sentire nella maniera più efficace che all’interno della Chiesa non ci sono “stranieri”: essi a pieno titolo entrano a far parte della nostra famiglia di credenti, e vanno accolti con schietto spirito di fraternità.
(..) Gli appartenenti alle religioni non cristiane vanno amati e, quanto è possibile, aiutati nelle loro necessità. Da alcuni di loro – segnatamente dai musulmani – possiamo tutti imparare la fedeltà ai loro esercizi rituali e ai loro momenti di preghiera, ma non tocca a noi prestare positive collaborazioni alla loro pratica religiosa.
A questo proposito, è utile richiamare quanto è disposto dalla Nota CEI del 1993, già citata: “Le comunità cristiane, per evitare inutili fraintendimenti e confusioni pericolose, non devono mettere a disposizione, per incontri religiosi di fedi non cristiane, chiese, cappelle e locali riservati al culto cattolico, come pure ambienti destinati alle attività parrocchiali” (n. 34).
(..) In un’intervista di una decina d’anni fa, mi è stato chiesto con molto candore e con invidiabile ottimismo: “Ritiene anche Lei che l’Europa o sarà cristiana o non sarà?”. Mi pare che la mia risposta di allora possa ben servire alla conclusione del mio intervento di oggi.
Io penso – dicevo – che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento largamente dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo – e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa – potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto.
Purtroppo né i “laici” né i “cattolici” pare si siano finora resi conto del dramma che si sta profilando. I “laici”, osteggiando in tutti i modi la Chiesa, non si accorgono di combattere l’ispiratrice più forte e la difesa più valida della civiltà occidentale e dei suoi valori di razionalità e di libertà: potrebbero accorgersene troppo tardi. I “cattolici”, lasciando sbiadire in se stessi la consapevolezza della verità posseduta e sostituendo all’ansia apostolica il puro e semplice dialogo a ogni costo, inconsciamente preparano (umanamente parlando) la propria estinzione.
La speranza è che la gravità della situazione possa a un certo momento portare a un efficace risveglio sia della ragione sia dell’antica fede.
È il nostro augurio, il nostro impegno, la nostra preghiera”.
E anche il nostro.

Profughi delle nostre guerre e del nostro business

Il «grido» disperato dei migranti
IL «GRIDO» DISPERATO DEI MIGRANTI

Oggi i politici europei, di fronte al fenomeno dei migranti, ripetono che bisogna «aiutarli a casa loro». Ma l'Occidente in realtà ha fatto il contrario

ANDREA TORNIELLIROMA

«Siamo profughi delle vostre guerre», si legge in un cartello appeso al collo di un immigrato africano. Di fronte alle tragedie di questi ultimi giorni, «crimini, che offendono l’intera famiglia umana» li ha definiti Papa Francesco all'Angelus di domenica 30 agosto, si sente ripetere spesso dai politici l'importanza di aiutare questi popoli «a casa loro».C'è chi attacca in modo delirante la Chiesa e in particolare il Papa, chi parla di un'«invasione» che sarebbe in atto (anche se gli arrivi in Italia, per esempio, sono di poco superiori a quelli dell'anno scorso), chi invoca restrizioni e innalzamento di barriere, chi giustamente denuncia gli scafisti criminali. Ancora poco si riflette, soprattutto in Occidente, sulle cause profonde di questi fenomeni: le connessioni con un certo modello economico, con le scelte strategico-militari degli ultimi decenni, con il finanziamento a Paesi e gruppi terroristici ieri alleati e oggi nemici, con la mancanza di una politica che sappia guardare oltre l'interesse immediato e le prossime scadenze elettorali. Ecco qualche esempio su cui riflettere.

Il caso Eritrea
Da gennaio a maggio 2015 sono stati ben 10mila gli eritrei sbarcati sulle coste italiane. Dal Paese, ricco di risorse naturali, si fugge per mancanza di lavoro e di futuro. Racconta Eden Getachew, consulente ricercatrice per l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite Ohchr sul caso Eritrea: «Ho cominciato il servizio militare in Eritrea a 17 anni, e finché una donna non si sposa e fa figli, resta di fatto sempre a disposizione dell'esercito... Nonostante gli affetti familiari, non rientro nel mio Paese, perché sarei alla loro mercé». Sebbene il servizio militare sulla carta abbia la durata di 18 mesi, in realtà «continua a tempo indefinito, a volte senza essere pagati oppure pagati un dollaro al giorno. I soldati vengono fatti lavorare nelle aziende dello Stato che hanno contratti con aziende straniere. I soldi che vengono guadagnati dal regime servono per mantenere il potere. Nei primi anni Novanta accadeva il contrario, tanti hanno voluto far ritorno nel Paese che sembrava rinascere. L'Eritrea è un Paese ricco di risorse, ma le terre vengono confiscate dallo Stato. La vita costa cara, le famiglie ricevono delle razioni di cibo attraverso dei coupon dati dai comuni, e se hanno al loro interno degli oppositori del governo, ovviamente quelle famiglie vengono penalizzate e non ricevono nulla». Ci sono certo governi illiberali e oligarchie corrotte. Ma perché non ci si chiede mai quali siano le aziende, le multinazionali alle quali conviene il perpetuarsi di questo stato di cose?

Quegli investimenti nella Repubblica Centrafricana
La Ong britannica Global Witness, in un rapporto intitolato «Legname insanguinato», ha documentato un retroscena inquietante del grave conflitto in Centrafrica scoppiato nel 2012, una delle crisi umanitarie dimenticate. Grazie a documenti e testimonianze è emerso che alcune aziende, impegnate nel business del legname, hanno finanziato varie fazioni di ribelli, gruppi armati accusati di crimini di guerra, per poter ottenere contratti vantaggiosi e ottenere il legname dagli stessi miliziani. Sono società appartenenti a imprenditori belgi, francesi, tedeschi, cinesi e libanesi. Il rapporto di Global Witness critica anche l’Unione europea, dove vengono importati due terzi del legname centrafricano, per non aver sufficientemente vigilato, come richiesto peraltro dalle normative comunitarie.

Effetti della finanziarizzazione: il caso del Ghana
Il debito africano è tornato a salire ed è probabile che molti governi non riescano a mantenere i propri impegni. Nel decennio scorso, in seguito al progetto Highly Indebted Poor Countries (Hipc) del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, diversi Paesi a basso reddito dell’Africa Subsahariana avevano ottenuto una riduzione, servita a riprendere fiato a ad accedere a nuovi prestiti. Nel 2007 il Ghana è stato il primo ad affacciarsi sui mercati internazionali, emettendo obbligazioni per 750 milioni di dollari, seguito poi da Senegal, Nigeria, Zambia e Rwanda. I fondi d’investimento, messi a disposizione dall’alta finanza, sono stati usati in parte per sostenere attività imprenditoriali straniere in Africa, ma hanno anche finanziato le corrotte oligarchie locali. Senza piani di sviluppo nazionali si sono costruite cattedrali nel deserto, infrastrutture slegate le une dalle altre, o iniziative imprenditoriali esposte all'acquisizione da parte delle multinazionali, in particolare sul versante delle materie prime e delle fonti energetiche. La speculazione sfrenata ha portato alla svalutazione delle monete locali. In Ghana, paese considerato l’emblema del boom africano per la crescita del Pil, il governo è stato costretto a svendere i suoi asset strategici: acqua, petrolio, elettricità, telefonia, cacao, diamanti. Responsabilità delle autorità locali, certo, ma anche delle istituzioni finanziarie internazionali le quali pretendono le concessioni per lo sfruttamento delle materie prime e le privatizzazioni in particolare delle terre, per bloccare la crescita del debito. Grandi possibilità di affari per europei, cinesi e americani, a motivo della moneta locale fortemente deprezzata. Poco o nulla è stato investito in politiche di welfare. Qualcosa di simile sta accadendo nello Zambia, che ha avuto il debito declassato dopo aver emesso, due anni prima, bond per 750 milioni di dollari. Si può anche ricordare che l'Unione europea dall'ottobre 2014 ha imposto a tutti i Paesi coinvolti nei trattati di cooperazione, i Paesi in via di sviluppo, gli Epa (Economic Partnership Agreement). Si tratta di accordi commerciali paritetici, che possono avere conseguenze molto negative nei Paesi africani non in grado di competere con l'economia europea. Nel mercato di Cotonou, in Benin, i pomodori prodotti a Villa Literno, in Italia, costano meno di quelli prodotti dal coltivatore africano, anche grazie ai fondi europei in favore dell'agricoltura. Di questo passo, in pochi anni gli africani non saranno più padroni dell'acqua e del pane che producono. Un impoverimento che, non è difficile prevederlo, porterà nuovi e più consistenti fenomeni migratori.

Le «nostre guerre» e i terroristi nostri ex alleati
È un dato di fatto difficilmente contestabile: le scelte strategico-militari occidentali in Medio Oriente e nel Nord Africa, nell'ultimo quarto di secolo, si sono dimostrate disastrose. L'equilibrio già precario in regioni i cui confini sono stati «creati» all'inizio del Novecento, è stato stravolto dalla decisione di porre fine ai regimi di alcuni dittatori, come Saddam Hussein e Muʿammar Gheddafi. Dittatori sanguinari, ma considerati utili alleati dell'Europa e dell'Occidente quando faceva comodo per fare affari o per combattere il nemico del momento. Le due guerre in Iraq, come pure quella in Libia, sono state decise e condotte senza alcun progetto per il dopoguerra. L'esito finale è stata la destabilizzazione dell'area e la trasformazione dei due Paesi in sentine di tutti i gruppi terroristici fondamentalisti. I numeri attuali di migranti non erano molto inferiori negli scorsi anni, ma quando c'era Gheddafi al potere, i profughi venivano bloccati e in molti casi lasciati morire nel deserto. Come non ricordare che i talebani sono stati finanziati in funzione antisovietica, e che fino a un paio di mesi prima della comparsa dello «Stato islamico» dell'Isis, vari gruppi di miliziani fondamentalisti che lo hanno costituito e che combattevano contro il «nemico» Bashan al-Assad in Siria sono stati foraggiati con armi e soldi occidentali? E che dire dei contatti e dei contratti che ci vedono alleati con i Paesi arabi maggiormente coinvolti nel sostegno al fondamentalismo salafita?

Allarme Islam
Di fronte ai quotidiani massacri (ai danni di cristiani, ma anche di altre minoranze come pure di altri musulmani), alla pulizia etnica, agli sgozzamenti, alla distruzione di opere patrimonio dell'umanità, cresce la paura per ciò che l'Isis rappresenta e per i suoi obiettivi. Paradossalmente, in non pochi casi, l'Occidente si ritrova a indicare come nemico, «grande Satana» di turno, l'alleato di ieri o dell'altro ieri. Allo stesso tempo i Paesi occidentali fanno poco o nulla per aiutare gli intellettuali del modernismo islamico, le università e i centri di cultura dove vengono contrastate le suggestioni fondamentaliste, intolleranti e aggressive del salafismo. Non ci sono soltanto i fautori del «jihad», della guerra santa. Ci sono autori, scrittori, pensatori, come per esempio gli egiziani Sayyed al-Qimani e Khalil Abd al-Karim che presentano letture alternative a quella fondamentalista. «Alcuni di questi pensatori e riformatori sono stati eliminati nel silenzio e nel disinteresse occidentale - spiega a Vatican Insider il missionario comboniano padre Giulio Albanese, direttore di "Popoli e Missione" - come nel caso di Mahmoud Mohammed Taha, fatto impiccare dal presidente sudanese Gaafar Nimeiri il 18 gennaio 1985. Rileggeva il Corano arrivando alla netta separazione tra la dimensione religiosa, universalmente valida e immutabile, e quella politica, legata alle situazioni storiche. Proponeva la riconciliazione dell’Islam con la libertà religiosa, i diritti umani e l’uguaglianza dei sessi. Venne ucciso come apostata dal regime di Khartoum in quel momento alleato dell'Occidente». Sorte simile - continua il missionario - era toccata al padre del riformismo islamico iraniano, Ali Shariati, che diceva: «Dobbiamo riformare l’Islam rendendolo il volano di liberazione delle nostre società ancora ferme a una dimensione sociale tribale, cioè al Medio Evo dell’Oriente, mentre oggi è lo strumento usato dai reazionari per evitare il progresso e lo sviluppo sociale». Venne giustiziato nel 1977 dalla polizia segreta dello Scià di Persia.

Una domanda sulle migrazioni
Quelli fin qui accennati sono soltanto esempi. Esempi parziali, che possono far comprendere la complessità della realtà di quanto sta accadendo, e la necessità di risposte che non si limitino alla guerra agli scafisti o alla restrizione delle norme sull'immigrazione. «Ai politici e agli opinionisti che oggi affermano la necessità di “aiutare gli africani a casa loro” - osserva padre Giulio Albanese - bisognerebbe ricordare che questo, purtroppo, non è avvenuto in passato e non sta avvenendo oggi. Anzi, le politiche d’investimento a livello internazionale - occidentali e non solo – sono attualmente di segno contrario. Si tratta di un paradosso se si considera che stiamo parlando del continente con tassi di crescita superiori a quelli di molti Paesi del Primo mondo». E per quanto riguarda le accuse di corruzione, la presa d'atto delle cause endemiche della cattiva politica dei governi africani e delle loro oligarchie, padre Albanese ricorda: «Noi diciamo che i Paesi del sud del mondo hanno governi corrotti. È vero. Ma la corruzione è un business con una domanda e un'offerta. Ci sono le oligarchie africane ma ci sono le multinazionali che sfruttano. Bisognerà pur cominciare a farsi delle domande su questo, come pure sulla necessità di riformare il modello di sviluppo imposto dalla globalizzazione, come ha chiaramente indicato Papa Francesco sia nell'esortazione Evangelii gaudium come nell'enciclica Laudato si'».
http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/migranti-migrants-migrantes-francesco-francisco-francis-43067/

L'Occidente non ha più né guide né difensori

L'invasione degli islamici avviene nel disinteresse dell'Europa e degli Usa

Il Papa e il presidente Mattarella dicono che c'è una Terza guerra mondiale. No, sbagliano, non c'è nessuna Terza guerra mondiale.
Quello che è in atto è l'invasione dell'Europa da parte di popolazioni asiatiche ed africane. Un'Europa che non si difende e non le respinge, anzi le accoglie e le aiuta. I problemi nasceranno e diventeranno più gravi domani, quando queste popolazioni saranno aumentate enormemente e avranno dato luogo a nuove configurazioni e a nuovi conflitti etnici, religiosi e politici. Ma per ora né i governanti né gli intellettuali né i giornalisti europei se ne preoccupano.
No, non c'è una Terza guerra mondiale. C'è una invasione dell'Europa che avviene perché non c'è più il mondo libero e non c'è più una guida del mondo libero. Gli europei credevano sinceramente nel mondo libero e hanno lasciato volentieri agli Usa il compito di guidarlo e di difenderlo. Ma dopo la fine dell'Urss gli americani anziché creare una grande alleanza che comprendesse Europa e Russia, hanno rotto con il Cremlino e si sono appoggiati ai Paesi islamici.
Tutto è cominciato quando hanno armato i mujaheddin afghani contro i russi, poi hanno combattuto i regimi filorussi di Hussein, di Gheddafi e di Assad lasciando il campo libero alla Turchia, all'Arabia Saudita e al Califfato tanto in Medio Oriente come nel Nordafrica. Ed ora consentono che una organizzazione potentissima recluti e trasporti milioni di asiatici e di africani musulmani per portarli in Europa.
Il mondo libero non ha più una guida. Non costituiscono più una guida gli Usa che hanno tradito l'Europa, si sono posti in competizione con la Russia e pensano solo a fare affari con gli islamici. Non lo sono i leader europei compreso Renzi, che sembrano storditi, instupiditi, incapaci perfino di capire cosa succede. Non lo è la Germania, preoccupata solo di recuperare i crediti greci e di impadronirsi dei suoi porti e delle sue isole. Non lo è più nemmeno la Chiesa che ha un Papa anticapitalista e terzomondista favorevole all'invasione afro-islamica dell'Europa.

Salvataggi e accoglienza ci costano 3 miliardi all'anno

Nel solo 2015 arriveranno sulle nostre coste 200mila persone. E per accoglierli Alfano spenderà il doppio di quanto stanziato Mare Nostrum. Ma il preventivo del governo è destinate inesorabilmente a salire


L'unica cosa certa sui costi che l'Italia sostiene per l'emergenza immigrazione è che i dati ufficiali fatti trapelare dai vari ministeri sono calcolati al ribasso.
E anche di molto. Sulle cifre reali c'è molta cautela, e quasi certamente anche la volontà di mantenere un profilo basso per non far esplodere la protesta contro i costi dell'accoglienza a tutti i costi.
Sul Messaggero di oggi, Oscar Giannino ha provato a fare un po' di chiarezza. Mettendo in ordine dati e numeri dell'immigrazione. Il conto totale, è bene anticiparlo subito, supera i 3 miliardi di euro.
Nel solo 2015 arriveranno sulle nostre coste 200mila persone, ben più dei 170mila del 2014. Per far fronte a questo flusso, l'Italia mette in campo diversi soggetti e diverse risorse che concorrono a creare il costo finale. Le strutture italiane, a sentire i dati messi a disposizione dal ministro Alfano il 29 lugli scorso, ospitano 86mila migranti. Di questi, 9mila abitano nei 13 centri di accoglienza e primo soccorso e nei dieci Cara, che sono riservati ai richiedenti asilo. Circa 20mila, invece, hanno trovato un posto letto nei centri di accoglienza Spar, il Sistema per l'Accoglienza dei Richiedenti Asilo e dei Rifugiati. Posti letto che solo due anni fa si fermavano alla modica cifra di 3mila e che l'emergenza immigrazione farà salire fino a 30mila, secondo un bando emesso qualche mese fa. Infine, ulteriori 57mila migranti vivono nei Centri di accoglienza temporanea (CAS). Quanto ci costano tutti questi "presunti profughi"?
Esattamente non è dato saperlo, bisogna affidarsi alle stime. Le variabilità delle spese tra comuni e diverse istituzioni, infatti, rende difficile l'ottenimento di un numero preciso. Per i CAS il ministero dell'Interno spendeva nel 2011 42,5 euro (più Iva) al giorno per le diarie (conto che saliva a 75 euro per i minorenni). Un dato medio, che può cambiare (e molto) tra comuni e regioni, visto che sono le varie prefetture a stabilire il prezzo con le singole autorità comunali. Per il sistema Sprar, invece, tra il 2013 e il 2014 l'Italia ha messo a disposizione una diaria di 30 euro (più Iva) per gli adulti e di 42 euro (più Iva) per i minori.
Mettendo mano alla colcolatrice, dunque, Giannino stima una spesa di competenza nazionale per il sistema Sprar nel 2014 di 225 milioni di euro. Cui vanno aggiunti altri 225 milioni sotratti alle casse dei Comuni: totale 450 milioni di euro per gli Sprar-CARA. Un numero sicuramente inferiore alla realtà dei fatti, che quindi approssimando (questa volta) per eccesso si può tranquillamente considerare un costo complessivo di 500 milioni di euro (considerando che il solo CARA di Mineo, noto per Mafia Capitale, nel solo 2013 ha incassato 100 milioni di euro).
Poiché il circuito Sprar-Cara ospita "solo" un terzo del totale degli immigrati in Italia, bisogna moltiplicare il tutto per tre, operazione che fa salire il salato conto a 1,5 miliardi di euro. Bastano? No. Perché rispetto a queste stime il numero dei profughi nel frattempo è cresciuto di oltre un terzo, e quelli ospitati nei Cas (come gli alberghi o altre strutture temporanee) costano mediamente più di quanto non si spenda per tenerli nelle tendopoli dei vari CARA. Ecco dunque che il costo va fatto salire almeno a 2,5 miliardi di euro. Ma ancora non è tutto.
Ci sono poi da considerare poi le spese che la Farnesina, la Difesa e il Viminale devono sostenere per l'apparato militare e civile che impiega nella raccolta dei migranti al largo e per trasportarli per mezza penisola con autobus e aerei. Secondo Giannino si parla di 700 milioni di euro nel 2104, considerando la quantità di sbarchi. Togliendo i 225 milioni già computati per la diaria dei profughi, rimane mezzo miliardo di spese attribuibili all'uso dei mezzi e del personale. A questo va poi sommata la partecipazione dell'Italia alle varie missioni europee, come Frontex e EuroForNavmed. Siamo già a oltre i 3 miliardi di euro.
Anche si volessero sottrarre gli spiccioli che l'Europa ci consegna ogni anno (650 milioni di euro), tutto il resto (2,5 miliardi di euro) è totalmente a spese nostre, senza consederare poi i costi per l'integrazione sociale ed economica. Insomma, più di 3 miliardi di euro che dalle tasche degli italiani vanno a finire nel circuito poco trasparente dell'accoglienza.
Spese destinate inesorabilmente a salire.

1 commento:

  1. Queste parole di Parolin sono uno schiaffo alla figlia di quei due poveri pensionati massacrati da quell’ivoriano, laggiù in Sicilia: un migrante? un povero profugo? perché non se lo è preso in casa Parolin? Magari così sarebbe toccata a lui la coltellata, non a quel povero Cristo, tanto i preti debbono essere pronti al martirio. Dio salvi e benedica Salvini e gli assicuri la vittoria su questo branco di impostori e ingannatori che vogliono farci invadere, assassinare, sottomettere da questi nuovi barbari (e magari anche stuprare le nostre figlie, moglie, sorelle). Oggi la “Resistenza” è quella contro questi nuovi tiranni, mascherati sotto mentite spoglie di democrazia e misericordia, e in realtà lupi voraci entrambi (cioè i politici e i modernisti ex cattolici).

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.