ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 13 settembre 2015

Fàmolo strano, fàmolo cardinale

La strana teoria di Schonborn sulle convivenze
Il cardinale Schonborn
Nella confusa discussione sui temi del prossimo Sinodo sulla famiglia, non riesco a comprendere in particolare il frequente riferimento ai Semi del Verbo a proposito del buono che ci sarebbe nelle convivenze, anche omosessuali. Oltre a non capirlo, questo riferimento mi stupisce molto, perché comporta un rovesciamento di quella stessa dottrina. Purtroppo ormai è però sulla bocca di tutti. Di recente ne ha parlato il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, in una intervista a “La Civiltà Cattolica”. Il riferimento a questa dottrina era anche presente nella Relatio Synodi conclusiva del Sinodo straordinario e, quindi, anche nell’Instrumentum laboris del Sinodo ordinario che recepisce la Relatio.

Il ragionamento è il seguente. Dio ha seminato i Semi del Verbo, ossia delle verità ancora incomplete ma comunque ordinate a Cristo, anche al di fuori della Chiesa cattolica, come per esempio nelle altre religioni, nelle culture ed anche in forme di vita che non sono conformi pienamente alla sua Volontà, ma che comunque contengono delle verità che possono essere sviluppate fono alla loro pienezza cristiana. Così, in una convivenza, ci sono aspetti di aiuto reciproco e solidarietà che sono ancora lontani dal matrimonio cristiano, ma non ne sono totalmente estranei, piuttosto ne rappresentano una forma inadeguata. Così si dice anche, fatte le “debite distinzioni” che però non si capisce quali siano, delle relazioni omosessuali.
La dottrina dei Semi del Verbo è stata formulata da Giustino nel secondo secolo dopo Cristo e poi ulteriormente approfondita da Clemente di Alessandria nel terzo secolo dopo Cristo. Essi si riferivano alla filosofia greca che, pur non essendo un pensare nella fede, tuttavia aveva espresso molte verità. Queste verità avrebbero trovato la loro pienezza in Cristo a cui erano orientate. Se Cristo è la Verità, ogni verità viene da Lui ed è orientata a Lui. Clemente diceva addirittura che la filosofia greca era come l’Antica Alleanza per i gentili. L’avvento di Cristo sarebbe stato preparato dalla storia di Israele per il popolo eletto e dalla filosofia greca per i gentili. Tema ripreso da Joseph Ratzinger che, diversamente da Rahner o Kasper, considerava provvidenziale l’incontro del cristianesimo con la filosofia greca.
Questa dottrina dei Semi del Verbo risulta però completamente inapplicabile alle situazioni di cui sopra. Una convivenza comporta l’esercizio della sessualità fuori del matrimonio, ossia in modo indegno della dignità della persona umana e della verità dell’amore. Essa comporta inganno e violenza, anche se consensuale. In termini religiosi è un peccato. Se la convivenza avviene dopo un matrimonio significa adulterio. Anche questo è un peccato, come risulta dalle parole di Gesù all’Adultera. È un peccato che rientra negli intrinsece mala, ossia in quelle azioni che per la loro materia intrinsecamente offensiva della dignità della persona non si devono mai fare. Non parliamo delle relazioni omosessuali.

Ora, mi chiedo, se queste situazioni sono sbagliate e di peccato come è possibile che in esse siano presenti i Semi del Verbo? Questi ultimi possono solo essere delle verità, non degli errori.  
Qui interviene però un altro fraintendimento piuttosto grave. La situazione oggettiva di peccato tende a sparire davanti alla situazione esistenziale delle persone. La misericordia consisterebbe nel concentrarsi sulle persone, che non perdono mai completamente i loro elementi anche positivi, piuttosto che sulla falsità delle loro condizioni di vita. “Chi sono io per giudicare”? si chiede anche il cardinale Schonborn. Ma se non si può giudicare le persone, si può e si deve giudicare le situazioni oggettive di vita. La Chiesa può e deve fare questo.

In una situazione oggettivamente negativa e di peccato non possono esserci delle verità né tantomeno la presenza dei Semi del Verbo. Quella situazione oggettiva produce ingiustizia, indipendentemente dalla eventuale buona volontà dei soggetti responsabili. Se costoro sono, magari, persone impegnate nella Chiesa, ciò non elimina l’ingiustizia che la loro situazione oggettiva comporta, sia nei loro stessi confronti, sia per la Chiesa e per la società.

Il cardinale Kasper aveva detto che non esistono “i divorziati risposati”, ossia non esistono situazioni oggettive di vita individuabili, descrivibili e valutabili come sbagliate. Per lui esistono solo i casi particolari. L’esistenza presenterebbe situazioni solo diverse. Ma così non è. La Chiesa non può perdere la consapevolezza della sua capacità di conoscere le situazioni oggettive di vita per indicarle ai fedeli come sbagliate. Altrimenti tutto diventerebbe buono in forme più o meno adeguate. Tutto sarebbe Seme del Verbo.

di Stefano Fontana
13-09-2015
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-la-strana-teoria-di-schonbornsulle-convivenze-13800.htm

Le sconcertanti parole di Gesù
L’invito a mangiare la sua carne, a odiare i genitori, a considerare la sua venuta non come portatrice di pace ma di spada, sono espressioni che hanno sempre scandalizzato i fedeli
La scena ha come fondale la costa settentrionale del lago di Tiberiade. Là sorgeva un centro importante, Cafarnao, in ebraico «villaggio della consolazione» o «villaggio di Nahum», nome portato anche da un profeta biblico. Di lì passava una strada che conduceva in Siria, un’arteria commerciale di frontiera: è per questo che Cafarnao era dotata di una dogana il cui ufficio era diretto dal funzionario Matteo Levi, il futuro apostolo. Sopra le modeste case del quartiere dei pescatori – ove era situata anche la residenza di un altro discepolo di Cristo, Simon Pietro, messa in luce nel secolo scorso dall’archeologia – si ergeva una sinagoga eretta col contributo di un ufficiale romano filoebreo (Lc 7,4-5).
Gesù, che da poco si è affacciato sul panorama pubblico della Galilea, la regione settentrionale della Terra Santa, la sua predicazione impressionante e coi suoi atti sorprendenti, entra in quella sinagoga e inizia a parlare. Il suo è un discorso sconcertante tanto da generare una reazione ostile da parte non solo della folla che l’ascoltava, ma anche dei suoi primi discepoli. Proviamo anche noi ad accostarci e a raccoglierne l’eco da qualche frase: «Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita ... perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda».
È l’evangelista Giovanni a registrare quel discorso nel capitolo 6 del suo scritto ed è ancora lui a segnalare la sensazione di ribrezzo e di ripugnanza dell’uditorio di fronte a una proposta che sembrava rasentare il cannibalismo, sia pure sacro. Innanzitutto la folla: «I Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (Gv 6,52). Poi è la volta dei discepoli: «Molti dei suoi discepoli, dopo averlo ascoltato, dissero: Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6,60). Nell’originale greco si usa l’aggettivo sklerós: è un discorso «sclerotico», non solo duro ma anche incomprensibile, recalcitrante a ogni intelligenza normale.
Quegli uomini che l’avevano seguito con entusiasmo voltano ora le spalle a Gesù, escono da quella sinagoga sulla piazzetta antistante. È ancora Giovanni a rappresentare lo sviluppo della scena: «Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui» (6,66). Riprendevano, dunque, le strade dei loro villaggi ove li attendevano forse le barche da pesca che avevano prima con tanto fervore abbandonato, oppure rientravano in quelle magre campagne che avevano coltivato faticosamente. Gesù stesso aveva trovato con un verbo la definizione più adatta ad esprimere il loro stato interiore: «Questo vi scandalizza?» (Gv 6,61).
Il verbo italiano ricalca quello greco del Vangelo, skandalízei: esso letteralmente rimanda alla pietra di inciampo che fa incespicare e cadere una persona che avanza su un viottolo accidentato o su un sentiero di montagna. Questo verbo risuona 29 volte nei Vangeli (15 volte si incontra il sostantivo skándalon) e prevalentemente è collegato all’esperienza di fede: è un rinnegarla, un respingerla, un entrare in crisi o un fare agli altri una sorta di sgambetto così che dalla fede cadano nell’incredulità. Il termine, nella nostra accezione più comune (soprattutto nell’aggettivo «scandaloso»), ha acquistato una connotazione sessuale, evocando l’oscenità, l’indecenza, la sconcezza.
Nel linguaggio neotestamentario questa parola conserva, sì, l’elemento di imbarazzo e di turbamento, si colora di indignazione e di disgusto, ma si orienta quasi sempre allo sconcerto in chiave religiosa. Come scriverà san Paolo, il Cristo crocifisso è scandalo per i Giudei (1 Cor 1,23), è – come usiamo dire noi – «la pietra dello scandalo» che fa perdere fiducia e adesione, introducendo una specie di repulsione e persino di raccapriccio. Ed effettivamente le parole di Cristo sulla sua carne come cibo e sul suo sangue come bevanda avevano suscitato non solo imbarazzo e sconcerto, ma un vero e proprio orrore nell’uditorio di quel discorso nella sinagoga di Cafarnao.
Infatti, come è noto, nella Bibbia il sangue è segno della vita stessa e non è lecito nemmeno toccare un corpo lacerato e sanguinolento, perché si resterebbe contaminati e si diverrebbe impuri e incapaci di compiere ogni atto di culto. Come non ricordare nella parabola del Buon Samaritano il comportamento del sacerdote e del levita che passano «oltre dall’altra parte» della strada ove giaceva quel malcapitato sanguinante e mezzo morto (Lc 10,31-32)? Nell’alleanza primordiale tra Dio e l’umanità, che ha per mediatore Noè, dopo il giudizio del diluvio, si legge questo precetto divino: «Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello» (Gen 9,5).
Per noi l’orrore nei confronti delle parole di Gesù sul cibarsi della sua carne e sul bere il suo sangue sarebbe quello legato all’antropofagia, uno dei tabù dominanti in quasi tutte le civiltà. Evidentemente ben diverso era il senso che intendeva Gesù e che noi ora interpretiamo alla luce dell’eucaristia: il pane e il vino sono segni di una «comunione» di vita col corpo e il sangue, cioè con la persona di Cristo, e quindi con la divinità, in un’intimità piena che genera la «vita eterna», vale a dire la vita divina, come ripete lo stesso Cristo in quel discorso.
Ma perché abbiamo ricostruito questa scena con la reazione allibita dei discepoli? È un episodio che di solito è rievocato ancor oggi dai pellegrini: essi sostano nell’area archeologica di Cafarnao dove sorgeva l’antica sinagoga nella quale Gesù aveva tenuto quel discorso, ora sostituita dai resti di un’altra imponente sinagoga del IV secolo. Là essi leggono appunto il capitolo 6 del Vangelo di Giovanni. Abbiamo riproposto quell’evento perché vorremmo invitare a un particolare viaggio testuale nei quattro Vangeli alla ricerca delle parolescandalo, quelle che fanno inciampare il lettore, anche chi è fermamente cristiano. Sono appunto le parole «dure» e difficili, che esigono una speciale interpretazione. Non temiamo di affrontare questo itinerario un po’ arduo e arido, memori di una battuta significativa dello storico inglese, vissuto tra Sei e Settecento, Thomas Fuller, nella sua Gnomologia: «Tutto è difficile prima di essere semplice».
I 140 passi evangelici che presenteremo hanno una diversa gradazione di difficoltà. Alcuni sono chiaramente hard, come vengono definiti in inglese, e creano senza dubbio uno choc. Ad esempio: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre ... e persino la propria vita, non può essere mio discepolo» (Lc 14,26). Oppure: «Chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,28). O ancora: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace ma spada!» (Mt 10,34). Infine, tra i tanti altri esempi possibili, ecco un dialogo inquietante tra un aspirante discepolo e Gesù: «“Signore, permettimi prima di andare a seppellire mio padre.” “Seguimi, e lascia che i morti seppelliscano i loro morti!”» (Mt 8,21-22).
di Gianfranco Ravasi

Il Sole Domenica 13.9.15

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