Papa a Cuba, il regalo di Papa Francesco a Fidel: ‘Galeotto fu il libro…’
‘Galeotto fu il libro…’ amaramente recita Francesca da Rimini nel quinto canto della Divina Commedia, raccontando di come, leggendo un romanzo cavalleresco, sbocciò il suo tragico amore perPaolo Malatesta. Ed un libro Galeotto – Galeotto, ancora una volta, nel senso dantesco di Galehaut, il messaggero d’amore che fece da tramite tra Lancillotto e Ginevra – potrebbe essere all’origine anche di quella che, nel suo blog, il vaticanistaFrancesco Antonio Grana chiama la ‘intesa straordinaria tra papa Francesco e Fidel Castro’.
Il libro in questione è, come molto ben riportato nel blog di Grana, quello che, nel corso d’un breve e molto pubblicizzato incontro non protocollare all’Avana, Jorge Bergoglio ha regalato al riconosciuto padre della rivoluzione cubana. Trattasi, come riferiscono tutte le cronache, d’una serie di saggi – per l’occasione accompagnati da un paio di Cd con l’audio di alcuni sermoni – a suo tempo scritti dapadre Amado Llorente, il gesuita (gesuita come Jorge Bergoglio) che fu insegnante-tutor di Fidel quando, tra il 1944 ed il 1945, giusto prima di entrare all’Università, il futuro ‘líder máximo’ studiò nel prestigioso Colegio de Belén dell’Avana. Non tutti sembrano però convinti che quel dono sia davvero stato, per restare alla metafora dantesca, un ‘messaggero d’amore’. E qualcuno – è questo, ad esempio, il caso di Austen Ivereigh, autore di ‘The Great Reformer: Francis and the Making of a Radical Pope’ – ha addirittura avanzato l’ipotesi che quel libro in realtà contenesse un molto sottile ma anche, in ultima analisi, alquanto perentorio invito. Scrive infatti Ivereigh su suo account Twitter: ‘…in altre parole, quel libro e quei Cd, potrebbero essere un modo d’aiutare El Jefe a riconciliarsi con il suo passato…’. Ovvero, a fare qualcosa che Fidel non ha mai fatto e, presumibilmente, mai farà negli anni che gli restano da vivere: pentirsi, cercare – nel più cristiano senso del termine – la penitenza ed il perdono.
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Si tratta, per l’appunto, soltanto di un’ipotesi, basata però su alcuni piuttosto solidi dati di fatto. Il più rilevante dei quali è questo: la ‘assoluzione’ di Fidel Castro – conseguenza per l’appunto del suo pentimento – era proprio quello che Amado Llorente aveva affermato di ‘desiderare sopra ogni cosa’ in un’intervista rilasciata all’agenzia Efe nel 2007, tre anni appena prima di morire. Padre Llorente era stato – come gran parte del clero cubano, perlopiù di origine spagnola e di fede franchista –espulso da Cuba nel 1961, due anni appena dopo il trionfo della rivoluzione, e s’era, come gran parte dell’esilio, stabilito a Miami, città nella quale l’intolleranza dell’ala più dura degli anticastristi, per molti versi speculare a quella della rivoluzione dalla quale erano fuggiti, mai gli aveva perdonato il suo non rinnegato rapporto d’amicizia con ‘el tirano’. Ed era stato proprio da questo strano limbo – o da questa posizione di predicatore nel deserto – che il gesuita aveva, nel 2007, lanciato quel suo ultimo messaggio via Efe. Dovesse Fidel chiamarmi, aveva in sostanza detto, io partirei il giorno stesso per Cuba. Ed arrivato all’Avana lo abbraccerei, ricordando tutte le belle ore trascorse insieme. Ma poi lo metterei di fronte alla ‘Verità’ e gli chiederei di pentirsi, di fronte a Dio e di fronte agli uomini, di peccati che ‘non furono solo personali’.
È dunque questo – pentiti e sarai assolto – quel che papa Francesco ha voluto dire a Fidel regalandogli il libro? Forse sì, o forse no. E, se sì, va da sé che – essendosi Fidel, notoriamente, giàfatto assolvere dalla Storia - si tratta d’un messaggio destinato a cadere nel vuoto. Un fatto comunque resta: il regalo papale ha – probabilmente in modo involontario – riaperto un capitolo della storia giovanile di Fidel che, normalmente assai poco frequentato, offre un diverso e più preciso angolo visuale sull’antico enigma dellaformazione politica del ‘comandante en jefe’. Un angolo, se vogliamo, più in sintonia con le esperienze – tutte di radici fasciste – di altri leader populisti latinoamericani, da Juan Domingo Perón(che fu, a suo tempo, ispiratore dello stesso Bergoglio) a Getulio Vargas.
Nella chilometrica intervista-testamento rilasciata ad Ignacio Ramonet – pubblicata nel 2006, sotto il titolo ‘Fidel Castro, biografia a dos voces’ – Fidel non dedica che poche parole agli anni trascorsi nel Colegio di Belén. E di padre Llorente non sembra ricordare, in un paio di righe, che qualche divertente gita in montagna. Non così il gesuita che, di quel tratto della vita di Fidel, aveva – come molti dei compagni di corso – conservato memorie assai meno ‘neutre’. Quella, ad esempio d’un ancora imberbe ma molto convinto ammiratore di Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange. ‘Sono innumerevoli le volte – ha rammentato Llorente in un’intervista – che Fidel ed io abbiamo cantato insieme, con il braccio teso, De cara al sol (l’inno, per l’appunto, della Falange franchista)’…
Fidel aveva, allora, meno di 18 anni. Troppo pochi, ovviamente, per incollargli addosso etichette di sorta. Ed è certo – come di lui scrisse il giornalista del New York Times, Herbert Matthews, il primo che lo intervistò nella Sierra Maestra – che il ‘comandante en jefe’ ha da allora cambiato idee ed ideologie con lo stesso criterio e con la stessa facilità con cui gli altri cambiano vestito. L’importante, scrisse Matthews, era che quelle idee stessero bene addosso a lui ed al suo potere…Il che ci riporta a quella che, la di là dello scambio di doni, è probabilmente stata la più importante delle frasi pronunciate dal papa in questa sua visita cubana: è tempo di cominciare a servire le persone, non le ideologie…Forse Francesco avrebbe dovuto aggiungere: …e non i capi supremi.
Cuba, l’intesa straordinaria tra Papa Francesco e Fidel Castro
Manca solo che Raul riceva la comunione dalle mani del Papa e il ritorno al cattolicesimo sarà fatto. L’intesa tra i Castro e Bergoglio sembra essere davvero forte. Non a caso Francesco,appena giunto a L’Avana dopo un volo di 12 ore e 6 di fuso orario, ha voluto subito inviare, attraverso Raul, un saluto al Líder máximo: “Vorrei chiederle, Signor Presidente, di trasmettere i miei sentimenti di speciale considerazione e rispetto a suo fratello Fidel”. Dalle parole si è passati ai fatti con Francesco che, dopo la messa nella plaza de la Revolucion di L’Avana con la gigantografia di Che Guevara, è andato a casa di Fidel.
L’anziano Líder máximo, infatti, a causa della malattia non si muove più dalla sua abitazione. Ma Bergoglio non ha pensato minimamente alle eventuali ripercussioni negative per la sua immagine. Francesco lo ha fatto con la semplicità che lo contraddistingue senza farsi tante domande sul significato che i detrattori avrebbero potuto attribuire al suo gesto di cordialità. La più classica delle opere di misericordia, alla vigilia del Giubileo straordinario che Bergoglio aprirà l’8 dicembre 2015: visitare gli infermi.
Qualche osservatore è rimasto colpito dai libri sulla religione che Bergoglio ha donato a Fidel. In realtà a tutti i leader del mondo che incontra il Papa dona sempre le sue ultime encicliche e altri doni di tema religioso. Del resto era stato proprio Fidel a chiedere a Benedetto XVI, nell’incontro che aveva avuto con lui nel 2012 nella Nunziatura di L’Avana che ospitava il Papa tedesco durante la sua visita a Cuba, di inviargli alcuni libri sulla religione. Francesco, o per meglio dire il suo sapiente staff, se lo è ricordato e ha colto l’occasione per onorare quella richiesta.
La straordinarietà dell’incontro del Papa latinoamericano con Fidel consiste proprio nella visita a domicilio che Bergoglio ha voluto fare al Líder máximo. L’ex presidente cubano, quando era ancora al potere, aveva accolto nell’isola caraibica san Giovanni Paolo II nel 1998 in un viaggio destinato a segnare la storia non solo dell’America e della Chiesa cattolica, ma del mondo intero. Un incontro che cambiò Fidel per sempre: “Ho vissuto – confidò a Wojtyla – delle esperienze personali che mi permettono di apprezzare molti aspetti del suo pensiero”. Poi, quando aveva già passato la mano del governo al fratello Raul, l’incontro con Ratzinger al quale con molta semplicità aveva rivolto una domanda curiosa: “Cosa fa un Papa?”. “È al servizio della Chiesa universale”, gli aveva risposto Benedetto XVI.
C’è un ultimo tassello dell’incontro tra Fidel e Francesco che vale la pena sottolineare. Tra i doni che Bergoglio ha portato all’anziano leader ci sono un libro e due cd con le omelie di padre Armando Llorente, il gesuita morto in esilio a Miami che Castro aveva avuto come insegnante nel Collegio di Belén. Anche Raul, nell’udienza privata con il Papa in Vaticano il 10 maggio 2015, aveva ricordato a Francesco che aveva studiato dai gesuiti. E poi aveva aggiunto: “Se il Papa continua così, tornerò alla Chiesa cattolica”. Che sia questo l’obiettivo di Bergoglio?
UN PRONOSTICO
Papa Francesco piacerà agli americani per cinque motivi
Pragmatico, rivoluzionario e affabile: ecco perché Bergoglio conquisterà gli Usa
Beppe Severgnini
La dottrina cristiana e la politica americana sono importanti, ma non aiutano a prevedere l’esito del viaggio di papa Francesco negli Stati Uniti. Molti pronosticano: nonostante le divergenze con l’amministrazione Obama e l’opinione corrente - dal matrimonio omosessuale all’aborto, dalla ricchezza individuale al ruolo delle donne nella Chiesa - la visita sarà un successo. Ci uniamo al pronostico, aggiungendo: sarà un successo perché papa Francesco possiede cinque caratteristiche che piacciono agli americani.
Per cominciare, è un uomo pragmatico. D all’intervento decisivo su Cuba alla distribuzione delle famiglie di profughi nelle parrocchie italiane: le iniziative di papa Francesco sono facilmente comprensibili e sembrano avere un obiettivo pratico. La cultura americana ama i numeri e diffida delle parole astratte. Il vocabolo «misericordia», ispirazione del prossimo Giubileo, per superare la frontiera psicologica degli Usa, ha bisogno di rispondere alle stesse domande cui veniamo sottoposti tutti noi appena arriviamo negli Stati Uniti: perché, chi, come, dove, quando?
Una seconda caratteristica risulterà gradita: papa Francesco rappresenta il cambiamento. La Chiesa cattolica è scossa dalle iniziative e dalle dichiarazioni del Pontefice (dalla povertà alla sessualità, dall’economia all’ideologia, dalla residenza personale alle gerarchie vaticane). Gli americani - tutti, senza eccezione - hanno un’ammirazione sincera per chi rappresenta il mutamento. Papa Francesco intende cambiare il mondo? Benissimo. L’ambizione non è mai una colpa, in America.
Un terzo elemento faciliterà papa Francesco negli Usa: la capacità di comunicazione. Quando scuote l’Europa chiusa verso i migranti, sfida l’Occidente ossessionato dal denaro, schiaffeggia il mondo incurante dell’ambiente, non c’è dubbio: l’uomo si fa capire. La raffinatezza dottrinale del predecessore era indiscutibile, ma difficile da far passare in un notiziario e impossibile da riassumere in un tweet. Benedetto XVI è stato un Pontefice accademico e speculativo; Francesco è un Papa sociale e intuitivo. All’empatia e alla capacità di sintesi, Bergoglio aggiunge la capacità di sorprendere. Con le parole, certo; ma anche con i simboli e le immagini. Gli americani amano la coreografia: nessuno li convincerà mai che le cose importanti non possano essere anche belle, maestose ed emozionanti.
Papa Francesco è già un personaggio negli Usa, e questo lo aiuterà. Non avrà bisogno di adattarsi al modello dello show business; è lo show business che si adatterà a lui. Questo non gli impedirà di dire ciò che deve e vuole dire; lo faciliterà, invece. Jim Yardley, capo dell’ufficio di Roma del New York Times , premio Pulitzer, ha presentato il viaggio dimostrando, con molti esempi, che «Francesco ha sempre fatto le cose a modo suo». Francis did things his own way . Ricorda un classico di Frank Sinatra? Tanto meglio. L’interessato non s’offenderà (non ha appena citato Mina?).
Papa Francesco è già un personaggio negli Usa, e questo lo aiuterà. Non avrà bisogno di adattarsi al modello dello show business; è lo show business che si adatterà a lui. Questo non gli impedirà di dire ciò che deve e vuole dire; lo faciliterà, invece. Jim Yardley, capo dell’ufficio di Roma del New York Times , premio Pulitzer, ha presentato il viaggio dimostrando, con molti esempi, che «Francesco ha sempre fatto le cose a modo suo». Francis did things his own way . Ricorda un classico di Frank Sinatra? Tanto meglio. L’interessato non s’offenderà (non ha appena citato Mina?).
Una quarta caratteristica che avvicina papa Francesco alla mentalità americana: è affabile. La cordialità negli Stati Uniti ha subito molti cambiamenti e alcuni rallentamenti (dopo l’11 settembre). Ma, nel complesso, resta un marchio della nazione: l’accoglienza verso il forestiero benintenzionato è speculare alla durezza verso il malintenzionato. Delle buone intenzioni di Bergoglio, e della sua capacità empatica, non dubita nessuno. Obama, appesantito da sette anni di presidenza, avrà un rivale.
Punto cinque: Jorge Mario Bergoglio è americano, in fondo. Molto in fondo, dal punto di vista dei paralleli. Ma la distanza di Buenos Aires da Miami o dal Texas è accorciata dalla storia e dalla lingua (lo spagnolo negli Usa affianca e compete con l’inglese). In questo viaggio papa Francesco saprà accorciarla ancora: state certi.
22 settembre 2015 | 07:18
Antonio Socci è un contestatore in nome della tradizione. Questa specialissima (ma ai nostri giorni sempre meno speciale) posizione lo scrittore cattolico l’ha assunta nel corso del pontificato di Papa Bergoglio. Socci ha espresso il suo dissenso in un libro uscito un anno fa, Non è Francesco, che continua a far discutere. Dopo essersi definito «uno dei tanti delusi», così Socci giudica l’operato del Pontefice: «Bergoglio, sempre così critico con i cattolici, non si contrappone mai nemmeno alle lobby laiciste sui temi della vita, del gender, dei principi non negoziabili che papa Benedetto individuò come pilastri della “dittatura del relativismo”».
Questi temi saranno approfonditi nell’incontro che si svolgerà venerdì 18 0ttobre (ore 18), presso la Società Dante Alighieri di Roma (piazza Firenze), su iniziativa del quotidiano on line Intelligo News. Socci sarà intervistato dal direttore Fabio Torriero. Interverranno anche il giornalista de Il Giornale Fabrizio De Feo, il vaticanista Americo Mascarucci, il deputato di Forza Italia Fabrizio Di Stefano.
Non mancherà carburante per ulteriori discussioni. In un suo recentissimo post su Facebook, Socci ha sostanzialmente accusato Bergoglio di pulsioni autoritarie. Vi compare questa citazione di Papa Ratzinger: «Il papa non è il signore supremo – dall’epoca di Gregorio Magno ha assunto il titolo di “servo dei servi di Dio”– ma dovrebbe essere – amo dire – il garante dell’ubbidienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, escludendo ogni arbitrio da parte sua». Questo il titolo con il quale lo scrittore ha corredato la citazione: «Quello che Bergoglio non sa (e mon vuol sapere) spiegato dal grande Papa Benedetto». Più o meno lo stesso concetto, Socci lo espresse in una intervista rilasciata tempo fa sempre a Torriero: Bergoglio – rileva il cattolico “contestatore” – ci ha «ricordato che non è solo Vescovo di Roma, ma Papa con tutte le prerogative del caso, e pertanto ha il potere diretto e assoluto su tutta la Chiesa. È un’affermazione che vuole lanciare un segnale significativo» Quale? Quell’accenno al potere nella Chiesa, «mi fa pensare al rischio di repressione e purghe, cioè defenestrazioni».
Possibile mai che un papa presentato come “buonista” dalla generalità dei mass media sia in realtà un autoritario? La moderna società della comunicazione è piena di (apparenti) paradossi. E va anche aggiunto che Socci, per quanto “contestatore”, non è tipo che ama la polemica fine a se stessa.
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