La visita di papa Francesco ai valdesi di Torino e la richiesta di perdono per i torti da loro subiti centinaia di anni fa da parte cattolica ha lasciato dietro di sé qualche polemica, perché i leader valdesi hanno cortesemente fatto capire che non si sentono autorizzati a perdonare a nome dei loro antichi predecessori. Qualcuno in Vaticano si è urtato, qualche esponente valdese ha cercato di ricomporre e in pochi giorni il caso è stato chiuso. Ma quando un Papa chiede perdono in qualità di pastore supremo dei cattolici per colpe storiche, se la cosa finisce lì per i vertici, gli strascichi tra la gente comune rimangono a volte per un bel pezzo. Da qui la richiesta di alcuni (miei) lettori nei miei confronti di chiarire loro le idee giacché si ritrovano impegolati in discussioni senza fine con i denigratori in servizio permanente della Chiesa.
Non c’è qui lo spazio per rifare la cronistoria dei rapporti tra cattolici e valdesi nel corso di mille (!) anni, ma dobbiamo dire subito che il primo a lamentarne il cattivo trattamento fu Voltaire; prima di allora, quasi nessuno se ne era accorto. Cioè, le vicende di questa minoranza religiosa costituivano uno dei tanti rivoli collaterali della lotta al catarismo medievale e poi delle guerre di religione succedute allo scisma luterano. I catari sono scomparsi da un pezzo, e non ci sono storici catari a sostenerne le ragioni. Non così per i valdesi, la cui memoria (come quella dei protestanti, degli anglicani e degli ortodossi) è per forza di cose una narrazione “contro” la realtà da cui illo tempore presero le distanze. É il motivo per cui la stragrande maggioranza dei libri sui valdesi sono scritti da valdesi o intellettuali à la Voltaire. Così che rimane nei più, se non in tutti, l’impressione che si tratti della solita storia di poveretti che volevano solo pregare diversamente, ma la Chiesa, sempre oppressiva e totalitaria, non ha esitato a ricorrere a ogni efferatezza per impedirglielo. Le cose, anche qui, sono leggermente diverse.
L’idea di “religione = fatto privato” è tutta contemporanea. Non c’è mai stato eretico che non abbia cercato di imporre a tutti la sua eresia. Lo stesso hanno fatto gli illuministi, i liberali, i comunisti, i nazisti. E così fanno le ideologie odierne, anch’esse nient’altro che eresie secolarizzate. Per restare ai valdesi, don Bosco ne fu gratificato da attentati a mano armata, e più volte. E nella Torino dei suoi tempi i valdesi non erano affatto discriminati, anzi: nel 1848 il re Carlo Alberto aveva riconosciuto loro i pieni diritti civili e politici. Se l’esempio vi pare troppo recente, ecco allora l’inquisitore Pietro da Ruffia, un domenicano che fu pugnalato a morte dai valdesi il 2 febbraio 1365 mentre era ospite dei francescani di Susa. Il suo successore, Antonio Pavoni, fece la stessa fine il 9 aprile 1374 a Bricherasio: linciato dentro la chiesa dove aveva appena finito di predicare. Il movimento del commerciante lionese Pierre Valdès fu pressoché contemporaneo a quello di San Francesco. Però il secondo fu ammesso dalla Chiesa, il primo no. Perché? Perché pretendeva la libertà di predicazione estesa a chiunque in un tempo in cui era permesso solo ai vescovi. Francesco non pretese nulla, solo di vivere in povertà. I valdesi non obbedirono e, dopo mille ammonimenti, vennero condannati da Lucio III nel 1184. Sei anni dopo, invitati a esporre la loro dottrina nella cattedrale di Narbona, dichiararono che chiunque ha il diritto di predicare, anche i laici; che il Papa e i vescovi non hanno alcun diritto all’obbedienza dei cristiani; che le chiese non servono a niente; che il Purgatorio non esiste; che il cristiano non deve giurare mai, e Dio punisce con malanni temporali chi lo fa.
Più che la Chiesa, chi si allarmò sul serio furono le autorità civili, dal momento che tutto il sistema politico e sociale medievale era basato sul giuramento. Come sempre accade (e ancora oggi continua ad accadere alle denominazioni protestanti), il cristiano che si stacca da Roma finisce papa a sé stesso. Infatti, già nel 1205 all’interno del valdismo cominciarono gli scismi. Con alterne vicende il valdismo sopravvisse come minoranza e nel 1532 aderì ufficialmente al calvinismo, finendo coinvolto nelle guerre di religione che insanguinarono l’Europa. Il ducato di Savoia, per la sua particolare posizione e i non facili rapporti con la confinante Francia, addivenne coi valdesi alla pace di Cavour nel 1561. Infatti, la questione era ormai politica. La Francia, per esempio, pur impegnata al suo interno con la guerra agli ugonotti (calvinisti), con Mazarino (cardinale) accolse i valdesi che fuggivano dai Savoia. Nel 1655 alla guerra contro i valdesi (cosiddette Pasque piemontesi) c’era anche un reparto di irlandesi scampati al genocidio perpetrato in patria dai puritani di Cromwell. Gli inglesi appoggiavano la lotta al papismo da chiunque combattuta in tutta l’Europa e nel 1689 i valdesi, finanziati da Guglielmo d’Orange, tornarono in Piemonte da cui quattro anni prima il duca Vittorio Amedeo II li aveva espulsi.
Come si vede, il problema era più politico che religioso nel senso che intendiamo oggi: la pace di Augusta del 1555 aveva stabilito il principio (politico) cuius regio eius religio: chi professava un credo diverso da quello del principe doveva adattarsi oppure emigrare. Era l’unico sistema per chiudere con le guerre tra cattolici e protestanti, anche se la cosa non finì lì e fu, anzi, foriera di ulteriori conflitti. Questo era il punto, e se la si smettesse di usare il lontano passato come clava polemica sarebbe meglio per tutti. Come dice Toro Seduto a Buffalo Bill nel film interpretato da Paul Newman, in fondo «la Storia è mancanza di rispetto per i morti».
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