ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 28 ottobre 2015

Consensum non habet?

Ma il Papa più amato non porta consensi a una Chiesa sotto assedio

Il sondaggio. La spinta innovativa di Bergoglio ha creato un divario con le istituzioni religiose che non è mai stato così ampio in nessun pontificato

IL Sinodo, che si è appena concluso, ha confermato i cambiamenti in atto nella Chiesa. Sui temi etici e sociali. È stato, peraltro, scosso dalle rivelazioni, poi smentite, circa un presunto tumore al cervello, da cui sarebbe afflitto il Pontefice. Segnali che confermano come la spinta innovativa, impressa da papa Francesco, abbia prodotto tensioni che trascendono il campo religioso. Papa Francesco e la Chiesa, infatti, si rivolgono a pubblici, in parte, diversi. Per dimensione. E orientamento. Difficile incontrare un divario altrettanto ampio, nei precedenti pontificati.
Dai primi anni Duemila, nessun Papa è stato altrettanto apprezzato. Almeno, in Italia. Dove ha sede il Vaticano. Karol Wojtyla, papa Giovanni Paolo II, era, a sua volta, molto popolare. Secondo un sondaggio condotto da Demos nel 2003, più di 3 italiani su 4 esprimevano fiducia nei suoi confronti. All'epoca, fra gli italiani, anche la Chiesa disponeva di un consenso elevato. Superiore al 60%.
IL SONDAGGIO - LE TABELLE
Nel decennio successivo, tuttavia, il clima d'opinione si raffredda. In particolare, dopo il 2005, anno di elezione di Joseph Ratzinger, Benedetto XVI. Allora la fiducia nel Papa e, insieme, nella Chiesa declina. Si allinea, intorno al 50%. Joseph Ratzinger, d'altronde, è troppo intellettuale e  -  all'apparenza  -  distaccato, per suscitare passione. Benedetto XVI, per scelta consapevole, intraprende un cammino diverso. Deve confrontarsi con nuove sfide. Fra tutte: la secolarizzazione "consumista" e le migrazioni, che allargano il campo religioso. Attraverso l'ingresso di comunità che praticano altre fedi. Fra tutte: l'Islam. Così, la Chiesa di Ratzinger si dedica a marcare i confini: religiosi ed etici. Coltiva quello che, il suo maestro, Romano Guardini, definì "il distintivo cristiano". Ciò che "distingue" e differenzia i cristiani  -  e, in particolare, i cattolici  -  dagli altri "fedeli". Il messaggio di Benedetto XVI, dunque, si orienta principalmente al mondo cattolico. Per rafforzarne la coesione e le convinzioni. Anche così si spiega la riduzione dei consensi. Verso il Papa e, al contempo, verso la Chiesa. Visto che il Papa agisce, consapevolmente, anzitutto, "nella" Chiesa. E parla, principalmente, al mondo cattolico. La fiducia nei suoi confronti, di conseguenza, si "concentra" e si de-limita. Fino alle sue dimissioni, che ne umanizzano e valorizzano l'identità.

Così il suo credito, presso gli italiani, nel febbraio 2013, risale oltre il 53%. Mentre nei confronti della Chiesa si ferma al 44%. D'altronde, allora, oltre il 70% degli italiani si diceva d'accordo con la scelta di Ratzinger. Ritenuta una reazione, di fronte a una Chiesa (romana) lacerata da lotte interne e scossa dagli scandali. Gli succede Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco. E ottiene, subito, la fiducia di una larghissima maggioranza di italiani. Più di 8 su 10. Oltre il doppio rispetto alla Chiesa, che, nei primi mesi del suo pontificato, vede scendere la propria credibilità intorno al 40% dei consensi. Da ciò l'impressione che la fiducia nel Papa dipenda, in parte, da una condotta alternativa rispetto alla curia vaticana. Non per nulla l'ha definita e (stigmatizzata) come "l'ultima corte d'Europa". Nei due anni successivi, comunque, il consenso verso Bergoglio si è, in qualche misura, riverberato sulla Chiesa. Che ha visto crescere la propria credibilità, fino a superare il 50%. Come nella prima fase del pontificato di Benedetto XVI. Attualmente la fiducia nella Chiesa si aggira intorno al 47%. In altri termini: quasi 40 punti meno di papa Bergoglio, apprezzato da oltre l'80% degli italiani. Il distacco fra i due soggetti, il Papa e la Chiesa, in effetti, non è mai stato così ampio. Neppure all'epoca di papa Wojtyla. Le ragioni di questa differenza sono evidenti se si valutano gli orientamenti in base alla pratica religiosa. Papa Francesco, infatti, è guardato con fiducia dalla quasi totalità dei praticanti più assidui e saltuari.

Ma anche da una larga maggioranza (57%) di coloro che non vanno a messa. La fiducia verso la Chiesa, invece, è molto elevata, fra i praticanti assidui, ma crolla fra i saltuari e scompare insieme alla pratica. Per un confronto, il consenso verso papa Ratzinger, nel 2009 (Demos per Repubblica), superava il 60%, fra i praticanti e i saltuari, ma scendeva alla metà, fra i non praticanti.


di ILVO DIAMANTI
http://www.repubblica.it/vaticano/2015/10/28/news/ma_il_papa_piu_amato_non_porta_consensi_a_una_chiesa_sotto_assedio-126039401/?rss

Italiani e laicità: nemmeno Bergoglio rallenta la secolarizzazione del Belpaese

















di Valerio Gigante, da www.adistaonline.it

I dati che emergono dal X Rapporto sulla secolarizzazione in Italia, curato, come ogni anno, da Critica Liberale e dal dipartimento Nuovi diritti della Cgil, ribadiscono che la secolarizzazione in Italia non si arresta. Tutt'altro. Un fatto che di per sé certo non sorprende, perché coincide con la percezione di molti di una sempre più consistente scollatura tra le pratiche religiose e la dimensione collettiva dell'esistenza. 

Il Rapporto di quest'anno contiene però una ulteriore, e più sorprendente, notizia, perché segnala che - nonostante il pontificato di Francesco stia suscitando speranze e entusiasmo presso tanta parte dell'opinione pubblica laica e cattolica - esso non ha ancora portato cambiamenti significativi nelle pratica religiosa "visibile", ossia in quell'insieme di riti che si svolgono pubblicamente e che costituiscono la cartina di tornasole del radicamento di una confessione religiosa all'interno della società. Certo, il dossier analizza dati che si fermano alla fine del 2013 e che quindi coprono solo i primi mesi del pontificato di Bergoglio (eletto il 13 marzo 2013), ma costituiscono comunque il segnale che, a passi lenti ma decisi, gli italiani continuano ad allontanarsi dalla Chiesa, anche quella "friendly" e apparentemente più dialogante ed inclusiva di papa Francesco.

Francesco non fa il miracolo

Dal dossier, pubblicato sul numero 224 di Critica Liberale, appena uscito, emerge anzitutto il calo del numero dei bambini battezzati con il rito cattolico. Una diminuzione di oltre 82mila unità dal primo anno del periodo considerato dalla ricerca, il 1994, all'ultimo dato disponibile, relativo al 2013. Inoltre, se nel 1994 più del 92% dei nuovi nati veniva battezzato entro i primi anni di vita, nel 2013 questa percentuale è scesa sotto l'80%. Segno meno anche per le comunioni e le cresime, calate rispettivamente - nello stesso periodo (1994-2013) - del 15,6% (-63.339) e del 26,5% (-135.418). Peggio ancora i matrimoni, che nei 20 anni considerati scendono del 33%, passando dai 291mila del 1994 ai 194mila del 2013 (-97mila). I riti concordatari, cioè celebrati in chiesa ma con effetto anche civile, diminuiscono dal 1994 al 2013 addirittura del 52,7%. Fa da contraltare - è proprio il caso di dirlo - l'aumento contestuale dei matrimoni civili, cresciuti del 48%, cioè dai 55mila del 1994 agli 82mila del 2013. Inoltre, la linea del sorpasso fra matrimoni civili e concordatari scende ora dal Nord Italia, dove si era realizzato già diversi anni fa, fino a comprendere anche le regioni del Centro. Senza considerare l'aumento significativo delle coppie conviventi ma non coniugate, passate dal 1994 al 2012 dall'1,6% delle coppie totali al 6,9%.

Il rapporto tra separazioni e divorzi segue invece un andamento altalenante: secondo i dati del dossier le separazioni sfociate in divorzi sono aumentate in termini esponenziali fino al 2000; dopo quell'anno hanno continuato ad aumentare, ma con un ritmo più lento. Fino al 2008, quando il dato delle separazioni sfociate in divorzio si attestava al 64,6%; dopo tale anno il valore ha iniziato a regredire, tornando nel 2012 al 58% circa. Saranno i prossimi anni a dirci se questa flessione sia legata alla crisi economica, e quindi ai consistenti costi legali di un divorzio che gravano in particolare sulle coppie a medio e basso reddito, oppure ad un mutamento delle dinamiche sociali e familiari.

Discorso analogo si può fare per quanto riguarda la contraccezione. Se fino al 2002, infatti, si è registrato un incremento nell'uso dei contraccettivi ormonali (nel 1994 a farne uso erano infatti 15,6 donne su 100 in età fertile, valore salito a 19 nel 2002), dal 2002 il dato è rimasto pressoché invariato. Anche in questo caso a determinare le cause di tale frenata potrebbe essere sia la scarsa educazione alla contraccezione (che però era tale anche in passato), sia il costo di questi prodotti, che forse in epoca di crisi economica può contribuire (e non poco) a limitarne la diffusione.

Calano Irc, scuole cattoliche e vocazioni

Altro indicatore importante del processo di secolarizzazione del Paese è la frequenza dell'ora di religione cattolica nella scuola pubblica: in 19 anni, dal 1994 al 2013, la percentuale media nazionale degli studenti che hanno scelto di non frequentare l'Irc nella scuola pubblica è più che raddoppiata, passando dai 500mila di inizio periodo (5,6%) al milione per l'ultimo anno analizzato (11,5%). Le percentuali, tutte raddoppiate nel ventennio preso in esame, sono inferiori per le materne e aumentano progressivamente con l'età. Nell'ultimo anno scolastico preso in considerazione, il 2013-2014, nella scuola dell'infanzia è il 7,7% degli alunni a non seguire l'ora di religione; il 9,2% alle elementari; il 9,8% alle medie; fino a salire al 18% alle superiori. Un dato che si accentua da Roma in su.

In diminuzione anche le iscrizioni alle scuole cattoliche e, di pari passo, il numero delle scuole stesse, passate dal 9% circa rispetto al totale di tutte le scuole italiane negli anni '90 al 7% del 2013. Parallelamente, gli studenti delle cattoliche sono passati dal 16% del 1996 al 14% del 2013.

Anche la Chiesa vive al suo interno un processo di secolarizzazione che non dà segni di arretramento: i preti diocesani passano dai 56.708 del 1994 ai 47.560 del 2013. Nello stesso periodo, le nuove ordinazioni calano dalle 512 del 1994 alle 376 del 2013. I religiosi da 4.371 a 3.471; le religiose da 119.625 a 84.443.

Se le pratiche religiose sono in calo, aumenta però la presenza di istituzioni cattoliche, specie nel sociale, probabilmente anche in ragione di una presenza ormai piuttosto consistente di immigrati nel nostro Paese: crescono gli istituti di assistenza (6.299), gli ospedali, le case di cura (1.654), i consultori, i nidi d'infanzia, i Centri di assistenza alla vita (da 224 a 355: il dato finale, in questo caso, è del 2014).

(21 ottobre 2015)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/italiani-e-laicita-nemmeno-bergoglio-rallenta-la-secolarizzazione-del-belpaese/




27-10-2015 sezione: PAY
Assunzioni in Curia, lo stop del Papa: duro scontro in Vaticano
CITTÀ DEL VATICANO Con una lettera del tutto anomala nel suo genere, il Papa ha comunicato al Segretario di Stato che occorre ripristinare un po’ di ordine nell’amministrazione vaticana. Basta con l’anarchia. Il tema in oggetto riguarda la confusione che si era venuta a creare progressivamente, in alcuni dicasteri, a seguito dell’avvio della riforma avviata due anni fa e ancora in atto per ridisegnare la mappa di governo all’insegna della razionalità e del contenimento dei costi. Bergoglio è stato costretto ad intervenire di persona per ripristinare il blocco delle nuove assunzioni con la possibilità del solo turn-over.

DIVERGENZE DI VEDUTE
Il blocco in questi anni è stato rispettato pressoché da tutte le congregazioni, eccetto che dal super dicastero dell’economia diretto dal potentissimo cardinale Pell. L’autonomia di azione del cardinale ha dato origine ad una situazione un po’ ingarbugliata, fino a fare emergere dissapori tra lo Zar dei conti – come viene chiamato in curia - e la Segreteria di Stato guidata dal cardinale Parolin. Al di là del Tevere sono in molti a rammentare episodi concreti scaturiti proprio dalle divergenze di vedute e di governo: Pell più dirigista e indipendente, Parolin maggiormente orientato al gioco di squadra. Alla fine il Papa è stato costretto ad intervenire di persona per ridisegnare i confini e ripristinare le regole. Visto che il processo di riforma è ancora in atto le norme da rispettare non possono che rifarsi alla vecchia costituzione apostolica, la Pastor Bonus, promulgata da Giovanni Paolo II. Come dire che non c’è vacatio legis. «Mentre il percorso di riforma di alcune strutture della Curia, alla quale si sta dedicando il Consiglio di Cardinali da me istituito il 28 settembre 2013, sta procedendo secondo il programma stabilito, debbo rilevare come siano emersi alcuni problemi, ai quali intendo prontamente provvedere. Desidero anzitutto ribadire come il presente periodo di transizione non sia affatto tempo di vacatio legis».
«EQUANIME TRATTAMENTO»
Bergoglio ha disposto che l’osservanza delle norme comuni sia necessaria «per garantire l’ordinato svolgimento del lavoro, e per assicurare un equanime trattamento, anche economico, a tutti i collaboratori». Di conseguenza le assunzioni ed i trasferimenti del personale dovranno essere effettuati nei limiti delle tabelle organiche, escluso ogni altro criterio, con il nulla osta della Segreteria di Stato e nell’osservanza delle prescritte procedure, compreso il riferimento ai parametri retributivi stabiliti. Eccezion fatta per lo Ior che resta una zona a parte, totalmente svincolata, sotto l’esclusivo controllo dei cinque cardinali e del Papa.

LA PROTESTA DEI TREDICI
La lettera a Parolin, letta in filigrana, rappresenta un ridimensionamento del peso del cardinale Pell, il quale senza mai essere citato viene ugualmente tirato in ballo per le assunzioni fatte e per la lievitazione dei costi dovuti alle consulenze esterne di cui si è avvalso. Spetterà a Parolin portare a conoscenza di tutti le nuove disposizioni di Bergoglio. La lettera era nell’aria da qualche tempo. Avrebbe dovuto essere pubblicata prima del Sinodo ma l’azione di protesta dei 13 cardinali (tra cui Pell) che hanno fatto avere a Bergoglio un appunto scritto e firmato il primo giorno del Sinodo, ha costretto Francesco a farla slittare fino ad oggi.

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=1645216&sez=PAY&ssez=EDICOLA

Il Sinodo dei vescovi nella Chiesa di Francesco
Uno scompiglio salutare

Cosa succede se al vertice di un’istituzione arriva un profeta? La domanda mi era venuta in mente subito dopo il 13 marzo 2013 e in questi giorni, a due anni e mezzo dall’elezione di Bergoglio, mi torna di nuovo. Cosa succede se un profeta va al potere? Un bello scompiglio, quantomeno. Lo abbiamo visto in questo Sinodo dei vescovi dove il vescovo di Roma non solo non ha fatto l’accentratore, ma ha insistito sulla necessità del decentramento, sovvertendo uno schema fossilizzato negli anni e condiviso tanto dentro quanto fuori la Chiesa (ecco perché la distinzione tra “Sinodo reale” e “Sinodo mediatico” non mi convince).
Roma non può e non deve decidere sempre su tutto, ha fatto capire Francesco, soprattutto quando le Chiese locali camminano più spedite (è il caso dell’ecologia, come riconosce l’Enciclica Laudato si’) oppure quando la diversità di usi e costumi è tale da sconsigliare una formula troppo generale. E questo è proprio il caso del Sinodo sulla famiglia che, in attesa che il papa stesso tiri le somme con un documento (in gergo, esortazione post-Sinodale, come la Familiaris consortio di Giovanni Paolo II), ha fatto propria una parola d’ordine bergogliana, il discernimento caso per caso, senza però mettere nero su bianco modifiche sostanziali alla disciplina.
In fondo il vero guadagno di questo Sinodo sta nel metodo, nel processo di riforma che si è avviato. Finalmente, cinquant’anni dopo l’intuizione di Paolo VI di togliere dalle ragnatele l’antico istituto Sinodale per dare continuità al Concilio, i vescovi hanno fatto sul serio. Stavolta non ci sono stati discorsi preconfezionati, votazioni scontate e sbadigli diffusi, non c’è stata messinscena. Anzi, al netto di qualche meschinità il confronto tra i padri Sinodali è stato schietto e serrato e ognuno si è messo in gioco, alcuni addirittura hanno parlato in prima persona (l’unico stile convincente, ha fatto notare l’arcivescovo di Vienna, Schönborn). Certo, resta il fatto che il Sinodo dei vescovi è un organo consultivo e non deliberativo e quindi, in questo senso, non risponde all’affermazione di principio del Concilio Vaticano II, cioè che tutti i vescovi del mondo, certo sempre insieme e sotto il papa, hanno un potere pieno nel governo della Chiesa. Ma in attesa di un cambiamento strutturale da oggi possiamo essere un po’ meno tiepidi di Karl Rahner il quale, in una conferenza del 1982, vedeva nei Sinodi dei vescovi non più di “un modesto contributo a una qualche maggiore democratizzazione”.
In effetti, con un personaggio dalla stoffa profetica come Bergoglio ci possiamo aspettare di più: che il centro e la periferia si scambino di posto, che il papato si decentri, si metta di lato e le Chiese locali vengano rimesse al centro. Un paradosso provvidenziale, alla portata di un uomo venuto dalla fine del mondo. Può succedere, sta già succedendo. Al Sinodo Francesco ha messo in gioco ancora una volta il ministero petrino, facendo capire che non è una proprietà privata ma un tesoro di tutta la Chiesa – non solo del cattolicesimo romano – e che comunque l’autorità, per chi crede al Vangelo, si declina nel servizio. Così, oltre a suscitare simpatia in chiunque sia stufo marcio del potere come sopraffazione, ha stanato quelli tra i suoi, e non sono pochi, che stanno ancora in trincea.
Su questo aspetto, in realtà, qualcuno all’inizio dei lavori, anzi ancor prima che cominciassero, ha giocato sporco: la famigerata lettera (parlarsi, no?) di alcuni prelati insinuava che l’andamento del Sinodo fosse stato deciso a tavolino e agitava davanti a Bergoglio uno spettro, quello dell’autoritarismo, che lo insegue dagli anni di gioventù. D’altra parte un profeta se non puoi affrontarlo direttamente, togliendolo di mezzo, puoi sempre provare a boicottarlo. Ecco allora messaggi obliqui, outing a orologeria, falsi scoop. Una melassa che cerca di invischiare ciò che non può edulcorare. Le parole salate di un profeta, però, sono le uniche all’altezza dei tempi. E magari tutti profetassero, nel popolo di Dio! Il primo ad augurarselo è il vescovo di Roma che ben conosce la Scrittura. Certo, questo fa impazzire chi vuole “indottrinare il Vangelo in pietre morte da scagliare contro gli altri”, per usare le sue parole. Poco importa. In un domani non troppo lontano il Sinodo non sarà più solo dei vescovi ma di tutto il popolo di Dio: i laici, uomini e donne, non saranno più semplici uditori ma protagonisti con il potere che deriva loro dal battesimo. E forse anche i teologi, dopo anni di emarginazione se non di inquisizione, avranno voce in capitolo.
Va bene – domanderà qualcuno – ma sui contenuti di questo Sinodo, sulla famiglia? Che cosa è venuto fuori, alla fine della fiera? “Per tutti noi la parola famiglia non suona più come prima del Sinodo, al punto che in essa troviamo già il riassunto della sua vocazione e il significato di tutto il cammino Sinodale”, ha detto Francesco nel discorso di chiusura. Un impegno che si può provare a tradurre così: prima ancora che ripensare la famiglia, la Chiesa d’ora in poi vuole ripensare da famiglia, vuole rimettere al centro i legami fondamentali, gli affetti quotidiani alla luce del Vangelo cui sono stati finalmente restituiti primato e cittadinanza: si evangelizza con il Vangelo e gli uomini, tutti, sono chiamati a misurarsi su quello. Il resto – e cioè le norme, la disciplina (e non la falsa alternativa dottrina/pastorale) – viene di conseguenza e comunque non può diventare un’ossessione. Ecco perché la famiglia non è uno dei tanti temi di questo pontificato ma l’ambiente vitale in cui prende corpo. È lo stile familiare di Francesco che fa la differenza, che suscita tanta simpatia e tante resistenze. Uno scompiglio salutare, forse una rivoluzione. In nome del popolo di Dio.

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