ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 6 agosto 2018

Arridatece Mastro Titta!


La pena di morte e quel sant’uomo di Mastro Titta, er misercordioso boia der Papa


LA PENA DI MORTE E QUEL SANT’UOMO DI MASTRO TITTA, ER MISERICORDIOSO BOIA DER PAPA
.
Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, er misericordioso boia der Papa in carica fino al 1869, era un autentico uomo di Dio, oltre che un gran professionista. Con un colpo deciso e preciso te mozzava la capoccia senza fatte pe’ gnente soffrì. Invece, gli odierni e misericordiosi boia di Sua Santità, da una parte ti inneggiano peace and lovecon le bandierine arcobaleno, dall’altra ti fanno pentire di non essere morto. Li mortacci loro: quanto so’ misericordiosi !
.
.

Autore
Ipazia Gatta Romana

.                                                          Cari gattolici e gattoliche:
laudetur Jesus Christus!
.

.
.

strumenti de lavoro der boia Mastro Titta

Da un po’ di tempo non mi faccio viva sulle colonne deL’Isola di Patmos per il moltiplicarsi dei miei impegni, poi come sapete lavoro dietro le quinte, non ultimo per tenere viva anche una fitta rete di relazioni con i gatti dei preti disseminati per le canoniche di tutta Italia. D’ogni modo, in questi giorni … è sortita de’ novo fòra tutta la mi’ romanità, se volete mettemoce puro ‘n tocco de ‘ncazzatura!
.
Poi le mie attività caritative: la sera porto sempre il caffè caldo ai gatti barboniperò … io nun so mica come er Cardenale polacco de la carità, io so’ prudente, infatti jie porto er caffè de quello decaffeinato, senno’ me se eccitano e poi se mettono a sturbà in Borgo Pio le sorche der Tamigi in viaggio turistico a Roma co li’ sorci de Sua Maestà Britannica.
.
Io che da sempre sono impegnata nel fare catechesi nelle periferie esistenziali ai gatti di strada … che porelli ormai nun conoscheno più manco ‘li rudimenti der Catechismo, ho dovuto spiegar loro l’ultima novità: il no deciso, sempre ed in tutti i casi, alla pena di morte, col quale è stato riformato il n. 2267 del Catechismo della Chiesa Cattolica. Un gatto persiano, rifugiato politico in Italia sin dalla caduta dello Scia di Persia dopo il colpo di stato fatto a Teheran dall’Ayatollah Komeini coi soldi dei Francesi, è rimasto commosso, ma soprattutto lo è rimasta sua moglie Samira, una gatta dell’Arabia Saudita che non può rientrare più nella sua patria perché convertita al Cattolicesimo.
.
Ho svolto le mie catechesi con soddisfazione, perché per la prima volta sono stata ascoltata persino da Samantha, un gatto transessuale ideologo della teoria del gender che bazzica tutti ‘li localini pe’ froci ar Testaccio, dove anni addietro ce conobbe puro diversi preti che ve s’erano ‘nboscati pe’ cercasse ‘n po’ de bomboloni freschi [cf. QUIQUI]. Peccato che quando il gatto trans Samantha lo disse a me, che lo riferii immediatamente al mio Reverendo Padrone, questi raccolse le prove e andò di corsa a mettere in guardia quelli del Vicariato e … pe’ tutta risposta se becco anni ‘de purghe da fa’ ‘mpallidì quell’animella caruccia de’ Stalin. E mentre lui se pijava li castighi p’ave’ detto quer che nun doveva propri da di’, li preti froci a caccia de bomboloni freschi veniveno promossi uno appresso all’artro. E ciò nun pe’ male, intendemose bbene, ma solo pe’ questioni de misericordiaMa lassamo perde, ormai so’ puzzonate d’artri tempiascritte nelle glorie indelebbili de le valli e de li Vallini …
.

strumenti de lavoro der boia Mastro Titta

Preso atto della novità catechizzerò in tal senso tutti i gatti di strada, compresi i gatti appartenenti al movimento LGBT, molti dei quali vanno trattati con molta prudenza … diversi de loro viveno nelli appartamenti de Vescovi e Cardenali paraculima soprattutto perché co ‘na parola te ponno davvero rovinà pe’ tutta la vitaE poi, la bonanima de mi’ nonno diceva: meijo er culo gelato che ‘n gelato ar culo!
.
Proprio di questo vorrei parlare con umile interrogativo felino: nel Catechismo, riguardo la pena di morte, si faceva chiaro riferimento a «quando questa fosse l’unica via praticabile» ed appresso si precisava «i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”».
.
Io sono solo una povera gatta romana nata nei pressi delle Catacombe di Priscilla sulla Salaria e salvata dalla strada dal buon cuore di un prete e del suo collaboratore, dunque chi sono io per giudicare? E infatti non giudico, però pongo una domanda: quale è l’idea di pena di morte del nostro Augusto Romano Pontefice? Egli è al corrente di quante vittime innocenti, tra i suoi più devoti servitori, sono state condannate alla morte più crudele dai peggiori pervertiti che trionfano tutt’oggi nei Sacri Palazzi? O pensa forse di rendere a tutti loro giustizia … toglienno ‘na berretta rossa da la capoccia a ‘n vecchio cardenale frocio de quasi novant’anni? Il nostro Augusto Romano Pontefice, è al corrente della terribile morte civile ed ecclesiale alla quale sono stati condannati diversi suoi sacerdoti che hanno osato segnalare e denunciare con molti anni di anticipo quegli scandali di omosessualità nel clero, o peggio di pedofilia, che hanno poi portato a gesti tanto eclatanti quanto ridicoli, come al ritiro della porpora ad un gaio Cardinale con un piede già nella tomba, la cui gaiezza era peraltro nota da sempre anche a oves et boves et columbas et nummularios sedentes? [a pecore, buoi e cambiavalute seduti nel Tempio di Gerusalemme – cf. Gv 2, 14].

strumenti de lavoro der boia Mastro Titta

Questi pochi e devoti servitori della Chiesa,l’ossequio alla verità e il tentativo di difendere la Chiesa dallo scandalo, non solo lo hanno pagato, ma seguitano a pagarlo tutt’oggi. Infatti, dinanzi all’evidenza dei fatti, mai nessuno li ha chiamati per dire loro: «Avevate ragione, se anni fa vi avessimo prestato ascolto non saremmo giunti a simili vergognosi scandali pubblici». Ma come può, il Pontefice e la Chiesa della misericordia, chiedere perdono a dei preti che si sono giocati tutto per difendere l’onore della Chiesa? In fondo sono solo preti, non sono mica profughi musulmani sbarcati a Lampedusa foraggiati dagli Emirati Arabi per invadere “pacificamente” l’Europa con una religione di pace e di amore come notoriamente, storicamente e politicamente è l’Islam? E così stanno sempre pagando, perché poi sia chiaro: a condannare i preti gay o pedofili, quando proprio la Santa Autorità Ecclesiastica non ne può fare a meno, sono gli stessi Alti Prelati che oltre ad essere loro stessi gay, i pedofili conclamati ed i gay in brillante carriera ecclesiastica li hanno sempre difesi a spada tratta sino al giorno prima, ricostruendo loro la verginità per le terne dei candidati all’episcopato o facendo sparire fascicoli informativi interi dagli archivi.
.
Tolga pure l’Augusto Pontefice Regnante ogni possibilità anche remota di applicazione della pena di morte, sappia però che molti suoi figli leali e devoti la vita l’hanno già felicemente perduta pagando nel peggiore dei modi, senza mai avere commesso crimini, ma soprattutto senza mai avere subìto processi e senza mai essere stati condannati, perché quando non si può condannare nessuno per avere detto solo e null’altro che la verità, a quel punto, nella Chiesa della Misericordia, si applica l’arroganza del libero arbitrio selvaggio, roba da far inorridire qualsiasi Alta Corte Internazionale di Giustizia, alla quale prima o poi, qualche prete, finirà col rivolgersi.
.

strumenti de lavoro der boia Mastro Titta

Giovanni Battista Bugatti, detto Mastro Titta, mitico boia di Roma in carica fino al 1869, era un autentico uomo di Dio, oltre che un gran professionista. Con un colpo deciso e preciso … te mozzava la capoccia senza fatte pe’ gnente soffrì. Invece, gli odierni e misericordiosi boia di Sua Santità, da una parte ti inneggiano peace and love con le bandierine arcobaleno, dall’altra ti fanno pentir di non esser morto. Li mortacci loro: quanto so’ misericordiosi!
.
Allora sapete che ve’ dico: ridatece Mastro Titta! Lui si che era misericordioso, non come i novelli Kaifa che si stracciano le vesti sulla pena di morte, però poi legittimano la tortura per tutta la vita su dei loro figli innocenti. E lasciamo perdere la stampa ed i giornalisti che si occupano con alta professionalità di cose vaticane, perché certi dolorosi casi di sacerdoti condannati a morte in vita e torturati per tutta la vita, questi giornalisti li conoscono tutti, ed anche parecchio bene. Però tacciono, o meglio: sono troppo impegnati a scrivere ed a spiegare quale epocale svolta è stata togliere dal Catechismo ogni riferimento alla pena di morte. Per il resto, dinanzi all’immane ingiustizia ed alla condanna alla morte in vita ed alla tortura senza fine …. Ah, nun ve confonnete, perché a questo ‘sti campioni der giornalismo so’ der tutto ‘ndifferenti, proprio come er contadino più incarognito de l’Agro Pontino de l’Ottocento poteva èsse ‘ndifferente alle urla strazianti de ‘n pòro agnellino sgozzato no pe’ fame, ma solo pel gusto de fajie male e de fallo soffrì. Evviva li giornalisti vaticanologi e i loro annunci de “svòrte epocali”, ma se l’annassero a svortà ‘nderculo farebbero mejio!
.
Possa la Beata Vergine Maria Gattara accompagnarci alla buona morte, ed il Santo Gatto Pio intercedere per tutti noi, ma soprattutto che sia posta quanto prima fine con la grazia di Dio a questa penosa commedia che piace alla gente che piace, ma che non piace alla gente che piace a Dio.
.
dall’Isola di Patmos, 5 agosto 2018
.


La madonna dei Gatti, attribuita a Leonardo da Vinci, ma opera in realtà del pittore torinese Cesare Tubino

GIACCHINO BELLI: RICORDANDO MASTRO TITTA E L’IMPICCATO
Er ricordo
Er giorno che impiccòrno Gammardella
io m’èro propio allora accresimato.
Me pare mó, ch’er zàntolo a mmercato
me pagò un zartapicchio e ‘na sciammèlla.
Mi’ padre pijjò ppòi la carrettèlla,
ma pprima vòrze gòde l’impiccato:
e mme teneva in arto inarberato
discènno: «Va’ la forca quant’è bbèlla!».
Tutt’a un tèmpo ar paziènte Mastro Titta
j’appoggiò un carcio in culo, e Ttata a mmene
un schiaffone a la guancia de mandritta.
«Pijja», me disse, «e aricòrdete bbène
che sta fine medema sce stà scritta
pe mmill’antri che ssò mmèjjo de tene». »
Il ricordo
Il giorno che impiccarono il Camardella
io mi ero appena cresimato.
Mi sembra adesso, che il padrino al mercato
mi comprò un “saltapicchio” e una ciambella.
Mio padre prese poi la carozzella,
ma prima volle “godersi” l’impiccato:
e mi teneva in alto sollevato,
dicendo: «Guarda la forca quant’è bella!».
Tutt’a un tratto, al “paziente”, Mastro Titta
appioppò un calcio in culo, e il papà a me
uno schiaffone sulla guancia con la destra.
«Tieni!», mi disse, «e ricordati bene
che questa stessa fine sta già scritta
per mille altri che sono meglio di te». »




L’uccisione del nemico: riflessioni sulla pena di morte e questioni annesse


— attualità ecclesiale —
L’UCCISIONE DEL NEMICO: RIFLESSIONI SULLA PENA DI MORTE E QUESTIONI ANNESSE
.
Ci si potrebbe inoltre chiedere se era il caso che la questione della pena di morte fosse entrata nel Catechismo, il cui compito non è quello di dare soluzione a problemi pratici contingenti, ma di insegnare le verità immutabili della fede. Ad ogni modo, accogliamo serenamente la decisione del Santo Padre, il quale, con questo gesto, se non esercita il suo ministero di maestro della fede, è però nel pieno esercizio delle sue facoltà pastorali, e precisamente della potestas clavium
.
.

Autore
Giovanni Cavalcoli, O.P.

.
.


.

il fantasioso e discutibile film pseudo-storico In Nome del Papa Re, interpretato dal grande Nino Manfredi, dove viene romanzata la vicenda dei terroristi Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti

Mi unisco con un mio contributo all’intervento del Padre Ariel [cf. QUI], sul quale sono sostanzialmente d’accordo, aggiungendo altri argomenti e presentando alcuni annessi.
.
Esiste un libro che sulla questione dell’omicidio sembra paradossale. Nessun libro come questo esalta la dignità, l’inviolabilità e la sacralità della vita umana. Eppure, nel contempo, nessuno come questo ammette la liceità dell’omicidio in nome di Dio: guerre, invasioni, stragi, castighi, pene di morte, legge del taglione, tirannicidi, uccisione dell’ingiusto aggressore. E questo libro è la Bibbia. La legge biblica del חרם cheremera la distruzione totale del nemico sconfitto di cui possiamo trovare notizia nel Libro del Deuteronomio [cf. Dt 20, 10-20] ed è presentato nella Bibbia come precetto divino, tanto che Saul viene castigato da Dio per non aver fatto il cherem [I Sam 15, 9] dopo che Dio gli aveva ordinato di «uccidere il popolo di Amalek» e di:
.
«non lasciarti prendere da compassione per lui, ma uccidi uomini e donne, bambini e lattanti, buoi e pecore, cammelli e asini» [I Sam 15, 3].
.
Si può dire che l’etica della Bibbia è un’etica della vita. Il bene è ciò che promuove la vita; male e peccato sono ciò che la offende o la toglie. Da qui il  precetto di non uccidere:
.
«Avete inteso che cosa fu detto agli antichi: non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio» [Es 20, 13].
.
Nel contempo esistono però gradi della vita: da quella infima, vegetale, per salire, attraverso la vita animale, a quella umana, alla vita angelica, alla vita divina. Ma il comando «non uccidere» non vale allo stesso modo per tutti i gradi della vita. La vita intra-umana può essere sacrificata a quella umana. Già nell’Eden Dio autorizza la coppia primitiva ad usare piante ed animali per ottenerne cibo.
.
Per quanto riguarda la vita della persona, secondo la Bibbia, la sua vita fisica, per quanto preziosa, dev’essere ordinata a quella spirituale, per cui Cristo ci comanda di rinunciare a quella vita fisica che può creare ostacolo alla vita spirituale ed al rapporto con Lui:
.
«Se la tua mano ti scandalizza, toglila» [cf. Mc 9,43].
.

Raccolta foto de Alvariis – Roma, 1868: esecuzione  dei due terroristi Gaetano Monti e Giuseppe Tognetti

La vita fisica della singola personadev’essere al servizio del bene comune, ossia della vita della comunità, per cui se capita che il singolo, con la sua condotta criminale, metta in pericolo il bene della società, questa, secondo la Scrittura, può liberarsi con la pena di morte da questo elemento pericoloso.
.
In passato, la pena di morte serviva a preservare la società dai danni che arrecati dai delinquenti. Infatti, il comandamento divino «non uccidere» significa «non uccidere l’innocente», ma non proibisce necessariamente di uccidere il malvagio, anzi la sua uccisione da parte della legittima autorità è vista come atto di giustizia, come è comprovato dagli esempi della Scrittura e da tutta la storia della Chiesa.
.
Per questo in passato la Chiesa ha giustificato la pena di morte e ne ha fatto ella stessa uso nei territori dello Stato Pontificio. A tal proposito basti ricordare che la pena di morte è stata abolita dalla Legge Fondamentale dello Stato della Città del Vaticano il 12 febbraio 2001, dopo che Paolo VI l’aveva resa nel 1967 inefficace, pur senza cancellarla. Solo nel 2001 è stata totalmente cancellata con motu proprio di Giovanni Paolo II.
.

Raccolta foto de Alvariis – Roma, 1868: esecuzione  dei due terroristi Gaetano Monti e Giuseppe Tognetti

Nel vecchio Stato Pontificio, dal 1796 al 1870 furono eseguite circa 516 condanne a morte. A presiedere il Tribunale della Sacra Consulta erano giudici ecclesiastici, poi naturalmente le condanne erano eseguite dai laici, il cosiddetto braccio secolare, non erano certo preti, frati e suore ad eseguire le condanne a morte. Nello Stato della Chiesa la pena di morte fu praticata sino al 1870. Le condanne a morte non potevano essere eseguite senza il nulla osta del Romano Pontefice, che volendo poteva commutarle in carcere a vita, in altra pena o persino in grazia. La prima condanna a morte approvata sotto il pontificato di Pio IX fu nel 1852 quella di Girolamo Simoncelli che s’era macchiato di vari reati: omicidio, tentativo di insurrezione, falso e aggressione ingiuriosa ai danni di Giusto Recanati Vescovo di Senigallia. Altra condanna clamorosa fu quella di Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti eseguita a Roma in Via dei Cerchi il 24 novembre 1868. Questi due condannati oggi sono celebrati come martiri dopo essere stati costruiti tali da certe leggende del Risorgimento. In verità i due giovani uomini si erano macchiati del reato di strage uccidendo con un attentato dinamitardo alla Caserma degli Zuavi ubicata a Palazzo Serristori, nell’attuale Via della Conciliazione, ventitré militari e due civili, ferendo gravemente altri civili inermi, due dei quali persero in seguito la vita, per un totale di ventisette vittime [elenco delle vittime QUI]. Tra i civili persero la vita Francesco Ferri e la piccola figlia Rosa. La strage poteva andare molto peggio, perché delle tre cariche di esplosivo piazzate nelle fognature della caserma solo una esplose; se fossero esplose tutte, la tragedia sarebbe stata maggiore. Lo sarebbe stata anche con l’esplosione di una sola carica, se la gran parte degli zuavi non fossero usciti per ragioni di servizio verso Porta San Paolo, infatti gli zuavi morti nell’attentato erano per la quasi totalità i componenti della banda musicale.
.

Raccolta foto de Alvariis – Roma, 1868: esecuzione  dei due terroristi Gaetano Monti e Giuseppe Tognetti

A Pio IX fu avanzata supplica di grazia, ma lui fu costretto a rifiutarla per non irritare i familiari delle numerose vittime, ma anche per non irritare la popolazione romana, che era rimasta molto toccata dalla morte delle bambina Rosa Ferri. I due terroristi, nel corso di un processo durato un anno, non chiesero la grazia; e non la chiesero per i motivi narrati dalla leggenda, in quanto avrebbero decisero di negare indomiti di venire a patti con il «tiranno», ma perché rimasero così colpiti dagli effetti del loro gesto e dai morti che ne erano conseguiti, tanto da vedere nel patibolo una forma di riscatto per il gesto da essi compiuto [si rimanda a tal proposito al resoconto edito nel 1868 sulla rivista dei Gesuiti La Civiltà Cattolica dopo la loro esecuzione capitale,QUI]. Dopo il 1870, con l’unità d’Italia si tentò di trasformare questi due terroristi in figure eroiche di combattenti contro la tirannide, dedicando loro strade e monumenti, nella totale noncuranza delle vittime morte in seguito alla strage da loro perpetrata. La leggenda dei due giovani proclamati in seguito “martiri del diritto italiano” si è trasferita dalla letteratura tardo ottocentesca anche alla filmografia contemporanea, soprattutto nel filmIn nome del Papa Re, interpretato dal grande Nino Manfredi, nel quale i due terroristi assurgono a rango di “martiri della libertà” [cf. QUI].
.
L’ultimo giustiziato sotto il pontificato di Pio IXprima della caduta dello Stato Pontificio fu Agatino Bellomo, condannato per efferato omicidio e ghigliottinato a Palestrina nel luglio del 1870, due mesi prima della presa di Roma.
.
In secoli ormai lontani la stessa pena di morte per gli eretici  era irrogata dal cosiddetto braccio secolare dello Stato dopo la condanna dei Tribunali ecclesiastici. Lo Stato, in queste epoche remote che non possono essere analizzate con i criteri socio-politici contemporanei, considerava l’eretico come un perturbatore dell’ordine pubblico civile. In ogni caso i canonisti ed i Padri della Chiesa — vedi per esempio San Tommaso d’Aquino [Summa Theologiae, II-II, q.11, a.3] — ritenevano che l’eretico meritasse la pena di morte, in quanto perturbatore della fede della Chiesa, bene comune della Chiesa e del Popolo di Dio.
.
La Chiesa ha la facoltà di farsi promotrice dell’abolizione della pena di morte, come sta avvenendo oggi con il Sommo Pontefice Francesco. Ciò implica evidentemente un giudizio negativo sulla prassi del passato. Questa decisione della Chiesa non deve meravigliare, perché essa è basata su di una percezione più profonda della dignità della persona e della sua stessa vita fisica.
.
Oggi la Chiesa ritiene che la società possa difendersi dal delinquente anche senza ricorrere alla pena di morte.Se da una parte la carcerazione può dar speranza al carcerato di evadere, è però anche vero che essa può dargli occasione di ravvedersi. La pena di morte può avere un valore deterrente, ma l’esperienza insegna che certi criminali non recedono dalla loro condotta neppure sapendo che rischiano di essere giustiziati.
.

Raccolta foto de Alvariis – Roma, 1867: la Caserma degli Zuavi in Palazzo Serristori dopo l’atentato dinamitardo dei due terroristi Gaetano Monti e Giuseppe Tognetti

Questo mutamento di giudizio della Chiesacirca la pena di morte fa meglio comprendere l’assolutezza del comandamento «non uccidere», anche se esso era rispettato, benché meno perfettamente, anche dalla concezione precedente. Tale mutamento di giudizio fa anche meglio applicare il comandamento evangelico dell’amore per il nemico, mentre in passato la Chiesa era meno disposta a tollerare i suoi nemici e a considerarne gli aspetti positivi ed inoltre era più facile a considerarli in colpa e più restia ad ammettere attenuanti o scusanti nel reo. Era meno temuto l’errore giudiziario, perché meno ci si rendeva conto della complessità del problema di dover giudicare un uomo in sede di diritto penale.
.
Il nobilissimo esempio del martire che, sulle orme di Cristo, pur potendosi difendere, si lascia uccidere dal persecutore, non può essere eretto a regola di una condotta comune, ma costituisce la testimonianza eroica di uno speciale dono dello Spirito Santo, non a tutti concesso. Sarebbe dar segno di un intollerabile rigorismo pretende di abbassare a regola comune quello che è soltanto  un privilegio dello Spirito Santo. Così pure l’eroismo della madre, la quale preferisce morire per dare alla luce il figlio, che ella in quella tragica circostanza avrebbe potuto abortire, non è da prendere come regola generale senza rischiare di tentare Dio.
.
Bisogna tuttavia distinguere il legittimo castigo del criminale dall’azione coercitiva finalizzata alla neutralizzazione di un’ingiusta aggressione personale o collettiva. Proprio perché la vita umana è sacra, va difesa, all’occorrenza anche con l’uso della forza, con la soppressione dell’avversario. Così è lecito al gioielliere minacciato da un malvivente armato, ucciderlo prima che egli faccia fuoco. È lecito a un tutore dell’ordine uccidere un terrorista colto in flagrante delitto di terrorismo mentre sta per realizzare una strage. È lecito al soldato uccidere il nemico della patria.
.

Lapide tombale di Gaetano Tognetti presso il Cimitero del Verano

Qui trova soluzione l’apparente paradossodella Scrittura, la quale congiunge il comando di non uccidere con la legittimazione dell’omicidio per giusta causa, si tratti della difesa personale o della guerra giusta. Quanto all’ingiusto aggressore, benché si tratti di una persona, tuttavia con la sua aggressione essa perde il diritto all’esistenza, non come persona, ma come agente nocivo. L’essenziale è renderla innocua. Se per ottenere tal fine la si può lasciare in vita, bene; altrimenti la si deve uccidere. Infatti ha ragion d’essere la vita buona, non quella malvagia. Per questo nella Bibbia Dio distrugge gli empi, cosa da intendersi non nel senso che Dio li annulli, ma nel senso che li castiga eternamente. La Bibbia dunque distingue l’assassinare dal giustiziare, la guerra giusta dalla guerra ingiusta. Assassinare è un delitto: sopprimere chi ha diritto di esistere, per esempio l’abortire; giustiziare è atto di giustizia, benché comporti la soppressione di un uomo. Guerra giusta è quella che difende la patria e tutti i suoi consociati dall’aggressore. Guerra ingiusta è l’aggressione ad un altro popolo. Considerare ingiusta in se stessa ogni guerra è la frode ipocrita dei pacifisti, che poi sono i primi ad odiare chi li contraddice.
.
La Chiesa in passato riteneva che l’esistenza fisica della persona non sia un diritto assoluto, ma sia condizionato dalla sua condotta. Il criminale perde questo diritto, essendo la sua vita dannosa alla società. La Chiesa, d’altra parte, aveva a cuore soprattutto la salvezza eterna del reo. Per questo ai condannati a morte era assicurata un’assistenza religiosa. Gli si potevano aprire le porte del paradiso. Oggi la Chiesa ragiona diversamente. Essa dà più importanza alla vita fisica del reo e meno importanza al danno che egli fa alla società. Difficile stabilire se era meglio prima o è meglio adesso. In ogni caso, da buoni cattolici, adeguiamoci.
.
La Chiesa non intende imporre agli Stati la rinuncia alla pena di morte, quasi si trattasse di un obbligo assoluto o un diritto naturale, ma come misura prudenziale che può ammettere delle eccezioni in casi gravissimi. In fin dei conti, si tratta di un terreno di diritto positivo, nel quale lo Stato mantiene una legittima autonomia, perché non tocca gli inviolabili universali diritti e doveri dell’uomo, ma la legislazione positiva di competenza dello Stato. In questo frangente la Chiesa può invitare, può esortare; ma non può prescrivere.
.

Giuditta Tavani e il marito Giuseppe Arquati morirono in uno scontro con gli Zuavi Pontifici il 23 ottobre 1867 durante l’irruzione nello stabile dove erano in atto piani di congiura con forze armate di eserciti stranieri e dove era conservato un arsenale di fucili e munizioni. In occasione dei festeggiamenti dell’Unità d’Italia fu deposta questa lapide. Nessuna lapide è mai stata posta sui muri della Caserma di Palazzo Serristori dove trovarono la morte ventisette persone in seguito all’attentato dinamitardo di Gaetano Tognetti e Giuseppe Monti. Anche in occasione del 150° dell’Unità d’Italia, è confermata l’ideologia serpeggiante da sempre nel nostro Paese: esistono morti giusti e morti ingiusti, morti trasformati in eroi, anche se erano dei terroristi dinamitardi e morti condannati all’eterna indifferenza. Quello italiano seguita a rivelarsi un popolo non ancora capace a far calare la pace storica sui vincitori e sui vinti, su chi combatté una buona battagli e su chi indotto, obbligato o convinto di essere nel giusto, combatté invece una ingiusta battaglia. L’Italia è quindi un Paese nel quale, alla prova dei fatti, i morti non riescono ancora a trovare pace, mentre gli ideologi gettano benzina sul fuoco.

La pena di morte non è un intrinsece malum come l’aborto o l’omicidio dell’innocente, ma un malum ut in pluribus, perché in certi rarissimi casi rappresenta il giusto castigo per delitti troppo gravi, come fu la condanna a morte dei capi nazisti al processo di Norimberga, riguardo l’esecuzione dei quali non risulta che né politici, né ecclesiastici, né i pacifisti più radicali, abbiano mai sollevato obiezioni. La Chiesa, quindi, non impone la suddetta rinuncia con la stessa forza teoretica con la quale essa impone la legge morale naturale o i diritti inalienabili e doveri imprescrittibili della persona, o valori morali assoluti, come la libertà religiosa,  la dignità del matrimonio e del bene comune o la proibizione dell’aborto e cose del genere. E neppure, come ha detto anche il Padre Ariel, la decisione della Chiesa va vista come fosse un pronunciamento dottrinale avente carattere di infallibilità, irrevocabilità ed immutabilità. Non siamo infatti sul terreno del dogma, ma della pastorale e del diritto, un piano sul quale la Chiesa, per quanto meriti il nostro ossequio, non è infallibile.
.
Occorre pertanto tener presente che la proibizione della pena di morte non appartiene al diritto naturale, fondato sul diritto divino, immutabile ed inderogabile, ma è di diritto positivo, mutevole ed abrogabile, dipendente dall’autorità umana, civile ed ecclesiastica. Per questo, giustamente Padre Ariel fa notare che, atteso l’attuale dilagare della corruzione nella società e nella Chiesa, nonché considerando  — aggiungo io — le profezie dell’Apocalisse e di San Paolo sull’apostasia finale, non possiamo essere così sicuri che non si ripresenti una situazione che richieda il ripristino della pena di morte, seppure limitatamente a case eccezionali, se non addirittura unici.
.
La questione della pena di morte si inquadra nell’ampia questione della repressione del criminenello Stato e nella Chiesa. Per quanto riguarda quest’ultima, ricordiamo — tanto per fare un esempio — che il Diritto Canonico riconosce tuttora l’esistenza del crimine di eresia e lo colpisce con appropriate sanzioni [can. 1364§1], anche se purtroppo spesso avviene, per negligenze ed ingiustizie dell’autorità, che gli eretici restino impuniti, mentre invece vengono colpiti i fedeli al deposito della fede, alla dottrina cattolica ed al magistero della Chiesa. Ciò tuttavia non infirma assolutamente il buon diritto della giustizia umana, i cui inevitabili torti vengono successivamente riparati dalla giustizia divina. Il rischio che oggi corriamo, come è noto a tutti, non è quello della troppa severità, ma è quello di un misericordismo e di un buonismo di marca roussoiana, che ignora le conseguenze del peccato originale, apre la porta ad un aumento del crimine e della corruzione e scoraggia  coloro che operano per la giustizia.
.
Ci si potrebbe inoltre chiedere se era il caso che la questione della pena di morte fosse entrata, prima e dopo, nel Catechismo, il cui compito non è quello di dare soluzione a problemi pratici contingenti, ma di insegnare le verità immutabili della fede. Ad ogni modo, accogliamo serenamente la decisione del Santo Padre, il quale, con questo gesto, se non esercita il suo ministero di maestro della fede, è però nel pieno esercizio delle sue facoltà pastorali, e precisamente della potestas clavium, per incarnare nella storia le perenni esigenze del Vangelo.
.
Varazze, 4 agosto 2018

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.