ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 26 ottobre 2015

Il sinodo in cui si specchia la Chiesa

Il dato fondamentale è che fra tanto fumo di sapore cattolico diffuso pour épater les buorgeois, viene sempre ossessivamente ribadita la necessità di sostituire ai principi della Chiesa cattolica, l’attenzione per le condizioni esistenziali concrete, perché sono queste che dettano le regole…

di Patrizia Fermani

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Chi si è inflitto  la pena di leggere l’intero volume dei documenti sinodali,  ha avuto davanti il quadro completo del rapporto che la Chiesa di Bergoglio ha inteso stabilire ufficialmente col mondo. E dunque  aspettando la Relatio finale,   c’erano buoni motivi  per pensare che  in ogni caso l’esito del Sinodo sarebbe stato negativo.
  Si è detto che  nella migliore delle ipotesi,  sarebbe stata riconfermata teoricamente  la dottrina di sempre, e  lasciato  alla prassi il compito di eroderne  a poco a poco il dettato. Del resto è quanto  si verifica già da decenni,  con quel distacco  tra dottrina e prassi  persino teorizzata  dai teologi,  di cui  pochi si sono  accorti, molti hanno  fatto finta di non  accorgersi, mentre  altri hanno ritenuto  la cosa un dato  del tutto trascurabile.  Ma  è chiaro che il solo  parlare di riconferma della dottrina,  sul presupposto  che essa possa  diventare oggetto di decisione assembleare,  sta ad indicare come siamo  già stati traghettati fuori dal cattolicesimo perché  Vangelo e  comandamenti  dipendono dal consenso,  vero pilastro della  attuale  religione civile.
Tuttavia,  si è anche detto che l’esito peggiore del sinodo  sarebbe stato quello di rimettere caso per caso ogni decisione  sulla questione  cruciale della ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati,   oggi al vescovo, domani  al consiglio pastorale   e poi al capo scout,   tutti abilitati ad impiegare l’ormai  noto criterio di nuovo conio ecclesiastico del discernimento.  Una parola questa, che un tempo  evocava  la paziente fatica dell’intelligenza,  ma ora è  entrata stabilmente nel formulario della chiesa,  che la impiega con insistenza  per rassicurare  il popolo di Dio sulla ponderazione e la accortezza  dell’azione pastorale.  Ma  in realtà sta ad indicare come e perché  l’azione pastorale  debba   accomodarsi al meglio alle richieste del mondo.  Infatti per la nuova chiesa  il discernimento è  il sostitutivo del giudizio e  della legge che lo presuppone.  Ovvero in senso inverso,  una volta abolita la legge, e abolito quindi   il criterio per giudicare,    qualunque realtà deve essere accolta se comunemente accettata,  e questa arte di adeguarsi  hegelianamente allo spirito del tempo,  cosa che può persino evocare ad orecchio lo Spirito Santo,  si chiama appunto “ discernimento”.  E siccome è anche utile dare a tale  vasta accoglienza del reale una connotazione virtuosa,   la si chiama senza troppo scrupolo,  “misericordia”.  Così non vengono tirati in ballo i principi, è assicurata  la benevolenza della clientela e ci si risparmia l’ostilità degli avversari.  Vantaggi di tutto rispetto si dirà.  Se non fosse che il  rovescio di questa medaglietta di cartapesta segna  il suicidio religioso, oltre  a quello  civile, morale e perfino giuridico.
Ora,  nella relatio  finale  l’atteso riferimento  alla  questione  in parola   emerge  quasi a fatica in certi passi abilmente fumosi,  in mezzo ad una estenuante matassa di luoghi comuni,  evidenze lapalissiane , banalità sociologiche,  doverosi omaggi ai principi del nuovo collettivismo parrocchiale,  trasferita  da un documento sinodale all’altro  con asfissiante ripetitività.
Improvvisamente ogni riferimento esplicito alla comunione per i divorziati risposati  è scomparso.  Tuttavia  apprendiamo che essi : 1) sono fratelli e sorelle battezzati ai quali lo Spirito Santo riversa doni e carismi per il bene di tutti.  2) devono perciò essere più integrati nelle comunità cristiane “evitando ogni occasione di scandalo”(?) (e qui non si capisce se sono  costoro che non devono dare scandalo o sono gli altri fedeli che non debbono scandalizzarsi), secondo la logica dell’accompagnamento pastorale.  3) ai fini di tale integrazione, possono essere impiegati  in diversi servizi ecclesiali.  Sicché  bisogna discernere quali forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possono essere superate(4).
Ora in modo molto felpato è così pronto il piatto di portata su cui potrà essere depositata la decisione finale  di Bregoglio che ha l’ultima parola.  In ogni caso,  anche se non verrà detto in termini più espliciti per l’immediato,  magari in considerazione della opposizione interna che in qualche modo si è manifestata ( i 72, 80 e 64 no ricavati dai paragrafi  84,85 e 86 nella votazione finale), il terreno è stato preparato a dovere  ufficialmente sulla scia di quanto Begoglio ha largamente anticipato  fin dall’inizio  a partire dalla Evangelii Gaudium  dove per la prima volta nella storia del pontificato,  è stata dichiarata superata la legge naturale che per la chiesa è la legge divina esplicitata attraverso  dottrina cattolica.
Alla fine del paragrafo 84 leggiamo in controluce il  passaggio concettuale di base che rende possibile questo trapasso dalla legge assoluta scolpita nella dottrina al nuovo criterio relativista.  Partendo dal valore della tenerezza che guida i rapporti famigliari,  si passa ad esortare,  con le parole di Bergoglio, ad accogliere con tenerezza le situazioni difficili di chi ci sta accanto piuttosto che  adottare “soluzioni impersonali”.  Poiché  l’esortazione, nel contesto da cui è tratta,  era rivolta  alla chiesa stessa,  ancora una volta qui come altrove ripetutamente, si insinua la confusione tra piani  diversissimi ed irriducibili quali sono quelli della disposizione  personale  richiesta ai  pastori come a qualunque cristiano, con la regola valida oggettivamente che da tutti deve essere rispettata.  Come se la validità di questa e il rispetto che le è dovuto in quanto legge giusta,  possa  compromettere la inclinazione soccorrevole verso il prossimo.  Come se l’obbligo morale di soccorrere anche il reo ferito avesse qualcosa a che fare con la legge che questi  ha appena violato  aggredendo qualcuno.  Su questo equivoco scivola continuamente la supposta paideia bergogliana che conduce inevitabilmente alla  confusione tra bene e male,  osservanza e disobbedienza,  colpevoli e innocenti e alla abolizione del giudizio e del timor di Dio.
Ora,  per tornare alla questione  discussa,  è evidente che se si rimuovono le conseguenze sacramentali della violazione della indissolubilità  matrimoniale,  si rimuove il sacramento che ha il significato indiscutibile di elevare il vincolo matrimoniale ad istituzione di diritto divino.   Il matrimonio cattolico si pone al disopra della finitezza degli sposi  perché essi vi attivano  le proprie facoltà superiori:  la capacità di impegnare la propria ragione e il proprio senso morale,  di dominare gli istinti in vista di un fine superiore assegnato alle proprie azioni,  di riflettere sul significato e sulle conseguenze di esse,  di dirigere al bene la propria volontà, di esercitare le virtù cristiane e soprattutto quella fortezza  e quel coraggio divenuti estranei nella diffusa cultura del piagnisteo.   Il sacrificio di Cristo, che non ha chiesto sconti di pena come non li ha  concessi, fornisce anche  in questo il modello per l’uomo.
Tommaso Moro ha messo in gioco la propria vita non perché ritenesse  frivola e insensata la passione d’amore che il proprio re nutriva per la dama di corte di sua moglie,  o perché considerasse quella ragazza  inadeguata a ricoprire il ruolo di nuova regina. Ma perché sapeva che il matrimonio del re, come di chiunque altro mortale,  doveva rimanere una cosa più grande dei suoi desideri e delle sue passioni.  Perché il sacramento testimoniava il valore trascendente che ad esso aveva espressamente attribuito il Salvatore.
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Non bisogna dimenticare a questo proposito come  Joseph Ratzinger abbia  sempre indicato in quattro elementi fondamentali  l’essenza del cattolicesimo:  i Comandamenti, il Padre Nostro, il Credo e i Sacramenti.  I primi non vengono più nominati da tempo perché sopravvivono per la nuova religione civile postcattolica solo quelli che coincidono con la legge dello stato e nei limiti consentiti dallo stato sovranazionale.  Il credo è svuotato di gran parte della maggior parte dei suoi contenuti,  come il fiat voluntas tua del Padre è stata sostituito bergoglianamente con la tenerezza materna.  I sacramenti vanno ridotti al minimo come nella sintesi luterana proprio perché il “sacer” che sta alla loro radice etimologica  è stato il primo nemico combattuto dalla nuova “teologia”  postconciliare,  tutta intenta a staccare l’uomo dalla trascendenza.  Basti ricordare come  Bruno Forte, l’altro capomastro della chiesa di Bergoglio,  dicesse insieme agli altri demolitori del cattolicesimo,  che era stata la  esasperata accentuazione del sacro ad impedire  alla chiesa preconciliare di apprezzare adeguatamente i valori del mondo.
La questione della Comunione ai divorziati risposati,  di rilievo sociologico del tutto marginale, ha alimentato da tanti anni una polemica interna alla Chiesa perché,  enfatizzata  ad arte,  doveva  fungere da piede di porco per quell’indebolimento progressivo del cattolicesimo che lo ha avviato  ad assimilarsi al protestantesimo .
Ecco dunque perché l’esito del  sinodo,  che non ha  individuato   le cause della crisi della famiglia, come ci si sarebbe dovuti aspettare, nello abbandono dei principi  cristiani,  era  segnato.  Esso era già tutto contenuto in quell’insano  corpus che va dalla  Evangelii Gaudium,  ai documenti premessi o seguiti alla  fase sinodale intermedia.  Al tutto si sono aggiunti,  anch’essi ampiamente  preannunciati  negli stessi documenti sinodali, i Motu Proprio sulle cause di nullità del matrimonio canonico.  Non bisogna dimenticare che la questione era stata inserita fin dall’inizio fra le materie che dovevano essere discusse,  e che poi è stata stralciata d’autorità  perché  superata  preventivamente  proprio  con i Motu proprio pubblicati poco prima dell’inizio della Sessione di ottobre .
Il dato fondamentale  è che in tutta questa congerie di scritti,  fra tanto fumo di sapore cattolico diffuso pour épater les buorgeois,  viene sempre  ossessivamente ribadita la necessità di sostituire ai principi della Chiesa cattolica, l’attenzione per condizioni  esistenziali  concrete, perché sono queste che dettano le regole.  Solo che la regola del caso concreto diventa il caso concreto che si regola da sé e quindi supera ogni esigenza di disciplina. E’ la regola del relativo , imponderabile,  fluida e autodistruttiva per una comunità che invece, per non naufragare,  dovrebbe  avere  sempre segnata con precisione la rotta da seguire.    Nella nuova prospettiva sfacciatamente relativistica del discernimento a conduzione variabile,  è segnato il  naufragio della società,  insieme a quello della civiltà cristiana. Un naufragio in cui saranno inghiottite anche tutte le esistenze singole,  e che tuttavia sembra uscire clamorosamente  dall’interesse di questi pastori teneri e misericordiosi.
Intanto gli accorti ideatori dell’abbraccio col mondo,  nella sintesi dialettica tra demagogia comunista  e liberalismo etico,  non si sono accorti neppure che la regola da adottare ad personam, come legge della misericordia per il caso concreto,  cozzi paradossalmente con il comandamento egualitario della Costituzione, quella che per tanti di essi ha sostituito il Vangelo,  secondo l’esempio di un gigante della teologia cattolica come Don Gallo.  Di quella  Costituzione e di quella  Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, cui la nuova chiesa postconciliare si è votata e che anche il sinodo non ha mancato di evocare con compunzione.
Altra curiosità :  se i Motu proprio firmati da Bergoglio e le nuove linee guida sinodali  hanno abolito per vie traverse, ma non troppo,  l’indissolubilità matrimoniale  sull’esempio biblico di Mosè che aveva dovuto tenere conto della “durezza dei cuori” e delle cervici,  bisognerà prender atto che Cristo  è venuto ad annunciare invano il logos  di Dio,  anche per il tempo successivo a quello in cui Giovanni  aveva constatato in modo lapidario che i suoi “non lo avevano riconosciuto”.
Di certo,  in mezzo a questa orgia di misericordia spavaldamente  sottratta ai disegni imperscrutabili  di Dio, i provvidi pastori hanno  dimenticato  del tutto le ragioni profonde della  disfatta etica e culturale in atto, cioè proprio di quello che avrebbe dovuto attrarre la loro attenzione.  Insomma sembra proprio che  ai “padri sinodali” plaudenti, e  forse  impazienti di mettere fine alla telenovela,  continui a  sfuggire che il risultato  di questo surreale  lavoro sarà una  energica spinta verso il completamento dell’opera distruttiva.  Insomma un capolavoro della  demolizione cattolica applaudita da certi zelanti  ufficiali di  Bergoglio.  In fondo lo erano anche i generali che tornavano a rapporto  a Parigi dopo le riuscite  campagne della  Vandea.
http://www.riscossacristiana.it/il-sinodo-in-cui-si-specchia-la-chiesa-di-patrizia-fermani/

Continua l’opera di disinformazione sul Sinodo

Sarà noioso, ma non si può fare a meno: il tentativo costante, da parte di una pattuglia di giornalisti cattolici, di imporre una lettura del Sinodo fuorviante merita risposte pedanti e puntuali. Su Vatican Indsider di oggi, Gianni Valente riprende a suonare la stessa campana, intervistando, guarda caso, un padre sinodale che appartiene sempre alla stessa fazione. Uno di quelli, per intenderci, che i padri sinodali chiamati al voto per il nuovo consiglio sinodale non hanno eletto, non trovandolo così rappresentativo come lo trova invece il giornalista Valente: mons. Johan Bonny, già collaboratore del cardinale Walter Kasper, vicino al cardinale Godfried Danneels, oggi alla guida della diocesi di Anversa (1)
Valente deve fare una premessa, vaga, ma, visto il personaggio intervistato, necessaria: su Bonny “circolano ritratti caricaturali, scritti da penne intinte al veleno. Eppure il suo bilancio del Sinodo non sembra tratteggiato da un pasdaran del relativismo teologico“.
Cosa dicono i presunti  ritratti caricaturali non si dice; è meglio non farlo; basta accreditare
l’ospite, prima di lasciargli la possibilità di esprimere il suo pensiero.
Se Valente avesse detto la verità, e cioè che che Bonny è uno strenuo avversario dell’enciclica Humanae vitae, che il Sinodo però non ha affatto cassato, e un difensore dei matrimoni gay, che il Sinodo non ha per nulla approvato, forse alcuni lettori avrebbero drizzato le antenne e si sarebbero chiesti: ma da dove viene questo Bonny? Forse dal paese che ha il record di chiese vuote, insieme alla Germania di Kasper? E’ davvero necessario preferire il belga e il tedesco, ai padri africani, o a quelli dell’Europa Orientale?
Valente presenta dunque con tratti molto amibgui il luminare, scelto con il lumicino, perchè trovarne di così arditi non è facile, e poi lo imbocca. Vediamo un  passaggio:
Hanno provato ad affossare il paragrafo sul discernimento dei divorziati risposati, nonostante non ci fosse nemmeno un riferimento esplicito alla riammissione ai sacramenti. A cosa miravano?
«Quelli che su quel punto non volevano lasciare la minima apertura erano convinti di “vincere”. Si sono detti: su quella formulazione non facciamo obiezioni preliminari, e poi al momento del voto voteremo contro. Volevano dare il segnale: di questo non vogliamo parlare più, nemmeno lontanamente. Ma hanno fatto male i calcoli. All’inizio erano certo più di ottanta. Vuol dire che, alla fine, alcuni hanno detto: adesso basta, andiamo avanti, verso la posizione pastorale condivisa. E questo cambiamento è maturato durante il Sinodo».
Notare l’incipit della domanda: “hanno provato...”. Chi ha provato? Il soggetto manca, quasi innominabile, ma il lettore è portato a pensare che coloro che hanno provato siano stati degli infiltrati, dei fuorilegge, dei sovversivi, degli extracomunitari entrati di soppiatto al Sinodo; insomma, una pattuglia di guastatori. No, caro lettore, Valente apostrofa così i moltissimi padri sinodali, vescovi e cardinali, decisi a rispettare Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. Nel giusto, o errando? Valente ha già dato la sua riposta, nella domanda. E poi l’insinuazione: “A cosa miravano?“.
La risposta di Bonny è ancora più eloquente: sembra stia parlando di una partita di risiko, di una battaglia all’interno del Sinodo, in cui più di ottanta padri miravano a “vincere”! E in cui, invece, avrebbe vinto la fazione buona, la sua.
Un’altra perla, questa volta di Bonny, che cerca di svincolare quello che tutti i dati sociologici confermano, la correlazione tra secolarizzazione e crisi dei matrimoni:
Cosa l’ha convinta di meno, nella trattazione del tema dei matrimoni falliti?
«Alcuni hanno un modo meccanico di interpretare la diminuzione dei matrimoni e i fallimenti matrimoniali solo come effetto automatico della perdita di fede e della secolarizzazione. Dimenticando che divorziano anche tanti bravi cattolici, coinvolti nelle parrocchie e nei movimenti».

1) si noti: Bonny è parte della terna: Kasper-Danneels-Kasper, amatissima e intervistatissima dal quotidiano on line coordinato da Tornielli.

Per la campagna sinodale kasperiana di Gianni Valente:
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2015/10/campane-kasperiane-gianni-valente-di-vatican-insider-2/

Per Bonny:
http://www.tempi.it/no-monsignore-quello-che-propone-non-e-cattolico-studenti-contro-il-vescovo-di-anversa-che-vuole-benedire-le-unioni-gay#.Vi5zYivbm70
http://www.espiritugay.com/obispo-johan-bonny-espera-reconocimiento-de-las-relaciones-gays/



http://www.libertaepersona.org/wordpress/2015/10/continua-lopera-di-disinformazione-sul-sinodo/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=continua-lopera-di-disinformazione-sul-sinodo

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