ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 18 ottobre 2015

“Nato bello” il CVIII



Ci risiamo: torna il trito refrain conciliare della collegialità. Anzi, secondo la vulgata bergogliana, della sinodalità. E' un tormentone cui siamo periodicamente sottoposti, e questa  volta l'occasione è nientemeno che la celebrazione del cinquantesimo anniversario dell'istituzione del Sinodo dei Vescovi, solennizzata dalla concomitanza con il Sinodo per la Famiglia. 

Lo squallore spettrale dell'aula Paolo VI, con l'orrida scultura bronzea di Fazzini e le volte cementizie da stazione ferroviaria, è stata scelta come degna sede in cui celebrare questo memorabile evento. 

Nella mentalità secolarizzata che impregna la chiesa postconciliare, si scorge l'idea che sia necessario di tanto in tanto rinnovaresvecchiare ora la disciplina, ora la liturgia, ora la morale: un approccio di marketing che prescinde, anzi nega e rifiuta il fatto che la vera Chiesa, così come l'ha istituita il suo divino Fondatore, sia già perfetta in sé e che non necessiti di alcun aggiornamento. La Chiesa di Cristo è cattolica; quella dei modernisti è conciliare,collegialeecumenica, adesso sinodale, e Dio sa cos'altro si inventerà questo Papa. 

Bergoglio dà il meglio di sé: la Chiesa deve diventare sempre più “sinodale” e in tale prospettiva “anche l'esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce”. “Una conversione del papato” che, anche in prospettiva ecumenica, trovi “una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”. A cosa si debba convertire il Papato è fin troppo chiaro: allo spirito del secolo ed alle istanze dei nemici di Cristo. Quelle che Bergoglio addita come necessità attuali dell'evangelizzazione paiono parole vuote: la Chiesa ha come unico scopo la salvezza delle anime, la loro santificazione attraverso i Sacramenti, e questo non può cambiare nel tempo perché l'uomo ferito dal peccato originale e redento dalla Croce di Cristo è sempre lo stesso. Solo nella misura in cui - per usare un'espressione cara ai novatori - la chiesa conciliare èaltro rispetto alla Chiesa Cattolica, le è possibile avere un'altra finalità e diversi mezzi per conseguirla.

E questo infelice tentativo di rendersi appetibili sul mercato, svendendo la verità e la bellezza della vera Chiesa, non conosce fine, perché nasce inficiato proprio dal voler essere al passo coi tempi, che sono mutevoli. Stat crux, dum volvitur orbis. E con il mondo ruota anche questa parodia infernale, mai sazia di novità, mai abbastanza prona al mondo, sempre ammiccante agli eretici, agli atei, ai nemici di Cristo. 

Non può ovviamente mancare un riferimento al Concilio Vaticano II, il quale afferma che “la totalità dei fedeli, avendo l'unzione che viene dal Santo, non può sbagliarsi nel credere, e manifesta questa sua proprietà mediante il senso soprannaturale della fede di tutto il Popolo, quando dai Vescovi fino agli ultimi fedeli laici mostra l'universale suo consenso in cose di fede e di morale”. Ed abbiamo qui una nuova versione pastorale del sensus Fidei: se il popolo ed una parte dei Vescovi sono concordi nel chiedere riforme - ammissione dei divorziati alla Comunione ed accoglienza dei gay tanto per fare un esempio a caso - ebbene quello è chiaramente un segno dei tempi cui, non fosse che in nome della sinodalità, occorre piegarsi. Così Francesco ha trovato pilatescamente il modo di lavarsene le mani, da buon gesuita: è la volontà della maggioranza che chiede a gran voce i cambiamenti in atto.

“Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell'ascolto. È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l'uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, per conoscere ciò che Egli dice alle Chiese”. Si ripropone il trito bagaglio postconciliare: l'atteggiamento di ascolto, scontato come l'altra formula non meno vieta del farsi altro, con un ammiccamento all'equivoca espressionechiese che, se in senso ortodosso indicava nell'antichità apostolica le comunità locali, oggi viene più facilmente intesa con  riferimento alle sette scismatiche ed eretiche. 

Naturalmente la visione assemblearista di matrice rivoluzionaria, poi bolscevica e infine conciliare non si limita alla Chiesa universale, non sia mai: c'è tutta una serie di organi collegiali che è stata approntata per sradicare l'autorità dei Sacri Pastori: “il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale. Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col ‘basso’ e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale”. Sembra di sentir parlare un sindacalista: nella misura in cui. E poi la captatio benevolentiae verso la massa: organismi connessi col basso e che partono dalla gente. Gente che va benissimo quando viene strumentalizzata dalle solite conventicole di illuminati progressisti, ma che appena reclama una Messa tridentina immediatamente scade nella deriva plebiscitaria. E a quel punto, ecco i sedicenti Vescovi democratici tornare tutti ai tempi del Duodecimo. 

Ma la serqua degli organismi assembleari non si esaurisce al livello locale: non si possono dimenticare le Conferenze Episcopali, cui Bergoglio vorrebbe affidare ulteriori potestà decisionali rispetto a quelle che hanno già usurpato. L'auspicio del Concilio che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale non si è ancora pienamente realizzato: “In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione”. Siamo tutti avvisati: democraticamente imposta da Bergoglio, si prospetta un ulteriore depotenziamento del Papato. Ossia, per esser chiari: egli usa in formatirannica l'autorità che gli è stata conferita, con lo scopo di demolirla, dimenticando che quell'autorità è indisponibile in quanto vicaria dell'unico Pontefice Gesù Cristo. 

E poi c'è ovviamente il Sinodo dei Vescovi, che “diventa espressione della collegialità episcopale all'interno di una Chiesa tutta sinodale”. Leggi democratica, nel senso moderno e che nulla ha a che vedere con l'istituzione gerarchica di tipo monarchico - anzi, si potrebbe dire proprio imperiale - che Nostro Signore ha stabilito e che il Concilio prima, con la Lumen Gentium, e Giovanni Paolo II poi, con la Sacrae Disciplinae, hanno contribuito a scardinare in chiave parlamentarista.

Per non far torto a nessuno, ecco la proskynesis alle sette: “L'impegno a edificare una Chiesa sinodale è gravido di implicazioni ecumeniche. Per questa ragione, parlando a una delegazione del patriarcato di Costantinopoli, ho recentemente ribadito la convinzione che l'attento esame di come si articolano nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le nostre Chiese”, con l'immancabile maiuscola: le famose chiese cui accennavamo prima. 

Continua Francesco: “Sono persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l'esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo - come Successore dell'apostolo Pietro - a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell'amore tutte le Chiese”. Ma qui le chiese sono le diocesi dell'orbe cattolico o le sette scismatiche ed eterodosse? 

A suggello dell'urgenza di por mano al Primato Papale, ecco la citazione di Giovanni Paolo II: 

Quale Vescovo di Roma so bene che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l'aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all'essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova. 

Sarebbe da capire - se non lo si fosse già compreso da decenni ormai - cosa i novatori considerino essenziale alla missione del Pontefice Romano. Certo è che l'inciso pur non rinunciando in nessun modo ecc. si scontra con quanto nei fatti Bergoglio intende realizzare. Dopo l'irrituale abdicazione di Benedetto XVI, salutata come un gesto profetico dai cosiddetti teologi progressisti, vien da pensare che si prepari un ulteriore declassamento -depaganizzazione ha scritto Boff - del ministero apostolico in chiave elettiva: una nomina a tempo? la compresenza di due papi incaricati uno della dottrina e l'altro della pastorale? un consiglio di esperti con poteri papali? un triumvirato con i capi delle sette?

D'altra parte, al di là degli aspetti giuridici di una eventuale riforma (sulla legittimità della quale è quantomeno opportuno interrogarsi), non si possono dimenticare i gesti eloquenti che hanno rappresentato sin dall'elezione la cifra di quest'ultimo Papa: la deposizione delle insegne visibili proprie del Romano Pontefice; l'ostentata insofferenza a qualsiasi forma cerimoniale; la decisione di abitare in un appartamento attiguo al Palazzo Apostolico e addirittura di pranzare in mensa, come un dirigente della Pirelli; la nomina di un collegio di consiglieri interposto tra la persona di Bergoglio e i Dicasteri Romani. Senza dimenticare le uscite possibiliste circa la breve durata del proprio pontificato. Se a questa serie di elementi si aggiunge l'atteggiamento personale di Bergoglio ed il suo piglio demagogico, si ha un quadro a dir poco desolante, e che non promette alcuna resipiscenza. 

Tutti questi fattori hanno contribuito e contribuiscono tuttora a privare il Papato della sacralità che gli è propria, banalizzandolo e destituendolo dell'autorità e della credibilità dinanzi alla Chiesa e dinanzi al mondo: umanamente parlando, è difficile immaginare un futuro Papa che - specialmente nella compagine attuale del Sacro Collegio - possa invertire la rotta, ritornando ad instaurare omnia in Christo.

Ritorniamo all'accenno alle chiese in chiave ecumenica e ci si permetta di ricordare le parole di un Papa cattolico quale fu Pio XI, il quale nell'Enciclica Mortalium animos ammoniva: 

[...] Tra costoro ci sono anche alcuni, benché pochi in verità, i quali concedono al Romano Pontefice un primato di onore o una certa giurisdizione e potestà, facendola però derivare non dal diritto divino, ma in certo qual modo dal consenso dei fedeli; altri giungono perfino a volere lo stesso Pontefice a capo di quelle loro, diciamo così, variopinte riunioni. Che se è facile trovare molti acattolici che predicano con belle parole la fraterna comunione in Gesù Cristo, non se ne rinviene uno solo a cui cada in mente di sottomettersi al governo del Vicario di Gesù Cristo o di ubbidire al suo magistero. E intanto affermano di voler ben volentieri trattare con la Chiesa Romana, ma con eguaglianza di diritti, cioè da pari a pari; e certamente se potessero così trattare, lo farebbero con l’intento di giungere a una convenzione la quale permettesse loro di conservare quelle opinioni che li tengono finora vaganti ed erranti fuori dell’unico ovile di Cristo.
A tali condizioni è chiaro che la Sede Apostolica non può in nessun modo partecipare alle loro riunioni e che in nessun modo i cattolici possono aderire o prestare aiuto a siffatti tentativi; se ciò facessero, darebbero autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall’unica Chiesa di Cristo. Ma potremo Noi tollerare l’iniquissimo tentativo di vedere trascinata a patteggiamenti la verità, la verità divinamente rivelata?

Altro che chiesa in ascolto: la Chiesa di Cristo si fa ascoltare e insegna senza lasciarsi influenzare dai potenti o dalle masse. E il popolo fedele ascolta e impara. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Nostro Signore non dice: se farete quello che vi consiglio, e nemmeno se farete quello che la maggioranza di voi e dei vostri pastori deciderà in un Sinodo contro i miei insegnamenti. 

La timida opposizione dei Pastori a queste terribili novità si preannuncia ardua e, sotto certi aspetti, quasi ininfluente: la maggior parte di quanti ancora conservano un barlume di ortodossia non ha il coraggio di denunciare il Concilio come causa prima di questa apostasia: non osa metterlo in discussione, e se lo fa si appiglia a cavilli - quale la pastoralità - che privano di efficacia qualsiasi azione correttiva. Se vi è uno scisma latente, esso è in atto per volontà dei novatori, non per la protesta coraggiosa dei buoni, che si ostinano a richiamarsi alla fedeltà al Vaticano II in una presunta antitesi alle deviazioni attuali. 

La conclusione del discorso papale è sconsolante, intrisa com'è del solito repertorio contestatario, “in un mondo che consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere”. Gruppi di potere che naturalmente non vengono mai menzionati - e dire che di documenti magisteriali contro la Massoneria e il liberalismo ce ne sono parecchi - e che anzi spesso si trovano ad esser ricevuti con tutti gli onori in Vaticano. 

Senza parlare di quei gruppi di potere che, in senso alla chiesa conciliare, hanno manovrato il Concilio e il postconcilio e che oggi, tra San Gallo e Santa Marta, continuano a ordire trame oscure dietro il comodo paravento della sinodalità.   

Sinodo, inizia la settimana decisiva. Si va verso una maggioranza di "centrosinistra"


Schönborn in tedesco vuol dire “nato bello”. Sono teologiche ma suonano etimologiche le ragioni per cui Francesco ha ieri delegato al cardinale austriaco Christoph Schönborn, intellettuale di punta del sacro collegio, aristocratico discendente della nobiltà mitteleuropea e democratico esponente dei progressismo moderato, l’incarico di commemorare il cinquantesimo anniversario del Sinodo: un istituto che “nato bene”, appunto, il 15 settembre 1965, per prolungare il respiro e lo spirito di squadra del Concilio, è tuttavia invecchiato male, perdendo gradualmente fiato e fascino, ingrigendosi e omologandosi al destino dei parlamenti mondani, fino a scivolare in un presente di sospetti e dispute, tra colpi di scena e atmosfere da talk-show. Netta in proposito la stroncatura dell’ultimo sinodo di Ratzinger, del 2012, “dove ci sono stati molti interventi interessanti. Ma pochissimi hanno dato testimonianza… Noi restiamo troppo spesso nelle teorie, quasi mai parliamo in maniera personale delle nostre esperienze”, ha sentenziato lapidario il presule.

Schönborn, fermo nelle sue critiche all’evoluzionismo darwiniano ma rapido a congratularsi con la drag queen e connazionale Conchita Wurst per la vittoria nell’Eurofestival, incarna perfettamente la Chiesa “poliedrica” di Francesco ed esprime il potenziale di una maggioranza di “centrosinistra”, che potrebbe prendere corpo da qui a sabato: emarginando ai due estremi le posizioni più radicali, di Walter Kasper e di George Pell, o del partenopeo Bruno Forte e del felsineo Carlo Caffarra, e operando una saldatura con i centristi guidati dall’arcivescovo di Washington Donald Wuerl, membro della commissione che ha il compito di redigere il testo conclusivo, e dal collega Rino Fisichella, organizzatore del Giubileo e Presidente del Consiglio per la Nuova Evangelizzazione. Un’ampia basi di consensi, che affrancherebbe il Pontefice dal soccorso interessato dei trasformisti, ossia di quei conservatori solerti a conservare il posto anziché la dottrina, e dei loro omologhi progressisti, attenti a progredire in carriera piuttosto che nel pensiero: “L’esito infine, così speriamo, non è un compromesso politico su un minimo comune denominatore, bensì questo valore-aggiunto, che dona lo Spirito Santo, così da poter dire, a conclusione: Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi”.
Un mare agitato da correnti impetuose e conflitti palesi, dunque, sul quale aleggia però lo spirito divino: vento leggero che il timoniere della barca di Pietro deve intercettare nel bel mezzo delle discussioni: “Così speriamo”, almeno, ha terminato il cardinale. Sintetizzando, dalle parole di Schönborn emerge che a una settimana dal voto del 24 ottobre “l’esito” rimane aperto, mentre la strada si fa di giorno in giorno più stretta per il Papa, in salita e in solitaria, come quando si avanza sul crinale di un monte sporgendosi tra due precipizi. Da una parte Francesco rischia di perdere la fiducia e dall’altra la faccia: la fiducia “parlamentare” dei vescovi, sul versante interno, e la faccia del riformatore, su quello esterno, a seconda che dal Sinodo escano o meno rilevanti novità, dopo un anno di aspettative montanti.
Un nodo che si riserva di sciogliere da solo. Non a caso, proprio nel momento in cui confermava la necessità di una salutare “decentralizzazione”, ha tenuto il discorso più accentratore del pontificato. E senza contraddirsi. Tradotto in pratica, significa che Bergoglio, come via d’uscita e come ha lasciato intendere, potrebbe limitarsi a una legge quadro, fissando il principio ma consentendo agli episcopati continentali di regolamentare autonomamente le situazioni più controverse: va da sé che l’indissolubilità del matrimonio deve essere promossa con strategie diverse in Africa, dove si combatte la piaga della poligamia e in Occidente, dove si curano le ferite dei fallimenti coniugali e le persone propendono a non sposarsi, né religiosamente né civilmente.
A ogni modo, il peso dei problemi e la pressione mediatica che li accompagna risultano tali da non potersi affrontare, alla lunga, solo attraverso un sinodo, di per sé strumento di sviluppo e attuazione, quando forse c’è bisogno di piantare le tende e fermarsi a ripensare. Per questo, e indipendentemente dal grado di consapevolezza dei protagonisti, si avverte forte la sensazione che la Chiesa, nel momento in cui celebra il cinquantesimo del Sinodo ne stia operando de facto il superamento e sia entrata nel clima di un’altra era: quella di un Concilio Vaticano III. Evento indicibile però plausibile, che pochi evocano e molti auspicano, considerando che a cambiare non è solo il dipinto, ma la cornice. Per non parlare dello sfondo geopolitico, nel transito dal bipolarismo USA - URSS al caos della Terza Guerra Mondiale a pezzi, e del pianeta globalizzato e internettizzato, che non è più quello del concilio di Nicea, quando ci vollero quattro secoli e mezzo per diffonderne e recepirne i contenuti.
Se il Vaticano II si confrontava con le “religioni laiche” del liberalismo e del socialismo, che dominarono gli scenari degli anni Sessanta, il Vaticano III ha invece di fronte a sé non più una visione del mondo, bensì la concezione stessa dell’uomo. E se le ideologie chiamavano in causa l’età contemporanea, dall’Illuminismo al Novecento, la questione antropologica mette sotto accusa due millenni di Cristianesimo, da Paolo di Tarso in poi. Domandandosi perché l’idea di uomo e di famiglia, che la Chiesa promuove e che apparve allora rivoluzionaria e libertaria, viene intesa oggigiorno reazionaria e autoritaria. Non più fashion ma demodé. In definitiva: è davvero un problema di linguaggio o è il messaggio medesimo che va riascoltato e ricompreso?
Quando il cardinale Schönborn un anno fa dichiarò che Conchita Wurst, al secolo Thomas Neuwirth, “ha portato al centro dell’attenzione un grande tema, un tema reale…non tutti coloro che sono nati uomini, si sentono anche uomini, e la stessa cosa può valere anche per le donne”, sollevò coraggiosamente il coperchio di argomenti che cinquant’anni orsono erano inconcepibili a pensarsi e dirsi, da un ecclesiastico, e che oggi hanno raggiunto un livello di ebollizione, anche nella coscienza dei fedeli. E ancora, quando Schönborn, nella lectio di sabato alla presenza del Pontefice, ha rivolto l’invito a non “teorizzare astrattamente”, quanto piuttosto a raccontare “avvenimenti ed esperienze” come fecero gli apostoli al Concilio di Gerusalemme, i pensieri dell’assemblea sono tornati subito alla testimonianza di un parroco di Trieste, pronunciata in aula e riportata dai giornali, sul gesto del bambino che aveva spezzato l’ostia porgendola ai genitori divorziati.
Accoglienza degli omosessuali e comunione ai risposati monopolizzano il dibattito poiché vengono percepite quali punte di un iceberg: sotto di esse, a staccarsi dal ghiacciaio della dottrina e di precetti che non scaldano il cuore, sono le concezioni dell’uomo e della Chiesa, spinte dalle correnti e a rischio di deriva. Troppo per i rematori del sinodo.
Il termine “concilio” è affiorato ripetutamente, suggestivamente, nel discorso dell’arcivescovo di Vienna, in vero con riferimento al passato remoto, non al futuro prossimo. Anche se poi sappiamo bene, tuttavia, che le parole assumono direzioni e sprigionano energie autonome rispetto allo scopo per cui vengono impiegate. Energie e prospettive che l’assemblea ieri ha intravisto, e provato, per un attimo con un brivido, quando Bergoglio ha difeso la sua scelta di consultare il Popolo nella preparazione dell’appuntamento sinodale sulla famiglia e ribadito che il “Gregge” possiede un proprio “fiuto”, “infallibile”, per discernere “le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa”.
Piero Schiavazzi, L'Huffington Post
http://www.huffingtonpost.it/2015/10/18/sinodo-maggioranza-centro_n_8326044.html?utm_hp_ref=italy
Johanna_paapa
di M.H.G.
A Bergoglio continuiamo a riconoscere grande chiarezza su alcuni temi. Dopo aver invocato un’autorità politica mondiale (Papa Francesco: “Urge un’autorità politica mondiale”), è la volta della “conversione del Papato”.
Ci limitiamo a riportare alcuni estratti dell’Agenzia AsiaNews (emanazione del Vaticano). Grassettature e sottolineature nostre:
***
Città del Vaticano (AsiaNews) – La Chiesa deve diventare sempre più “sinodale” – nel suo significato di camminare insieme – e in tale prospettiva “anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce”. “Una conversione del papato” che, anche in prospettiva ecumenica trovi “una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova”.
La commemorazione del 50mo anniversario dell’istituzione del Sinodo dei vescovi, celebrata stamattina nell’aula Paolo VI, ha dato l’opportunità a papa Francesco di tornare a delineare, con significative sottolineature, la sua visione della Chiesa del terzo millennio, caratterizzata dall’ascolto di tutte le sue componenti, da  una maggiore responsabilizzazione degli episcopati, dalla collegialità e, appunto, dalla “conversione del papato”.
Un lungo discorso nel quale il Papa ha innanzi tutto sottolineato che “fin dall’inizio del mio ministero come Vescovo di Roma ho inteso valorizzare il Sinodo, che costituisce una delle eredità più preziose dell’ultima assise conciliare. Per il Beato Paolo VI, il Sinodo dei Vescovi doveva riproporre l’immagine del Concilio ecumenico e rifletterne lo spirito e il metodo. Lo stesso Pontefice prospettava che l’organismo sinodale «col passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato». A lui faceva eco, vent’anni più tardi, San Giovanni Paolo II, allorché affermava che «forse questo strumento potrà essere ancora migliorato. Forse la collegiale responsabilità pastorale può esprimersi nel Sinodo ancor più pienamente»”. “Dobbiamo proseguire su questa strada. Il mondo in cui viviamo, e che siamo chiamati ad amare e servire anche nelle sue contraddizioni, esige dalla Chiesa il potenziamento delle sinergie in tutti gli ambiti della sua missione. Proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio”.
“Quello che il Signore ci chiede, in un certo senso, è già tutto contenuto nella parola ‘Sinodo’. Camminare insieme -Laici, Pastori, Vescovo di Roma- è un concetto facile da esprimere a parole, ma non così facile da mettere in pratica”.
[…]
Una Chiesa dell’ascolto
“Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare «è più che sentire». È un ascolto reciproco in cui ciascuno ha qualcosa da imparare. Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo «Spirito della verità» (Gv 14, 17), per conoscere ciò che Egli «dice alle Chiese» (Ap 2, 7). Il Sinodo dei Vescovi è il punto di convergenza di questo dinamismo di ascolto condotto a tutti i livelli della vita della Chiesa. Il cammino sinodale inizia ascoltando il Popolo”, “prosegue ascoltando i Pastori. Attraverso i Padri sinodali, i Vescovi agiscono come autentici custodi, interpreti e testimoni della fede di tutta la Chiesa, che devono saper attentamente distinguere dai flussi spesso mutevoli dell’opinione pubblica. Alla vigilia del Sinodo dello scorso anno affermavo: «Dallo Spirito Santo per i Padri sinodali chiediamo, innanzitutto, il dono dell’ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama». Infine, il cammino sinodale culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma, chiamato a pronunciarsi come «Pastore e Dottore di tutti i cristiani»: non a partire dalle sue personali convinzioni, ma come supremo testimone della fides totius Ecclesiae, «garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa»”.
“Il fatto che il Sinodo agisca sempre cum Petro et sub Petro – dunque non solo cum Petro, ma anche sub Petro – non è una limitazione della libertà, ma una garanzia dell’unità. Infatti il Papa è, per volontà del Signore, «il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità tanto dei Vescovi quanto della moltitudine dei Fedeli». A ciò si collega il concetto di «ierarchica communio», adoperato dal Concilio Vaticano II: i Vescovi sono congiunti con il Vescovo di Roma dal vincolo della comunione episcopale(cum Petro) e sono al tempo stesso gerarchicamente sottoposti a lui quale Capo del Collegio (sub Petro)”.
La sinodalità dimensione costitutiva della Chiesa
“La sinodalità, come dimensione costitutiva della Chiesa, ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico. Se capiamo che, come dice San Giovanni Crisostomo, «Chiesa e Sinodo sono sinonimi» -perché la Chiesa non è altro che il ‘camminare insieme’ del Gregge di Dio sui sentieri della storia incontro a Cristo Signore- capiamo pure che al suo interno nessuno può essere ‘elevato’ al di sopra degli altri. Al contrario, nella Chiesa è necessario che qualcuno ‘si abbassi’ per mettersi al servizio dei fratelli lungo il cammino. Gesù ha costituito la Chiesa ponendo al suo vertice il Collegio apostolico, nel quale l’apostolo Pietro è la «roccia» (cfr. Mt 16, 18), colui che deve «confermare» i fratelli nella fede (cfr. Lc 22, 32). Ma in questa Chiesa, come in una piramide capovolta, il vertice si trova al di sotto della base. Per questo coloro che esercitano l’autorità si chiamano ‘ministri’: perché, secondo il significato originario della parola, sono i più piccoli tra tutti. È servendo il Popolo di Dio che ciascun Vescovo diviene, per la porzione del Gregge a lui affidata, vicarius Christi, vicario di quel Gesù che nell’ultima cena si è chinato a lavare i piedi degli apostoli (cfr. Gv 13, 1-15). E, in un simile orizzonte, lo stesso Successore di Pietro altri non è che il servus servorum Dei”.
“Non dimentichiamolo mai! Per i discepoli di Gesù, ieri oggi e sempre, l’unica autorità è l’autorità del servizio, l’unico potere è il potere della croce”.
“In una Chiesa sinodale, il Sinodo dei Vescovi è solo la più evidente manifestazione di un dinamismo di comunione che ispira tutte le decisioni ecclesiali. Il primo livello di esercizio della sinodalità si realizza nelle Chiese particolari. Dopo aver richiamato la nobile istituzione del Sinodo diocesano, nel quale Presbiteri e Laici sono chiamati a collaborare con il Vescovo per il bene di tutta la comunità ecclesiale, il Codice di diritto canonico dedica ampio spazio a quelli che si è soliti chiamare gli ‘organismi di comunione’ della Chiesa particolare: il Consiglio presbiterale, il Collegio dei Consultori, il Capitolo dei Canonici e il Consiglio pastorale. Soltanto nella misura in cui questi organismi rimangono connessi col ‘basso’ e partono dalla gente, dai problemi di ogni giorno, può incominciare a prendere forma una Chiesa sinodale: tali strumenti, che qualche volta procedono con stanchezza, devono essere valorizzati come occasione di ascolto e condivisione”.
“Il secondo livello è quello delle Province e delle Regioni Ecclesiastiche, dei Concili Particolari e in modo speciale delle Conferenze Episcopali. Dobbiamo riflettere per realizzare ancor più, attraverso questi organismi, le istanze intermedie della collegialità, magari integrando e aggiornando alcuni aspetti dell’antico ordinamento ecclesiastico. L’auspicio del Concilio che tali organismi possano contribuire ad accrescere lo spirito della collegialità episcopale non si è ancora pienamente realizzato. In una Chiesa sinodale, come ho già affermato, «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare ‘decentralizzazione’». L’ultimo livello è quello della Chiesa universale. Qui il Sinodo dei Vescovi, rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale. Esso manifesta la collegialitas affectiva, la quale può pure divenire in alcune circostanze ‘effettiva’, che congiunge i Vescovi fra loro e con il Papa nella sollecitudine per il Popolo di Dio”.
Sinodalità, ecumenismo e “conversione del papato”
“L’impegno a edificare una Chiesa sinodale -missione alla quale tutti siamo chiamati, ciascuno nel ruolo che il Signore gli affida- è gravido di implicazioni ecumeniche. Per questa ragione, parlando a una delegazione del patriarcato di Costantinopoli, ho recentemente ribadito la convinzione che «l’attento esame di come si articolano nella vita della Chiesa il principio della sinodalità ed il servizio di colui che presiede offrirà un contributo significativo al progresso delle relazioni tra le nostre Chiese». Sono persuaso che, in una Chiesa sinodale, anche l’esercizio del primato petrino potrà ricevere maggiore luce. Il Papa non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo -come Successore dell’apostolo Pietro- a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese. Mentre ribadisco la necessità e l’urgenza di pensare a «una conversione del papato», volentieri ripeto le parole del mio predecessore il Papa Giovanni Paolo II: «Quale Vescovo di Roma so bene […] che la comunione piena e visibile di tutte le comunità, nelle quali in virtù della fedeltà di Dio abita il suo Spirito, è il desiderio ardente di Cristo. Sono convinto di avere a questo riguardo una responsabilità particolare, soprattutto nel constatare l’aspirazione ecumenica della maggior parte delle Comunità cristiane e ascoltando la domanda che mi è rivolta di trovare una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova»”.
[…]
http://www.radiospada.org/2015/10/da-chiesa-conciliare-a-sinodale-bergoglio-convertire-il-papato-decentralizzare/

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