ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 5 novembre 2015

Al cesso, al cesso!

La guerra culturale si vince nei bagni di Houston

L’America progressista boccia le grottesche follie lgbt

New York. La guerra culturale si combatte innanzitutto nei cessi pubblici, e in quelli di Houston martedì ha vinto il fronte conservatore. Una ordinanza antidiscriminazione a tinte arcobaleno che permetteva, fra le altre cose, ai transgender di scegliere il bagno che meglio li rappresentava (in attesa della diffusione globale della toilette neutra) è arrivata all’esame degli elettori sotto forma di quesito referendario, e loro l’hanno seppellita sotto una maggioranza da oltre il 62 per cento.


ARTICOLI CORRELATI Il linciaggio giornalistico di una sentenza che nessuno vi fa leggere Le unioni civili sono un errore culturale che non difende i diritti dei gay Liste di proscrizione pol. corr.: arriva il registro online dei razzisti e omofobiLa Houston Equal Rights Ordinance (Hero), approvata a maggio dal consiglio cittadino, prevedeva multe da cinquemila dollari per chiunque discriminasse un altro individuo in vario modo in base a sesso, razza, etnia, nazionalità, età, religione, disabilità, stato di gravidanza, informazioni genetiche, stato famigliare, coniugale o militare. Non era la semplice introduzione di qualche aggravante per omofobia o simili, ma un Vangelo della lotta contro la discriminazione, un disegno di legge paradisiaco per le minoranze minacciate e per gli adoratori dell’uguaglianza di fronte alla legge, supremo principio dal quale si può dedurre qualunque cosa. La norma era talmente vaga che un mese dopo l’approvazione, la Corte suprema del Texas ha detto che la legge andava rivista oppure sottoposta al giudizio del popolo, e così è nato il referendum sul “bathroom bill”, difeso come un sol uomo dal sindaco di Houston, dall’establishment democratico, da Hollywood, e pure dalla Casa Bianca, che ha preso parte con un comunicato in cui si premette che il governo non prende parte in queste decisioni: “Il presidente e il vice presidente sono forti sostenitori di iniziative a livello statale e locale per proteggere gli americani dalla discriminazione sulla base di chi sono e chi amano”.

I sostenitori di Hero hanno speso 3 milioni di dollari per la campagna, il triplo degli avversari, i quali però hanno trionfato a mani basse. Questi arcigni conservatori texani, si dirà. Ma questi arcigni conservatori texani hanno eletto sindaco di Houston per tre volte una signora lesbica di nome Annise Parker, sposata e con tre figli, che all’ultima tornata ha dato 30 punti percentuali di distacco al rivale repubblicano. Difficile sostenere che la quarta città degli Stati Uniti è la sentina dell’omofobia. Piuttosto, come dice il vicegovernatore Dan Patrick, antagonista vittorioso della legge, un conto è non discriminare, un altro punire con aggravanti chi semplicemente non aderisce al dettato della maggioranza: “Sappiamo nel nostro cuore e nella nostra pancia di americani che questo non è giusto”. Circa duecento città americane hanno approvato leggi simili a Hero, ma proprio per la spinta del sindaco, che ha un passato da attivista lgbt, quella di Houston voleva affermarsi come benchmark della battaglia progressista di oggi e di domani. Gli elettori non hanno gradito. Così come gli elettori dell’Ohio non hanno gradito il tentativo di legalizzazione della marijuana per scopo ricreativo. Quelli del Kentucky hanno eletto il secondo governatore repubblicano in quarant’anni, uno che somiglia più a Trump che a Rubio. Il piano inclinato verso il progressismo è davvero così inclinato?
di Mattia Ferraresi | 05 Novembre 2015 

Il linciaggio giornalistico di una sentenza che nessuno vi fa leggere

Siti e giornali criticano la decisione del Consiglio di Stato sulle unioni omoessuali contratte all'estero, ma nessuno spiega di che cosa parla la sentenza: tutti preferiscono accanirsi sulle opinioni personali di uno dei cinque giudici. C'entra anche un articolo del Foglio
di Redazione | 28 Ottobre 2015 

Dopo la gogna sui siti internet di ieri, anche i giornali in edicola oggi sono pieni di articoli sulla sentenza del Consiglio di Stato che si è pronunciato sull’appello del ministero dell’Interno dichiarando non trascrivibili nei registri civili i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero.

La Stampa dedica due pagine alla sentenza del consiglio di Stato, ma cercando con attenzione tra le righe, i titoli, i sommari e le didascalie, da nessuna parte si trovano spiegate le motivazioni del no alla trascrizione delle nozze tra omosessuali all’estero nei registri civili italiani. Un ottimo servizio al lettore che forse sarebbe più interessato a capire i motivi del “no” che non le opinioni personali di uno dei cinque giudici che hanno firmato la sentenza, quel Carlo Deodato reo di avere retwittato in passato alcuni articoli e appelli contrari alle nozze omosessuali. Due articoli velenosi, opinionati, ripetitivi e con diverse  imprecisioni (non è vero, come scrive Lombardo, che “mentre con un dito cinguettava, con l’altro firmava una sentenza di un certo peso”, dato che il suo ultimo tweet sul tema risale a mesi fa). Al lettore che vorrebbe informarsi si danno due pagine ricche di fango, del merito della sentenza non vi è traccia. Come se non bastasse, tra le colpe di Deodato c’è, oltre all’essere cattolico, anche l’aver firmato un articolo su tutt’altro argomento sul Foglio, anche questo mesi fa. Ma tanto basta per fare il pigro accostamento.

ARTICOLI CORRELATI Dietro il linciaggio del giudice Deodato Il pensiero unico pro gender dietro la scomunica del giudice Deodato La guerra culturale si vince nei bagni di Houston Nozze gay. E discutiamone, no?Il Fatto quotidiano dà qualche informazione in più sulla sentenza firmata da cinque giudici, che però nel titolo diventa “il no del fan delle Sentinelle in piedi”, con tanti saluti a diritto e giurisprudenza. Con capriole notevoli il giornale di Travaglio dimentica di essere a sua volta fan dei giudici e riesce a trovare disdicevole il fatto che Deodato sia stato “allontanato” da Palazzo Chigi dallo stesso Renzi (non dovrebbe essere un eroe, per loro?) e fa passare l’idea che gli altri quattro componenti del Consiglio di Stato siano quattro pupazzi manipolati dal pericoloso giudice cattolico.

Anche il Corriere dedica due pagine al caso (più un corsivo di Pigi Battista che fa notare come un giudice dovrebbe stare più abbottonato sui social network), e anche il Corriere non entra nel merito della sentenza. L’articolo di Ilaria Sacchettoni inizia così: “Il sospetto di una sentenza di parte si rafforza con il passare delle ore”. L’opinione del lettore è così subito indirizzata: di qualunque sentenza si parli, la giornalista ha già avvertito che non va bene. Anche qui a nessuno importa di quello che le dieci pagine della sentenza dicono, con rimandi giurisprudenziali precisi a sentenze passate italiane ed europee e alla Costituzione: conta solo che due dei cinque giudici sono cattolici, e tanto basta per definirli inadatti (uno dei due partecipa addirittura a “severi esercizi spirituali”, come si permette di fare il giudice?). Nel suo articolo Alessandra Arachi riporta le parole di Deodato – “La sentenza bisogna giudicarla sul piano tecnico e giuridico e invito chi mi critica a leggerla” – ma poi non segue il consiglio del giudice.
Repubblica, che ieri aveva dato il via alla gogna mediatica sul proprio sito riportando gli screenshot dei tweet di Deodato (chi ha fatto la gallery ha messo pure un tweet di Papa Francesco, quando lo scopre Scalfari finisce male), intervista lo stesso Deodato, che spiega come quel tipo di sentenza fosse l’unico possibile, dato che in Italia non c’è una legge sulle unioni civili. Il quotidiano di Ezio Mauro dedica una pagina e mezza alla notizia, che però non è la sentenza in sé (mai spiegata nel merito, ça va sans dire), ma la “bufera sul giudice: tweet prima della sentenza” – là dove quel “prima” si dilata a qualche mese – e tutto l’articolo è incentrato sulle proteste degli attivisti lgbt. Non sapendo come entrare nel merito della sentenza per pigrizia e ignoranza, la polizia del pensiero unico colpisce Deodato per avere espresso le sue idee, gli dà dell'omofobo intransigente solo perché difende la famiglia tradizionale e non si scomoda neppure a leggere le motivazioni scritte.

Liste di proscrizione pol. corr.: arriva il registro online dei razzisti e omofobi

RIRO è il registro italiano dei razzisti e degli omofobi. Ibrido liquido tra lista di proscrizione, legge del taglione e progetto di educazione a una gogna consapevole, il sito si propone di schedare tutti gli italiani che contravvengono al rispetto dei diritti (non si specifica quali) di minoranze etniche, omosessuali e animali, avvalendosi del prezioso contributo degli utenti
di Simonetta Sciandivasci | 02 Novembre 2015 
Quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo hanno consegnato all'etere online il loro personalissimo White Album: RIRO, il registro italiano dei razzisti e degli omofobi. Ibrido liquido tra lista di proscrizione, legge del taglione e progetto di educazione a una gogna consapevole, il sito si propone di schedare tutti gli italiani che contravvengono al rispetto dei diritti (non si specifica quali) di minoranze etniche, omosessuali e animali, avvalendosi del prezioso contributo degli utenti.

ARTICOLI CORRELATI Calcio intercettato Dietro il linciaggio del giudice Deodato Il pensiero unico pro gender dietro la scomunica del giudice Deodato La guerra culturale si vince nei bagni di HoustonChiunque, infatti, può procedere a inserire i nomi e i dati biografici dei rei (indirizzi e contatti telefonici sono banditi: la privacy si concede anche al Ku Klux Klan), compilando un format nel quale è necessario allegare prove concrete dei misfatti x-ofobi, ovvero foto, log di chat audio/video, eventuali testimonianze. Vengono pubblicati, con tanto di breve bio e fotografia, solo i profili di cittadini italiani (non è specificato se per ius soli o per ius sanguinis) ancora in vita. Regola aurea: il razzista/omofobo/strangolatore d’iguane che voglia, una volta ritrovatosi in lista, venirne rimosso, deve obbligatoriamente sottoporsi al "test anti-razzista" che viene poi pubblicato sul sito, anche nel caso in cui sia stato brillantemente superato. A coordinare tutte queste operazioni/epurazioni, ci sono quei quattro amici, capitanati da tale Aida (nom de plume), il responsabile del sito che ha raccontato a gay.it, il gazzettino della "comunità gay", di essere stato assediato più da minacce di denuncia che da denunce.

"Non vogliamo fare del male a nessuno: vogliamo proteggerci, sapere con chi possiamo parlare e con chi no", ha detto. Tra le persone con cui non si può parlare ci sono gli omofobi, di cui Aida ha fornito una definizione esemplare: "Non basta essere contro il matrimonio gay o la legge anti-omofobia: questa è solo un'opinione". Per sconfinare nel reato, occorre che sul profilo Facebook o Twitter del denunciato compaiano status che si esprimano contro i gay: "Qualsiasi cosa contraria alla libertà omosessuale è omofoba", ha spiegato, senza chiarire quali e quanti caleidoscopici neo-diritti vadano a costituire quella libertà – speriamo che non pagare il mutuo ci rientri: allora sì che l'eterosessualità scomparirà dalla faccia della terra, finalmente. Sul sito si trova una illuminante dichiarazione di poetica: "Marchiare il prossimo era un modo per i nazisti di ridurre a oggetto lo schiavo ebreo o omosessuale. Per rendere schiavo un essere umano basta farlo diventare un numero. Il nostro scopo è ritorcere quest'arma contro le persone figlie di quel tipo di comportamenti". Nazisti è scritto con la lettera maiuscola, ma sarà una svista. "Non vogliamo metterli in pericolo", invece, è scritto tutto maiuscolo, nella parte in cui si precisa, senza pudore per la contraddizione, che l'intento non è intimidatorio, bensì difensivo: “Come fratelli uniti, avvisiamo altri fratelli".

La sezione più curiosa è “autosegnalazione”, aperta quando il sito era online da diverse ore, per dire a coloro che si stavano divertendo ad auto-denunciarsi, che Riro è immune alle provocazioni e avrebbe accolto le richieste, se inoltrate secondo norma vigente. Ed è qui l'uovo di colombo. Perché se è difficile immaginare che Tavecchio, Dolce&Gabbana, Deodato, Malgioglio, Rosy Bindi e il già nutrito numero di semplici privati cittadini e consiglieri comunali (come Delvecchio, ideatore dell'hashtag #PiùGromMenoRom) infilati nell'index si sottoporranno al test anti-razzista o spenderanno tempo e denaro adendo le vie legali, è molto più facile immaginarli sorridere. E’ questo, in fondo, il paradosso insopportabile, lo scandalo di RIRO (e supera di gran lunga il fatto che chi maltratta gli animali venga considerato al pari di un razzista o di un omofobo: l’amore, vincendo, ha superato anche la barriera tra uomini e bestie): diluire il razzismo dando del razzista a chiunque, in modo grottesco, così da trasformare un’infamia in un marchio desiderabile che finirà con l’attestare l’indipendenza di pensiero.

Il pensiero unico pro gender dietro la scomunica del giudice Deodato

In un paese in cui le opinioni dovrebbero essere libere, è uscito un titolo come quello del sito di Rep.: “Nozze gay, i retweet anti-gender del magistrato del Consiglio di stato”, per inchiodare all’infamia morale via gogna mediatica, uno degli estensori della sentenza che boccia la trascrizione dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero
di Maurizio Crippa | 27 Ottobre 2015

Io sarò pure della vecchia scuola, ma devo dire che ci sono certi retweet canaglieschi che sono peggio del trattamento riservato ai calzini turchesi del giudice Mesiano. Ma devo anche dire, e fa quasi schifo doverlo dire, in un paese in cui le opinioni dovrebbero essere libere, che è molto peggio fare un titolo così, come ha fatto ieri il sito di Rep.: “Nozze gay, i retweet anti-gender del magistrato del Consiglio di stato”, per inchiodare all’infamia morale via gogna mediatica, in nome del pensiero unico gender, il magistrato Carlo Deodato, uno degli estensori della sentenza che boccia la trascrizione dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero.

ARTICOLI CORRELATI Dietro il linciaggio del giudice Deodato Il linciaggio giornalistico di una sentenza che nessuno vi fa leggere Le adozioni? “Il cuore della riforma”. Ops Le unioni civili sono un errore culturale che non difende i diritti dei gay Liste di proscrizione pol. corr.: arriva il registro online dei razzisti e omofobi Nozze gay. E discutiamone, no?Non l’avesse mai fatto, Deodato. E dire che i suoi retweet sono all’acqua di rose. Uno era di @matteomatzuzzi: “Mentre i cristiani vengono perseguitati, in Francia si discute di neutralità”. Uno di @ProVita–Tweet: “Perché il #Dono più #Grande è la #Vita”, con tutti quegli hastag fuori di logica. Ma tant’è. Per i siti più giornalisticamente illibati, che Deodato potesse anche solo far parte di un collegio della Consulta è cosa che “fa discutere”. Per tutti gli altri, e per gli odiatori seriali da social media, è semplicemente cosa che grida vendetta. L’Huffington Post, a corto di sarcasmo, trova “caustico” il tweet di Sergio Lo Giudice, senatore pd ed ex presidente Arcigay: “L’estensore della sentenza del Consiglio di stato è fan delle Sentinelle in piedi: l’uomo giusto al posto giusto”. Siccome c’è la democrazia, per Lo Giudice il posto giusto per Deodato sarebbe coi piedi all’insù. Appeso.

Dietro il linciaggio del giudice Deodato

La polizia del pensiero e la difesa della famiglia spacciata per omofobia
di Claudio Cerasa | 29 Ottobre 2015 
Il grazioso linciaggio mediatico a cui è stato sottoposto il giudice Carlo Deodato, estensore della sentenza del Consiglio di stato sulle nozze gay, ha un suo interesse per una serie di ragioni che riguardano il tragico e surreale impatto che ha sulla nostra società e sul nostro modo di ragionare una nuova egemonia culturale: quella del pensiero unico. Apprendiamo dalle letture dei giornali di ieri (leggete qui) che la scelta del giudice del Consiglio di stato di votare a favore dell’annullamento del registro del comune di Roma per la trascrizione delle nozze gay celebrate all’estero corrisponderebbe a un atto “integralista”, in quanto il suddetto giudice sarebbe un difensore della famiglia tradizionale. Se ne deduce dunque che chi oggi dice no alle nozze gay e difende la famiglia tradizionale non è  solo un pericoloso conservatore nemico del progresso ma, come dice bene ancora sulla Stampa il senatore del Pd Sergio Lo Giudice, è un orrendo fondamentalista nemico dell’umanità.

ARTICOLI CORRELATI Col caso Deodato è in gioco la libertà di un sistema Il linciaggio giornalistico di una sentenza che nessuno vi fa leggere Il pensiero unico pro gender dietro la scomunica del giudice Deodato Liste di proscrizione pol. corr.: arriva il registro online dei razzisti e omofobiLa polizia del pensiero che spaccia per omofobia la difesa della famiglia tradizionale non è però l’unico elemento che emerge dal caso Deodato ma è uno dei tanti che ci permettiamo di portare all’attenzione anche all’autorevole presidente della commissione Giustizia della Camera (Pd), che in un’ottima intervista sempre alla Stampa ha detto che il caso Deodato dimostra che se c’è un problema che si pone il problema è “quello della nuova frontiera dei social” (sic). A voler seguire alla lettera il criterio secondo il quale il giudice Deodato sarebbe unfit to judge per la semplice ragione di essere un cattolico contrario ai matrimoni gay, se ne dovrebbe desumere che se si è cattolici non si può giudicare su alcune questioni che riguardano temi eticamente sensibili come per esempio i diritti civili. Deodato dice giustamente di aver espresso il suo voto in punto di diritto e non in punto di diritti ma le accuse che gli sono state rivolte in queste ore creano un parallelismo naturale, seppure un po’ forzato, tra il suo caso e quello più famoso e americano di Kim Davis, la funzionaria pubblica del Kentucky, cattolica, finita in galera per essersi rifiutata di mettere la sua firma su certificati di matrimonio per le coppie omosessuali.

Gli episodi sono diversi, certo, ma il tema esiste e bisognerebbe essere onesti e formulare la critica a Deodato in modo completo. Senatore Lo Giudice, glielo dica chiaro e tondo al giudice quello che lei pensa davvero: caro Deodato, lei non può giudicare perché essere cattolici e avere in testa solo un’idea di famiglia come quella tradizionale è incompatibile con la nuova dittatura del pensiero unico. Per completare il ragionamento, infine, il nostro amico Pierluigi Battista ha ragione quando dice, sul Corriere della Sera, che un giudice dovrebbe parlare solo con le sentenze. Ma bisognerebbe anche notare, per essere precisi, che in un paese in cui vi sono magistrati che rivendicano il diritto di essere supplenti della politica, che partecipano con la toga ai convegni dei partiti e che possono giudicare gli stessi politici scomunicati da loro stessi per ragioni morali, in un paese del genere è quanto meno strano che questa regola sacrosanta possa essere violata da tutti e debba valere solo per il signor Deodato.

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