ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 14 novembre 2015

Crociata, contro chi?

L'Islam e il mito della Crociata

I Mussulmani occuparono l’Italia Meridionale, dopo aver saccheggiato la Basilica di San Pietro in Vaticano: gli Italiani dopo due secoli, incitati dai Papi, contrapponendo la Croce alla Mezzaluna, cacciarono gli occupanti.
Nel secolo XI ci fu prima Crociata, alla quale ne seguirono altre: i Mussulmani furono cacciati anche dalla Spagna, dal mare, da Vienna e da Budapest: tutte vittoriose Crociate di liberazione.

Numerosi mussulmani non si sono rassegnati a tante sconfitte e perciò alimentano tanto odio contro i Crociati. Essi odiano il simbolo della Croce perché sanno benissimo che essa è stata adottata proprio come segno di vittoria: in hoc signo vinces.
Ignorano che questo segno indica la libertà sovrana dell’uomo, anche di fronte alla morte, e soprattutto indica la vittoria sulla morte: la resurrezione.
Il cristiano con la fede ortodossa sa di essere unito a Cristo sia nella morte sia nella resurrezione, ma per quei mussulmani tutto questa è pazzia: a loro resta soltanto la memoria della sconfitta.
Don Ennio Innocenti

Necessità d'una coalizione bellica per il Medio Oriente

I Mussulmani attaccarono la Sicilia nel VII secolo, Roma nel IX secolo, la Campania nel X secolo. I Papi organizzarono un esercito di contrattacco nel secolo XI, affidandolo alla guida di militari normanni, che in 30 anni liberarono l’Italia.
Purtroppo nel Medio Oriente i Cristiani sono una piccola minoranza e c’è necessità d’un concorso esterno per liberarli: l’organizzazione militare NATO è pronta e sufficiente e il “casus belli”parigino del 13 novembre può determinare la decisione dell’intervento, attuabile in due o tre settimane.
Esso avrebbe sicuramente l’avallo cattolico. Tuttavia, se l’intervento di larga coalizione fosse frenato, sarebbe almeno attuabile la coalizione delle potenze che sono già sul terreno (Russia, Usa, Iran), realizzabile in ancora meno tempo.
Se neppure questo fosse attuato, allora bisognerà subire l’annunciato attacco Roma, che pagherebbe così la sua ambiguità, il suo disarmo, la sua stupida furbizia, il suo silenzio vile riguardo alla giusta guerra, che il magistero ecclesiale ha sempre insegnato e praticato fino a Pio XII.
Don Ennio Innocenti
Eleison Comments CDXXXV 
DOGGED INFEDELS
Commenti settimanali di
di S. Ecc. Mons. Richard Williamson
Vescovo della Fraternità Sacerdotale San Pio X


  14 novembre 2015
Pubblichiamo il commento di S. Ecc. Mons. Richard Willamson. Relativo alla moderna infedeltà dell'Europa un tempo cristiana che ormai senza Dio non sa più combattere i Suoi millerarii nemici.

Questi commenti sono reperibili tramite il seguente accesso controllato:
http://stmarcelinitiative.com/eleison-comments/iscrizione-eleison-comments/?lang=it


Quando l'Europa aveva la fede, potè sconfiggere
Le orde musulmane, ma ora? È una vergognosa ritirata
.


infedeli accanitiDal momento che oggi i resti vacillanti della Cristianità affrontano un’invasione musulmana organizzata dai millenari nemici di Dio, e resa possibile dagli sciagurati politici e dai vili mezzi di informazione delle nazioni occidentali, è bene ricordare come spesso in passato la Cristianità sia stata minacciata dalle invasioni musulmane e come si sia difesa, rivolgendosi a Dio.
Nell’estate del 1683, un enorme esercito musulmano armato di tutto punto e composto da circa 150-300 mila uomini assediò Vienna e minacciò di travolgere l’Europa da sud-est.
I musulmani avevano anche prevista l’occupazione di Roma, per la gloria dell’Islam.
Con l’aiuto di un santo cappuccino, Padre Marco d’Aviano, Papa Innocenzo XI, per salvare Vienna, riuscì a mettere insieme un esercito cristiano composto da uomini di diverse nazioni europee. Ecco la preghiera del cappuccino recitata appena prima della battaglia: -

«O grande Dio degli eserciti, guárdaci prostráti qui ai piedi della Tua Maestà, per impetrarTi il perdono delle nostre colpe. Sappiamo bene di aver meritato che gl’infedeli impugnino le armi per opprimerci, perché le iniquità, che ogni giorno commettiamo contro la Tua bontà, hanno giustamente provocato la Tua ira. O gran Dio, Ti chiediamo il perdono dall’intimo dei nostri cuori; esecriamo il peccato, perché Tu lo aborrisci; siamo afflitti perché spesso abbiamo eccitato all’ira la Tua somma Bontà. Per amore di Te stesso, preferiamo mille volte morire piuttosto che commettere la minima azione che Ti dispiaccia. Soccórrici con la Tua grazia, o Signore, e non permettere che noi Tuoi servi rompiamo il patto che soltanto con Te abbiamo stipulato. Abbi dunque pietà di noi, abbi pietà della tua Chiesa, per opprimere la quale già si preparano il furore e la forza degl’infedeli. Sebbene sia per nostra colpa ch’essi hanno invaso queste belle e cristiane regioni, e sebbene tutti questi mali che ci avvengono non siano altro che la conseguenza della nostra malizia, síici tuttavia propizio, o buon Dio, e non disprezzare l’opera delle Tue mani. Ricordati che, per strapparci dalla servitù di Satana, Tu hai donato tutto il Tuo prezioso Sangue.

«Permetterai forse ch’esso venga calpestato dai piedi di questi cani?  Permetterai forse che la fede, questa bella perla che cercasti con tanto zelo e che riscattasti con tanto dolore, venga gettata ai piedi di questi porci? Non dimenticare, o Signore, che, se Tu permetterai che gl’infedeli prevalgano su di noi, essi bestemmieranno il Tuo santo Nome e derideranno la Tua Potenza, ripetendo mille volte: “Dov’è il loro Dio, quel Dio che non ha potuto liberarli dalle nostre mani?”. Non permettere, o Signore, che Ti si rinfacci di aver permesso la furia dei lupi, proprio quando T’invocavamo nella nostra miserevole angoscia. Vieni a soccorrerci, o gran Dio delle battaglie! Se Tu sei a nostro favore, gli eserciti degl’infedeli non potranno nuocerci. Disperdi questa gente che ha voluto la guerra! Per quanto ci riguarda, noi non amiamo altro che essere in pace con Te, con noi stessi e col nostro prossimo…»

La preghiera continua con la richiesta che i capi dell’esercito cristiano e i soldati siano fortificati con la grazia di Dio, con lo spirito e il coraggio degli eroi del Vecchio Testamento, in modo che essi possano annientare i nemici del nome Cristiano, e manifestare la potenza di Dio. Che Dio guardi alla fede, alla speranza e alla carità dei combattenti cristiani.
A Suo nome Marco li benedirà nella loro battaglia. Che Dio trattenga il braccio della Sua ira sollevato su di loro, e lasci che i Suoi nemici conoscano che non vi è altro Dio all’infuori di Lui. Come Mosè, Marco alzerà le braccia per benedire i combattenti cristiani. Possa Dio concedere loro la vittoria, e la rovina dei Suoi e dei loro nemici, Amen.

Che cosa politicamente scorretta! “Cani” e “porci” - Che razzista! Intollerabile! Ma il fatto è che Dio concesse ai cristiani una vittoria sensazionale che respinse i musulmani per 300 anni. Adesso sono ritornati. E questa volta non è rimasto praticamente alcun pentimento che sappia invocare Dio Onnipotente...

Kyrie eleison.

Dal Papa in giù, vietato parlare di «terrorismo islamico»

papa bergoglio 2
È una colpevole forma di dissimulazione, un’autocensura che sa di pavido e politicamente corretto, un gravissimo peccato di omissione, visto che parliamo di un Papa. Per l’ennesima volta Bergogliorinuncia a chiamare le cose con il loro nome e, nel messaggio di cordoglio seguito alle stragi di Parigi, evita accuratamente le parole “musulmano” e “islamico”, resta nella vaghezza dei sostantivi, senza connotare, caratterizzare, indicare artefici e natura degli attentati. Ascoltando le sue parole, si resta con l’impressione di una violenza astratta, che non ha protagonisti, moventi e destinatari, come vuole l’ipocrisia islamofila di questi tempi. «Siamo sconvolti da questa folle manifestazione diviolenza terroristica e di odio, che condanniamo nel modo più radicale», fa sapere Padre Federico Lombardi, riferendo il pensiero del Papa. Aggiungendo poi: «Si tratta di un attacco alla pace di tutta l’umanità che richiede una reazione decisa e solidale da parte di tutti noi per contrastare il dilagare dell’odio omicida in tutte le sue forme».
A sua volta il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, fa sapere che «il Santo Padre, informato degli orribili attacchi che sono avvenuti a Parigi, condanna con vigore la violenza che non può risolvere nulla e domanda a Dio di ispirare a tutti pensieri di pace e solidarietà». Lo stesso Francesco, intervistato da Tv2000, commenta che «queste cose sono difficili da capire, fatte da esseri umani. Questo non è umano». Ricapitolando: “violenza terroristica”, “odio omicida”, “attacchi orribili”, “cose non umane”. Mai una volta che si faccia cenno alla causa che nutre quella violenza e alla fede che la anima.
Il Papa è volutamente, colpevolmente reticente, così come era stato troppo indulgenteall’indomani della strage di Charlie Hebdo, quando aveva fatto rischiosi distinguo, sostenendo che«non si può prendere in giro la religione degli altri» e che chi lo fa, «si aspetti un pugno». Come a dire che, per il suo atteggiamento irriverente verso l’islam, la testata satirica francese si era quasimeritata quel tremendo “cazzotto”…
D’altronde, l’approccio cauto, conciliante, omissivo e remissivo di Papa Francesco è lo stesso metodo utilizzato dai nostri rappresentanti istituzionali, anche loro impediti – da chissà quale veto interiore – a pronunciare le parole “islamico” o “musulmano” a proposito delle violenze parigine.Matteo Renzi parla di «orrore», di «terroristi» che «hanno colpito la Francia, ma così hanno colpito l’umanità intera» e che «non vinceranno» perché «la libertà è più forte della barbarie». Orrore di chi? Terroristi di quale matrice? Barbarie ispirata da quale ideologia? Boh.
Figurarsi se può esplicitarlo il Reticente della Repubblica Sergio Mattarella che, nel suo laconico (e ci mancherebbe) commento, si è limitato a esprimere «apprensione e forte dolore», assicurando al presidente Hollande il sostegno dell’Italia per debellare la piaga del terrorismo e vincere la battaglia di civiltà contro la furia oscurantista. Parlava forse di terrorismo brigatista e di oscurantismo medievale? Non è dato sapere.
Così come non ci si poteva aspettare altrimenti dal sindaco di Milano Giuliano Pisapia che addirittura ha ricordato che «le istituzioni sono impegnate insieme per contrastare ogni forma di violenza», manifestando «la vicinanza dell’intera città per i tragici fatti di Parigi». In pratica, la sfida dei nostri tempi, secondo Pisapia, è combattere ogni “forma di violenza” (anche quella di chi maltratta il proprio animale domestico, perché no) e le stragi messe in atto da fanatici islamici sono niente più che “tragici fatti”, come lo possono essere un omicidio colposo o un incidente su strada.

Eccoli qua, il masochismo dell’Occidente e l’ipocrisia del nostro Paese. Pensiamo di combattere il terrorismo con il bon ton, di rispondere all’estremismo con la moderazione. Ce la facciamo sotto, abbiamo una paura da matti, e allora siamo cauti nell’esprimerci, pesiamo le parole, per nonoffendere nessuno. Senza capire che così ci dimostriamo ancora più vili, più deboli e perciò più vulnerabili.


La mano nascosta che sta coi ribelli in Siria, ormai si vede

Tre giorni al convegno della Fraternità San Pio X a Rimini, ed ecco una quantità di eventi da analizzare, tutti insieme: 1) lo pseudo-sinodo dello pseudo-papa, subito esaltato dai media come “Comunione ai divorziati” ; 2) la vittoria del partito euro-scettico, populista e filo-Orban a Varsavia; 3) La cattura di un colonnello israeliano che stava comandando i takfiri dell’Isis in Irak. Di questo, e degli eventi significativi che hanno accompagnato la cattura, i nostri media ufficiosi hanno, ovviamente, taciuto. Per il carattere urgente degli sviluppi, scelgo questo tema.

Il colonnello israeliano



Il distintivo della Golani
Il distintivo della Golani
Ormai è ampiamente confermato dall’agenzia Fars e riportato dai blog: l’ebreo che aiutava  gli islamici a far la guerra si chiama Yusi Oulen Shahak, è colonnello della famigerata brigata Golani, e il suo numero di matricola militare Re34356578765az231434. Le forze irachene che l’hanno catturato hanno la prova di ciò che sostenevano da mesi, anche grazie alle confessioni che avevano strappato a jihadisti catturati: che nella fulminea e vittoriosa avanzata delle truppe del Califfato dell’estate 2014, quando presero Mussul quasi senza colpo ferire, erano comandati da agenti del Mossad o altri entità israeliane.
Si ignora se l’arresto del colonnello Shahak sia in relazione con l’altra notizia dell’agenzia iraniana Tasnin News, secondo cui le forze irachene hanno catturato non uno, ma quattro “consiglieri militari” a fianco dell’ISIS, tre “con doppia cittadinanza Usa e israeliana”, mentre il quarto è “di un paese del Golfo Persico”.
Adesso c’è la prova di ciò che i “complottisti” hanno detto da sempre dispregiati e scherniti dal “grande” giornalismo: che Daesh è una organizzazione e invenzione Usa-Israeliana e saudita per distruggere altri musulmani, sciiti.

Così gli Usa “aiutano” la lotta al Califfato

Per strana coincidenza con la cattura dell’ebreo, i corpi speciali Usa Delta Forces – dopo mesi e mesi di inazione – sono stati lanciati in una operazione sul terreno, in cui è morto uno di loro. Il primo soldato americano caduto in Irak dal 2011, ci hanno detto i media.
Qual era l’operazione? La “liberazione” di decine di ostaggi presi prigionieri dall’ISIS, a cui i tagliagole avevano già fatto scavare le fosse in cui li avrebbero gettati dopo averli trucidati, detenuti in un carcere takfiro nel nord-Irak, presso la cittadina di Hawaija.
Meritevole tentativo. Ma in realtà, a quel tentativo si stavano già preparando i Peshmerga, ritenendo che gran parte di quei detenuti fossero curdi, quando le forze speciali Usa (che erano presenti come consiglieri militari) si sono intromesse. Hanno salvato 69 prigionieri, assevera la Reuters, di cui alcuni “ex militanti dell’ISIS che Daesh pensava fossero spie”, venti membri delle forze di sicurezza irachene, e molti semplici cittadini locali…non si dice quanti degli ostaggi, invece, sono stati uccisi nella sparatoria. Era una operazione destinata a salvare, oppure – magari –a far tacere qualcuno che sapeva troppo sulla collaborazione tra Daesh e israeliani, o Cia?
Reuters dice testualmente che “la missione di salvataggio Usa ha avuto luogo data la preoccupazione di Washington per il crescente intervento russo in Medio Oriente”. Immediatamente, i comandi Usa hanno diramato un video, che sostengono preso da una telecamera presa sull’elmetto di uno dei loro uomini, dove è documentata l’eroica impresa. Un video che gli esperti giudicano un falso Made in Hollywood.
Ormai tutto il mondo ha capito chi sono i padrini del terrorismo, e chi sono quelli che lo utilizzano per cambiare regimi”, ha scritto il direttore di Veterans Today,

Clamoroso rovesciamento di alleanze.


Bagdad autorizza i russi a fare bombardamenti in Irak”, suona il titolo.
Il governo iracheno ha autorizzato i caccia russi a volare sul suo territorio “per inseguire i terroristi che scappano dalla Siria all’Irak”: il fraseggio iracheno è la foglia di fico per non dire che Bagdad  ha chiesto l’assistenza delle forze di Mosca.Non è ancora abbastanza emancipata dagli Usa da poter fare una formale richiesta di aiuto, come ha fatto il siriano Assad.

Appena poche ore prima di questo annuncio, il generale Joseph Dunford, capo degli stati maggiori riuniti Usa, aveva detto al primo ministro iracheno Haider al-Abadi: “Non riceverete più da noi l’aiuto che vi diamo a combattere l’ISIS, se anche i russi conducono operazioni sul vostro territorio”. Patetico e ridicolo: il governo iracheno sa benissimo cosa pensare dell’ “aiuto” americano, dopo un anno di bombardamenti Usa che hanno reso l’ISIS più forte e meglio armato.
Per intanto, i Sukhoi hanno abbattuto un ponte sull’Eufrate ( in territorio siriano, a Deir ez-Zor) troncando i rifornimenti che l’ISIS dell’Irak mandava all’ISIS di Siria.

D’altra parte, ormai Bagdad è una succursale politico-militare di Teheran: governo sciita legato a filo doppio agli ayatollah, notevoli forze iraniane operanti sul terreno supportate dai Sukhoi in cielo, e a Bagdad la centrale di intelligence comune con personale russo e iraniano, iracheno e siriano a condividersi i dati. Il progetto neocon – 15 anni di guerre per destabilizzare i nemici potenziali di Israele, fino a destabilizzare ed attaccare l’Iran – non poteva subire disfatta più plateale: la detronizzazione di Saddam per mano neocon s’è tradotta nella consegna all’Iran della parte sciita dell’Irak,  e dell’aumento d’influenza di Teheran nell’area.

Anche la Giordania và con Mosca

Russia e Giordania si apprestano a creare un centro di coordinamento comune ad Amman, in cui i due paesi condivideranno informazioni sulle operazioni anti-terrorismo, ha annunciato il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov”: è lo stesso tipo di centrale d’intelligence comune che i russi hanno a Bagdad insieme agli irakeni, iraniani e siriani ora viene installata nella capitale giordana.
Attenzione, non è un coordinamento come quello fra russi e americani per scongiurare scontri “involontari”, ma ben altro: “In base all’accordo stretto fra sua maestà re Abdullah II e il presidente russo Vladimir Putin, le forze armate dei due paesi coordinano le loro azioni, comprese le missioni degli aerei militari sul territorio siriano”.
In pratica, un rovesciamento di alleanze. O, se vogliamo, l’innesco di un processo di liberazione anche della monarchia giordana.
La Giordania aveva dovuto far parte della coalizione anti-Daesh voluta da americani, unirsi a turchi e sauditi nella finzione di colpire l’Isis mentre era stata scelta dalla Cia come base base d’addestramento per i terroristi dell’ISIS. Re Abdullah ci aveva anche perso uno dei suoi piloti da caccia, Muad Kasasbeah (di una famiglia vicina al re) che poi l’ISIS ha mostrato mentre lo bruciava vivo in un video sulla cui falsità resta più di un dubbio. Ha anche fornito ai jihadisti (quelli che la coalizione si supponeva combattesse) 3500 Toyota pickup (i sauditi ne hanno dato oltre 30 mila).
Ciò perché, vicina alla strapotente Israele, che gli ha gettato nel territorio i palestinesi espulsi (a milioni), e viola la sua sovranità quando vuole, la Giordania non può fare una politica nemmeno lontanamente indipendente da giudei, americani e sauditi (che pagano). Almeno fino a ieri. Appena è apparso un’altra forza protettrice, re Abdullah s’è messo dalla parte di Mosca: credo, con molto sollievo, anche perché il comportamento russo è molto diverso da quello padronale ed umiliante Us-raeliano. Nel dar notizia dell’accordo, infatti, Lavrov ha sottolineato: “La Giordania svolgerà una parte positiva per cercare una soluzione politica al conflitto in Siria attraverso negoziati fra Damaso e le forze d’opposizione, uno scopo che anche la Russia persegue”. Non più un cameriere, il re giordano viene rispettosamente invitato, come decente stato vicino, a far parte della soluzione politica. Quanta differenza con la soluzione neocon, turca e saudita – usare i terroristi wahabiti e mercenari non-siriani per detronizzare Assad e distruggere la Siria – ciascuno lo può vedere.
E’ un ritorno alla ragione nell’area che Mosca sta palesemente cercando di instaurare, legando amichevoli relazioni diplomatiche con tutti i vicini e cointeressandoli alla stabilità della Siria, e non alla sua destabilizzazione. Almeno con quelli che ci vogliono stare: Putin ha rivolto insistentemente l’offerta a Washington, che ha rifiutato. Anche Ryad ha ovviamente rifiutato. Anzi, ha intensificato l’avvio di armamenti pesanti ai “ribelli”, con il pieno appoggio della Casa Bianca.
La monarchia saudita, che di suo non dispone di un gran numero di sudditi vogliosi di immolarsi, sta ricorrendo (si dice) a mercenari della Blackwater (o come si chiami adesso) per la sua guerra dello Yemen. Ai ribelli dell’ISIS ha promesso missili anti-aerei a spalla, contro i caccia russi. Gli americani, missili anticarro TOW; e ai primi di ottobre hanno paracadutato – come dono d’addio – 50 tonnellate di armi e munizioni ai ribelli in Siria.

Riorganizzano il terrorismo globale

Le due suddette potenze, colte di sorpresa, cominciano a reagire. Accelerano la riorganizzazione del terrorismo islamico ridotto a mal partito dall’intervento russo. A questo sembrano alludere le notizie che un migliaio di talebani operanti fra Pakistan ed Afghanistan, di punto in bianco, “hanno dichiarato fedeltà al Califfato”, e così anche noti gruppi terroristi come  Lashkar-e-Taiba » e « Jhangvi ; già nel marzo – ha segnalato Maria Zakharova, la portavoce del ministero degli esteri russo – il capo del movimento terrorista islamista dell’Uzbekistan, Usman Ghazi, “ha presentato giuramento ad Abu Bakr” (il califfo) e così il gruppo estremista “ Hizb ut-Tahrir » ».
Insomma i veri mandanti del terrorismo islamico, siano a Ryad o a Doha, a Washington o a Tel Aviv, ritengono necessario mettere i loro islamici sotto comando unificato: Non più funzione di Al Qaeda moderato contro ISIS estremista, sono tutti “nostri”.
Fatto interessante, il governo d Kabul – un altro suddito degli Usa – ha chiesto a Mosca armamenti contro questi Talebani diventati Daesh.
Erdogan ha dichiarato che non permetterà ai curdi di “impadronirsi del Nord della Siria, dove stanno combattendo i suoi terroristi.




I Saud si sentono accerchiati
I Saud si sentono accerchiati
Un principe saudita,Abdel Mohsena bin Waleed bin Abdel Aziz, è stato arrestato all’aeroporto di Beirut perché trovato in possesso di droga: 2 tonnellate. Non per uso personale, si spera, ma per i ribelli. Sono infatti due tonnellate di captagon, la super-anfetamina che rende feroci e insensibili i jihadisti. In questi giorni ne hanno bisogno in alte dosi.
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Insomma Saud e Washington fanno di tutto per impedire la soluzione negoziale che i russi promuovono, la transizione politica in Siria, e contano ancora di rovesciare Assad e precipitare il paese indefinitamente nel caos di tipo libico. Perché invece la situazione siriana si rasserena – secondo il gran muftì della Siria,   Ahmad Badreddin Hassoun, centinaia di migliaia di profughi sarebbero già tornati perché i bombardamenti russi danno loro la speranza di una prossima pace – al punto che Assad ha annunciato che si presenterà alle prossime elezioni. Che le vinca ci sono pochi dubbi. Già nel 2012 il presidente siriano aveva proposto una riforma della costituzione che comprendeva il pluralismo politico; l’aveva proposta con referendum, e il referendum popolare l’aveva approvata; il 7 maggio, una consultazione elettorale aveva dato la maggioranza al fronte di unità nazionale raccolto attorno al suo partito, il Baath. Per mandare a monte la riforma e il consolidamento del regime, Usa ed alleati hanno dovuto inscenare la strategia della tensione, e la demonizzazione mediatica del presidente, cui Mosca dà, oggi, la battuta d’arresto.

Puniscono i siriani. Di nascosto.

Aerei Usa hanno bombardato una centrale termoelettrica a Marea, Tal-Shaer, che dava elettricità ad Aleppo. L’attacco ha interrotto l’energia a molti quartieri di Aleppo”: così Veterans Today, il sito di Gordon Duff che dispone di font get-attachment-152 amiche in Siria e Iran (è stato il primo a dare la notizia dell’arresto dell’alto ufficiale israeliano in Irak)
E’ la seconda volta: otto giorni prima, due F-16 “appartenenti alla coalizione guidata dagli Usa” ha centrato due centrali energetiche di Al-Ramaniyeh, ad est di Aleppo, anche lì lasciando parte della città al buio. Siccome l’attacco è avvenuto in zone del tutto pacifiche, senza ribelli, anche la sorveglianza russa è stata sorpresa.
Sono F-16 americani? I russi – secondo Veterans Today che cita una sua “fonte affidabile” non la penserebbero così: “Mani nascoste dietro l’Amministrazione hanno conti in sospeso per distruggere le installazioni civili in Siria…Elementi sionisti stanno lavorando per rendere più tese le relazioni Usa-Russia; fanno di tutto per tagliare ogni possibile cooperazione tra le due potenze sulla Siria e nell’area”. Insomma Mosca sembra pensare che non sia Obama, ma altri annidati nel suo governo o sottogoverno a compiere questi atti di sabotaggio criminale.
Perché, dicono le ultime notizie, domenica John Kerry ha incontrato Lavrov ed avrebbe accettato di rendere parte al processo di transizione (e pacificazione) della Siria proposto dai russi; anche se la posizione americana resta quella: “Assad must go”.

CHI C'È DIETRO L'ISIS?

Cresce l'opinione, secondo molti in Iraq, che gli Usa stiano usando l'Isis come scusa per intervenire di nuovo in Medioriente
Chi c'è dietro l'Isis?
(Reuters/Abdalghne Karoof)
Da più di un mese a questa parte, gli Stati Uniti hanno dato il via a un’escalation di bombardamenti contro gli estremisti dello Stato Islamico. Ma questo sembra aver fatto ben poco per mettere a tacere le teorie complottiste che tutt’ora rimbalzano dalle strade di Baghdad fino ai piani alti del governo iracheno, e che sostengono che la Cia si nasconda segretamente dietro agli stessi estremisti che ora sta attaccando.
“Sappiamo chi ha creato Daesh” (abbreviazione in arabo che si riferisce all'Isis) ha detto il vice primo ministro iracheno Bahaa al-Araji, intervenuto durante una manifestazione organizzata dal leader religioso sciita Moqtada al-Sadr lo scorso sabato per dissuadere gli Stati Uniti dall’inviare truppe di terra in Iraq.
A margine dell’evento della scorsa settimana, lo stesso Sadr ha pubblicamente incolpato la Cia di aver creato lo Stato Islamico. Le interviste svolte in quell’occasione rivelano come la maggior parte dei partecipanti – alcune migliaia in tutto – e diverse dozzine di parlamentari siano della stessa opinione (Sadr è considerato vicino all’Iran, altro luogo dove questa teoria è particolarmente popolare).
Quando un giornalista americano ha chiesto a Bahaa al-Araji se anche lui ritenesse la Cia responsabile di aver creato lo Stato Islamico, quest’ultimo non si è sbilanciato. “Non lo so, io sono soltanto un pover’uomo”, ha detto Araji in un inglese perfetto, arretrando rapidamente verso la portiera di un suv con tanto di chaffeur. “Ma siamo molto timorosi. Grazie!”
La teoria del complotto tra Cia e Stato Islamico è fonte di forti dubbi circa il ritorno dei militari americani in Iraq più di 10 anni dopo l’invasione del 2003. In più, il fatto che anche un’alta carica del governo iracheno abbia espresso con nonchalance il proprio supporto a una teoria del genere dimostra quanto il nuovo governo di Baghdad si potrà rivelare un alleato scomodo per la coalizione guidata dagli americani contro i militanti islamici.
Lo Stato Islamico, conosciuto anche con l’acronimo Isis, ha conquistato molte delle province sunnite nel nordest dell’Iraq, anche grazie all’alienazione di molti residenti dal governo di maggioranza sciita dell’ex primo ministro Nuri Kamal al-Maliki. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha insistito ripetutamente che un eventuale intervento delle forze militari americane contro l'Isis sarebbe dipeso dall’instaurazione di un governo maggiormente inclusivo a Baghdad, anche se il via libero ai bombardamenti è avvenuto prima che l’organico governativo venisse completato.
Il parlamento, infatti, non ha ancora confermato le nomine per le cariche cruciali di ministro della Difesa e degli Interni, in parte a causa di mancati accordi tra le fazioni sunnite e quelle sciite. Secondo i media iracheni, il processo di assegnazione delle cariche potrebbe richedere più di un mese.
La manifestazione di sabato scorso è solo l’ultimo di una serie di segnali inviati da parte della leadership sciita, in particolar modo da quelle fazioni considerate vicine all’Iran, e che mirano a scoraggiare un intervento “boots on the ground” dei militari americani. Obama ha promesso di non inviare truppe da combattimento, ma non è riuscito a convincere gli iracheni. “Non ci fidiamo di lui”, ha detto Raad Hatem, 40 anni.
Haidar al-Assadi, suo coetaneo, è d’accordo. “L'Isis è una creazione statunitense. Gli Stati Uniti stanno intervenendo nuovamente usando come scusa lo Stato Islamico".
Le milizie sciite e volontari, secondo Assadi, stavano già rispondendo alla chiamata da parte dei leader religiosi per difendere l’Iraq dallo Stato Islamico, senza bisogno di aiuti da parte degli Stati Uniti. “Noi siamo così”, ha detto, aggiungendo che le stesse forze irachene già attive nel combattimento contro l’Isis si sarebbero anche battute per tenere gli americani fuori dal Paese. “La ragione principale per cui Obama dice di non voler invadere l’Iraq di nuovo è perchè conosce la resistenza islamica” delle milizie sciite “e non vuole perdere un singolo soldato”.
Da parte sua, il leader dell'Isis domenica scorsa ha sfidato il mondo a fermare la sua avanzata.
“I complotti degli ebrei, dei cristiani, degli sciiti e di tutti i regimi tirannici nei Paesi musulmani non sono stati in grado di far cambiare corso allo Stato Islamico”, ha dichiarato Abu Bakr al-Baghdadi attraverso una registrazione audio diffusa su internet, usando in termini dispregiativi il gergo islamico antico.
“Il mondo intero ha visto l’impotenza dell’america e dei suoi alleati di fronte a un gruppo di fedeli”, ha detto Baghdadi. “La gente adesso realizza che la vittoria è stata mandata da dio, e che nulla potranno gli eserciti e i loro arsenali”.
Alla manifestazione a Baghdad in molti hanno espresso un parere positivo riguardo ai bombardamenti contro lo Stato Islamico, ma non per quanto riguarda l’intervento di truppe americane sul territorio iracheno, una posizione supportata anche dal leader religioso sciita Moqtada al-Sadr. Molti dei 30 parlamentari iracheni – su un totale di 328 seggi – appoggiati da al-Sadr hanno partecipato alla manifestazione.
I supporter di Sadr si schierano contro l’ex premier Maliki, e in molti durante la manifestazione non hanno mancato di criticare il precedente governo per gli errori commessi, tra cui il fallimento nel creare un esercito su cui poter fare affidamento. “Avevamo un buon esercito, che fine ha fatto?”, si chiede il 35enne Waleed al-Hasnawi. “Maliki gli ha dato tutto, ma loro hanno semplicemente abbandonato il campo di battaglia”.
Quasi nessuno tuttavia incolpa Maliki di aver alienato la minoraza sunnita e di aver chiuso un occhio davanti agli abusi perpetrati dalla maggioranza sciita nelle forze dell’ordine, come sostengono le autorità americane.
Secondo Omar al-Jabouri, un musulmano sunnita di 31 anni che abita in un quartiere principalemente sciita di Baghdad, Maliki ha alienato la maggior parte degli iracheni, indipendentemente dalla loro setta di appartenenza.
“Lui non ha escluso e marginalizzato soltanto i sunniti, ha ignorato anche gli sciiti”, ha detto Jabouri. “Ha dato attenzioni particolari alla sua famiglia, ai suoi amici e alle persone intorno a lui. Non è che abbia aiutato gli sciiti, come pensano molte persone”.
Ma per quanto riguarda lo Stato Islamico, è una storia diversa, ha detto Jabouri. “È chiaro a tutti che lo Stato Islamico sia una creazione degli Stati Uniti e di Israele”.
L'articolo di David D. Kirkpatrick è stato pubblicato sul New York Times.

Charlie Hebdo 2.0

Strategia della tensione e pizzini per Obama

L’11 settembre della Francia conta 7 attentati pressoché simultanei, circa 130 morti e 200 feriti di cui un centinaio in stato grave. Si tratta di un’azione di guerriglia urbana, complessa ed articolata: otto terroristi morti nell’azione (lasciando presupporre quindi un’organizzazione a monte di decine di persone), esplosivi, armi automatiche, la capacità di agire nel cuore di Parigi, a dieci mesi dalla strage di Charlie Hebdo e a tre mesi dall’attentato “fallito” sul treno Amsterdam-Parigi, senza essere (incredibilmente) intercettati dalla forze di sicurezza francesi, che avrebbero dovuto essere in stato d’allerta dopo la decisione di François Hollande di bombardare l’ISIS in Siria.
I luoghi dell’attacco multiplo sono: il teatro Bataclan, 82 morti per l’azione durante un concerto degli Eagles of Death Metal di più terroristi che hanno aperto il fuoco sul pubblico al grido di “Allah Akbar”; una prima bomba alle 21:20 allo Stadio di Francia dove si svolgel’amichevole Francia-Germania cui assiste il presidente Hollande, seguono altre tre esplosioni attorno alla struttura sportiva per un totale di quattro morti di cui tre kamikaze; una sparatoria contro i café di Rue de Charonne, non lontana dal Bataclan, lascia sul terreno 18 morti; in Rue Alibert, poco più a nord, sono freddate 12 persone al ristorante Le Petit Cambodge; in Rue de la Fontaine au roi è aperto il fuoco contro la pizzeria Casa Nostra per un totale di 5 morti; poco distante, in Boulevard Voltaire, entra in azione un altro kamikaze che muore sul posto.
Dal magma del web escono mille ed una rivendicazione dell’ISIS, prontamente impiegate dalla stampa per titolare “l’ISIS rivendica”, “Isis: Roma, adesso tocca a te”“L’Isis: vendetta per la Siria, è il vostro 11 settembre”.
L’agenzia stampa dell’ISIS, il Site Intelligence Group dell’israeliana Rita Katz, addita ovviamente il Califfato, ma per non bruciare i tempi, sottolinea che non esistono ancora rivendicazioni ufficiali ed attendibili:
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Quali sono le finalità di questo ennesimo, tragico, capitolo della strategia della tensione?
Gli attentati perseguono un duplice scopo, uno legato alla politica interna francese ed uno legato alla situazione bellica in Siria, dove la destra israeliana di Benjamin Netanyahu ed i falchi dei partiti democratici e repubblicani negli USA non tollerano la passività di Barack Obama che ha consentito alla Russia di intervenire militarmente contro l’ISIS, sostenendo l’odiato Bashar Assad, filo-iraniano, ed infliggendo un grave smacco d’immagine agli USA.
La Francia è un Paese in profonda crisi, economica e sociale, guidato da un establishment completamente screditato: secondo un sondaggio IFOP di metà ottobre il presidente Hollande ed il premier Valls godono rispettivamente del favore del 20% e del 36% dei francesi, mentre il 79% ed il 63% si dichiarano molto insoddisfatti. Nella prima metà di dicembre, il 6 ed il 13, si terranno le elezioni regionali dove il Front National è dato per favorito: inoltre secondo un sondaggio “choc”, sempre dell’IFOP, il 31% dei francesi è pronto a votare Marie Le Pen alle elezioni presidenziali della primavera 2017.
Si noti che il FN è una forza anti-establishment, considerata sin dalla fondazione comeeversiva ed impresentabile: durante il ballottaggio, ancora “choc”, dell’aprile 2002 tra Jacques Chirac e Jean Marie Len, i socialisti invitano la base a votare i gollisti pur di bloccare il FN.
È vero che il partito di Marie Le Pen è estremamente duro su tematiche come immigrazione e difesa dell’identità nazionale e che, in teoria, potrebbe uscire rafforzato da una serie di attentati “islamisti”, ma gli architetti della strategia della tensione auspicano che larichiesta di sicurezza e autorità che normalmente scaturisce dagli attentati, favorisca i partiti d’establishment (PS ed UMP) e non i “rivoluzionari” del FN.
Si ricordi che il Front National è una forza anti-europeista ed anti-euro. Marie Le Pen ha più volte invocato l’uscita della Francia dalla NATO e sul dossier siriano sostiene l’appoggio di Bashar Assad contro lo Stato Islamico, ascaro di NATO, israeliani e monarchie sunnite impiegato per destabilizzazione di Iraq, Siria, Libano, Egitto e Libia.
La strategia della tensione interna alla Francia non mira certamente ad incrementare i voti del FN ma a bloccarne l’avanzata, seminando paura ed alimentando la domanda di “normalità e sicurezza”.
Sul piano internazionale, come avevamo già sottolineato ai tempi della strage a Charlie Hebdo, l’attentato si inserisce nella faida tra Likud e falchi americani da una parte e Barack Obama dall’altra: l’oggetto del contendere sono la Siria, lo Yemen e l’Iraq.
È vero che la prima amministrazione Obama, con Hillary Clinton come Segretario di Stato, ha avviato la destabilizzazione del Medio Oriente con la “Primavera araba” coordinata da CIA/MI6 ed è intervenuta militarmente contro la Libia di Muammur Gheddafi, ma il presidente democratico è sempre stato restio ad un’azione bellica contro la Siria di Assad, in grado di scatenare un conflitto regionale o mondiale.
Si ricordi che nell’estate del 2013, dopo l’attentato falsa bandiera a Damasco con l’impiego di armi chimiche da parte dei ribelli, Obama accetta il compromesso russo pur di non intervenire. Solo nelle ultime settimane, dietro enormi pressioni, ha deliberato l’invio di 50 soldati americani sul suolo siriano.
L’atteggiamento di Obama ed il compromesso sul nucleare iraniano, è aborrito da Benjamin Netanyahu e dai falchi democratici e repubblicani, gruppo a cui va imputata la pianificazione dello stragismo messo in atto in Francia, da Charlie Hebdo ad oggi: si ricordi che alla grande marcia dei capi di Stato svoltasi a Parigi dopo la strage di gennaio, Obama non partecipa per sottolineare che non intende farsi coinvolgere in avventure militari né in Yemen (dove ufficialmente è collocato “la regia” dell’attentato a Charlie Hebdo) né in Siria.
La strage di Parigi del 13/11/2015 è un nuovo tentativo di trascinare Obama in un esplosivo confronto militare in Siria: non a caso il presidente, anche in quest’occasione, non associa l’aggettivo “islamico” al sostantivo “terrorismo” per evidenziare che non vuole farsi coinvolgere in una nuova guerra mediorientale. La situazione internazionale rischia però di diventare esplosiva se le elezioni presidenziali del novembre 2016, sanciranno la vittoria di un falco democratico o repubblicano, pronto al conflitto anche con l’Iran e la Russia.
Infine, è probabile che la strage di Parigi sia impiegata dall’establishment euro-atlantico per rianimare l’Unione Europea in stato terminale: si premerà per “una risposta unanime” dell’Europa, tentando forse di trascinare i Paesi europei in una guerra comune in Siria e Libia contro l’ISIS, creatura, repetita iuvant, della stessa NATO. I commenti di stamane “dell’americano” Gianni Riotta già sono di questo tenore.
La strage di Parigi del 13/11/2015 è quindi riconducibile ad un matrimonio d’interessi tra François Hollande e gli estremisti israeliani ed americani: il primo spera di sedare le pulsioni anti-enstablishment in Francia, in vista delle prossime scadenza elettorali, i secondi auspicano un’escalation militare in Siria ed Iraq, anche a costo di entrare in guerra con la Russia e l’Iran.
Man mano che le oligarchie euro-atlantiche affondano, lo stragismo di Stato si invigorisce e la tensione interazionale aumenta, inesorabilmente.
jesuisparis




2015


PARIGI, UN EVENTO MILITARE


DI PINO CABRAS
megachip.globalist.it
La tremenda strage di Parigi del 13 novembre 2015 non è solo un evento terroristico spettacolare. È anche un evento militare di notevole entità nel cuore di una grande metropoli europea. Abbiamo già visto in altre circostanze, nel corso degli ultimi 15 anni, una serie di attentati coordinati con precisione e con risorse organizzative capaci di creare forti shock stragisti in grandi città. La macabra contabilità accelera e aumenta ormai la frequenza dei massacri (a Beirut appena ieri).


Anche stavolta si fa notare una manovalanza di assassini che si rifà al jihadismo. Non c'è da stupirsi che essa abbia un peso militare sempre maggiore, essendo una legione di avventurieri istruiti con tecniche sofisticate, schierata su molteplici linee del fuoco geopolitiche, pronta a prestare i suoi servizi per demolire interi Stati, e allo stesso tempo ricca di coperture e sovvenzioni statali, persino degli Stati che ne subiscono le interferenze nella loro sicurezza nazionale. Non si penserà che non abbia conseguenze il fatto che i jihadisti europei arruolati nelle guerre di oggi si contino a migliaia. Si è creato un tipo di soldato che in Libia, in Siria e altrove non si vuole far rispondere alle convenzioni di Ginevra, per poter fare il massimo danno con il minimo di responsabilità.
Ai governanti ci sarebbe da dire: per i vostri sogni neocoloniali dalla tasca avete tirato lo scorpione, non un gattino. Dopo la strage di Charlie Hebdofu facile fare una profezia fredda e precisa: «Lo scorpione pungerà ancora in Europa. I governanti europei, fra i più ricattabili e ricattati in ogni campo, subiranno pressioni enormi contro gli interessi dei propri paesi. È l'Impero del Caos che bussa, non l'Islam».
Il Caos ha lambito il presidente François Hollande, preso di peso mentre assisteva alla partita di calcio Francia-Germania, al momento in cui fuori dallo stadio si udivano esplosioni. Il messaggio, data la circostanza, non certo casuale (proprio quella partita...), lo ha sentito sicuramente anche la Germania.  E i lanciatori del messaggio non sono certo da cercare fra i soldati-terroristi, che sono meri esecutori. Gli autori si trovano fra i soggetti che vogliono che l'Europa non si sottragga alla grande guerra che si sta preparando. Sono pezzi di classi dirigenti occidentali, turche, petro-monarchiche. Gli sponsor dell'ISIS e del Caos.
Il governo di Angela Merkel sta sempre più prendendo atto dell'efficacia dei bombardamenti russi in Siria, delle divisioni in seno alle classi dirigenti statunitensi e dei rapidi cambiamenti negli equilibri strategici internazionali. Berlino sta dunque cercando di ritirarsi da una battaglia tutto sommato persa e di giocare un nuovo ruolo pacificatore in Siria. Il ministro degli Esteri tedesco,Frank-Walter Steinmeier, punta da settimane a organizzare un incontro del tipo 5+1 (il formato diplomatico che a Vienna ha spinto verso gli accordi per l'Iran) in modo da risolvere il buco nero terroristico che ha investito la Siria. Dentro quello stadio, accanto a Hollande, c'era proprio Steinmeier. Fuori dallo stadio, sui selciati parigini, decine di innocenti ammazzati, lo stato d'emergenza, la solita strategia della tensione. Dentro e fuori dalla fortezza europea, le braci di una guerra che possono incendiarla.
Dove sarà la prossima strage? Un ottimo argomento per l'imminente G-20 di Antalya (Turchia), che inizia domenica. 

Pino Cabras
PARIGI: I CECCHINI ERANO BIANCHI, AGIVANO CON LA PROFESSIONALITA′ DELLE FORZE SPECIALI ED ERANO GIA′ PREVISTI
Certo, non si può dire che non fossero stati avvertiti.

I testimoni: "I terroristi erano bianchi, agivano come forze speciali"
Alcuni sopravvisuti raccontano i tragici momenti all'interno del Bataclan: "Ho visto diverse persone giovani che non indossavano maschere entrare nella sala durante il concerto imbracciando kalashnikov"

Si sa ancora pochissimo dell'identità degli attentatori parigini. Alcuni testimoni, però, come riporta il Corriere, hanno raccontato: "Erano bianchi, erano giovani sui 25 anni.
Sembravano soldati delle forze speciali". Secondo le informazioni diffuse da Le Monde, 8 attentatori sono morti (6 si sono fatti esplodere attraverso con cinture esplosive mentre 2 sono stati uccisi dalle forze speciali francesi).
Durante la strage all'interno del teatro Bataclan, i terroristi urlavano: "È colpa di Francois Hollande. È colpa del vostro presidente, non avrebbe dovuto intervenire in Siria". Urlavano, molto probabilmente, in arabo o in francese. Un testimone racconta: "Avevano i kalashnikove sparavano senza nemmeno guardare chi avevano davanti".
Secondo il racconto fornito dai testimoni, gli attentatori agivano con calma, esattamente come i terroristi che hanno colpito la sede di Charlie Hebdo il 7 gennaio scorso. Julian Pearce, giornalista radiofonico, fortunatamente uscito dal Bataclan, ha raccontato di aver visto almeno venti corpi a terra: "È durato dieci, 15 minuti. Ho visto diverse persone giovani che non indossavano maschere entrare nella sala durante il concerto imbracciando kalashnikov: hanno sparato a bruciapelo a chi era rimasto ferito. Ricaricavano le armi e ricominciavano a sparare".
Moltissimi sopravvisuti, come riporta il Guardian, hanno affermato che gli jihadisti hanno agito "da professionisti". "Sparavano con gli Ak47 a colpo singolo, 3-4 alla volta, tutti ben mirati, sembravano soldati delle forze speciali", come racconta un testimone. Tutti però sono concordi: "Erano tutti molto giovani, avevano meno di 25 anni".

Il modus operandi è quello della guerriglia. Gli 007 francesi avevano previsto attacchi

Gli attacchi a Parigi più che dei veri e propri attentati, sembrano azioni di guerriglia e hanno bisogno di preparazione militare. Quella che i centinaia di foreign fighter rientrati in Europa dal fronte siriano ed iracheno sicuramente hanno. Spunta un rapporto degli 007 francesi che aveva previsto attacchi
Gli attacchi della notte scorsa a Parigi - che hanno causato la morte di oltre cento persone e il ferimento di quasi duecento - più che dei veri e propri attentati, sembrano azioni di guerriglia.
Un modus operandi che è molto simile a quello condotto dai miliziani del Califfo e che sta insanguinando da tempo la Siria e l’Irak.
La guerriglia è nata dall’esigenza di non poter sostenere uno scontro in campo aperto contro un nemico più forte e militarmente meglio organizzato. Una condotta militare che ricorda la strategia dei ghazi, un termine di radice araba che indica quei combattenti che storicamente facevano rapide incursioni in territorio ostile.
Più azioni di disturbo fatte da piccole unità mobili che hanno lo scopo di destabilizzare e creare il caos. Proprio come successo ieri sera poco dopo le nove a Parigi. Gli attacchi, infatti, hanno colpito quasi contemporaneamente diversi luoghi affollati, mandando in tilt le autorità francesi, che sono state costrette ad operare in diverse zone nello stesso momento.
Il primo attacco è avvenuto allo Stade de France, nella periferia della capitale francese, allontanando così la polizia dalle azioni avvenute poco dopo. I killer hanno usato fucili d’assalto Kalashnikov, pistole e ordigni esplosivi, ma si sono fatti esplodere solo alla fine, quando ormai stava intervenendo la polizia per catturarli. Il risultato è stato una carneficina di persone innocenti.
Questo tipo di azioni sono facili da attuare. Ma hanno comunque bisogno di essere ben organizzate e coordinate. E, soprattutto, hanno bisogno di una adeguata preparazione militare. Quella che i centinaia di foreign fighter rientrati in Europa dal fronte siriano ed iracheno, sicuramente hanno. Ed è proprio questo il pericolo più grande.
Un pericolo che i servizi di sicurezza francesi ben conoscevano. A fine ottobre, France Info ha rivelato - dopo essere riuscita a visionare una relazione confidenziale dei servizi segreti francesi - della concreta possibilità di attacchi multipli. Ma c’è di più. Secondo il rapporto la nuova strategia sarebbe stata quella di far agire persone provenienti da altri Paesi europei.
Estremisti islamici francesi che fanno azioni terroristiche in Germania o in Italia, mentre quelli tedeschi in Francia o in Inghilterra. La strategia è abbastanza chiara: un cittadino francese che è recentemente tornato dalla Siria o dall’Irak e vuol compiere un attentato in Francia rischia di essere individuato molto più facilmente perché monitorato dai servizi d’intelligence. Ma se lo fa in Germania o in Belgio? Il rischio è sicuramente più basso. Il controllo da parte degli 007 di un altro Paese è minore, anche perché la condivisione di informazioni tra i servizi di sicurezza europei sembra essere molto limitata.
Quest’Europa distratta continua a fare errori. E l’Isis sta scommettendo proprio su questo.
http://www.stampalibera.com/?a=30777

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