ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 14 novembre 2015

Cronaca di un linciaggio mediatico

Come fare di una non-notizia un caso mediatico
Da qualche giorno ormai, in seguito alla pubblicazione di un video sul sito internet del Corriere, è esploso il caso delle Suore Francescane dell’Immacolata e del loro fondatore, padre Stefano Maria Manelli. La vicenda ha fatto breccia anche nella televisione nazionale, conquistando qualche spazio nei programmi d’intrattenimento. Sembra necessario, per smascherare le imposture travestite da giornalismo, analizzare un attimo con il lume della ragione e con il cuore in mano le interessanti trovate mediatiche per fare di una non-notizia un caso mediatico, impressionante e molto utile, in questo momento, per fare pressione sui giudici della procura di Avellino chiamati a dare un giudizio circa una questione patrimoniale che fa gola a molti.
-    La giornalista Amalia de Simone, specializzata in inchieste sulla criminalità organizzata, è la prima a inventarsi un bel romanzetto, a metà tra il romanzo gotico-medievale alla Walpole e quello erotico alla marchese de Sade. La giornalista anticamorra infatti trova tutti gli ingredienti: truffe finanziarie, violenze, sesso, prostituzione, un padre-padrone misticheggiante e pratiche penitenziali “medievali” in convento. Fin dall’inizio è chiaro il lavoro sporco della giornalista. Una bella trovata, quella di oscurare la faccia e alterare la voce - come se l’intervistata fosse un pentito di mafia oppure in pericolo di vita - crea subito l’adeguata suspense e un’atmosfera tenebrosa: se si deve proteggere l’intervistata in questo modo – diremmo tutti - deve trattarsi di una cosa seria! Peccato però che la superficialità della de Simone non le permetta di capire che non servono a nulla questi accorgimenti se poi, pochi minuti dopo, mostra a chiare lettere la firma con il nome religioso dell’intervistata, cosa che permette l’identificazione a chiunque l’abbia conosciuta da suora. Ecco però la prova chiave: una lettera scritta con il proprio sangue, un patto di obbedienza illimitata al fondatore – dice l’ex suora francescana dell’Immacolata – il quale, non a caso, l’ha contro-firmata in calce. Una prova schiacciante, non è vero? La De Simone non ha dubbi: “Ventidue anni [sono passati] da quella notte in cui alcune suore giurarono obbedienza in una cappella con un rito simile alla «pungiuta», usata dalla ‘ndrangheta per affiliare i membri del clan”. Ecco, mancava l’ ndrangheta, e la de Simone è un esperta in questioni camorristiche… è proprio la persona adatta a trattare casi di vita religiosa! Peccato che la de Simone mostri chiaramente quel pezzo di carta, e, senza ombra di dubbio non si tratta né di un’affiliazione camorristica, né di uno speciale atto di obbedienza illimitata a padre Manelli, bensì è il semplice atto della professione religiosa della suora, a norma delle Costituzioni delle Suore Francescane dell’Immacolata, e quel rito tenutosi in una cappella ventidue anni fa non è qualche strano rito gotico-orgiastico come lascia intendere la de Simone, bensì la professione religiosa di alcune suore francescane dell’Immacolata, tra le prime del nascente istituto. Tra queste suore che ventidue anni fa promisero la loro vita e la loro verginità a Nostro Signore, la nostra Suor M.L. che all’epoca, forse per un eccesso di barocchismo e trascinata dal sentimento più che da una salda volontà, preferì scrivere la propria lettera con il sangue, facendosi una piccola puntura con uno spillo, che oggi mostra al pubblico come segno delle pratiche penitenziali estreme a cui era costretta. Poche gocce di sangue uscita da un buchetto aperto liberamente con uno spillo da un dito: che inaudita violenza! Che orrore! Che pratica medievale! Meno male che non è mai stata donatrice di sangue altrimenti avrebbe denunciato l’AVIS alla “Corte dei diritti dell’uomo”, per averle cavato mezzo litro di sangue con una ago ben più grande. Eppure la nostra ex-suora mostra come prova schiacciante quel microscopico segno sul dito, a cui la de Simone, evidentemente inorridita, non può che commentare, con una frase strappalacrime: “Le macchie di sangue sono così intense che le frasi che tracciano sembrano ferite ancora aperte”. Non si può che commuoversi a leggere frasi così intense! Eppure la de Simone non si è accorta, forse, di essere davanti a qualcosa di ben più grande, qualcosa che non sarebbe dovuto sfuggire a una vera giornalista d’inchiesta come lei, a una che ha fiuto giornalistico e che non si lascia scappare un vero scoop! Un miracolo vero e proprio  sta sotto gli occhi della de Simone: una piccola ferita di spillo, fatta ventidue anni fa, ancora visibile sul dito! A rincarare la dose ecco la seconda testimonianza: una ex-suora sudamericana dopo aver liberamente impresso sul suo cuore di religiosa un marchio a fuoco col nome di Gesù, si lamenta che il suo décolleté da nubile sia irrimediabilmente rovinato! Che padre Stefano paghi per questo crimine contro l’umanità…
-    Dal romanzo gotico il giorno seguente si passa alla “sceneggiata napoletana”, una piéce da far invidia ai de Filippo e che avrebbe fatto cantare all’idolo partenopeo Mario Merola il suo mitico “’e figli so piezz ‘e core”. Una madre di due ragazze, attualmente suore francescane dell’Immacolata,  con un forte accento partenopeo, parla a ruota libera al telefono con la de Simone, lasciando fuoriuscire, senza alcun controllo razionale, frasi sconnesse, minacce, appelli… La sostanza di questo interessante pezzo di antropologia culturale è questo: le figlie sono da molti anni nell’istituto delle suore francescane dell’Immacolata e continuano contente e convinte. “Stanno bene”, come pure ammette la madre, forse non troppo contenta che lo siano! Una in clausura in Inghilterra, l’altra in missione in Africa: due vocazioni diverse ad edificare la Chiesa e a realizzare nel mondo l’opera dell’Immacolata, con tutti i sacrifici, anche affettivi, che essa comporta. “Chi ama suo padre e sua madre più di me non è degno di me” (Mt 10, 37), dice Nostro Signore. Ma la madre non ne vuole sapere e, con piglio napoletano, elenca sconnesse e inutili circostanze e vicende, tutte filtrate dalla lente d’ingrandimento del suo egoismo. La conclusione insomma: le figlie stanno bene, lei sta male. Perché lei incominci a sentirsi felice ritiene necessario e auspicabile che l’istituto in cui le figlie sono felici venga distrutto: questa telefonata sarà pure una commedia, ma speriamo a lieto fine!
-    Ecco però che dal sito internet del Corriere la notizia dilaga fino alla televisione nazionale, fino alla RAI, addirittura al seguitissimo “La vita in diretta”: “Liquidis immittere fontibus apros”, direbbe Virgilio. E infatti è così: i fautori della (porno-)televisione nazionale italiana, pagati dai soldi dei contribuenti, vengono a dare nozioni di vita morale a delle suore che conducono una vita santa e sacrificata e a padre Stefano Manelli, figlio spirituale di padre Pio, figlio di genitori dichiarati dalla Chiesa servi di Dio e da molti stimato come uomo prudente e di santa vita. Ecco dunque che tra i boia mediatici di padre Stefano e delle Suore, vengono annoverati persino l’ex conduttore del moralissimo Grande Fratello e l’ex direttrice – sentite, sentite – della morigeratissima rivista Novella 2000.  Fin da subito si vede il livello giornalistico della trasmissione di Rai1: anziché documentarsi (con una semplice ricerca su Google) i nostri eroi ripetono pari pari gli strafalcioni della de Simone: si parla di un’inesistente “monsignor Volpi”, si sbaglia il nome del fondatore, ripetendo più volte “Mannelli” anziché “Manelli”, e arrivando a chiamarlo “Francesco” al posto di “Stefano”.
In primo piano poi ossessivamente viene proposta la scandalosa frase “Ti devi fare santa: era questa la parola d’ordine”. Frase scandalosa per i conduttori della televisione nazionale, poco adusi alle parole della Bibbia (“Questa è la volontà di Dio: la vostra santificazione”, 1Tess 4,3)  … e pensare che solo cinquant’anni fa da quella stessa televisione padre Mariano da Torino tuonava: “Una vita impiegata senza farsi santi, è una vita sprecata”. Ditelo a Marco Liorni e Cristina Parodi…. La frase “scandalosa” alle orecchie mondane era però stata proferita dalla stessa ex-suora dell’intervista del Corriere, forse dimentica che l’unico vero scopo per cui ci si fa religiosi è quello di dare gloria a Dio e di salvare anime, il che si ottiene solo attraverso la propria santificazione. Un religioso che non desidera e non si sforza di essere santo, secondo sant’Alfonso e la dottrina comune della Chiesa, è già in peccato.
Del tutto incapaci di comprendere come quel giuramento di sangue non sia altro che l’atto di professione religioso, scritto in un attimo di esaltazione religiosa con il proprio sangue dalla ex suor M. L., i conduttori del programma continuano con  la loro requisitoria contro le Suore Francescane dell’Immacolata e padre Manelli. Si parla di “adepti” di padre Manelli, termine non del tutto neutro e particolarmente ossequioso; la solita psicologia di turno paragona i Frati Francescani dell’Immacolata a una setta e si continua con insistenza e acriticità a dar voce a tutte le fandonie possibili e immaginabili (“se fossero confermate dall’inchiesta”, come spesso dicono per salvarsi in corner gli esperti conduttori). Non ci si fa scrupolo, come nella seconda puntata, a manipolare abilmente i dati di cronaca: il Papa, come lascia intendere la giornalista, avrebbe risposto all’appello della madre di cui sopra, commissariando le suore e sciogliendole dall’obbligo al presunto voto di obbedienza al fondatore, cosa che in realtà è avvenuta molti giorni prima della messa in onda del programma. Un inquietante servizio poi pone l’aut-aut: credere alle parole di padre Manelli, che si dichiara innocente, oppure alla prova documentaria. Quale prova? Il famigerato dito con una microscopica puntura di spillo…
Ecco però che interviene la parte clericale, don Sarracino: almeno lui difenderà frati e suore? Invece no, solo qualche parola di rispetto per giovani che hanno votato la vita al Signore e poi subito: “Nella Chiesa non esistono voti di sangue”, dimenticando che papa Benedetto XIV qualche secolo prima aveva proprio difeso “il voto di sangue” all’Immacolata Concezione, siglato peraltro anche da santi del calibro di san Giovanni Berchmans e sant’Alfonso Maria de’ Liguori, contro le accuse dei cattolici “progressisti” di allora.
Non poteva mancare però l’accusatore di padre Manelli, l’avvocato Giuseppe Sarno, avellinese. L’avvocato, noto per aver denunciato Berlusconi per apologia del fascismo (il solito ottuso antifascismo sfruttato dagli avvocati prezzolati per fare cassa), è l’avvocato dei Francescani dell’Immacolata “nuovo corso”: quelli in poche parole che hanno intentato causa contro i benefattori dell’istituto e cercano di sbattere in galera coloro che gli hanno dato da mangiare fino a ieri. C’è una particolarità però: l’avvocato dei Francescani dell’Immacolata si presenta – udite, udite – a titolo personale… che cosa significa? Ma, a livello personale, che cosa gli riguarda una vicenda in cui non ha messo né soldi, né figli e nemmeno la sua vita! Ci viene a ragguagliare però sul dossier che padre Volpi gli ha consegnato prima di morire (sarà vero?) e che sarebbe stato raccolto da un ignoto sacerdote, collezionista di queste “zoppicanti” testimonianze? In ultimo però  il testimone oculare addirittura da san Giovanni Rotondo, dove padre Manelli sarebbe “rifugiato” (mentre in realtà è lì da diversi mesi per cure con il permesso dei commissari apostolici). “Lo vedo camminare tutti i giorni in giardino”… testimonianza inquietante che non può che farci concludere, come la televisione nazionale fa all’unanimità, la colpevolezza di padre Stefano e l’orribile vita dei conventi-lager delle Suore Francescane dell’Immacolata.

Maddalena Capobianco
venerdì 13 novembre 2015

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