ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 27 novembre 2015

"Free Bergoglios"?

Nell’era del terrore, mancavano gli abbracci seriali


Mentre settimanalmente accadono stragi ovunque, mentre noi piangiamo i morti ma non tutti – pare che le vittime francesi avessero molta più vita alle spalle di quelle siriane o russe – e mentre i nostri politici continuano scientemente a perseguire una politica estera terroristica, prendono via via piede i “Free Hugs”. 
Tale “manifestazione d’affetto”, proveniente dall’Australia e insidiatasi anche in Italia negli ultimi anni, prevede che dei perfetti ignoti, appostati in una qualsiasi piazza di città o di provincia, invitino altri emeriti sconosciuti a scambiare un abbraccio. Qualora la cosa venga gradita oltre misura, i nuovi avventori potranno sempre emulare il gesto con gli altri passanti sulla via di Damasco. 

Lo scopo – come spiega Annalisa Zupo, l’organizzatrice del “gruppo” – consiste nel «cambiare le frequenze del Pianeta». Niente di meno. E, siccome tra le persone esistono fin troppa paura, diffidenza e rabbia, cosa può esserci di meglio dello stringere a sé il primo che passa, cercando nel frattempo anche di volergli bene almeno per un minuto?
Si sa, però, che le persone sono bizzarre e talvolta risultano anche sfacciatamente timide: non sono infatti rare quelle che, una volta avvistati gli “abbracciatori seriali” e compresi i loro audaci propositi, sgusciano via con un certo sgomento negli occhi e con un passo, per quanto smarrito, tuttavia spedito. Tra gli ammutinati, i primi in classifica sono i peggiori, vale a dire i fisiologicamente asociali: quelli che detestano il bacio sulla guancia con il conoscente di turno e persino con l’amico caro; quelli che sui mezzi pubblici provano un immediato fastidio fisico nonché un’urgenza di distacco, qualora il vicino casualmente sfiori loro la mano; quelli che, se proprio ci si deve confrontare, lo si faccia per lo meno a debita distanza, mantenendo lo spazio vitale; quelli infine che, dopo anni e anni trascorsi nello stesso quartiere, ancora non conoscono vita, morte e miracoli del fruttivendolo sotto casa e sono ben lieti che anche i casi loro non vengano dispersi nell’ambiente. Ecco, questa categoria di ineffabili, quando incontra uno dei nostri “distributori di abbracci”, prima sgrana gli occhi come se si trovasse di fronte a un malaugurato miraggio e immediatamente dopo fa una smorfia di orrore e persino di dolore: anch’essi, in fin dei conti, provano delle emozioni, solo che spesso non sono granché positive.
Per fortuna, la gente non è sempre così scontrosa; anzi, a detta della stessa Zufo, sono sempre più numerose le persone che accolgono di buon grado i “Free Hugs”. Tra queste, risalta chi, dopo avere prontamente dribblato l’abbraccio, si ritrova faccia a faccia con un certo angosciante dubbio; bastano però pochi istanti soltanto per sciogliere l’enigma e su quel volto, fulgida, si riaccende la speranza: eccolo, infatti, tornare indietro e scusarsi con gli “omini degli abbracci” per non avere capito al volo di cosa si trattasse. Il finale è scontato, ma lieto. 
I più ammirevoli restano coloro che, intercettati dallo sguardo del promotore – il primo approccio punta tutto sul contatto visivo – senza essere sfiorati lontanamente da una perplessità, già sgambettano festosi verso l’abbracciatore, ricambiandone la stretta come se si trovassero tra le braccia della mamma – quella, nel frattempo magari reclusa all’ospizio, solo perché «lì ha tante comodità» – ed è un vero peccato che non solo non si tratti evidentemente della loro creatrice, ma anche che non sappiano proprio chi sia quel tale. Questi, però, sono solo dettagli inutili all’economia del Pianeta e alle sue frequenze energetiche.
Sarebbe interessante domandarsi chi si cela dietro questi improvvisati “abbracciatori seriali” – promotori o utenti che siano – se già non si conoscesse a menadito i loro profili schizofrenici. 
Sono, infatti, quelli che tifano comunque l’imperialismo buono e giusto della democrazia, sia esso ambientato in Madagascar o in Svezia: tutto il mondo è paese e, se non lo è, lo diventerà. 
Sono quelli che, se nel giro di pochi minuti una redazione francese viene messa a ferro e fuoco da terroristi, diventano per settimane degli incalliti “Charlie Hebdo” – pur non avendo mai letto una copia dell’omonima rivista –  mentre se l’intera Siria viene maciullata per anni dagli stessi terroristi, il presidente Assad va in ogni caso buttato giù, perché si è scoperto all’improvviso, cioè  dopo vent’anni, che si tratta di un feroce dittatore, e pazienza se anche lui e il suo popolo provano la ferocia sanguinaria dell’ISIS.  
Ancora, sono quelli che in un passato non troppo remoto hanno applaudito e invidiato la Grecia per avere tentato, tramite un referendum popolare, di dire no all’usura europea, ma non hanno poi retto e accettato la vista della Russia, perfettamente contraria ai diktat politici dell’U.E. 
Sono quelli che non sopportano il crocifisso appeso al muro delle scuole, i presepi e in genere ogni manifestazione di religiosità, ma poi sono pronti ad accogliere a man bassa quei popoli sì disperati, ma ancora vitali di fede e ossequiosi del rito. 
Sono quelli che, senza remora alcuna e senza accettare alcun contraddittorio, pretendono i matrimoni gay, le adozioni per le coppie omosessuali, la “teoria gender”, gli uteri in affitto, la pornografia come atto liberatorio dalla cupa borghesia – esiste ancora? – e la sessualità adulta nei bambini, ma che allo stesso tempo si schierano per il sacrosanto diritto di parola e sempre, sempre in favore delle differenze. 
Sono infine quelli che si commuovono, odiano e credono per automatismo, sia che questo si presenti sotto forma di un bambino trovato morto su una spiaggia, di un selfie di gruppo in Turchia poco prima dell’attentato o di un venerdì sera stroncato a Parigi; ma si tratta solo e soltanto di un riflesso condizionato: nessun amore in particolare, e dunque nessun vero tormento, abita i loro petti.
Sono anonimi, sparpagliati e tragicamente seriali, i nostri benintenzionati degli “Abbracci Gratis”, e sono proprio come li vuole il terrore, questo terrore che ovunque tra le strade e le piazze può fare incetta di adepti.
Esclusivamente per questa volta, è un peccato non vivere in Cina: i “Free Hugs”, laggiù, per legge non sono tollerati, pena il fermo immediato.
Fiorenza Licitra
http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2015/11/27/nellera-del-terrore-mancavano-gli-abbracci-seriali.html
Da qualche tempo, il noto scrittore e giornalista cattolico, Vittorio Messori si è imposto il silenzio sulle cose della  Chiesa e sul Papa : ” Una scelta di responsabilità “, dice. Tuttavia, ha voluto parlare con noi sul senso dell’apologia, sul proselitismo ed anche sui corvi vaticani, lanciando di tanto in tanto frecciatina che dimostrano in Messori un certo senso di malessere.
Messori, abbiamo bisogno dell’ apologetica, oggi?
“Mai come oggi ne sentiamo il bisogno, certo. Guardi, che il primo, vero, grande apologeta della storia, è stato il Signore. Non uno qualunque. Penso all’episodio dei discepoli di Emmaus, quando se ne tornavano stanchi e delusi, sconfortati e forse nella disperazione. Gesù appare loro e spiega il senso delle Scritture e lo fa con ardore, ma mitezza. Non è forse apologetica, quella? Pertanto, considerando che il Signore è stato il primo apologeta, reputo che questo filone sia molto, moto importante e da incoraggiare, non deprimere”.
Perchè, allora, oggi l’ apologetica sembra in disuso?
“Lei mi pone una domanda interessante. La prima risposta sta in questo. Una malintesa idea di cattolico adulto ha fatto ritenere l’apologetica come un settore minore  e persino da evitare, una cosa vecchia e superata. Questo è un grave errore di prospettiva. Per altro verso, occorre anche riconoscere che l’ apologetica specialmente prima del Vaticano II, ha avuto in qualche esponente, toni da crociata o troppo forti e una certa approssimazione culturale. Il vero apologeta deve associare competenza e intendo rigore scientifico,  e allo stesso tempo pacatezza, senza intraprendere guerre di religione. Bisogna sempre abbinare fede e ragione che non sono entità nemiche. La verità si può e  si deve dire col sorriso”.
Papa Francesco dice che il cristiano non deve fare del proselitismo, concorda?
“Io capisco quello che vuole dire il Papa e  concordo quando per proselitismo si intenda quel modo di fare da piazzisti con la valigetta, invadenti e troppo fervorosi. Non ci si muove con la idea di imporre a forza, questo assolutamente no. Però bisogna riconoscere che il cristiano ha per dovere, perchè lo dice il Vangelo, quello dell’apostolato e da questo nessuno che si dica cristiano può derogare. Esiste un rischio di cattiva interpretazione delle parole del Papa. In un tempo nel quale persino la presenza alla messa domenicale è in crisi, sentire il Papa che dice basta al proselitismo o qualche volte pare bacchettare l’abitudine della celebrazione domenicale, lo ha detto a Santa Marta, potrebbe avere delle controindicazioni  in gente non molto informata e non vicina alla Chiesa”.
Crede che il concetto di “Chiesa sociale” sia maleinterpretato?
“Effettivamente noto un eccesso di Chiesa detta sociale, dei preti da strada, incline al populismo, al pauperismo e  talora anche alla demagogia. Dipende dal fatto che troviamo una sorta di inquinamento marxista nella Chiesa attuale e allora si finisce col parlare poco di Dio e  molto di altri valori quali l’economia  dando una visione diabolica della vita. Siamo sotto l’influsso della teologia della liberazione e sappiamo quanti e  quali negatività essa incarni ed abbia incarnato. Per capire come davvero bisogna muoversi, si leggano le vite dei santi sociali”.
Perchè?
“Prendiamo, io sono piemontese, la vita di san Giovanni Bosco. Indubbiamente egli pose il lavoro, la formazione professionale, il sociale tra le sue priorità. Tuttavia, la vera primizia per lui era la preghiera. Oggi si assiste alla posizione contraria: più mense, meno preghiere, con decremento del senso del sacro. La prima vera emergenza è quella di pregare di più e di rimettere Dio al centro della vita”.
Caso corvi in Vaticano: quei due libri, detto da un giiornalista famoso, andavano scritti?
“Credo che quelle due pubblicazioni siano figlie di una bella e buona dose di cinismo, nel senso letterale del termine, e figlie di interessi economici ed editoriali. Non è affatto vero, come si vuole fare intendere, che rispondano ad un intento di moralizzazione. Il giornalista non sempre deve pubblicare quello che ha, anche se vero. Esiste un senso di responsabilità nel calcolare gli effetti e nel valutare sia le notizie, sia il modo di procurarsele. Dunque sia sul contenuto, che sul metod,o nutro molte riserve.  Fatta questa premessa, dico che che se i fatti narrati, dico se, sono veri , la Chiesa istituzione deve riflettere seriamente e fare un approfondito esame di coscienza”.
Bruno Volpe
VATICINIO

Vittorio Feltri mette in mutande Bergoglio: ecco come finirà Vatileaks

Vittorio Feltri ha la sua verità su come finirà il processo che in Vaticano stanno montando su Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, i due autori dei più recenti libri che svelano le malefatte vaticane. Secondo la legge dello Stato della Chiesa, chi sottrae e rende note informazioni riservate è punibile con pene che vanno da 4 a 8 anni di reclusione.
Ma secondo l'editorialista del Giornale, quella in atto è "una pantomima, una sceneggiata, un gioco a cui stanno volentieri anche le vittime per convenienza: esse traggono da questo teatrino una gratuita pubblicità per promuovere i loro libri, non a caso primeggianti nelle classifiche dei più venduti".
Nuzzi e Fittipladi, scrive Feltri, verranno condannati secondo le leggi vaticane, ma con un colpo di scena finale: "Scommettiamo che la coppia di scribi sarà punita alla grande alla vigilia del Giubileo in base alle leggi locali, che puzzano di totalitarismo integrale (tipo Corano), e il giorno dopo, Francesco, inaugurando l' anno della Misericordia, compirà un gesto, appunto misericordioso: li grazierà entrambi, suscitando l' entusiasmo dei media, tutti allineati e coperti nell' esaltazione del Pontefice argentino, così avanti da avere superato qualsiasi progressista".

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