Un ebreo importante ci dice la spiacevole verità
UN EBREO IMPORTANTE CI DICE LA SPIACEVOLE VERITÀ[1]
Un ebreo importante alla fine si è stufato e non si è più potuto trattenere: l’”Olocausto” è una grande menzogna e un racket estorsivo; la Germania è per lo più innocente della seconda guerra mondiale; e durante gli anni ’30 aveva cognizione di causa nel combattere contro una plutocrazia dominata dagli ebrei che cercava di controllare il pianeta … Sì, un ebreo importante dice tutto questo. Dovete leggerlo per credervi!
TELL THE TRUTH & SHAME THE DEVIL (“Dite la verità anche se fa male”)
Di Gerard Menuhin
Questo libro è di enorme importanza per le persone del mondo di oggi. Molti sanno che nel mondo c’è qualcosa che non va. Le nazioni sono impegnate in una guerra perpetua mentre i banchieri e i fabbricanti di armi si arricchiscono sui massacri. L’uomo della strada è stato tagliato fuori dalle decisioni governative, sia che viva in una democrazia, in una repubblica, in una teocrazia o in una dittatura. Nel frattempo, l’élite al potere diventa sempre più forte e ricca, mentre i produttori dell’economia reale lottano per sopravvivere. Dietro le quinte, gli eventi sono controllati da una cerchia ristretta di burattinai etnici che manovrano le loro marionette in luoghi inaccessibili all’opinione pubblica.
Come è stato portato questo mondo nell’oscurità in cui si trova oggi? Chi avrebbe potuto fermarlo? Cosa possiamo fare oggi?
Il libro è composto da tre sezioni. La prima riguarda l’Olocausto e il suo presunto perpetratore, Adolf Hitler. La seconda sezione si sofferma sulle attività dei veri colpevoli e fornisce una visione storica dello sviluppo di costoro, della loro natura, del loro potere sulla finanza e sui media, e dei metodi con cui lo hanno raggiunto. La terza sezione si occupa delle due guerre mondiali, delle attuali leggi contro la libertà di espressione e dell’evoluzione dello Stato orwelliano.
L’autore è il figlio del grande violinista, di origine americana, Yehudi Menuhin, il quale, pur proveniente da una lunga tradizione di antenati rabbinici, criticò aspramente la politica estera dello Stato di Israele e la repressione dei palestinesi in Terra Santa[2].
FINE DEL TESTO DI CODOH.COM
Ritengo opportuno, per far capire a che punto di censura poliziesca sono arrivati certi paesi europei, riferire quanto abbiamo appreso dalla nostra corrispondente Bocage: il revisionista austriaco Gerd Honsik– rifugiatosi in Spagna dopo la sua uscita dalla prigione – annunciando a sua volta ai propri corrispondenti (austriaci) l’uscita del libro in questione, ha ritenuto opportuno di metterli in guardia: “Anche se il libro è in vendita su Amazon, non comprate questo libro, perché il suo possesso secondo la legge austriaca sarebbe motivo di perseguimento penale”! In Italia, non siamo ancora a questo punto: fino a quando?
[1] Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo: http://codoh.com/news/3347/
[2] Vedi al riguardo l’articolo: Menuhin: Israele rimpiange il musicista, non l’antisionista
PUBBLICATO DA ANDREA CARANCINI
http://andreacarancini.blogspot.it/2015/11/un-ebreo-importante-ci-dice-la.html
EBREI E IMPERO ROMANO La condizione degli Ebrei nell’Impero romano dopo Costantino. Si dice e si ripete da parte degli storici che dai romani divenuti cristiani gli ebrei furono perseguitati, ma c’è una parte di verità che viene deliberatamente taciuta di F. Lamendola
Si dice e si ripete, da parte di storici e di persone di media cultura, che gli Ebrei, nell’Impero romano divenuto cristiano, furono perseguitati, o quanto meno, che furono gravemente discriminati e colpiti da una serie di provvedimenti che ne limitarono alquanto la libertà di culto; che le folle cristiane, inoltre, erano animate da sentimenti fortemente ostili nei loro confronti e che si macchiarono di non pochi atti di violenza, sia contro i loro beni, sia contro le persone.
Tutto questo rispecchia una parte di verità, che è impossibile mettere in dubbio, se si vuol rimanere sul terreno della seria indagine storiografica; ma, appunto, si tratta di una parte della verità, selezionata ad arte, e non della verità tutta intera.
C’è una parte di essa che viene taciuta, deliberatamente, allo scopo di indurre nel pubblico europeo di cultura cristiana un oscuro senso di colpa, quasi a suggerire un peccato originale di antisemitismo, sul quale, nel corso dei secoli, generazione dopo generazione, avrebbe finito per trovare terreno propizio la tragica politica hitleriana di sterminio, durante la Seconda guerra mondiale.
Ma questa continuità, questo filo rosso, che attraverserebbe tutta la storia dell’Occidente, questo latente o manifesto antisemitismo, è realmente esistito, nella misura e nella prospettiva che gli vengono attribuiti da codesti storici di parte?
Tanto per cominciare, sarebbe essenziale distinguere fra ebraismo e giudaismo e, di conseguenza, fra antisemitismo e antigiudaismo. Il giudaismo è una religione e si può entrare a farne parte senza essere ebrei: opinare diversamente, sarebbe come pensare che islamismo e arabismo siano la stessa cosa, quando è noto che gli Arabi costituiscono, nel mondo attuale, appena il 20% del totale dei seguaci della religione islamica. L’antisemitismo europeo moderno, culminato nelle persecuzioni hitleriane, era basato su fattori razziali, non religiosi: era il popolo ebreo che prendeva di mira, non la religione giudaica in quanto tale; tanto è vero che i persecutori non fecero alcuna distinzione, anzi, non fecero alcuna indagine, per stabilire se i singoli cittadini di ascendenza ebraica professavano la religione degli avi, o se si erano convertiti al cristianesimo, oppure se erano, semplicemente, atei. L’antigiudaismo cristiano, sia quello del tardo Impero romano, sia dell’epoca medievale, scaturiva invece da motivazioni religiose: gli Ebrei erano presi di mia non in quanto Ebrei, ma in quanto seguaci della religione giudaica. Gli Ebrei convertiti diventavano cristiani, puramente e semplicemente (a meno che, come avvenne nella Spagna di Filippo II, fossero sospettati di essersi convertiti per finta e di seguitare, in privato, la pratica della loro religione). La distinzione fra antisemitismo (termine comunque infelice, perché “semiti” sono sia gli Ebrei che gli Arabi) e antigiudaismo, è importante, anzi, essenziale, se si vogliono evitare equivoci e se si vuole collocare nella giusta prospettiva il rapporto fra cristiani ed ebrei nel tardo Impero romano e, poi, nell’Europa medievale.
Altro discorso è se si possa realmente parlare, oggi, di un “popolo ebreo”, cosa che perfino studiosi ebrei mettono in dubbio o negano recisamente, viste le innumerevoli mescolanze che si sono verificate, nel corso di migliaia di anni, fra gli Ebrei e le popolazioni presso le quali si erano stabiliti, sia in seguito a deportazioni militari, come quella di Nabucodonosor a Babilonia, sia spontaneamente, per motivi di commercio. Anche a questo proposito, peraltro, si fa sovente, e non sempre in buona fede, una notevole confusione tra le due cose. Si parla della “diaspora” come di un evento forzato, verificatosi in seguito alla repressione romana delle rivolte scoppiate in Palestina nel I e nel II secolo d. C.; ma la verità è che esistevano numerosissime colonie ebraiche in tutta l’area del Medio Oriente e del Mediterraneo, antiche di secoli e secoli e, spesso, notevolmente aggressive verso le altre popolazioni, ad esempio nei confronti dei Greci di Alessandria d’Egitto); e che i Romani non espulsero a forza gli Ebrei dalla Palestina, ma solo dal sito di Gerusalemme – ricostruita con il nome di Aelia Capitolina dopo avere represso la rivolta di Bar Kokheba del 132 - per cui la partenza di questi ultimi dopo le rivolte antiromane fu di natura volontaria. Essi andarono a raggiungere amici e parenti che già risiedevano e lavoravano, spesso in condizioni prospere, o comunque mediamente migliori di quelle dei loro vicini d’altra stirpe o d’altra religione, a cominciare da Roma, la capitale dell’impero. La rete delle comunità giudaiche fuori della Palestina era così estesa e così fitta che lo stesso san Paolo, un ebreo di Tarso, in Cilicia, se ne servì per fondare su di essa le prime comunità cristiane dell’Asia Minore, finché decise di cambiare strategia ed d’impegnarsi piuttosto nella conversione dei pagani.
Così lo storico Andrea Giardina si esprime a questo proposito (in: A. Giardina-B. De Corradi-B. Gregori, «Inchieste sulla storia», Bari, Laterza, 2011, vol. 2, p. 542):
«Dal IV secolo in poi, il cristianesimo consolidò le sue posizioni nell’impero. I culti pagani, penalizzati e poi vietati dalla legge, arretravano ovunque,m mentre i loro templi cadevano in rovina o venivano abbattuti. Il cristianesimo non aveva più nemici. Aveva però un pericoloso concorrente: l’ebraismo. Pericoloso perché si trattava di una religione monoteistica come il cristianesimo; perché aveva anch’esso un’organizzazione, incentrata nelle sinagoghe; perché le comunità ebraiche erano sparse in tutto l’impero ed erano spesso economicamente molto attive; e infine perché gli ebrei si dedicavano con impegno al proselitismo.
Come abbiamo visto, il culto giudaico non fu mai proibito dagli imperatori pagani. In un primo tempo anche gli imperatori cristiani mantennero questa politica, e mostrarono rispetto per le usanze giudaiche: si decise, per esempio, che durante il sabato e le altre feste canoniche gli ebrei dovessero essere esentati dal comparire in tribunale. Ma questa tolleranza veniva meno quando si trattava di affrontare il problema cruciale del proselitismo. Su questo punto gli imperatori cristiani non mostrarono nessuna incertezza. Si cominciò coll’inibire il diritto di fare testamento all’ebreo che convertiva un cristiano e al cristiano che si faceva convertire. Ma ben presto la conversione al giudaismo fu giudicata un sacrilegio e venne punita con la morte. Agli ebrei fu anche proibito di acquistare schiavi cristiani e il matrimonio tra ebrei e cristiani fu represso con le stesse gravissime pene previste per l’adulterio.» Lo Stato aveva dunque un orientamento molto chiaro: gli ebrei dovevano essere lasciati in pace, purché non cercassero di reclutare adepti tra i fedeli di Gesù Cristo. Tuttavia, molti cristiani e gran parte del clero erano animati da una forte ostilità nei confronti degli ebrei e giudicavano troppo permissiva la politica imperiale. Le aggressioni contro gli ebrei e le sinagoghe si moltiplicavano. La legge intervenne vietando la distruzione delle sinagoghe e imponendo l’obbligo di ricostruire gli edifici distrutti. Ma non sempre era facile applicare queste leggi, come mostra la vicenda della sinagoga di Callinico. Nel 388, i cristiani di questa piccola città situata sulle rive dell’Eufrate, istigati dal loro vescovo, diedero alle fiamme la sinagoga. L’imperatore Teodosio, conformemente alla legge, impose al vescovo di ricostruire l’edificio a sue spese. Intervenne allora il potente vescovo di Milano, Ambrogio, con una lunga lettera di protesta,m nella quale sosteneva che ricostruire la sinagoga sarebbe stato un atto empio. Poiché Teodosio si man teneva fermo nel suo proposito, Ambrogio pronunciò a Milano, alla presenza dell’imperatore e dei fedeli, un veemente discorso, in cui rinnovò la sua protesta. Dichiarò quindi che non avrebbe celebrato la messa finché Teodosio non avesse promesso di abrogare gli ordini precedenti. Intimidito da Ambrogio, e temendo forse che la sospensione della messa provocasse disordini in città, l’imperatore cedette ve accordò l’immunità agli incendiari di Callinico. L’episodio mostra chiaramente che nemmeno la legge poteva opporsi alla forza dei vescovi cristiani, quando si trattava di difendere i privileghi della Chiesa cattolica. Negli anni seguenti, lo Stato si andò adeguando ai sentimenti antigiudaici delle masse, e furono emanate leggi sempre più restrittive. Fu proibita la costruzione di nuove sinagoghe. Gli ebrei furono invitati a non ostentare riti che offendessero la sensibilità dei cristiani; per questo motivo, la sinagoga di Terracina fu soppressa e trasferita altrove. I canti degli ebrei, si disse, offendevano le orecchie dei cristiani che si riunivano in una chiesa adiacente. Gli ebrei furono espulsi dalle funzioni pubbliche e dall’esercito. Nel 415 il patriarca Gamaliele, massima autorità del mondo ebraico, fu deposto senza essere sostituito, e i contributi riscossi dal clero giudaico furono confiscati. Ormai, ebrei e pagani erano accomunati da una medesima condanna, e il cristianesimo trionfava come unica religione di Stato.»
Come si vede, da Onorio in poi, e specialmente dopo l’editto di Teodosio del 380, gli Ebrei vennero perseguitati, non in quanto Ebrei, ma in quanto Giudei, ossia in quanto seguaci della religione giudaica; e non furono perseguitati essi soli, ma furono perseguitati insieme ai seguaci di tutte le altre religioni pagane. Nessuno ce l’aveva con loro perché erano Ebrei, ma perché non si volevano convertire al cristianesimo; e in questo rifiuto, in questa resistenza, i cristiani vedevano la conferma di un sospetto: che essi, in fondo, erano pur sempre gli eredi di coloro che, a Gerusalemme, avevano voluto l’arresto, il processo e la condanna a morte sulla croce di Gesù Cristo. E ciò a dispetto del fatto che Gesù Cristo fosse un Ebreo come loro, e che, da Ebreo, era venuto a compiere il vaticinio dei profeti dell’Antico Testamento, e specialmente quello di Isaia sulla venuta dell’Emmanuele. Così come non avevano voluto riconoscerlo i loro padri, anche al presente non volevano riconoscerlo i loro discendenti; e così come i loro padri avevano perseguitato Lui e i suoi discepoli, così poi, per due secoli e mezzo, i loro discendenti avevano fatto di tutto affinché venissero perseguitati i discendenti dei discepoli del Cristo, dagli imperatori romani.
Questo è un aspetto di cui si parla pochissimo, oggi, perché viene considerato politicamente molto scorretto; uno dei pochi che ne ha parlato è stato Vittorio Messori, nel suo libro «Pensare la storia» (Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1992). Secondo la cultura politicamente corretta, gli Ebrei sono sempre stati solamente vittime dei Cristiani; non è mai accaduto il contrario. Invece non è così. Dietro la maggior parte delle persecuzioni imperiali romane contro i cristiani, c’erano le trame e le accuse degli Ebrei delle grandi città d’Oriente e d’Occidente, da Antiochia a Lione. Così come avevano odiato Pietro, Paolo e i loro collaboratori, e avevano cercato di farli morire, in particolare accusandoli davanti ai procuratori romani della Giudea di fomentare disordini (il racconto di quei fatti si può leggere ancora oggi sia negli «Atti degli Apostoli», sia nelle Epistole paoline), allo stesso modo avevano odiato le comunità cristiane che si erano venute formando, poco a poco, dal I al III secolo, e avevano tentato di dirigere contro di esse la diffidenza e l’ostilità delle masse pagane e delle autorità locali e centrali di Roma, dall’epoca di Nerone a quella di Diocleziano.
La conferma più clamorosa di questa ostilità si ebbe quando l’Impero romano, divenuto ormai cristiano (dopo l’editto di Costantino e Licinio del 313), si trovò esposto, sulle frontiere orientali, alle successive invasioni dei Persiani Sassanidi e degli Arabi discendenti di Maometto: zoroastriani i primi, islamici i secondi. In entrambe le occasioni, le comunità giudaiche non solo accolsero a braccia aperte gli invasori e ne favorirono l’avanzata, spalancando loro le porte delle maggiori città della pars Orientis (come Antiochia, Alessandria e la stessa Gerusalemme), ma talvolta spinsero la loro esultanza e la loro sete di rivincita fino a perpetrare personalmente delle stragi di cristiani, sotto gli occhi talvolta benevoli, talaltra perfino inorriditi, dei loro nuovi “liberatori”. A Gerusalemme, in particolare, quando la città cadde in mano al re persiano Cosroe II, nel 614, vi fu un tremendo eccidio di cristiani (passato alla storia come la strage di Mamilla), in cui si calcola che i Giudei trucidarono 60.000 cristiani, senza contare quelli che vivevano nel resto del Paese.
Certo, si può ben immaginare che avessero dei motivi di risentimento verso i cristiani, a partire dall’editto di Teodosio; d’altra parte, come abbiamo visto, anche i cristiani avevano avuto forti motivi di risentimento nei loro confronti. In ogni caso, possiamo almeno sospettare che le comunità giudaiche della Siria e dell’Egitto, nonché della stessa Palestina, abbiamo avuto poco tempo per rallegrarsi di aver cambiato padrone: nemmeno con gli Arabi musulmani si scherzava. Anche con loro i Giudei si videro relegati nella condizione giuridica di cittadini di seconda classe e sottoposti a un esoso regime di tassazione, il cui fine indiretto era quello di spingerli ad abiurare la loro fede per convertirsi all’Islam. Generalmente non lo fecero, ma conservarono il loro rancore verso i cristiani...
La condizione degli Ebrei nell’Impero romano dopo Costantino
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=7227:ebrei-e-impero-romano&catid=115:storia&Itemid=146
Il lato nascosto della realtà: l’importanza dei siti di contro-informazione
Specialmente in giorni come questi in cui avvenimenti gravi si svolgono, i siti di contro-informazione sono molto attivi ma spesso additati dai media mainstream come fonte di dis-informazione.
Ma esiste una teoria matematica per la quale essi sono invece utili per giungere alla verità.
Insomma, chi crede ai ‘complotti’ spesso sbaglia, chi non ci crede sbaglia più spesso…
Il rischio peggiore che si corre a fare informazione libera è quello di essere definiti “complottisti”, un termine che ha origine nel 1964 quando vennero definite “teorie del complotto” le obiezioni di chi non accettava le conclusioni della commissione Warren sull’assassinio di KFK. Da allora sempre più spesso si è sviluppata la tendenza a chiudere ogni dubbio sullo svolgimento di importanti fatti di politica e cronaca neutralizzando le obiezioni come “complottismo”.
Sulla necessità di andare oltre le apparenze e le versioni disponibili su grandi media si è espresso molto chiaramente uno dei pochi critici dell’informazione omologata, Marcello Foa, con l’articolo “Oltre il “complottismo” (meditate gente, meditate…)” le cui ultime righe riassumono pienamente il senso:
Le guerre asimmetriche non si dichiarano. Si fanno. Chi attacca non si scopre e non rivendica, ma è implacabile nel suo agire. Chi subisce sovente non capisce e dunque non sa difendersi, accelerando così i tempi della sconfitta, mentre il pubblico assiste interdetto.Complottisti e anticomplottisti si accapigliano su singoli episodi ad elevata visibilità mediatica, mentre la realtà è molto più semplice (gli uomini sbagliano! E il caso esiste…) eppure al contempo più sofisticata… Analizzare la complessità, individuare i nessi invisibili . Questo conta. Tutto il resto è show.
Proporre letture alternative dei fatti fa parte della ricerca di quei nessi invisibili di cui parla Foa, chi scrive facendo informazione alternativa compie dunque questo tipo di operazione, un lavoro che in quest’ottica, diventa non solo da non condannare, ma utile o ancora meglio, indispensabile per giungere alla verità.
Questo tipo di approccio si basa sul postulato che nei fatti della geopolitica esista sempre qualche nesso nascosto e che quindi per giungere alla comprensione della realtà vadano ricercate e ricostruite le parti mancanti nelle ricostruzioni apparenti.
Ma quel postulato secondo il quale esiste sempre qualcosa di non evidente in un fenomeno, è stato affrontato in una grande teoria matematica nata alla fine degli anni ’70 e non sviluppata come avrebbe meritato, la “Teoria delle catastrofi” del matematico francese René Thom, da lui definita come “una metodologia, se non di una sorta di linguaggio, che permette di organizzare i dati dell’esperienza nelle condizioni più varie“.
Se i dati dell’esperienza sono le notizie riportate sui grandi media, non dobbiamo considerarle come il risultato finale di una elaborazione che ci dice cosa e perché è successo, ma dobbiamo considerarli come elementi di partenza da elaborare, abbiamo dunque bisogno di una metodologia che ci permetta di organizzarli, cioè di capirli.
Per spiegare meglio il pensiero di Thom riportiamo un altro passaggio del suo libro “Parabole e catastrofi” del 1980:
Pensiamo alla mitologia platonica della caverna: come gli uomini della caverna, non vediamo altro che i riflessi delle cose e per passare dal riflesso alla cosa stessa bisogna moltiplicare le dimensioni dello spazio e e munirsi di una sorgente che nel caso di Platone è il fuoco, il fuoco che illumina. La teoria delle catastrofi suppone appunto che le cose che vediamo sono solo riflessi e che per arrivare all’essere stesso bisogna moltiplicare per uno spazio ausiliare e definire in questo spazio prodotto l’essere più semplice che per proiezione da origine alla morfologia osservata.
In poche parole, i fatti come vengono proposti sono solo delle ombre della realtà e per decifrarli bisogna aggiungere delle “dimensioni” nascoste, bisogna cioè necessariamente fare delle congetture alla luce di un’ipotesi interpretativa. Questo ampliamento delle dimensioni in cui si svolgono le vicende è proprio quanto fa chiunque suggerisce ipotesi e connessioni supplementari, e anche se molte di queste interpretazioni saranno errate il loro valore è nel suscitare interrogativi e “moltiplicare le dimensioni” del fatto osservato.
Una definizione semplificata di questo meccanismo l’ho trovata qualche giorno fa in un commento ad un articolopubblicato sul sito Comedonchisciotte, uno di quelli che svolge proprio questa funzione di moltiplicatore di dimensioni, l’autore dell’intervento è “Toussaint”:
La controinformazione funziona così. Le prove non possono che essere di tipo induttivo. La verità di tipo giuridico, semmai dovesse venir fuori, si può ottenere dopo decenni. La controinformazione si basa sulle analisi politiche, sul ragionamento, sulla consultazione di documenti riservati, su testimonianze ‘coperte’. Se uno avesse prove di tipo giuridico andrebbe in Tribunale, non scriverebbe sui siti di contro-informazione.Su Ustica ci hanno detto per trent’anni che era stata una bomba, poi si è scoperto che era stato un missile. Nel corso degli anni erano stati in molti a scrivere che si trattava di un missile aria-aria. Che prove di tipo giuridico avevano fornito? Eppure avevano ragione.Qualcuno, poi, ha verificato le notizie ‘ufficiali’? Devo fare l’elenco delle cavolate che l’informazione mainstream spaccia per ‘verità’? Eppure quasi tutti ci credono. Ricordate, ad esempio, i primi bombardamenti dei Turchi? Per un mese l’informazione ufficiale ci ha detto che stavano bombardando l’Isis, poi abbiamo scoperto che avevano bombardato i Curdi, alleati degli Stati Uniti. Imbarazzante, vero?
Prove di tipo induttivo, non giuridico, analisi che esulano dai fatti certi per aprire scenari e collegamenti nascosti, questa è la contro informazione, e si tratta di un metodo che ha una sua legittimazione teorica alla luce della quale chi usa il termine dispregiativo “complottismo” compie un’operazione di appiattimento della realtà che porterà all’accettazione delle “ombre” proiettate sulla parete della caverna di Platone.
Per via del suo uso strumentale e riduzionista l’uso di tale termine va quindi respinto e considerato come un tentativo di chiudere il confronto evitando gli argomenti proposti con una denigrazione dell’interlocutore, o come segno di un errore metodologico.
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