ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 21 novembre 2015

Le tradizionali pulci

Recensione del libro
Roberto de Mattei: Apologia della Tradizione



Tratta dal sito di Don Curzio Nitoglia

Pubblicata su Le Sel de la Terre - N° 94 – autunno 2015



Edizione italiana:
Roberto de Mattei, Apologia della Tradizione, Lindau, Torino, 2011

Edizione francese:
Roberto de Mattei, Apologie de la Tradition, Editions de Chiré, Chiré-en-Montreuil, 2015


Roberto de Mattei (RdM) è già noto ai nostri lettori: il suo libro “La crociata del 20° secolo, Plinio Corrêa de Oliveira” è stato recensito in Le Sel de la Terre n° 25 (estate 1998, p. 184).
RdM è uno storico e non un teologo. Questo spiega senza dubbio alcune debolezze che segnaliamo qui.

L’Apologia della Tradizione si divide in due parti: la prima è storica e descrive un certo numero di crisi della Chiesa, la seconda ricerca quale regola di fede da utilizzare in periodo di crisi.
Ma in queste due parti l’opera sembra fare sia il processo al magistero sia l’apologia della Tradizione.

Breve affresco storico

Nella prima parte, RdM non risparmia le sue critiche contro i papi:
- Il papa Liberio ha favorito l’eresia (p. 11) e se all’epoca si fosse seguito alla lettera il principio «Ubi Petrus, ibi Ecclesia» - Là dov’è Pietro lì è la Chiesa – si sarebbe «caduti nell’errore di Liberio e abbandonata l’ortodossia» (p. 27).
- Il papa Zosimo meritò di essere accusato di favorire l’eresia pelagiana (p.33).
- Il papa Vigilio è stato accusato dai difensori della fede ortodossa di aver difeso l’eresia del monofisismo (p. 37).
- Il papa Onorio è giudicato molto severamente: egli «avallò il monotelismo» (p. 39) e la sua «eresia fu infallibilmente riconosciuta dal 3° concilio di Costantinopoli» (p.41).

La lista dei papi scandalosi (p. 45) che hanno disonorato la Chiesa (p. 46),  che furono accusati di spergiuro e di simonia (p. 48), che sostennero come persone private delle tesi eretiche portando gravi responsabilità davanti al tribunale della storia (p. 53), è ancora lunga.
Anche Innocenzo III, uno dei più grandi papi del Medio Evo, sarebbe in Purgatorio fino alla fine del mondo (p. 51). E ci fermiamo con i papi umanisti del Rinascimento, «piaghe per la Chiesa», «fatali alla Sede apostolica», che hanno «causato un grave danno alla Chiesa» (p. 74).
RdM avrebbe potuto far notare che se questi papi del Rinascimento tennero dei costumi scandalosi, il loro bollario non contiene alcun errore.

RdM arriva ad accusare il magistero di tutta la Chiesa: per 60 anni, il «magistero vivente della Chiesa ha cessato di riaffermare con chiarezza la verità cattolica» (p. 28), o come dice il «beato (1)» Newmann «la Chiesa docente non si è sempre dimostrata uno strumento attivo della Chiesa infallibile (2)».

Affermazioni erronee, poiché vi sono stati sempre, anche nelle ore più buie, dei prelati che hanno insegnato pubblicamente la verità e che erano i veri rappresentanti del magistero della Chiesa (3). Essi erano dei fari che illuminavano la Chiesa e attorno a cui si raggruppavano i veri cattolici: al tempo dell’eresia ariana, il segno di cattolicità era il dirsi in comunione con Sant’Atanasio, come dopo il Vaticano II fu il seguire Mons. Lefebvre. Chiaramente, RdM questo non l’ha capito.

D’altronde, Mons. Lefebvre è il grande assente in quest’opera, cosa che è un problema quando, nel 2015 [2011], si fa un libro sulla Tradizione destinato a vendersi negli ambienti della Fraternità San Pio X. Il nome del grande difensore della Tradizione lo si trova solo in due occasioni nelle note a pie’ di pagina (p. 136 e p. 157) (4).

Quando RdM individua il nome di un difensore della fede nel 20° secolo, questo è solo quello di Plinio Corrêa de Oliveira:
Nel corso della storia, questo ruolo [di trasmissione della fede grazie al «sensus fidei»]è stato anche svolto da dei semplici laici: basta ricordare, tra i moderni, il contributo di Joseph de Maistre all’affermazione del primato romano, o la difesa della Chiesa da parte di grandi autori quali Louis Veuillot e Juan Donoso Cortes, nel 19° secolo, o di Plinio Corrêa de Oliveira nel 20° secolo (5).

La regola della fede

Nella seconda parte, RdM ricerca quelli che sono i «luoghi teologici», cioè le fonti d’autorità sulle quali appoggiarsi in teologia (ricordiamo che in teologia l’argomento d’autorità è il principale, mentre l’argomento di ragione è il secondario (6).
Appoggiandosi ai lavori di Melchor Canu (O. P. 1509-1560), egli ne enumera 10 e conclude per «l’assenza del magistero tra i luoghi teologici»:
Tra i luoghi teologici enunciati da Melchor Cano, il «magistero» non figura. Questo termine ha incominciato a diffondersi nel vocabolario teologico solo nel 19° secolo. In realtà, il magistero non è un soggetto teologico autonomo in sé, ma un potere o – se si preferisce – una funzione della Chiesa. A fronte del liberalismo,  numerosi teologi vollero rafforzare il ruolo di questo potere proponendolo come «regola diretta» della fede, come se il magistero potesse riassumere in sé la Chiesa, i concilii e il papa [p. 101].

È difficile essere più confusi e inesatti in così poche parole.
Per prima cosa bisogna intendersi sul senso del termine «magistero». Il magistero è un «potere» della Chiesa, ma questo potere, come ogni essere relativo, si definisce per il suo oggetto. Qui, il soggetto del magistero (il papa e i vescovi) esercita il suo potere dando gli insegnamenti o gli atti del magistero. Si può dire dunque che il magistero è «soggettivamente» (da parte del soggetto) un potere, ma questo non gli impedisce di essere anche una realtà oggettiva: un insegnamento.
Non è il «potere» ad essere «regola diretta» della fede (p. 98, p. 101), ma è l’insegnamentodel magistero, almeno quand’è infallibile, ad essere regola prossima della fede. Basta considerare l’«atto di fede»: «Mio Dio, credo fermamente tutto quello che tu hai rivelato e lasanta Chiesa ci propone a credere…», cioè che «la santa Chiesa ci propone a credere», è esattamente l’insegnamento del magistero.

«In realtà», per riprendere l’espressione di RdM, il magistero fa parte dei «luoghi teologici» proposti da Melchor Cano. Forse il termine non vi è impiegato, ma è presente la realtà. Essa si trova contenuta nel 3°, 4° e 5° luogo teologico tra quelli elencati dal teologo domenicano: «l’autorità della Chiesa cattolica» (il magistero ordinario universale), «l’autorità dei concilii» (il magistero solenne dei concilii), «l’autorità della Chiesa romana» (il magistero pontificio).

Il magistero non è «assorbito» da questi luoghi teologici (al punto da sparire!), come dice RdM, esso vi si identifica: l’insegnamento della Chiesa universale, dei concilii e di Roma, è il magistero. Come dice il Padre Ambroise Gardiel, i luoghi teologici 3°, 4° e 5° di Melchor Cano, e cioè il magistero, formano un luogo teologico «dichiarativo ed efficace» (7). Essi hanno «un valore conservativo del deposito, di interpretazione del dato, di trasmissione» (8).

RdM afferma che il termine «magistero» è di origine recente (9), lasciando intendere che anche la nozione sarebbe recente, risalente al 19° secolo:
È tuttavia significativo che la voce «magistero» non esiste nel celebre Dictionnaire de théologie catholique (1909- 1950) [p. 101].
«In realtà», per riprendere ancora l’espressione del nostro autore, il DTC tratta del magistero per 25 colonne, sotto la voce «Chiesa».

Da dove verrebbe allora questa novità del magistero? Da un’influenza protestante, secondo RdM:
Fu solo a partire dal 19° secolo che i teologi e, soprattutto, i canonisti tedeschi introdussero una potestas magisterii a fianco della potestas iurisdictionis, sotto l’influenza protestante del «primato della parola» che, secondo i protestanti, appartiene a tutti i battezzati senza eccezione [p. 116].

Ma questa divisione tripartita del potere della Chiesa ha un fondamento nelle parole stesse di Nostro Signore, che ordina agli Apostoli: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni [potere di magistero], battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo [potere di ordine], insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato [potere digiurisdizione]» (Mt 28, 18-19).

Senza dubbio, si possono raggruppare i poteri di magistero e di governo (o di giurisdizione in senso stretto) sotto il titolo generico di potere di giurisdizione in senso lato. Resta tuttavia che i poteri di magistero e di governo sono distinti quanto alla loro estensione, al loro oggetto e al loro effetto:
-    quanto all’estensione: tutti gli uomini che hanno conoscenza della Chiesa devono essere istruiti, mentre solo i battezzati sono sottomessi al potere di governo.
-    L’oggetto del potere di magistero è immutabile e universale, il deposito rivelato, mentre le leggi sono mutabili e non necessariamente universali.
-    Quanto all’effetto: da un lato vi è l’obbligo di credere e dall’altro l’obbligo di obbedire.
I tre poteri di ordine, di governo e di magistero corrispondono ai tre attributi di Nostro Signore: Sacerdote, Re e Profeta.

Altra affermazione discutibile di RdM:
Non esiste formula più equivoca di quella che vorrebbe che il magistero interpreti la Tradizione.
Il termine Tradizione infatti è inteso come insegnamento oggettivo e circoscritto al passato. Il termine magistero invece è assunto in senso soggettivo, identificandosi con l’autorità che insegna e che si esprime al presente. Questo magistero attuale, detto «vivente», diventa la fonte del magistero oggettivo, e il magistero «vivente (10)» diventa a sua volta la regola ermeneutica della Tradizione, come se quest’ultima non fosse un magistero perenne e vivente [p. 120].

La formulazione è confusa e aggrovigliata, al punto che ci si chiede se il traduttore non abbia commesso qualche errore o se non vi sia un errore di stampa come abbiamo segnalato in nota.

Il magistero è «l’organo della Tradizione»: l’espressione è frequente in Franzelin (11) ed altri (12).
Questo magistero ha per oggetto il «conservare santamente la dottrina rivelata ed esporla fedelmente» (Canone 1322 del Codice del 1917) «di predicare, di conservare e diinterpretare la parola di Dio scritta o trasmessa» (13). La parola di Dio scritta o trasmessa (la Bibbia e la Tradizione) può essere mal compresa ed è per questo che la Chiesa gode di un magistero che interpreta la Tradizione.
Melchor Cano impiega questa espressione a più riprese (14). Il teologo domenicano spiega che la Chiesa non fa dello psittacifismo, ripetendo senza comprendere alla maniera di un pappagallo. Essa non conserva solo la lettera della Rivelazione, ma anche il senso e lo spirito di questa: «La Chiesa di Cristo conserva e conserverà sempre queste due cose: la parola e lo spirito della parola» (15).
Nei duemila anni di esistenza della Chiesa, il magistero è dovuto intervenire molto volte per chiarire questo punto, giudicando tra opinioni diverse, esplicitando ciò che era implicitamente contenuto nella Sacra Scrittura o nella Tradizione, ecc.
Quello che è nuovo nella Chiesa conciliare è che il neo-magistero oggi ha bisogno a sua volta di un’interpretazione o di una ermeneutica (16). Fino al Vaticano II, gli insegnamenti del magistero erano sufficientemente chiari di per sé e generalmente non avevano bisogno di essere interpretati (17). Come dice a ragione RdM, il Vaticano II ha reso confuso ciò che era chiaro (154). E questo proprio perché è un magistero infedele, cosa che RdM non dice.

Misconoscenza della crisi

Così, da una parte RdM deprezza il ruolo del magistero, appannando esageratamente le attitudini dei papi del passato e pretendendo che il magistero non sia un luogo teologico.Dall’altra, egli accorda un’autorità esagerata al magistero conciliare:
Il magistero del Vaticano II è un magistero ordinario, autentico, supremo, e in quanto tale merita tutto il nostro rispetto e tutta la nostra attenzione [p. 152].
Il concilio Vaticano II, in quanto riunione solenne dei vescovi uniti al Papa, ha proposto degli insegnamenti autentici che certo non sono privi di autorità. Il suo magistero è sovrano e supremo [p. 156].

Così egli cita frequentemente in buona parte Benedetto XVI (p. 1, 2, 122, 127, 133-134, 159) e la Congregazione per la Dottrina della Fede (p. 138, 146, 147, 153), nonché Giovanni Paolo II (p. 146 e 147), il concilio Vaticano II (p. 132) o il Codice di Diritto Canonico (p. 140).
Siamo lontanti dal modo di fare di Mons. Lefebvre che evitava di citare positivamente questopseudo-magistero.

RdM misconosce il carattere proprio e particolare dell’attuale crisi nella Chiesa. Il magistero attuale insegna degli errori, e non perché il magistero della Chiesa possa sbagliare (tesi del libro (18)), ma perché si tratta del magistero della Chiesa conciliare, un magistero infedele (19), uno pseudo-magistero, che non trasmette la Tradizione, ma veicola le idee del mondo (20). Tale che ne deriva una situazione inaudita e una crisi senza precedenti.
Citiamo qui un’eccellente analisi di Don Jean-Michel Gleize che i nostri lettori conoscono già (21) e che avrà il vantaggio di correggere anche le esagerazioni di RdM circa gli errori dei papi:
Nel passato, è potuto accadere che dei papi non siano stati all’altezza della loro missione. Essi sono potuti venir meno una volta o l’altra al loro ruolo di pastori, mettendo in pericolo più o meno grave, più o meno diretto, l’unità della fede nella Santa Chiesa. Ma questa attitudine si spiega per dei motivi di ordine essenzialmente morale. Nessuno di questi papi fu attaccato all’errore per convinzione intellettuale. Essi sbagliarono tutti senza dare un’adesione essenzialmente intellettuale all’errore, e questo si è verificato sia per una mancanza di coraggio nell’ambito delle persecuzioni, come nel caso di Liberio, sia per una certa ingenuità e un eccesso di conciliazione, come nel caso di Onorio e Vigilio, sia infine per una sorta di intemperanza teologica, come in Giovanni XXII. L’attitudine più grave di tutte, quella di Papa Onorio, meritò la censura favens hoeresim (22). Essa non ha comportato a questo Papa di essere condannato come eretico formale […] Ma rispetto a questi casi isolati, l’attitudine costante di tutti i papi da dopo il concilio Vaticano II, presenta tutt’altro aspetto. La predicazione quotidiana dei sommi pontefici è costantemente inquinata dai falsi principii della libertà religiosa, dell’ecumenismo e della collegialità. Si tratta di errori gravi che sono la conseguenza di quell’«eresia del 20° secolo», per riprendere l’espressione di Jean Madiran, che è l’eresia modernista. Errori costanti e ripetuti, di Giovanni XXIII, Paolo VI e Benedetto XVI, errori che non sono la conseguenza di una debolezza o di un’ingenuità passeggere, ma sono invece l’espressione di una sostanziale adesione dell’intelligenza, l’affermazione di una convinzione ben maturata.Ecco perché una tale situazione è del tutto senza precedenti (23).

Cosa che non significa che il magistero della Chiesa cattolica non esista più. Il Papa e i vescovi, almeno quelli che ancora fanno parte della Chiesa cattolica, continuano a trasmettere l’insegnamento del passato (col quale però pretendono – a torto – che il loro insegnamento conciliare sarebbe compatibile) almeno in maniera implicita e tacita (24), insegnamento del passato che è trasmesso esplicitamente dai rappresentanti della Tradizione.
Contrariamente a ciò che lascia intendere RdM, la Chiesa, col suo magistero ordinario universale infallibile, ha continuato a trasmettere in ogni istante l’insieme del deposito della fede, anche oggi nel 2015, a fortiori nelle epoche di disordine che RdM descrive e che furono lungi dall’avere la stessa gravità. Diversamente, come già abbiamo detto sopra, non potremmo più fare l’atto di fede.

Osservazioni complementari

Segnaliamo alcuni altri punti discutibili del libro.
RdM attribuisce un’autorità esagerata al «sensus fidei», basandosi su una falsa citazione di San Tommaso d’Aquino:
«Lumen fidei – scrive San Tommaso – facit videre ea quae creduntur» (II-II q. 1, a. 4, ad 3): la luce della fede fa vedere ciò che si crede [p. 127].

Bisogna leggere: «Lumen fidei facit videre credibilia esse ea quae creduntur»: la luce della fede fa vedere che le cose che si credono sono credibili.
Si converrà che non è esattamente la stessa cosa.

L’autore scrive altrove:
San Tommaso d’Aquino, in diverse delle sue opere, insegna che è lecito ed anche obbligatorio, in casi estremi, resistere apertamente contro una decisione pontificia [p. 137].

RdM non dà alcun riferimento: il testo che egli cita in questo contesto parla della resistenza di San Paolo ad un comportamento di San Pietro, non ad una «decisione pontificia» (un atto del magistero).

RdM scrive anche: «il magistero ordinario è infallibile solo nella sua continuità» (p. 145). Non è esatto. Il magistero ordinario universale non ha bisogno di continuità nel tempo. Noi abbiamo più volte trattato questa questione e non ci ritorneremo qui (25).

Osserviamo, per finire, che certi recensori, indubbiamente ingannati dal titolo del libro, hanno fatto dire a RdM il contrario di ciò che egli scrive. Per esempio, un recensore crede di trovare nel libro una critica dell’espressione «tradizione vivente». Ma in realtà, RdM impiega questa espressione una volta sola e in senso favorevole: «Come ha ripetuto Benedetto XVI “la Tradizione vivente della Chiesa costituisce la regola suprema della fede”» (p. 122).

Conclusione

E sorprendente che questo libro goda di una tale pubblicità negli ambienti della Tradizione. Lo si trova raccomandato senza alcuna riserva (26), e il suo autore è invitato a tenere delle conferenze in tutta la Francia, in ambiti prestigiosi e con tanta pubblicità.
Ora, questo libro sega il ramo su cui siamo seduti (la solidità del magistero) e fornisce ai nostri nemici delle verghe con cui batterci (riconoscendo una grande autorità al Vaticano II).

Breve richiamo sulla TFP

RdM si presenta lui stesso come un discepolo del Prof. Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), fondatore della TFP (Tradizione Famiglia Proprietà). Egli lo ha frequentato per una ventina d’anni, prima di scriverne la biografia ufficiale.
Noi abbiamo pubblicato in Le Sel de la Terre degli estratti dello studio di Carlo Alberto AGNOLI e Paolo TAUFER: TFP, Maschera e volto, [ed. Adveniat, Rimini] (27). Riprendiamo grevemente alcuni punti:
I [suoi] militanti sono convinti dell’imminenza di un grande conflitto – che chiamano “la battaglia” – tra le potenze angeliche e le demoniache, che si affronteranno in maniera visibile. In quei giorni, gli angeli circonderanno con la loro protezione gli uomini della TFP – gli eletti di un mondo perduto – che stabiliranno sulla terra rinnovata, sotto le insegne della loro associazione, il regno di Maria, regno dove non vi saranno più preti né Messa e dove sussisterà solo la devozione alla santissima Vergine (28).

Nella TFP esisteva, al tempo di Plinio, una «sorta di società segreta denominata Sempre vivae votata ad un culto “assurdo e delirante” del capo della TFP. La consacrazione della santa schiavitù alla Santa Vergine, secondo Louis-Maria Grignon de Monfort, era fatta attraverso il dottor Plinio e diventava una professione di schiavitù nei confronti dello stesso professore» (29).
La TFP è legata al movimento neoconservatore americano. Mentre combatte il comunismo e la massoneria di sinistra, è indulgente con la massoneria di destra e non denuncia la mano nascosta dietro la massoneria e il comunismo.

NOTE

1 – L’autore ammette la validità delle beatificazioni post-conciliari, mentre invece noi pensiamo, con Mons. Lefebvre, che siano dubbie.
2 – RdM cita questa frase di Newmann: «Fu il popolo cristiano che, sotto la protezione della Provvidenza, costituì la forza ecclesiastica di Atanasio, Ilario, Eusebio di Vercelli, al pari di altri grandi e solitarii confessori della fede, che sarebbero stati più deboli senza questo sostegno.» E’ quanto meno strano supporre che sarebbero le pecore ad aver dato la forza ai loro pastori, soprattutto a dei pastori come sant’Atanasio e Sant’Ilario.
3 – Si veda lo studio di Don Philippe MARCILLE, al 2° Colloquio di Si Si No No, «La crise du magistère ordinaire universel», in Église et Contre-Église au concile
Vatican II, Courrier de Rome, 1996, p. 255 (in particolare le pp. 281 e ss.).
4 – Nella nota 117 (p. 136), RdM cita «la lettera inviata il 21 novembre 1983 da Mons. Marcel Lefebvre e Mons. Antonio de Castro Mayer al papa Giovanni Paolo II a proposito dei diversi errori contenuti nel nuovo Codice di Diritto Canonico e delle cerimonie che si sono svolte in occasione del quinto centenario di Lutero». Ora, questa lettera parla di tutt’altra cosa. Tuttavia, questo documento ebbe una grande pubblicità, ma, come segnala Jean Madiran «non si può evitare di segnalare che [questo manifesto] non venne sostenuto dalle pubblicazioni della TFP, che invece evitarono di farne la minima allusione» (Itinéraires 292, p. 154).
5 – P. 133. RdM qui rinvia alla sua biografia di Plinio. Le opere di Plinio sono raccomandate alle pp. 65 e 127.
6 – In teologia, la ragione (per mezzo della filosofia) è al servizio della fede. E la fede si appoggia sull’autorità di Dio che rivela.
7 – DTC, «luoghi teologici», coll. 717-718.
8 – Ibid.
9 – Egli si basa in particolare su un lavoro di Yves Congar O. P., «Per una storia semantica del termine magisterium», Revue des sciences philosophiques et théologiques, n° 60, 1976, pp. 85-98.
10 – Ci si chiede se qui non vi sia un errore e se non bisognerebbe leggere «oggettivo» invece di «vivente».
11 - «l’organo della Tradizione e cioè i successori degli Apostoli». Card. Jean-Baptiste FRANZELIN, La Tradition, traduzione annotata del testo latino del 1870 da Don Jean-Michel Gleize, Courrier de Rome, 2008, p. 88 (tesi 7, appendice; si vedano anche le tesi 9 e 10). Don Gleize dice nella sua prefazione: «Il magistero ecclesiastico, che è l’organo della Tradizione divina, è un magistero costante» (p. 18).
12 – Per esempio, in Louis BILLOT S. J., l’organo della Tradizione è «la successione della gerarchia ecclesiastica a cui Cristo ha affidato, con il carisma dell’assistenza perpetua, il compito di trasmettere, di conservare e anche di insegnare e di spiegare infallibilmente tutta la Rivelazione nella sua integralità» (De sacra Traditione, Roma, 1904, p. 7).
13 – Schema del card. Ottaviani per il concilio Vaticano II. Si veda Le Sel de la Terre 34, autunno 2000, p. 41.
14 – Si veda De Locis theologicis, 1, 12, c. 5 (per esempio pp. 291, 292, 293 nell’edizione di Venezia del 1759).
15 – Idib. P. 291.
16 – Si veda Mons. TISSIER DE MALLERAIS, «La Fede in pericolo per la ragione», Le Sel de la Terre n° 67, inverno 2008-2009 [pubblicato in italiano su questo sito].
17 – La domanda proposta da RdM: «se la Tradizione avesse bisogno di essere interpretata dal magistero, dovremmo chiederci chi interpreta il magistero» (p. 120), è una domanda oziosa.
18 – RdM dice che una tale erranza è un caso eccezionale (p. 98), ma l’elenco da lui presentato nella prima parte è lungo.
19 – Si veda la conferenza di Mons. Lefebvre tenuta ad Angers il 23 novembre 1980, pubblicata in opuscolo dalle Editions du Sel col titolo: «Bilan de quinze années de riforme conciliaires [Bilancio di quindici anni di riforma conciliare]». Si veda anche: Mons. LEFEBVRE, Vatican II, L’Autorité d’un concile en question, numero 13 di Vu de haut(Rivista de l’Institut Universitaire Saint-Pie X, 21 rue du Cherche-Midi, 75006 Paris), 80 pp.
20 – Rinviamo in particolare agli studii di Don Calderon, pubblicati in Le Sel de la Terre, che dimostrano come il «magistero conciliare» funzioni in maniera dialogata, cercando di interpretare la coscienza ecclesiale, rinunciando per ciò stesso ad essere un magistero in senso stretto («Questioni disputate sul magistero conciliare», Le Sel de la Terre 47, 55 e 60).
21 – La citazione (più completa) si trova in particolare in Le Sel de la Terre 79 (inverno 2011-2012), pp. 38-39.
22 – Cosa che corregge l’opinione esagerata di RdM riportata prima.
23 – Don Jean-Michel GLEIZE, Vu du Haut 14, (2008), pp. 95-96.
24 - «A volte la Chiesa parla espressamente, ci presenta la sua dottrina mista
o meno ad altri elementi; a volte agisce o traccia la via che i suoi figli devono seguire, e i suoi atti diventano un insegnamento implicito; il più sovente essa tace, e lasciandoci parlare ed agire in conformità con i suoi insegnamenti precedenti e con le regole che ha posto, esercita un magistero tacito che conferma gli atti del suo magistero esplicito e del suo magistero implicito.» J.-M.-A. VACANT, Le Magistère ordinaire de l’Eglise et ses organes, Delhomme et Briguet, 1887.
25 – Si veda per esempio: Le Sel de la Terre 34 (autunno 2000), p. 48.
26 – Per esempio, sul sito di Clovis: «Un’opera che rimette le cose al loro posto, ragionando a partire dagli storici, dai teologi e dagli insegnamenti più sicuri».
27 – Le Sel de la Terre 7 (inverno 1993-1994), 8 (primavera 1994) e 10 (autunno
1994). Si veda anche Le Sel de la Terre 28 (primavera 1999), p. 185; 39 (inverno 2001-
2002), p. 262; e 46 (autunno 2003), p. 266.
28 - Le Sel de la Terre 7 (inverno 1993-1994), p. 152.
29 - Le Sel de la Terre 7 (inverno 1993-1994), pp. 155-156.

La lezione di Gustave Thibon: Dopo la modernità la Tradizione 

“Quando piango sulla rottura di una tradizione è soprattutto all’avvenire che penso. Quando vedo marcire una radice ho pietà dei fiori che seccheranno per mancanza di linfa. (Gustave Thibon, L’uomo maschera di Dio.)

di Piero Vassallo
.
zzzzil realismo dell'incarnazione COPL’Occidente postmoderno è agitato e tormentato da due convergenti e associati vizi di pensiero: un’oscura, sotterranea e implacabile avversione alla verità cristiana e una ecumenica indulgenza nei confronti delle più abbaglianti adorazioni del progresso e/o del regresso.
In altre parole: la religione cattolica, alterata e stordita dal tuffo conciliare nel vuoto soggiacente alla finestra buonista, risorge davanti alla porta di una modernità sfondata dai contrari segnali della storia.
I progressisti rinculano nascondendo la sterilità del loro pregiudizio, puntualmente ridicolizzato da Gustave Thibon: “tutto ciò che non appartiene all’eternità appartiene al tempo perduto”.
 Il progresso meccanico dell’Europa corre in direzione dei vicoli ciechi tracciati dall’impotenza laicista al cospetto dell’islam e affumicati dal fuoco crepuscolare alimentato dalla tradizionale stupidità dei politicanti americani.
Di qui la ritornante attualità degli impavidi pensatori cattolici e/o reazionari [1], che hanno tentato di arrestare la forsennata corsa della Francia, motrice laica, democratica e progressiva dell’Occidente, verso il traguardo dal gauchismo e/o dalla neo-destra: il patibolo costruito dai laicisti in vista della decapitazione della civiltà cristiana.
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Alla intrepida/irriducibile aristocrazia reazionaria appartiene Gustave Thibon (1903-2001), il filosofo contadino, al quale il molisano Nicola Tomasso ha dedicato un dotto e pregevole saggio, Il realismo dell’incarnazionepubblicato in questi giorni nella collana della teatina Tabula Fati.
L’autore sostiene che Thibon è attuale perché dimostra che la fede cattolica è capace di risolvere, senza compromettersi con le suggestioni emanate dal falso ecumenismo, il dilemma che tormenta la Cristianità contemporanea: “Non abbiamo che la scelta tra i due termini di questa alternativa: restaurare, mediante l’armonia un ordine vivente o lasciarci imporre un ordine morto o mortale da una forza senz’anima che annichilirà tutte le altre!”
Nell’euforia ronzante nel vaniloquio dei nuovi teologi, nella patetica convinzione di poter battere l’ateismo e addomesticare l’invasione islamica, Thibon vede il risultato“delle virtù allo sciroppo, alla salamoia o al bagnomaria, che uccidono la fecondità al fine di ritardare un poco la corruzione”.
Intorno alle tenerezze mentale dei teologi aggiornati si squadernano puntualmente gli effetti della nevrosi moderna: “non si sa più aspettare, ci si precipita fino all’estremo limite di tutte le possibilità di godimento. … Una tale fretta è indizio di un profondo esaurimento del carattere”. In sintonia con Thibon, Tomasso sostiene che tutti gli orrori totalitari discendono dalle dolci illusioni a monte della sanguinaria rivoluzione giacobina.
Al seguito delle tragedie al seguito della farsa del 1789, sta l’odio degli immoralisti conto il paterno principio di autorità, e con esso la rovente avversione al senso comune: “da un lato si diffonde una incapacità nel classificare razionalmente Dio, dall’altro si mette in discussione l’esistenza di princìpi universalmente validi e quindi inevitabilmente di valori universalmente validi”.
Puntualmente Tomasso rammenta che tale diagnosi svela la necessità “di una riappropriazione da parte dell’uomo delle radici spirituali e terrestri, di un recupero dei legami tradizionali e del rapporto tipico tra uomo e terra”.
Il ritorno al realismo della terra “questo perpetuo controllo del fatto sull’idea”, è la via d’uscita dal vicolo cieco battuto dalla ideologia schizofrenica, infatti “il panorama che la modernità ci offre è una separazione arida: da un lato una corsa sfrenata verso la novità, una agitazione ansimante verso il cambiamento, l’adesione a ideologie mortifere e luciferine; dall’altro una schiera di sepolcri imbiancati, che credono di realizzare il regno di Dio su questa terra”…
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[1] Maurice Bardèche, Charles Maurras, Georges Bernanos, Etienne Gilson, Réginald Garrigou-Lagrange, Paul Claudel, Gabriel Marcel, il primo Jacques Maritain ecc. In Italia le idee del cattolicesimo antimoderno furono interpretate dal filosofo Cornelio Fabro e dagli scrittori Giovanni Papini, Domenico Giuliotti, Piero Bargellini, Guido Pallotta e Niccolò Giani.

– di Piero Vassallo

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