ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 10 dicembre 2015

"Convertimini omnes"

Presentato il nuovo documento sul dialogo tra ebrei e cristiani: "Ancora molto da fare"

Il cardinale Koch: "Nessuna soluzione dottrinale definitiva". Il rabbino Rosen: "Non è menzionata la centralità di Israele"


Papa Francesco davanti al Muro del pianto durante la sua visita in Terra Santa, nel 2014 (LaPresse)

Roma. Si è tenuta questa mattina, nella Sala stampa della Santa Sede, la presentazione del nuovo Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, intitolata "Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili". Nel dettaglio, si tratta di riflessioni su diverse questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del cinquantesimo anniversario del documento conciliare Nostra aetate.
Il primo a prendere la parola è stato il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la Promozione dell'unità dei cristiani, che dopo aver ricordato il convegno tenuto lo scorso ottobre all'Università Gregoriana ha detto che "se è vero che nel corso della storia della Chiesa non sono mancate dichiarazioni ufficiali in merito all'ebraismo o alla convivenza tra cattolici ed ebrei, è altrettanto vero che Nostra aetate (n.4) presenta, per la prima volta, la decisa posizione teologica di un Concilio nei confronti dell'ebraismo. La dichiarazione – ha aggiunto Koch – ricorda espressamente le radici ebraiche del cristianesimo". Il documento di oggi è "esplicitamente teologico" e intende "riprendere e chiarire le questioni che sono affiorate negli ultimi decenni nel dialogo ebraico-cattolico". Il porporato svizzero ha voluto sottolineare che prima di questo testo "nessun altro documento di stampo teologico in senso stretto era stato pubblicato dalla nostra Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo". I precedenti, infatti, "riguardavano piuttosto tematiche concrete, utili al dialogo con l'ebraismo da un punto di vista essenzialmente pratico". Koch ha subito detto che questo "non è un documento ufficiale del Magistero della Chiesa cattolica", bensì di un "documento di studio il cui intento è quello di approfondire la dimensione teologica del dialogo ebraico-cristiano".

"Non si presentano affermazioni dottrinali definitive"

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Ma è la settima sezione quella di maggiore interesse, dove sono enunciati "da un punto di vista cattolico", gli obiettivi del dialogo ebraico-cattolico, "mai espressi in un documento in modo così esplicito". Oltre ad affermare l'impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo; dell'imperativo di assistere i poveri, i deboli e i malati, il documento aggiunge che "nell'ambito della formazione delle giovani generazioni ci si dovrebbe sforzare di rendere noti i risultati e i progressi compiuti nel dialogo ebraico-cattolico". Di estremo rilievo quanto messo per iscritto sull'antisemitismo: "Un altro importante obiettivo nel dialogo ebraico-cattolico consiste nella lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo". Koch ha sottolineato come molto sia stato fatto, ma "soprattutto dal punto di vista teologico siamo solo a un nuovo inizio: molte questioni rimangono aperte e richiedono un ulteriore studio".

"Necessari nuovi impulsi al dialogo"
Padre Norber Hofmann, benedettino e segretario della Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, ha ribadito che "il documento non intende assolutamente mettere un punto conclusivo a queste discussioni" e che "vuole essere uno stimolo al proseguimento e all'approfondimento della dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico". La Commissione per i rapporti religiosi con l'ebraismo, ha aggiunto Hofmann, "si richiama all'obiettivo che lo stesso Papa Francesco si è posto, ovvero far sì che il dialogo ebraico-cattolico acquisisca una maggiore profondità e ampiezza dal punto di vista teologico". Uno dei motivi per cui il testo viene pubblicato ora è che "il dialogo teologico tra ebrei e cattolici deve ricevere nuovi impulsi".

Le parole del rabbino Rosen
Il rabbino David Rosen, presente alla conferenza stampa, pur lodando il documento, ha rilevato come non sembra essere menzionata "la centralità che la terra di Israele gioca nella vita religiosa storica e contemporanea del popolo ebraico". Il riferimento del documento allo stato delle minoranze religiose come cartina di tornasole riguardo la libertà religiosa – ha aggiunto Rosen – "è particolarmente pertinente in medio oriente oggi". Il riferimento è alla "situazione dei cristiani in Israele, in deciso contrasto con quello in molti altri luoghi nella regione". Tuttavia, "l'importanza delle relazioni tra ebrei e cristiani in Terra Santa è anche una cartina di tornasole del livello con cui Nostra aetate e il successivo insegnamento del Magistero sono recepiti in particolare dove i cristiani sono una minoranza e gli ebrei una maggioranza, e non viceversa". Qui, ha detto Rosen, "ancora molto lavoro a livello di istruzione deve essere fatto".

Ultimo a prendere la parola è stato Edward Kessler, direttore e fondatore del Woolf Institute di Cambridge. "E' chiaro che molte delle principali questioni divisive sono state eliminate o discusse fino a trovare una intesa. Gli sforzi dei cattolici riguardo il rispetto dell'ebraismo hanno raggiunto livelli che sarebbero stati impensabili mezzo secolo fa". Fondamentale, però, ha aggiunto Kessler, è non dire 'il lavoro è fatto. L'agenda è completata".


25 rabbini: “Il cristianesimo è frutto della volontà divina e dono per le nazioni”

vitaReligiosa«Riconosciamo che il cristianesimo non è né un incidente né un errore, ma un frutto della volontà divina e un dono per le nazioni. Separando tra loro l’ebraismo e il cristianesimo Dio ha voluto creare una separazione tra compagni con differenze teologiche significative, non una separazione tra nemici». A dirlo sono 25 rabbini, tutti espressione del giudaismo ortodosso che, in Israele, negli Stati Uniti e in Europa, guidano comunità, istituzioni e/o seminari. Si tratta dei rabbini Jehoshua Ahrens, Steven Langnas (Germania), Marc Angel, Irving Greenberg, Asher Lopatin, Jeremiah Wohlberg (USA), Isak Asiel (Serbia), David Bigman, David Brodman, Natan Lopez Cardozo, Yehudah Gilad, Alon Goshen-Gottstein, Eugene Korn, Daniel Landes, Benjamin Lau, Shlomo Riskin, David Rosen, Naftali Rothenberg, Hanan Schlesinger, Daniel Sperber, Alan Yuter (Israele), David Bollag, Marc Raphael Guedj (Svizzera), Simon Livson (Finlandia), Shmuel Sirat (Francia)

L’affermazione è contenuta nel documento To Do the Will of Our Father in Heaven: Toward a Partnership between Jews and Christians (Per fare la volontà del nostro Padre in cielo: Verso un partenariato tra ebrei e cristiani), preparato in occasione della presentazione in Vaticano, la Santa Sede presenterà il nuovo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, intitolato Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º Anniversario di Nostra Aetate (n. 4).
Il rabbino David Rosen, direttore per le questioni interreligiose dell’American Jewish Committee, una delle maggiori istituzioni ebraiche mondiali sarà a Roma, accanto al cardinal Kurt Koch, alla presentazione del documento vaticano. Il testo firmato dai 25 rabbini ricorda che «dal Concilio Vaticano II l’insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica sull’ebraismo è cambiato in maniera radicale e irrevocabile. La promulgazione di Nostra Aetate cinquant’anni fa ha dato il via a un processo di riconciliazione tra le nostre due comunità. Apprezziamo l’affermazione della Chiesa riguardo all’unicità della posizione di Israele nella storia sacra e rispetto alla redenzione finale del mondo. Gli ebrei di oggi hanno ormai sperimentato amore sincero e rispetto da parte di molti cristiani, attraverso iniziative di dialogo, incontri e conferenze in tutto il mondo».
I rabbini ricordano anche che, visto «che la Chiesa cattolica ha riconosciuto l’Alleanza eterna tra Dio e Israele, noi ebrei possiamo riconoscere il perdurante valore costruttivo del cristianesimo come nostro partner nella redenzione del mondo, senza nessuna paura che questa comunanza possa essere sfruttata per finalità missionarie […] “Non siamo più nemici, ma inequivocabilmente compagni nell’articolare i valori morali essenziali per la sopravvivenza e il benessere dell’umanità”. Nessuno di noi può svolgere da solo la missione affidatagli da Dio in questo mondo».
Gli Ebrei (chiamati “i nostri fratelli maggiori” da Papa Giovanni Paolo II e “i nostri padri nella fede” da Papa Benedetto XVI) e cristiani «devono lavorare insieme come partner per affrontare le sfide morali della nostra epoca». Gesù, scrivono i rabbini, «ha portato un doppio bene al mondo. Da un lato ha rafforzato la Torah di Mosè maestosamente […] d’altra parte ha rimosso gli idoli delle nazioni». Ebrei e cristiani, concludono i 25 rabbini, «hanno una missione di alleanza comune per perfezionare il mondo sotto la sovranità dell’Onnipotente, in modo che tutta l’umanità invochi il suo nome e le abominazioni siano rimosse dalla terra. […] Ebrei e cristiani hanno in comune più di ciò che ci divide: il monoteismo etico di Abramo; il rapporto con il Creatore del Cielo e della Terra, che ama e si prende cura di tutti noi; una credenza in una tradizione vincolante e i valori della vita, della famiglia, della giustizia compassionevole, delle libertà inalienabili, dell’amore universale e della pace nel mondo». Naturalmente il dialogo interreligioso, ribadiscono i rabbini, non riduce «in nessun modo al minimo le differenze in corso tra le due comunità e le due religioni».
 Michele M. Ippolito  9 dicembre 2015  

IL RABBINO CAPO DI SEGNI E IL CARDINALE KOCH SULLA ‘NOSTRA AETATE’ – di GIUSEPPE RUSCONI - www.rossoporpora.org – 11 dicembre 2015
 Intervista al Rabbino Capo di Roma e ampi stralci della relazione del card. Kurt Koch tenuta all’Urbaniana per il  Convegno sui 50 anni della Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’, promosso dall’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede e dalla Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo – L’importante conferenza-stampa vaticana di giovedì 10 dicembre
La Dichiarazione ‘Nostra Aetate’ -approvata da 2221 padri conciliari (contro 88) e promulgata il 28 ottobre 1965 – è stata al centro il 2 dicembre di una mattinata di riflessione presso l’Università urbaniana, organizzata dall’ambasciata di Israele presso la Santa Sede e dalla Commissione vaticana per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Introdotto dall’ambasciatore Zion Evrony (che ha evidenziato come la Dichiarazione conciliare costituisca il primo passo di un cammino da proseguire sia per quanto riguarda i rapporti religiosi ebraico-cristiani che quelli politici riguardanti le relazioni tra Santa Sede e Israele), il Convegno ha ospitato un ampio intervento del professor Raymond Cohen (Università ebraica di Gerusalemme), che ha evidenziato da una parte l’importanza della Nostra Aetate per un “dialogo fraterno” e dall’altra ha rilevato lo sforzo intenso delle autorità israeliane per una convivenza pacifica tra le varie anime della società. Il rabbino Abraham Cooper ha illustrato la mostra – promossa dal Centro Simon Wiesenthal in collaborazione con l’Unesco – intitolata “Un popolo, un libro, una terra: i 3500 anni di relazioni tra il popolo ebraico e la Terra Santa”, mentre il Gabriel Coen Duo ha suonato due composizioni popolari ebraiche. Di seguito invece evidenziamo il pensiero di altri due relatori: il Rabbino Capo di Roma e il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani. Riccardo Di Segni ha risposto volentieri ad alcune nostre domande su qualche passo del suo intervento. Dell’ampia relazione del porporato svizzero-tedesco riportiamo invece i brani secondo noi più significativi..Infine alcune annotazioni sull’importante conferenza-stampa (avvenuta giovedì 10 dicembre in Sala Stampa vaticana) di presentazione del nuovo Documento della Commissione per i rapporti con l’ebraismo. 
RICCARDO DI SEGNI SU NOSTRA AETATE, VISITA DEL PAPA IN SINAGOGA E MISERICORDIA
Signor Rabbino Capo, intervenendo al Convegno del 2 dicembre sulla ‘Nostra Aetate’ presso l’Urbaniana (promosso dall’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede e dal Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani), Lei ha rilevato che nella storia della dichiarazione conciliare (pubblicata il 28 ottobre del 1965) si ritrova una sorta di “paradosso”: essa, pur costituendo un “cambiamento epocale” nelle relazioni ebraico-cristiane  “ha entusiasmato molti, ma molti di più ne ha delusi”. Che cosa ha inteso dire con tale asserzione? Il documento aveva dei difetti non minimi?
“Difetti” dipende dai punti di vista. Da parte di osservatori del mondo ebraico il documento conteneva una quantità di elementi problematici che solo in parte sono stati chiariti nella evoluzione successiva.
Lei ha citato, tra alcune reazioni di perplessità del mondo ebraico, un passo (contenuto nel volume “Le chiese cristiane e l’ebraismo 1942 -1982) riguardante il Suo predecessore rabbino capo di Roma Elio Toaff (peraltro noto anche per la sua amicizia con Giovanni Paolo II e per gli stimoli dati al dialogo interreligioso). Sulla ‘Nostra Aetate’ Toaff rilevò che “gli ebrei avrebbero potuto giudicare quelle parole solo se ad esse fossero seguiti i fatti”. Una cautela eccessiva quella di Toaff?
Il quel momento, “a caldo”, rav Toaff interpretava l’antica diffidenza e prudenza del mondo ebraico sostenuta anche dalle notizie della lenta gestazione del documento. Le vicende successive avrebbero fatto diventare rav Toaff l’icona dell’incontro, a dimostrazione che certi fatti, da lui attesi, si erano realizzati.
In ogni caso il “cambiamento”, se “epocale”, si fonda su fatti di notevole importanza… Ne può citare alcuni? 
La visita di Giovanni Paolo II alla Sinagoga di Roma, il suo viaggio in Israele, il riconoscimento dello Stato d’Israele, la produzione di documenti, e in generale il mutato clima di relazioni.
Perché, secondo Lei, è importante la visita di papa Francesco al Tempio Maggiore di Roma il prossimo 17 gennaio?
Prima di tutto come segno di continuità. Poi per l’urgenza del momento che richiama le religioni a responsabilità rispetto al mondo. 
La visita di papa Francesco cade durante l’Anno giubilare straordinario dedicato alla Misericordia. Secondo Lei la Misericordia su che cosa si fonda per essere vera?   
L’indissolubilità dalla giustizia.

DALLA RELAZIONE DEL CARDINALE KURT KOCH PRESSO L’UNIVERSITA’ URBANIANA (2 DICEMBRE 2015)

. LA “SVOLTA EPOCALE” DELLA ‘NOSTRA AETATE’Nell’ambito delle relazioni tra cattolici ed ebrei, la commemorazione di oggi ha il carattere di un piccolo Giubileo e noi abbiamo ottimi motivi di celebrarlo. ‘Nostra Aetate’ segna infatti una svolta epocale nel rapporto tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Questa svolta è iniziata in realtà in modo discreto, pressoché inosservata dall’opinione pubblica, con il colloquio avvenuto tra il santo papa Giovanni XXIII e lo storico ebraico Jules Isaak il 13 giugno 1960, quando Isaak presentò al Papa una riflessione con l’urgente richiesta di promuovere una nuova visione dei rapporti tra la Chiesa e l’ebraismo. Dopo solo pochi mesi da questo incontro, papa Giovanni XXIII assegnava il compito di preparare, per il Concilio, una Dichiarazione sul popolo ebraico, affidandone l’incarico al cardinale gesuita tedesco Augustin Bea, presidente del Segretariato per l’unità dei cristiani. Il cardinale Bea riconobbe subito l’importanza fondamentale di una simile Dichiarazione e già allora notò che essa avrebbe fatto parte dei grandi temi “per i quali la cosiddetta opinione pubblica mostra un grandissimo interesse”, giungendo così alla conclusione che “molti avranno un parere positivo o negativo sul Concilio in base all’approvazione o disapprovazione di questo documento”. Ciò che allora intuì il cardinale Bea con senso profetico si è ripetutamente confermato nel corso degli ultimi cinquant’anni. ‘Nostra Aetate’ è certamente il testo più breve del Concilio, ma è un testo molto importante, che ha cambiato la storia. (…)
LO SVILUPPO DELLA ‘NOSTRA AETATE’. Poiché, conformemente al compito affidato da papa Giovanni XXIII, nella prima bozza veniva trattato solo l’ebraismo, soprattutto i padri conciliari che vivevano in Medio Oriente chiesero che si facesse riferimento anche all’islam ed in seguito altri suggerirono di prendere in considerazione tutte le religioni non cristiane. La Dichiarazione originaria sul popolo ebraico fu dunque inserita, alla fine, come quarto articolo nella Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane. Tuttavia il quarto articolo rappresenta non soltanto il punto di partenza, ma il cardine stesso di tutta la Dichiarazione conciliare. La sua grande importanza risiede nel fatto che, per la prima volta nella storia, un Concilio ecumenico si esprimeva in modo così esplicito e positivo sulle relazioni tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. 
. I PREGRESSI STORICI DELLA ‘NOSTRA AETATE’. La Dichiarazione conciliare naturalmente non va considerata come isolata, perché anche altri importanti sviluppi ne hanno preparato il terreno. Tra questi va ricordata l’ Emergency Conference sull’antisemitismo tenutasi nell’agosto del 1947 a Seelisberg (NdR: comune svizzero nel canton Uri, a ottocento metri sul Lago dei Quattro Cantoni), nella quale gli oltre 60 partecipanti, ebrei e cristiani appartenenti ad altre confessioni, avevano indicato come obiettivo quello di eliminare alla radice il fenomeno dell’antisemitismo. Le prospettive là tracciate per un nuovo rapporto tra ebrei e cristiani, conosciute come ‘I dieci punti di Seelisberg’, trovarono accoglienza anche nella Dichiarazione conciliare ‘Nostra Aetate’. 
. CRISTIANI E OPPOSIZIONE NON COSI’ CHIARA E INCISIVA AL NAZISMO. Quanto appena detto dimostra che uno dei motivi determinanti che hanno condotto alla stesura di ‘Nostra Aetate’ è la rielaborazione storica della Shoah. (…) Davanti a questo terrificante apice dell’odio antisemita, noi cristiani abbiamo ottimi motivi per domandarci come mai l’opposizione cristiana alla sconfinata e inumana brutalità delle persecuzioni di stampo ideologico e razzista perpetrate contro gli ebrei durante il nazionalsocialismo, non abbia avuto quella chiarezza e quell’impatto che era lecito e doveroso aspettarsi. E noi cristiani dobbiamo onestamente deplorare il fatto che soltanto a seguito dell’inaudito crimine della Shoah sia avvenuto un reale cambiamento di pensiero, un cambiamento di pensiero che ha trovato espressione, da un lato, nella cosiddetta ‘teologia cristiana del dopo Auschwitz’, nelle sue diverse varianti e, dall’altro lato, nella chiara condanna dell’antisemitismo presente in ‘Nostra Aetate’. A cinquant’anni di distanza (…) papa Francesco lancia ripetutamente ai cristiani, proprio in un’epoca in cui emergono nuove ondate di antisemitismo, l’inequivocabile messaggio secondo cui è impossibile essere al contempo cristiani ed antisemiti. 
. LA STORIA COMPLESSA DELLE RELAZIONI EBRAICO-CRISTIANE.  La Chiesa cristiana ha dovuto confrontarsi in maniera critico-costruttiva con la storia delle sue relazioni con l’ebraismo e riconoscere apertamente che questa storia è una storia molto complessa, che si è mossa in dall’inizio tra vicinanza e distanza, tra fratellanza ed estraneità, tra amore e odio e che, già dai primi tempi, è stata segnata da conflitti, così come ha fatto osservare l’allora cardinale Joseph Ratzinger (…): “La Chiesa è stata considerata da sua madre come figlia snaturata, mentre i cristiani hanno considerato la loro madre come cieca e ostinata”. Questa immagine ci ricorda che i conflitti tra ebrei e cristiani assomigliavano all’inizio a dispute familiari. Ma quando, progressivamente, la consapevolezza di appartenere alla stessa famiglia di Dio è andata perdendosi, le relazioni tra cristiani ed ebrei hanno iniziato a peggiorare considerevolmente. All’interno del cristianesimo si è giunti a quell’atteggiamento antigiudaico che ha gravato pesantemente sui rapporti cristiano-ebraici, soprattutto a causa del modo cristiano di vedere gli ebrei come uccisori di Dio e l’ebraismo come una religione ormai superata con la venuta di Gesù Cristo. 
. CON L’EBRAISMO RELAZIONE UNICA E PARTICOLARE. Il Concilio indica che la Chiesa ha con l’ebraismo una relazione unica e particolare, che non ha con nessun’altra religione. Anche se il quarto articolo della ‘Nostra Aetate’ si iscrive all’interno del quadro più ampio delle relazioni tra la Chiesa e le religioni non cristiane, il Concilio è ben consapevole del fatto che per noi cristiani l’ebraismo non può essere meramente considerato come una delle tante religioni non cristiane e che la relazione tra cristianesimo ed ebraismo non può essere semplicemente trattata come una particolare variante del dialogo interreligioso, ignorando così la sua specificità inconfondibile. La specificità di questa relazione consiste nel fatto che la Chiesa cristiana non potrebbe comprendere se stessa senza far riferimento all’ebraismo. (…)
. APPROFONDIRE LA DIMENSIONE TEOLOGICA DEL DIALOGO. Nostra Aetate’ è il primo documento ufficiale della Chiesa cattolica che definisce positivamente, da una prospettiva teologica, il suo rapporto con l’ebraismo. Dopo cinquant’anni è tempo di approfondire la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. Ed è sicuramente un fatto positivo il fatto che tra i rabbini si moltiplichino le voci che ritengono il tempo maturo per farlo. Il chiarimento di queste questioni teologiche non può naturalmente essere un obiettivo in sé, ma vuole far sì che ebrei e cristiani, in maniera più intensa e credibile, diventino una benedizione gli uni per gli altri ed. insieme, diventino una benedizione per il mondo nel nostro tempo, ‘nostra aetate’.

UNA DICHIARAZIONE DI  25 RABBINI ORTODOSSI: “Il CRISTIANESIMO NON E’ UN INCIDENTE NE’ UN ERRORE, BENSI’ L’ESITO DOVUTO ALLA VOLONTA’ DIVINA E DONO ALLE NAZIONI”

Giovedì 10 dicembre 2015 presso la Sala Stampa vaticana è stato presentato il Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo in occasione del 50.mo anniversario della ‘Nostra Aetate’, un’ampia riflessione su questioni teologiche attinenti alle relazioni tra cattolicesimo ed ebraismo. Come ha rilevato il card. Kurt Koch, il documento intende “fornire uno spunto ed un impulso per ulteriori discussioni teologiche”.

Dell’intervento del card. Koch evidenziamo in particolare, riprese dal documento, le seguenti affermazioni: “La differenza di fondo tra ebraismo e cristianesimo consiste nel modo in cui si ritiene di dover valutare la figura di Gesù” e “Solo con le dovute riserve, il dialogo ebraico-cristiano può essere definito ‘dialogo interreligioso’ in senso stretto; si dovrebbe piuttosto parlare di un tipo di ‘dialogo intrareligioso’ o ‘intra-familiare’ sui generis”. Altra citazione dal documento: “La Nuova Alleanza, per i cristiani, non è né l’annullamento né la sostituzione, ma il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza”. Si deve evidenziare anche un passo riguardante “l’evangelizzazione degli ebrei”. Ha detto qui il porporato svizzero-tedesco, citando il Documento: “La Chiesa deve comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, un maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del  mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei”. Certo “i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono però farlo con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah”.

Rispondendo a una nostra domanda, il presidente del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani ha citato alcuni ‘temi controversi’ nelle relazioni ebraico-cristiane, che però non hanno arrecato o non arrecano alle stesse ‘un danno permanente’: la preghiera del Venerdì Santo, il Carmelo ad Auschwitz, il caso della rimessa della scomunica al vescovo lefebvriano e negazionista Williamson, la sempre controversa beatificazione di Pio XII (“anche all’interno del mondo ebraico”).

Alla conferenza-stampa hanno partecipato, da parte ebraica, un rabbino molto conosciuto come David Rosen e il dottor Edward Kessler (fondatore del Woolf Institute di Cambridge). Rosen ha tra l’altro citato una Dichiarazione del 3 dicembre sul cristianesimo, già firmata da 25 rabbini ortodossi di tendenza ‘liberale’ (14 di Israele, 4 statunitensi, gli altri europei), che contiene anche un’affermazione di portata storica: “Come Maimonide e Yeduhah Halevi riconosciamo che il  cristianesimo non è un incidente né un errore, bensì l’esito dovuto alla volontà divina e dono alle nazioni”. Proseguendo, si legge ancora: “Separando ebraismo e cristianesimo, Dio ha voluto una separazione fra interlocutori con importanti differenze teologiche, non una separazione tra nemici”.

Rispondendo a un’altra nostra domanda a proposito dell’espressione di Giovanni Paolo II “fratelli maggiori” riferita agli ebrei, Rosen ha annotato che, onde evitare eventuali interpretazioni errate, lui preferirebbe connotare il popolo ebraico come “genitore nella fede”. A Edward Kessler invece l’espressione non dispiace, anche perché fratellanza indica vicinanza e intimità di rapporti, sfida e forza: ebraismo e cristianesimo sono “correlati intimamente e tuttavia separati”.

1 commento:

  1. Solita melassa giudaica, finchè non riconosceranno Nostro Signore Gesù Cristo quale loro Dio in quanto Unigenito Figlio di Dio e che insieme allo Spirito Santo formano la Santissima Trinità, Una e Trina, e finchè non riconosceranno nell' Immacolata Concezione e Beata Vergine Maria Santissima la Madre di Dio e si convertiranno all'unica vera Fede Cattolica Apostolica Romana fondata da NSGC con la Nuova alleanza destinata a molti ma non a tutti, non avranno mai pace.

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