ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 27 dicembre 2015

La povera sapienza umana

Commento al Vangelo – Natale del Signore 2015 C


Messa del giorno

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
La povera sapienza umana brancola nelle tenebre e, per trovare i segreti dell’armonia e della vita dell’universo, striscia nella polvere e scruta la materia. Se giunge a sollevarsi un po’ da terra, si trova nei cieli agghiacciati dei calcoli matematici, o in quelli nebulosi delle proprie idee. Non esce e non può uscire da queste strette: o viene in contatto con la materia, o ne considera l’armonia tra le aride formule e i risucchianti calcoli astratti, o congettura con la sua mente svolazzando qua e là come farfalla dal volo indeciso e claudicante.

Oggi si è fatta ardita, ed ha creduto sondare ogni abisso; si è lanciata sopra le nubi, su su fino ed oltre la stratosfera, ed ha trovato un cielo di tenebre; è discesa nel mare ed ha trovato anche là tenebre; si è lanciata persino nel misterioso mondo degli atomi, e si è trovata di fronte a formidabili forze che l’hanno atterrita. È sempre schiacciata da milioni e miliardi di atmosfere, per così dire, ogni volta che tenta di navigare nel mondo materiale ed in quello spirituale.
La schiacciano i cieli, la sconcertano le onde furenti e i glauchi abissi, la inebetiscono le formidabili potenze dell’infinitesimale, la confondono i misteri dello spirito, e corre agitata come folle sulla sua brevissima orbita, quasi bolide che precipitando nel vuoto s’infiamma, splende per un istante, e si dilegua senza lasciare traccia di sé, mentre l’universo continua il suo cammino nell’ordine, lodando il Signore.
La povera sapienza umana, quando non ha la sorte di essere associata alla fede, non ha guida alcuna; asserisce e non può sapere se la sua asserzione ha eco nella realtà, grida nella solitudine immensa e non sente eco che le risponda.
Quante voci da lei date che sembravano formidabili ai contemporanei, sono per i posteri ciance d’infanti che muovono a riso, e quante vanterie della nostra pretesa sapienza faranno ridere i posteri.
Che pena fa questa povera sapienza, senza bussola, senza un astro di riferimento sicuro, senza una voce infallibile che le indichi il cammino, incerta nel suo incedere, falsa nelle sue deduzioni, folle nelle sue induzioni!
Vuole conoscere Dio e ne prescinde, vuol indagare le leggi dello spirito e finge d’ignorarlo, vuol essere positiva e rifugge dal fondamento d’ogni cosa reale che è l’infinita Realtà, vuol elevarsi nei cieli ideali, ma se li vuol formare lei, come i bimbi che su di un lembo di tavolo sporco, allineano i loro eserciti di carta, o elevano i loro edifici di cocci, di stracci e di rifiuti.
La sapienza umana senza luce divina, accigliata quando dice panzane, e buffa quando tocca sdegnosa i margini della verità, e ne rifugge; gettata a capofitto nell’abisso quando crede di ascendere, e travolta dai flutti quando è certa di navigare, non sa che per ascendere deve avere le ali, e le ali gliele dona la fede.
Se dal leggio del suo presuntuoso ambone non toglie il suo sillabario, o il calepino delle sette trombe e vi pone aperto il Vangelo, con la sua luce di splendente verità che la guida, l’uomo si atrofizzerà negli occhi e, come talpa, si sprofonderà nella terra, formandovi vie di tenebre e tane di umidore! I cieli della sapienza umana sono sempre foschi senza la luce di Dio; anche quando sono una vera altezza, sono cieli carichi di nubi di procella, dai quali scroscia la pioggia impetuosa che penetra la povera carne e l’assidera. L’acqua che danno non feconda, travolge, e corre impetuosa come torrente predante che porta sui suoi glauchi flutti i relitti della vita!
A che serve? L’anima non ne ricava nulla e, nell’impetuoso imperversare di quelle acque, non beve, e se vi accosta le avide labbra affoga.
A che serve? Se moltiplica le risorse della civiltà, moltiplica quelle della morte che avanza con la falce spietata e recide milioni di vite, portando superba in trionfo qualche intristito trofeo di vittoria sulla materia, senza accorgersi che dominandola, se n’è fatta schiava!
San Giovanni oltrepassa la materia e l’universo e fissa lo sguardo in Dio: In principio era il Verbo…
Com’è solenne in questo tenebrio di morte la parola della verità che d’un tratto ci trasporta oltre i cieli, nelle profondità di Dio:In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Mosè, dando uno sguardo alla creazione, ascese al di sopra della materia, e fissò il suo punto d’origine e di partenza: In principio Dio creò il cielo e la terra, ma soggiunse subito: Ela terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano l’abisso (cf Gn 1,2).
San Giovanni, con volo d’aquila oltrepassò la materia e l’universo e, fissando lo sguardo in Dio stesso, contemplò l’eterno Verbo per cui tutto fu fatto, e nei cui abissi di semplicissima luce erano i prototipi di quanto fu fatto, esclamando: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio.
Mosè ascoltò la voce onnipotente che si volse al nulla, e creando disse: Fiat.
San Giovanni contemplò il Verbo di Dio, per il quale Dio disse, il Verbo sussistente del Padre, il logos, com’è chiamato in greco, la ragione e la nozione eterna, il Verbo dell’infinita mente di Dio, l’opera eterna di Lui, come lo chiamano i Padri; l’opera a Lui coeva, con Lui immensa, a Lui adeguata; la virtù eterna di Dio e la forza dell’infinito suo braccio, la forma, il decoro e la bellezza del Padre che in Lui si conosce, in Lui si apprezza e da Lui è glorificato, l’eterna parola e l’eterno suo discorso,poiché il Padre, intendendo e comprendendo la sua essenza e tutto ciò che in essa è, intendendo e comprendendo nella sua semplicissima essenza la forza spirativa dello Spirito Santo e la forza creativa di tutte le cose possibili, generò questo Verbo eterno, infinito e sussistente, a sé uguale e adeguato che è Dio come Lui, ed è Figlio eterno da Lui generato, nozione infinita della sua infinita natura, persona sussistente distinta da Lui che è presso di Lui e spira con Lui l’eterno Amore.
Mosè, considerando le cose dal loro principio, disse: Dio le creò; san Giovanni, considerando l’eterno Principio, disse: In principio era il Verbo; usò il verbo sostantivo est, erat che è proprio di Dio per la pienezza del suo essere, perché Egli èJahvè, qui est, Colui che è.
Il Verbo era nel Principio e in principio era il Verbo; era in Dio ab aeterno, generato ab aeterno, e al principio di tutte le coseera già, perché sussisteva ab aeterno; è una parola mirabilmente sintetica di quello che Dio stesso disse del suo Verbo nei Libri Sapienziali: Egli non è un semplice attributo di Dio, ma è persona sussistente e trascendente che emana dalla bocca dell’Altissimo prima di ogni creatura e di ogni tempo (cf Pro 8,9; Sir 1,24); è come un vapore della virtù di Dio, un’emanazione pura della sua gloria, uno splendore della luce eterna, un’immagine sostanziale della bontà di Dio (Sap 7,25-27). Assiste al trono di Dio (ivi, 9,4), è artefice di tutte le cose (8,6-8), tutto sa e tutto comprende (9,11). A Lui vengono attribuite le meraviglie operate da Dio nel mondo: Sollevò l’uomo dopo il peccato, salvò i giusti al tempo del diluvio, vegliò sui patriarchi, condusse Israele attraverso il Mar Rosso, ecc.
Egli è il Logos (cf Sap 16,12; 18,15) il Verbo di Dio che era in principio, era presso Dio, era Dio.
In principio era il Verbo, splendore della gloria del Padre, eterno come Lui, senza prima né dopo. Se il fuoco fosse eterno, infatti, non ne sarebbe eterno lo splendore? E se ci fosse sempre un virgulto su di uno specchio d’acqua – esclama sant’Agostino –, non ci sarebbe sempre l’immagine nell’acqua? Il Verbo era in principio, perché essendo l’infinita conoscenza del Padre generata da Lui, dimostra e glorifica in sé tutto il generante ab aeterno.
L’eternità non ha né il prima né il dopo, e l’evangelista, per l’infermità della nostra povera mente, ci riporta al principio di tutte le cose, agli ultimi confini del tempo, per farci intuire l’infinito abisso eterno oltre i suoi confini: In principio era il Verbo.
In principio!!!
Era il Verbo, ma dove?
Risponde profondamente l’evangelista: Era presso Dio, nel seno eterno del Padre, nella sua immensità, ma distinto da Lui, e per questo dice: Era presso Dio.
Era sussistente, infinito, termine della sua conoscenza e oggetto della sua compiacenza, indiviso dal Padre, sedente con Lui sul trono eterno e spirante con Lui l’eterno Amore. Per noi che risaliamo dal tempo ai confini eterni, è detto che Egli era, in principio, ma Egli è sempre stato col Padre e lo Spirito Santo, sempre sarà, e nella sua semplicissima eternità è, tutto presente, tutto infinitamente in atto.
Quale mistero sublime che dà le vertigini!
Per giungere al principio di tutte le cose, debbo percorrere tempi che mi danno l’impressione dell’infinito…, la mia povera mente ci si confonde, come si confonde tra le distanze degli astri. Se scavo nella terra a poca profondità, trovo strati geologici che hanno impresso in loro le vestigia del tempo nel quale si formarono, e vi leggo milioni di anni, milioni di secoli.
È stata calcolata scientificamente l’età di circa diecimila anni per un piccolo strato di torba; moltiplicando la cifra per le profondità abissali che la raccolgono, si giunge ad un numero astronomico, quasi incalcolabile. Eppure è appena il quadrante di una delle ultime ore della formazione della terra.
L’immenso orologio segna lontano, lontano, lontano, tutte le ore del giorno; miliardi di secoli, e le ore della notte, quando ancora tutto era caos, miliardi di miliardi di secoli!
Se ascendo dalla terra nella prima stazione del cielo, vi trovo la luna, il nostro satellite che è morto già e ancora cammina intorno a noi, quasi specchio che riflette sulle nostre notti la luce indiretta del sole. Quando cominciò il suo etereo viaggio? Io non lo so. Passa da millenni e millenni sulle nostre solitudini, guarda da millenni e millenni le nostre vicende; come un teschio dalle orbite vuote guarda l’abisso del tempo che fu e del tempo che scorre.
I suoi occhi vuoti sono crateri di spenti vulcani, l’ultima fase della vita dell’astro, e quei vulcani suppongono i miliardi di miliardi di secoli che li precedettero, suppongono forse la vita che passò, i cui avanzi sono forse negli immobili magmi e nelle lave sospese nel vuoto; suppone la prima solidificazione dell’astro, e poi la massa incandescente roteante tra rossi bagliori, e poi la nebulosa incandescente, bianchissima, saettante sull’orbita sua e poi ancora – chi sa? – il nucleo dal quale si staccò l’errante cometa, il bolide che percorse miliardi di miliardi di chilometri, di miriametri di anni luce, e sembrò quasi immobile sul quadrante del tempo, tanto esso era immenso!
Che cosa formidabile poter giungere, almeno con la mente, ai confini del principio di tutto, e scorgervi quell’erat eterno, sfolgorante nella luce attuale che nella sua immensità semplicissima non conosce né il prima né il dopo!
Per giungere a quei confini, dovrei tendere il mio fragile orecchio nello spazio sterminato, per ascoltarvi, portata sulle onde dell’etere, la squilla lontana della prima ora che scoccò con l’immane caos quando il Verbo parlò dalle profondità della potenza di Dio e, diffondendo la divina bontà, disse: Fiat.
Fiat!… Sorse prima la monade, come fantastica l’uomo miope che non può scorgere nella profondità degli oscuri misteri?
Fiat!… Sorse l’atomo forse, un atomo solo che pieno di formidabili forze, portò nella sua infinitesimale piccolezza il riflesso dell’Infinito generante, e cominciò a moltiplicarsi, ad aggregarsi, a fondersi, a sovrapporsi, a splendere, a saettare, a correre gioioso sull’orbita sua, lodando il Signore?
Io non lo so; ma se l’atomo fu la prima creatura della materia che vedo o intuisco, quanti trilioni di trilioni di secoli-luce ci vollero per formare un primo piccolo corpo? Io mi stordisco e mi avvilisco, e non riesco a fissare ancora la prima ora del quadrante del tempo!
Ma come si formò per l’eterna Parola di Dio il primo essere materiale, come poté, direi, condensarsi in materia la stilla di vita diffusa dall’infinita bontà? Possibile!
Dall’eterno Principio che è eterna Sapienza e infinito amore, poté scendere giù una massa informe e vuota, disordinata e infeconda? Possibile!
La prima voce dell’universo fu muta, e la bontà infinita, diffondendosi, formò abissi di tenebre? Possibile!
La prima ora del tempo, il principio fu segnato da un oscuro quadrante e da un indice buio? Termina il tempo proprio in questi confini, e l’orizzonte suo è fosco come l’abisso di caverne profonde?
Non ti smarrire anima mia, ascolta la voce di Dio nel primo libro della sua Parola: In principio Dio creò il cielo e la terra, e la terra era informe e vuota (Gn 1,2). La terra, la materia, questa era ancora informe e vuota, troppo distante da Dio, quasi che Dio nel crearla la disdegnasse, quasi fosse già il rifiuto di una cosa più bella, il sedimento di una fiumana splendente.
Il tempo non ha qui il suo primo quadrante, l’ha più in alto, più in alto, poiché, col mondo sensibile, Dio creò quello spirituale, e su di esso segnò la prima ora del mondo.
Fu simultanea la sua creazione, ma il suo dito divino segnò la prima ora del tempo su di un oceano sfavillante di luce sui cori dei suoi angeli, puri spiriti, completi, sue immagini vive, intelletto e amore che, per raggiungerlo, dovevano solo donargli liberamente per sempre l’intelletto e l’amore, affinché Egli li avesse potuti beatificare, colmandoli della luce del suo Verbo e della fiamma del suo Amore. Qui si scorge luminosamente il principio del tempo, qui l’occhio, oltre questo principio, contempla il Verbo che già era, era presso Dio, era Dio.
FONTE: Don Dolindo Ruotolo; Gv 1,1-18

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