ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 7 dicembre 2015

Lavorare su se stessi

 L'immutabilità di Dio e l'assurda mutazione di alcuni ambienti ecclesiali

Missa afro-brasileira
Ho profonda commiserazione (nel senso letterale del termine) verso tutti i credenti delle diverse confessioni cristiane che, a contatto con ambienti ecclesiali rovinati, sono in crisi e non sanno cosa fare... 
Ovviamente i miei occhi sono, in particolare, su due realtà: quella cattolica e quella ortodossa. 
Il mio non è un atteggiamento ecumenistico nel senso banale del termine, come non è ecumenistico questo blog: cerco di cogliere da varie realtà quanto c'è di positivo e ho diffidenza verso le situazioni negative.
Come le malattie attaccano il corpo umano, indifferente alla razza, così le patologie ecclesiali attaccano quegli ambienti che se ne fanno attaccare senza badare alla loro denominazione confessionale. 
Un corpo esposto all'aria fredda senza alcuna protezione anche se non è ancora malato si ammalerà quasi certamente. Un fenomeno analogo avviene pure in un ambiente ecclesiale: se andiamo contro la tradizione antica, più o meno ubriachi di novità e privi di criterio spirituale, sappiamo che ci esponiamo e da ciò deriveranno tutte le patologie ecclesiali. Al di sopra di tutto, c'è il buon Dio nella sua eterna immutabilità, immutabilità che non significa staticità ma perenne flusso di vita e di amore, fondamento e “cemento” dell'universo. 

La Chiesa nella sua bella tradizione ci ha insegnato ad accostarci a questa sorgente, a porgere il cuore in modo da poterne essere riempiti. Questa tradizione è, in sintesi, un'istruzione che rimonta a tutti quegli insegnamenti apostolici non scritti che hanno fatto divampare il fenomeno del monachesimo dei primi secoli. 

Un'eco di questi insegnamenti l'ho stasera trovato in una frase pronunciata dall'arcivescovo di Atene, Hiermonimos: La saggezza celeste “venendo da Dio ci rende altri uomini; al contrario la saggezza del mondo non ha alcuna relazione con la saggezza che viene dall'Alto”, saggezza posseduta dai santi asceti. Splendida frase, in un tempo in cui si confonde drammaticamente la saggezza umana con quella divina e si abbassa la Chiesa al solo livello della semplice comprensione umana. Dio è immutabile e chi lo intuisce riporta le cose nel giusto ordine allontanandosi, dunque, dall'odierna idolatria in cui gerarchi ecclesiali di gran rilievo assumono un linguaggio da animatori sociali o da sindacalisti scambiando questo con la saggezza evangelica. Il fatto che Dio sia vivo e che sia sempre lo stesso, mantenendo sempre identico il percorso lungo il quale lo si può incontrare, dovrebbe essere di straordinario conforto, soprattutto oggi. 

Questo, deve accompagnarsi con la precisa consapevolezza che persone e ambienti ecclesiali oramai marci devono essere abbandonati, se è possibile. Non ha senso mescolarsi in situazioni pericolose nelle quali si mette a repentaglio la propria pace e sicurezza interiore. Non ha neppure senso “sgridare” ambienti e persone che errano: insisteranno nell'errore con maggior pervicacia, ci renderanno la vita impossibile e non tireremo fuori un ragno da un buco da costoro mentre saremo noi a perderci, perdendo pure la propria salute. 
La cosa migliore è lavorare su se stessi e con quei pochi che possono capire. Anche qui faccio un esempio, ma senza citare la fonte per ovvie ragioni. 

Diversi anni fa entrò in un seminario cattolico diocesano dell'Italia del nord un ragazzo dalla vita singolare: poco tempo prima, era stato allievo di un guru indù in India dove praticava diverse “filosofie” religiose, perfino quelle tantriche, non rifiutando, pare, di assumere qualche droga. Il tizio ad un certo punto si allontanò dal suo guru e fece ritorno in Italia su uno scassatissimo volo charter. “In quel volo ogni pagina della Bibbia da me letta – mi confessò più tardi – mi parlava della reincarnazione”. 
Con questa “esperienza di vita” entrò nel seminario diocesano. Fu immediatamente amato dal clero che doveva “formarlo”: vedevano in lui il sacerdote ideale del futuro, un uomo aperto a tutte le esperienze e culture. Costui non tardò neppure a farsi conoscere da tutti (quindi pure da me): non amava alcun riferimento cattolico tradizionale ed era d'impostazione molto populista (= il popolo è il depositario dei valori genuini, il popolo è il vero interprete del vangelo). Per giunta, non aveva dimenticato il suo passato da indù: si ritirava nella cappella per praticare nottetempo i mantra! Il clero locale giungeva ad idolatrarlo. Costui superò (Dio sa come!) gli esami di teologia, probabilmente non capendoci gran che, e fu ordinato prete. Nella cerimonia di ordinazione attirò la simpatia dello stesso vescovo perché, nella parlata locale, lo chiamò semplicemente con il suo nome, dandogli del tu, un po' come si fa con un vecchio compagno di classe in un'osteria. 

Qualche anno dopo, lo incontrai in una messa episcopale mentre sfoggiava una vistosa collana di denti d'orso. Meravigliato, gli chiesi a che gli serviva tale gingillo: “Me l'hanno regalata in Brasile. – disse – Ogni dente d'orso è un amuleto contro un demonio diverso. Se me la tengo addosso sono protetto, così mi hanno insegnato”. 

Quando raccontai il raccapricciante fatto ad un monaco benedettino di Fontgombault, costui, scandalizzato, giustamente reagì esclamando: “Ça c'est du paganisme!”. 

Questi fatti sono sufficienti a descrivere il personaggio ma sono pure sufficienti a comprendere l'ambiente ecclesiale che lo ha accolto e, con viva gioia, l'ha ordinato prete cattolico. 

Dopo qualche anno costui abbandonò il sacerdozio, si sposò e fece un certo numero di figli. “Bene – dissi io – almeno in questa nuova veste non farà più danno”. 
Come al solito avevo una visione troppo rosea della realtà: stasera ho scoperto che costui è “missionario laico” in Brasile e rappresenta ancora la stessa arcidiocesi che un tempo lo ordinò. Dunque l' “amore” tra questa diocesi e il personaggio continua calorosamente: similis cum similibus e c'è sinceramente da chiedersi di cosa sarà mai insegnante costui, dal momento che assorbe con estrema convinzione qualsiasi superstizione popolare...

Morale della favola: andare a rimproverare tale personaggio e gli ambienti ecclesiali che lo supportano, in nome di un'ortodossia, di una morale, di un ordine logico e sensato, di una disciplina ecclesiale, non ha proprio senso. Come un contenitore fesso non è in grado di trattenere l'acqua, così costoro non sono in grado di trattenere una buona dottrina. 
Allontanarsi da costoro significa semplicemente non partecipare alla loro malattia spirituale. Questo principio è valido verso qualsiasi persona o ambiente ecclesiastico destabilizzante. 

Lasciamo che i morti seppelliscano i loro morti...

1 commento:

  1. Ecco i veri frutti del conciliabolo vatsecondo : il disfacimento della fede nel vero Dio e l'accoglimento , la propagazione e il proselistismo eretico a partire dalle più alte sfere . Oggi è la festa dell' Immacolata Concezione preghiamola che ci aiuti tutti. Santa giornata. jane

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