Il Natale a Damasco
Il presidente siriano Bashar al Assad e la moglie Asma si sono recati a sorpresa nella chiesa “di nostra Signora di Damasco” per festeggiare il Natale. Così il leader di confessione alawita si conferma custode della minoranza cristiana in Siria
In Siria si svolsero alcuni degli episodi più significativi della predicazione dell’apostolo Paolo.
A Damasco - quarta città santa del mondo islamico dopo Mecca, Medina e Gerusalemme, allo stesso tempo però indica storicamente il territorio in cui si attestano nel 43 d.c i primi gruppi cristiani - viene adorata la tomba di San Giovanni Battista intorno alla quale tra il 705 e 715 i califfi edificarono la Grande Moschea, una delle più maestose del mondo arabo-musulmano. Ma i luoghi del cristianesimo in Siria sono ovunque, non solo nella capitale. Come a Seydnaya, un villaggio arroccato sulle montagne che è stato uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti per i fedeli cristiani, e dove ancora oggi si trova il monastero di Nostra Signora, costruito nel V secolo, appartenente al Patriarcato ortodosso di Antiochia. Come a Maaloula, una cittadina che possiede le tracce della guerra, dove si parla tuttora l’aramaico intorno al convento semi-distrutto di Santa Tecla, anch’esso costruito nel IV secolo. Come ad Aleppo,una città divisa dalla guerra, ma che in tempo di pace ospitava 300mila cristiani e che dopo Il Cairo e Beirut veniva considerata la terza città del Medio Oriente per numeri di credenti.
Oggi dal punto di vista numerico appunto, pur essendo un gruppo eterogeneo suddiviso in tre patriarcati - greco-ortodosso, greco-melchita e siriano ortodosso - questo rappresenta una delle tre comunità cristiane più importanti del Vicino Oriente, con i maroniti del Libano e i copti d’Egitto. Per questo motivo Papa Francesco nell’ultimo Angelus prima della natività si è interessato a quella comunità di credenti che sopravvive a stento con grandi difficoltà di fronte all'avanzata di Daesh e di Al Nusra. “Anche quest’oggi mi è caro rivolgere un pensiero all’amata Siria, esprimendo vivo apprezzamento per l’intesa appena raggiunta dalla Comunità internazionale. Incoraggio tutti a proseguire con generoso slancio il cammino verso la cessazione delle violenze ed una soluzione negoziata che porti alla pace”, ha affermato Bergoglio.
Ma prima ancora che venisse raggiunto l’accordo in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - documento che, dopo tanto tempo, stabilisce un punto di incontro tra le posizioni di Mosca e Washington - il presidente siriano Bashar al Assad e la moglie Asma si sono recati a sorpresa nella chiesa “di nostra Signora di Damasco” situata non lontano daJobar (quartiere in mano ai terroristi), un’area particolarmente esposta ai bombardamenti. Nelle foto e i video rilanciati dalla pagina Facebook dalla prima "donna siriana", i due vengono accolti con gioia per poi essere invitati dai giovani coristi ad assistere alle prove dei canti. Così Bashar Al Assad, uomo di confessione alawita (ramo dell’Islam sciita) si presenta ancora una volta come custode della minoranza cristiana in Siria, Paese in cui il Natale è una festa per tutti, musulmani. compresi.
Sebastiano Caputo - Lun, 21/12/2015 -
Il presidente siriano Bashar al Assad e la moglie Asma si sono recati a sorpresa nella chiesa “di nostra Signora di Damasco” per festeggiare il Natale. Così il leader di confessione alawita si conferma custode della minoranza cristiana in Siria
In Siria si svolsero alcuni degli episodi più significativi della predicazione dell’apostolo Paolo.
Oggi dal punto di vista numerico appunto, pur essendo un gruppo eterogeneo suddiviso in tre patriarcati - greco-ortodosso, greco-melchita e siriano ortodosso - questo rappresenta una delle tre comunità cristiane più importanti del Vicino Oriente, con i maroniti del Libano e i copti d’Egitto. Per questo motivo Papa Francesco nell’ultimo Angelus prima della natività si è interessato a quella comunità di credenti che sopravvive a stento con grandi difficoltà di fronte all'avanzata di Daesh e di Al Nusra. “Anche quest’oggi mi è caro rivolgere un pensiero all’amata Siria, esprimendo vivo apprezzamento per l’intesa appena raggiunta dalla Comunità internazionale. Incoraggio tutti a proseguire con generoso slancio il cammino verso la cessazione delle violenze ed una soluzione negoziata che porti alla pace”, ha affermato Bergoglio.
Ma prima ancora che venisse raggiunto l’accordo in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite - documento che, dopo tanto tempo, stabilisce un punto di incontro tra le posizioni di Mosca e Washington - il presidente siriano Bashar al Assad e la moglie Asma si sono recati a sorpresa nella chiesa “di nostra Signora di Damasco” situata non lontano daJobar (quartiere in mano ai terroristi), un’area particolarmente esposta ai bombardamenti. Nelle foto e i video rilanciati dalla pagina Facebook dalla prima "donna siriana", i due vengono accolti con gioia per poi essere invitati dai giovani coristi ad assistere alle prove dei canti. Così Bashar Al Assad, uomo di confessione alawita (ramo dell’Islam sciita) si presenta ancora una volta come custode della minoranza cristiana in Siria, Paese in cui il Natale è una festa per tutti, musulmani. compresi.
Sebastiano Caputo - Lun, 21/12/2015 -
Eric Zuesse: "Obama sulla Siria non è onesto. Non accetterà elezioni democratiche perché vincerebbe Assad"
"Se oggi ci fossero elezioni in Siria sarebbero vinte con un margine enorme da Bashar al-Assad. Anche molti sunniti siriani preferiscono un leader non settario"
Dopo che una risoluzione delle Nazioni Unite ha di fatto abbracciato le proposte russe per il futuro della Siria - con un calendario per un cessate il fuoco a cui farà seguito un'elezione monitorata - lo storico Eric Zuesse scrive come il presidente degli Stati Uniti persegue due obiettivi: sta cercando di "sconfiggere" Vladimir Putin e evitare che ci siano elezioni presidenziali democratiche in Siria. Lo riporta Sputnik international.
Barack Obama ha finalmente riconosciuto che il futuro della Siria potrebbe essere determinato solo attraverso elezioni libere ed eque a livello internazionale sotto una supervisione internazionale. La posizione che Mosca e Assad portano avanti da anni. Tuttavia, il giornalista e storico nord-americano insiste, come l'impegno di Obama sia puramente verbale.
Anche se non lo può ammettere pubblicamente, il presidente degli Stati Uniti, prosegue Zuesse, sta cercando di fare tutto il possibile per "trovare un modo per sconfiggere Putin, e per bloccare lo svolgersi delle elezioni in Siria che Putin persegue".
La risoluzione Consiglio di sicurezza dell'ONU sulla Siria dimostra che 'Putin avesse ragione su tutti i punti', prosegue lo storico nord-americano, che si spinge fino a dire che Obama non è solo interessato a contrastare Russia, ma le politiche del presidente degli Stati Uniti sono in linea con "il pluridecennale sforzo dell'aristocrazia Stati Uniti di prendere il controllo della Russia".
Elezioni democratiche in Siria significa non avere la testa di Assad. "Ogni elezione libera e giusta ha bisogno del controllo internazionale e, se oggi, ci fossero sarebbero vinte con un margine enorme da Bashar al-Assad. Anche molti sunniti siriani preferiscono un leader non settario, per intenderci non il tipo che la Stati Uniti e le aristocrazie saudite vogliamo imporre lì per sconfiggere la Russia", ha spiegato.
Washington sa benissimo che questo è lo scenario più probabile. Questo è il motivo per cui la leadership degli Stati Uniti volesse sbarazzarsi di al-Assad per avviare il processo di paese.
Un Marine: “Lo Stato-mostro, siamo noi”
“Penso alle centinaia di prigionieri che abbiamo catturato e torturato in centri di detenzione improvvisati guidati da minorenni venuti dal Tennessee , New York e Oregon . Mi ricordo le storie . Ricordo vividamente i marines dirmi dei pugni , schiaffi , calci , gomitate , ginocchiate e testate agli iracheni. Ricordo i racconti di torture sessuali : costringere gli uomini iracheni a compiere atti sessuali su reciprocamente mentre marines gli tenevano i coltelli contro i testicoli , a volte li sodomizzavano con i manganelli “.
Vincent Emanuele è stato in Irak fra il 2003 e il 2005, nel primo battaglione del Settimo Marines. Adesso, ossessionato dai ricordi, ha preso coscienza di una realtà intollerabile: noi americani abbiamo commesso “il peggior crimine di guerra del 21 secolo”. Siamo noi la potenza mostruosa nemica dell’umanità e della civiltà, siamo noi quei “nazisti” contro cui ci avevano insegnato a vigilare – e non abbiamo vigilato, perché a farlo siamo Noi.
Ci vuole coraggio a leggere quel che l’ex Marine rievoca.
“Quelli di noi in unità di fanteria avuto il piacere di fare retate di iracheni durante raid notturni, legando le mani con lo zip di plastica, mettendogli il sacco nero sulla testa e scaraventandoli nel posteriore dello Humvees e camion mentre le loro mogli e bambini cadevano in ginocchio e piangevano. A volte, li prendevamo di giorno. Il più delle volte non opponevano resistenza. Alcuni tendevano le mani quando i Marines gli spegnevano le cicche in faccia. Li portavamo ai centri di detenzione, dove sarebbero tenuti per giorni, settimane e anche mesi. Le loro famiglie non sono mai state informate di dove li tenevamo.
“La nostra capacità di disumanizzare gli irachene cresceva dopo le sparatorie, era stupefacente.. molti marines passavano il loro tempo libero a scattare foto dei morti , spesso mutilando i loro cadaveri per divertimento o frugando i loro corpi gonfi con bastoni per farsi due risate. Siccome gli iPhone non erano disponibili al momento , diversi marines sono venuti in Iraq con le fotocamere digitali . Queste telecamere contengono una storia non raccontata della guerra in Iraq , una storia che l’Occidente spera che il mondo dimentichi: filmati di massacri sfrenati e numerosi altri crimini di guerra , realtà gli iracheni non hanno il privilegio di dimenticare
Durante i pattugliamenti nella provincia Al-Anbar gettavo fuori dal gippone le confezioni delle razioni consumate…non posso fare a meno di ripensare che i bambini piccoli che i nostri Marines bersagliavano con i resti di questi pacchetti, cercavano – non gli gettavano solo i dolcetti che fanno parte della razione. Li bersagliavano con bottiglie piene di piscio, pietre, stracci, qualunque rifiuto. Allora non pensavo a come ci avrebbero ricordato nei libri di storia, pensavo a fare un po’ di spazio nell’Humvee gettando ai ragazzini i rifiuti. Solo anni dopo, avendo seguito un corso di storia all’università, e avendo sentito il professore parlare della “culla della civiltà”, ho ripensato alle confezioni semi-consumate di razioni MRE i cui abbiamo sparso la Mesopotamia.
“Gli occhi caldi e vitrei dei bambini iracheni perennemente mi perseguitano , come è giusto. I volti di quelli che ho ucciso , o almeno quelli i cui corpi erano abbastanza vicini per esaminarli , non potranno mai più fuggire dai miei pensieri . I miei incubi e riflessioni quotidiane mi ricordano dove ISIS viene e perché , esattamente , ci odiano.
E’ forse inevitabile che il rigetto di queste atrocità che sono stati costretti a fare venga dai militari. Negli ultimi tempi, s’è fatto notare fra questi l’ex colonnello della Us Army Lawrence Wilkerson, che è stato consigliere della sicurezza nazionale nonché del segretario di Stato Colin Powell sotto Bush figlio (quando il potere reale era in mano alla sette neocon, ebraica, che condusse le guerre per Israele). Oggi ha detto in una trasmissione televisiva:
“L’impero è gestito dall’uno per cento della popolazione , se non meno, in questo paese, che costituisce essenzialmente una plutocrazia . ‘ [ … ] Gli ufficiali militari appena vanno in pensione dall’esercito , sono assunti dai produttori di armi, o dai media per rendere i media pro-guerra. Gli Stati Uniti sono sempre più orientati, primo, ad aumentare il potere, secondo, a diventare ricchi. Lo scopo della politica estera statunitense è quello di sostenere il complesso che abbiamo creato nello stato di sicurezza nazionale che è alimentato , finanziato , e continuamente potenziato dall’ interminabile guerra”.
L’establishment, dice Wilkerson, è corrotto in modo irreparabile. “L’Impero non ne ha mai abbastanza . Questa è la natura del potere imperiale : essere insaziabile. Non ha mai uno status quo stabile . Ha uno status quo sempre più instabile .”.
L’intervistatore gli chiede cosa si può fare per cambiare questa corruzione. La risposta dell’ex funzionario di Stato netta, ed incredibile: “Una forte minoranza, o anche maggioranza, dei cittadini statunitensi devono levarsi in piedi e dire: ne ho abbastanza . Questo significa fare una rivoluzione? E sia”.
Naturalmente non succederà. Ma anche in questi sta nascendo la coscienza: il nazismo contro ci questa generazione deve opporsi, “siamo noi”. E noi europei siamo complici. Abbiamo partecipato alla guerra mondiale al terrore. Abbiamo solo eseguito gli ordini.
Picchiato, perseguitato, quasi ucciso. Come vive un pakistano convertito al cristianesimo. In Inghilterra
Dicembre 21, 2015 Leone Grotti
Intervista a Nissar Hussain che ci racconta la sua terribile vicenda. «Perseguitano me e la mia famiglia da 15 anni. Perché devo soffrire solo per essermi convertito?»
Nissar Hussain ha appena ricominciato a camminare con l’aiuto di una stampella. Riesce anche a piegare il ginocchio di 30 gradi ed è felice, perché «se Dio non avesse fatto un miracolo ora sarei morto». Il 17 novembre due uomini l’hanno aggredito davanti a casa sua con mazze da baseball, non di comunissimo legno ma di cemento. Hanno cercato di colpirlo al volto «ma Dio, come se fossi una marionetta, ha preso la mia mano e l’ha sollevata». La telecamera davanti a casa sua ha ripreso tutto (qui il video, l’aggressione parte al minuto 4). Risultato: gamba e mano rotte, due operazioni e 11 giorni di ospedale. Hussain non si è stupito più di tanto perché è da 15 anni che viene insultato, minacciato, aggredito e perseguitato dalla comunità musulmana pakistana per essersi convertito al cristianesimo dall’islam. In Pakistan, purtroppo, è normale che un convertito rischi la vita, in quanto considerato «apostata e infedele». Hussain però non vive in Pakistan, ma in Inghilterra, dove è nato e cresciuto. La storia che questo padre di famiglia di 50 anni, sposato con sei figli, racconta a tempi.it è così incredibile da sembrare impossibile. Ma è vera e rivela il calvario che un uomo deve patire per esercitare la sua libertà religiosa nell’occidentalissimo Regno Unito, dove né la polizia né la Chiesa anglicana fanno nulla per proteggerla.
Signor Hussain, quando si è convertito al cristianesimo dall’islam?
Sono nato nel 1965 in Inghilterra in una famiglia musulmana molto osservante. Ma a 15 anni mi sono convertito grazie a un mio compagno di classe. Lui era un razzista, uno skinhead, come li chiamiamo qui, che dopo aver scoperto il cristianesimo è cambiato completamente. Ha modificato il linguaggio, ha tolto gli orecchini, coperto i tatuaggi ed è diventato gentile: la sua metamorfosi mi ha così affascinato e sbalordito che ho cominciato a fargli delle domande.
Sono nato nel 1965 in Inghilterra in una famiglia musulmana molto osservante. Ma a 15 anni mi sono convertito grazie a un mio compagno di classe. Lui era un razzista, uno skinhead, come li chiamiamo qui, che dopo aver scoperto il cristianesimo è cambiato completamente. Ha modificato il linguaggio, ha tolto gli orecchini, coperto i tatuaggi ed è diventato gentile: la sua metamorfosi mi ha così affascinato e sbalordito che ho cominciato a fargli delle domande.
E poi?
Lui mi ha consigliato di leggere la Bibbia e dopo aver letto i Vangeli di nascosto dalla mia famiglia, ho subito capito che Gesù era il vero Dio, l’unico che poteva salvarmi dai miei peccati. Ma in senso stretto, la mia vita cristiana è cominciata solo 15 anni dopo.
Lui mi ha consigliato di leggere la Bibbia e dopo aver letto i Vangeli di nascosto dalla mia famiglia, ho subito capito che Gesù era il vero Dio, l’unico che poteva salvarmi dai miei peccati. Ma in senso stretto, la mia vita cristiana è cominciata solo 15 anni dopo.
Perché?
Perché una notte mi sono addormentato mentre leggevo la Bibbia e mia mamma, entrando in camera per rimboccarmi le coperte, mi ha scoperto. La mattina dopo si è infuriata e ha minacciato di dire tutto a mio padre. Io ero terrorizzato e così ho smesso di frequentare i miei amici cristiani e gli incontri, ho continuato ad andare in moschea e a leggere il Corano.
Perché una notte mi sono addormentato mentre leggevo la Bibbia e mia mamma, entrando in camera per rimboccarmi le coperte, mi ha scoperto. La mattina dopo si è infuriata e ha minacciato di dire tutto a mio padre. Io ero terrorizzato e così ho smesso di frequentare i miei amici cristiani e gli incontri, ho continuato ad andare in moschea e a leggere il Corano.
Quando sono cambiate le cose?
Dopo essermi sposato, nel 1990 mi sono trasferito da Birmingham a Bradford. Nel 1996, mio fratello di 29 anni è morto all’improvviso. Mio padre, che era tornato nel suo paese d’origine, nel Kashmir pakistano, mi ha chiesto di portare là la salma. Io sono rimasto traumatizzato e mentre trasportavo la bara in Pakistan, ho capito che non potevo più fingere di essere musulmano.
Dopo essermi sposato, nel 1990 mi sono trasferito da Birmingham a Bradford. Nel 1996, mio fratello di 29 anni è morto all’improvviso. Mio padre, che era tornato nel suo paese d’origine, nel Kashmir pakistano, mi ha chiesto di portare là la salma. Io sono rimasto traumatizzato e mentre trasportavo la bara in Pakistan, ho capito che non potevo più fingere di essere musulmano.
Tornato in Inghilterra, ha cominciato a frequentare la Chiesa?
Sì, di nascosto dalla mia famiglia e da mia moglie Kubra. Lei un giorno mi ha scoperto, si è arrabbiata e mi ha detto di andarmene perché altrimenti avrei «contaminato lei e i miei figli». Dopo un periodo molto difficile ho scoperto l’esistenza di cristiani pakistani in Inghilterra, non credevo che esistessero, abbiamo cominciato a frequentarli e col tempo anche mia moglie si è convertita al cristianesimo.
Sì, di nascosto dalla mia famiglia e da mia moglie Kubra. Lei un giorno mi ha scoperto, si è arrabbiata e mi ha detto di andarmene perché altrimenti avrei «contaminato lei e i miei figli». Dopo un periodo molto difficile ho scoperto l’esistenza di cristiani pakistani in Inghilterra, non credevo che esistessero, abbiamo cominciato a frequentarli e col tempo anche mia moglie si è convertita al cristianesimo.
Le vostre famiglie come l’hanno presa?
La mia malissimo, ha tagliato completamente i ponti con me e tuttora non li sento più. La famiglia di Kubra all’inizio l’ha disconosciuta, accusandomi di averla plagiata, poi, dopo un anno, ha accettato la sua decisione.
La mia malissimo, ha tagliato completamente i ponti con me e tuttora non li sento più. La famiglia di Kubra all’inizio l’ha disconosciuta, accusandomi di averla plagiata, poi, dopo un anno, ha accettato la sua decisione.
Quando è cominciato il vostro calvario?
Nel 2000. A Bradford uno dei miei più cari amici era un pakistano musulmano e un giorno ho deciso di rivelargli che mi ero convertito. Lui è rimasto scioccato, ha reagito molto male e mi ha detto di non parlargli mai più perché avevo tradito la vera fede e il profeta. Poi, non so come, da questa scintilla si è propagato un incendio. La voce deve essersi diffusa nella comunità.
Nel 2000. A Bradford uno dei miei più cari amici era un pakistano musulmano e un giorno ho deciso di rivelargli che mi ero convertito. Lui è rimasto scioccato, ha reagito molto male e mi ha detto di non parlargli mai più perché avevo tradito la vera fede e il profeta. Poi, non so come, da questa scintilla si è propagato un incendio. La voce deve essersi diffusa nella comunità.
Quanto è grande questa comunità?Bisogna considerare che la mia città è soprannominata Bradfordistan: i musulmani costituiscono più del 25 per cento della popolazione e ci sono circa 132 mila musulmani pakistani.
Non aveva paura che potessero reagire male come la sua famiglia?Niente nella mia esperienza mi aveva preparato a quello che sarebbe successo. Pensavo: abito nel Regno Unito, c’è la libertà religiosa. Un inglese può convertirsi all’islam senza problemi. Che problema c’è se un musulmano si converte al cristianesimo?
E invece?Sono diventato un obiettivo da colpire. All’inizio mi ignoravano ed evitavano, nessuno mi parlava più se mi incontrava per strada. Poi hanno cominciato a prendermi in giro, a insultarmi urlandomi: «Sei un cane cristiano, un kuffar, un infedele» oppure «Allah Akbar». Poi sono partite le prime aggressioni: mi sputavano addosso, tre o quattro volte sono stato circondato per strada da giovani davanti ai miei figli. Mi spingevano, urlavano, imprecavano, mi ingiuriavano. Io non ho mai avuto paura e forse per questo sono diventati ancora più ostili.
Come?Nel 2002, una domenica sera, di ritorno dalla chiesa, un gruppo di ragazzi mi stava aspettando davanti a casa. Li ho riconosciuti e ho mandato subito dentro la mia famiglia. Loro mi hanno lanciato addosso in segno di sfida hamburger e patatine che stavano mangiando. Allora sono entrato anch’io a chiamare la polizia e mentre ero al telefono ho sentito un gran botto: erano saliti su una macchina e si stavano schiantando apposta contro la mia auto.
Cos’ha fatto la polizia per difenderla?Niente, la settimana dopo le stesse persone gironzolavano davanti alla mia porta. La settimana dopo, alle tre di mattina, quei giovani hanno cosparso di benzina la mia auto e hanno appiccato il fuoco. Mia moglie mi ha svegliato gridando e io ho visto fiamme alte tre o quattro metri. Ho capito che la cosa stava diventando seria.
Avrà avvisato le autorità.Sì, ma loro minimizzavano gli eventi, cercavano di coprire tutto. Non capivano che questi crimini erano dettati dall’odio religioso e qui c’è una legge che punisce queste cose. Così mattino e sera, le mie finestre sono diventate un bersaglio per il lancio di sassi e pietre. Sui muri con la vernice scrivevano «Cane» o «bastardo ebreo». Quando i miei figli andavano a giocare in giardino lanciavano le bottiglie per spaventarli.
Non ha reagito?Ho costruito uno steccato ma loro lanciavano le bottiglie oltre lo steccato. I miei figli non hanno potuto giocare in giardino per cinque anni.
Non ha mai pensato di cambiare casa?È quello che ho fatto, ma solo dopo che hanno cercato di darle fuoco con noi dentro. Però voglio essere chiaro su questa cosa: io mi sono sempre opposto al trasloco.
Perché?Perché non posso vivere come gli altri dove voglio? Perché io devo perdere i miei diritti solo per essermi convertito al cristianesimo? Perché devo soffrire solo perché sono cristiano? Le stesse domande se le faceva anche mia moglie ed era d’accordo.
Fino a quando non hanno cercato di bruciarle la casa.Sì, una sera il capobanda ha fermato l’auto di fianco a me, è sceso, mi ha preso alle spalle e ha cercato di strozzarmi. Se non sono morto, è solo grazie a mio figlio, che ha avvisato un negoziante e che è uscito spaventando il criminale. Quella stessa persona, dopo qualche giorno, mi ha detto: «Ascolta, vogliamo che te ne vai da questa zona. Abbiamo già bruciato la tua auto, ora bruceremo voi con la vostra casa». Ovviamente ho subito avvertito la polizia e sa cosa mi hanno risposto?
No.Il sergente mi ha detto: «Smetti di fare la crociata. Cambia casa, piuttosto».
Perché avrebbe dovuto risponderle così?Semplice, perché negli anni questi delinquenti hanno usato la carta razziale. La polizia, per non avere problemi e per non essere accusata di razzismo e islamofobia, non fa niente. E poi ormai i musulmani sono tanti, sono forti e gli agenti hanno paura. Se le cose stanno così è perché con la scusa del multiculturalismo le cose sono degenerate a forza di chiudere un occhio su questo e su quello.
Alle minacce sono seguiti i fatti?Sì. Una notte mio figlio si è svegliato di soprassalto gridando. Davanti alla sua finestre si alzavano nuvoloni di fumo. Erano entrati nella casa contigua alla nostra, che era disabitata, e le avevano dato fuoco sperando che anche la nostra abitazione bruciasse. A questo punto, per salvare le nostre vite, nel 2006, mi sono trasferito dalla casa che abitavo dal 1992.
Ed i problemi sono finiti.Per due anni.
Come per due anni?Sì, fino al giugno 2008. Nel nuovo quartiere di Bradford dove ci siamo trasferiti c’erano solo quattro o cinque famiglie musulmane su 25. Tutto andava bene, avevamo un ottimo rapporto con tutti, fino a quando dei giornalisti di Dispatches, uno dei programmi di documentari e giornalismo investigativo più famosi di Inghilterra, non sono venuti da me per chiedermi se volevo raccontare la mia storia. Il mio caso era già abbastanza noto a livello locale e loro stavano facendo un’indagine sulle difficoltà vissute in Inghilterra dai cristiani convertiti all’islam.
Non sarà stato così pazzo da accettare?Invece l’ho fatto, perché non potevo permettere di essere l’unico a non poter godere delle libertà garantite dall’Occidente solo perché mi ero convertito al cristianesimo. L’opinione pubblica doveva sapere che cosa succede nel loro paese. A settembre il programma è andato in onda su Channel 4, la puntata si chiamava Unholy War (Guerra profana). Pensi che solo allora ho saputo che anche in Pakistan i cristiani venivano perseguitati per gli stessi motivi.
Che cosa è accaduto dopo?Un mio vicino, a capo di una famiglia musulmana molto grande, mi ha riconosciuto e le aggressioni sono ricominciate. Anche i miei figli sono stati discriminati.
Come?Nella scuola dove li mandavo, gestita dalla Chiesa anglicana, i bambini delle famiglie musulmane li minacciavano e siccome erano diventati la maggioranza, hanno cominciato a chiedere alle ragazze di portare il velo in classe. Poi escludevano i miei figli, dicendo: «Mio padre e mia madre mi hanno detto che non posso parlare con te perché tu sei un kuffar, un infedele». Ho dovuto ritirarli e mandarli in un’altra scuola.
Tutta questa storia deve esserle costata un mucchio di soldi.Una fortuna. Solo dal luglio 2014, mi hanno spaccato i cristalli e altre parti dell’automobile per sei volte. In tutto, solo per questo, ho dovuto pagare oltre 7 mila euro di danni.
Non poteva smettere di parcheggiare davanti a casa?L’ho fatto, ma hanno seguito i miei spostamenti. Sono arrivato a parcheggiare davanti alla stazione di polizia per precauzione.
Ma la polizia ha continuato ad ignorarla.Sì, l’unica cosa che ha fatto è arrestare (per poi rilasciare poco dopo) un membro di questa numerosa famiglia musulmana che abitava vicino a noi, perché uno dei miei figli ha filmato il momento in cui venivamo aggrediti e insultati. Da allora hanno cercato di vendicarsi.
Rifacendosi contro la sua auto?Non solo. Già quando abitavo nella vecchia casa, sono stato denunciato da alcuni musulmani e arrestato tre volte. Le accuse erano false ma tutti andavano a testimoniare contro di me, anche se poi sono stato scagionato sempre. Nella nuova casa, nel marzo dell’anno scorso, mia moglie è stata aggredita e insultata da un vicino. Io l’ho difesa ovviamente e sono stato denunciato per aggressione. Ho passato 12 ore in carcere e poi sottoposto a un lungo interrogatorio. Mi hanno scagionato solo dopo l’interrogatorio a mia moglie. Dopo questo fatto, in aprile, hanno minacciato di picchiarmi.
E a novembre l’hanno quasi uccisa.Dio mi ha salvato. Quando hanno cercato di colpirmi al volto, non so come, ma mi sono protetto con la mano. Quando sono caduto, sbattendo la testa sul marciapiede, sono riuscito a proteggermi il volto, mentre loro continuavano a pestarmi da terra. Grazie a Dio quel giorno i miei figli non erano con me. Un video testimonia tutto quello che dico.
Ci sarà qualcuno che l’ha difesa.Sì, il 5 dicembre davanti al Comune la British Pakistani Christian Association ha organizzato una marcia per chiedere che i miei diritti vengano rispettati e che mi sia garantita protezione. Hanno anche chiesto giustizia e finalmente la polizia ha posto l’attacco che ho subito sotto la categoria delle offese motivate da odio religioso. Però nessuno è ancora stato arrestato e purtroppo alla marcia definita “multi-religiosa” neanche un musulmano ha partecipato. Inoltre è partita una petizione, che chiedo a tutti per piacere di firmare.
E la Chiesa anglicana?Sono molto deluso. L’ex vescovo anglicano di Bradford, nel 2005, a chi gli chiedeva se era disposto ad aiutarci, ha risposto: «In teoria sì, in pratica no perché non abbiamo case né risorse per farlo». Ci siamo rimasti molto male. Ci siamo sentiti traditi. Anche il nuovo vescovo non ci ha mai dato sostegno, non ci ha mai chiamato, non è venuto alla marcia. Vuole solo mantenere i buoni rapporti con la comunità musulmana.
Come stanno sua moglie e i suoi figli?Male, soffrono e sono terrorizzati. I miei figli non sanno neanche che cosa sia una vita normale e hanno paura. A me, poi, è stata diagnosticata una sindrome post-traumatica da stress e ho perso il mio lavoro di infermiere.
Che cosa farete adesso?Sono costretto ad abbandonare Bradford e questa parte di Inghilterra. Voglio andarmene il più lontano possibile. Non era il mio piano, ma la vita della mia famiglia è a rischio. È da 15 anni che andiamo avanti così.
Sono riusciti a zittirla alla fine.No, non ce la faranno mai. Io continuerò sempre a denunciare la vita che sono costretti a fare i convertiti. È Dio che mi chiede di parlare, per me è un dovere, un compito. Tutti devono sapere quello che succede, perché so che i convertiti qui sono centinaia. Tanti cambiano nome, tanti cambiano città o perfino paese. Questa cosa è ingiusta: i convertiti al cristianesimo devono potere vivere come gli altri. Prego che il governo faccia qualcosa perché la minaccia è seria, anche per il mio paese.
Cioè?Ai musulmani è stata data tutta la libertà religiosa per fare tutto ciò che volevano e ora loro cercano di imporsi agli altri. Questa è una minaccia allo stato di diritto. Il punto è che i cristiani in questo paese, come nel resto dell’Europa, non capiscono, non si rendono conto.
Perché la comunità musulmana vi ha trattati così, non se l’è mai chiesto?Ci trattano come dhimmi, come cittadini di serie B, così funziona nell’islam. Noi per loro siamo apostati, meritevoli di morte. Quindici anni fa, quando tutto era appena cominciato, il proprietario dell’alimentari pakistano, vedendomi con i miei figli piccoli, mi ha detto: «Se fossimo in Pakistan, o in Medio Oriente, io sarei il primo a mozzarti la testa».
Non ha mai pensato di tornare in seno all’islam? La sua fede non è stata indebolita da questo calvario?
Dirò la verità e parlo non solo per me, ma anche per la mia famiglia: la nostra fede in Gesù Cristo è molto più forte adesso di quanto non lo fosse prima degli attacchi. Dio ha fatto tanti miracoli per noi e l’ultimo, per il quale lo ringrazio, è di aver impedito che io morissi nell’attacco del 17 novembre. So che lui era con me quel giorno.
@LeoneGrotti http://www.tempi.it/pakistano-convertito-al-cristianesimo-in-inghilterra#.VnhDWWThAk8Dirò la verità e parlo non solo per me, ma anche per la mia famiglia: la nostra fede in Gesù Cristo è molto più forte adesso di quanto non lo fosse prima degli attacchi. Dio ha fatto tanti miracoli per noi e l’ultimo, per il quale lo ringrazio, è di aver impedito che io morissi nell’attacco del 17 novembre. So che lui era con me quel giorno.
USA. Coach prega Dio, licenziato
Un allenatore pregò Dio. Un altro cantava inni a Budda. Ma solo uno dei due fu punito, l’allenatore cristiano. Questo non è accaduto in uno stato asiatico, ma negli Stati Uniti. Ed è un altro esempio di come la professione aperta della fede cristiana diventi motivo di odio, intolleranza e discriminazione.
Un allenatore pregò Dio. Un altro cantava inni a Budda. Ma solo uno dei due fu punito, l’allenatore cristiano. Questo non è accaduto in uno stato asiatico, ma negli Stati Uniti. Ed è un altro esempio di come la professione aperta della fede cristiana diventi motivo di odio, intolleranza e discriminazione.
Joe Kennedy, veterano, ex marine, aiuto allenatore a Bremerton, Washington, è stato sospeso perché si è rifiutato di sospendere le sue preghiere post partita sulla linea delle 50 yard. Nei giorni scorsi ha presentato denuncia contro il distretto scolastico, affermando che il distretto non ha punito il coordinatore dell’attacco della squadra, che in modo analogo al suo e sulla stessa linea guidava canti buddisti. Liberty Institute, uno degli istituti legali a difesa delle libertà religiose della nazione, rappresenta Kennedy in questa causa, e sta cercando di ottenere una risposta alla Commissione per le eguali opportunità di impiego.
“Bremerton School District ha violato i miei diritti al libero esercizio della religione e alla libertà di parola proibendomi l’espressione privata della fede, e agendo in maniera ostile dal punto di vista dell’impiego sulla base della mia religione”, ha scritto Kennedy, che è stato assunto nel 2008. Da allora ha cominciato le sue preghiere dopo partita, ispirato d aun film, “Facing the giants”. Dopo un po’ gli studenti notarono quello che faceva l’allenatore, e cominciarono a unirsi a lui. Fu un movimento spontaneo, senza inviti.
La scuola però non solo gli proibì di pregare, ma anche di unirsi a preghiere condotte da studenti, e gli vietarono di inginocchiarsi o di chinare il capo nel corso di attività religiose studentesche. Kennedy si rifiutò di obbedire: “Dipende dal fatto di essere un veterano e un marine – ha spiegato -. Credo ancora che l’America sia la terra dei liberi e la casa dei coraggiosi. Ma di recente non ho visto molto di questo. Indietreggiamo continuamente perché qualcuno potrebbe offendersi”. Queste ultime parole hanno un suono stranamente familiare anche qui da noi… “Ma non è questa la via americana. Parliamo di praticare tolleranza e accettazione e diversità ma non lo viviamo”.
MARCO TOSATTI
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