ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 25 gennaio 2016

Effetto valanga?

Effetto Bagnasco: mai tanti vescovi con il Family day
Papa Francesco
La prolusione del cardinale Bagnasco al Consiglio permanente dei vescovi italiani di oggi pomeriggio affronterà certamente il tema caldo delle unioni civili e, più o meno direttamente, farà cenno al Family day di sabato 30. Intanto, ha già preso una certa fisionomia la geografia ecclesiale che si è espressa rispetto all’incontro del Circo Massimo di Roma. Dopo le prime dichiarazioni favorevoli del cardinale Bagnasco, e il recente discorso del Papa alla Rota romana, l’argine si è rotto producendo il classico effetto valanga. 
L’ultima in ordine di tempo è la netta e collegiale presa di posizione della Conferenza episcopale del Triveneto. Con un comunicato molto chiaro i vescovi hanno citato papa Francesco per dire che non può esserci confusione tra «la famiglia, fondata sul matrimonio indissolubile, unitivo e procreativo» e «ogni altro tipo di unione». Pertanto, prosegue il comunicato, «una sapiente e chiara regolamentazione dei diritti e dei doveri sia perseguita e realizzata all’interno di un dialogo franco, leale e senza pregiudizi di sorta. In questa materia non sono possibili compromessi al ribasso; si tratta, piuttosto, di fare riferimento alla legge morale naturale». Le parole dei vescovi del Triveneto, pur non indicando espressamente il Family day di sabato 30, sono una chiarissima indicazione di simpatia alla manifestazione promossa dal Comitato “Difendiamo i nostri figli”.
Con altrettanta parresia si erano espressi i presuli della Liguria, la regione ecclesiale del cardinale Bagnasco. «Le organizzazioni laicali che si adoperano per l'affermazione della famiglia, meritano l'attenzione di ogni persona di buona volontà», si legge nella loro comunicazione. Inoltre, «l'ordinamento civile già riconosce in modo ampio i diritti individuali per i componenti di altre forme di convivenza» e quindi non c’è bisogno di forzature che «contraddicano la specificità e l’unità della famiglia».
I vescovi umbri hanno manifestato la loro adesione al Family day, specialmente con le parole del cardinale Bassetti che ha perfino letto ai fedeli l’appello del Comitato organizzatore invitandoli a «farne tesoro perché il bene della famiglia ci sta tanto a cuore». In modo simile si è espresso anche il vescovo di Torino, monsignor Nosiglia, che ha detto: «Per salvaguardare e promuovere questi valori fondamentali anche dal punto di vista legislativo, raccomandiamo anche noi calorosamente un’ampia partecipazione al Family day». Altri vescovi si sono fatti sentire esprimendo la loro condivisione alla manifestazione, come ad esempio monsignor Crepaldi (Trieste), monsignor Milito (Oppido-Palmi) e monsignor Negri (Ferrara).
Adesione alle dichiarazioni di Bagnasco sono arrivate anche da due presuli molto vicini a papa Francesco, Matteo Maria Zuppi, neo arcivescovo di Bologna, e monsignor Bregantini, vescovo di Campobasso, hanno dichiarato la loro condivisione alla indicazione del presidente Cei. In particolare monsignor Zuppi ha detto che «sulle unioni civili penso abbia ragione il cardinale Bagnasco. E non lo dico solo perché è il presidente della Cei, lo direi comunque».
 Infine si registrano le dichiarazioni di monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, che incontrando i giornalisti sabato scorso ha specificato di essere «convinto che la prima e fondamentale forma di sostegno alla vita della famiglia sono la testimonianza e il racconto della bellezza della vita familiare, di cui conosciamo certamente anche i drammi e le fatiche. Riconosco nello stesso tempo l’importanza di vivere questa testimonianza anche pubblicamente, come avverrà per esempio il prossimo 30 gennaio a Roma».
La valanga di prese di posizione ha battuto in breccia le indicazioni precedentemente espresse dal segretario Cei, mons. Nunzio Galantino, che, come sappiamo, teneva toni decisamente sfumati sull’argomento e soprattutto sulla possibilità di organizzare la piazza. Una posizione talmente liquida che piaceva soprattutto ai sostenitori del ddl Cirinnà.
Qualcosa è cambiato e a farlo cambiare hanno contribuito soprattutto quei laici che da mesi, prima sul gender, poi sulle unioni civili, sono andati avanti a denunciare quella che si ritiene una vera e propria rivoluzione antropologica giocata soprattutto sulla pelle dei bambini. Il fatto nuovo all’interno del mondo ecclesiale è questo, qualcosa che supera ogni previsione e ogni aspettativa. Una forma di partecipazione dal basso che non vuole “vescovi-pilota”, un gregge docile, ma capace di alzarsi in piedi.

di Lorenzo Bertocchi 25-01-2016

Non basta ai cattolici dire no a utero in affitto e adozioni. Inaccettabili sono le stesse unioni gay
di Stefano Fontana25-01-2016
No alle adozioni per le coppie gay.
Chi si sta impegnando per il ritiro del ddl Cirinnà dovrebbe porre attenzione ad una posizione oggi abbastanza diffusa anche tra i cattolici, ecclesiastici e laici che siano. Questa idea è riassumibile in questa frase: sì alle unioni civili, no alle adozioni, e può creare non poca confusione. L’idea di fondo è che nella società di oggi ci sia una pluralità di unioni e che lo Stato le debba normare, l’importante è che non le equipari tra loro e, soprattutto, non le identifichi con il matrimonio. 
Questo viene ripetuto da molti con il seguente concetto: sì alle unioni civili, ma basta che non siano equiparate al matrimonio. In altri termini, tutte le forme di convivenze presenti di fatto nella società sarebbero buone, lo Stato le dovrebbe riconoscere e disciplinare, però ognuna al suo livello, senza confusione. Se quindi, dal ddl Cirinnà fossero tolti alcuni elementi che equiparano in tutto le unioni civili omosex al matrimonio, allora un cattolico potrebbe dare il suo assenso. Le unioni civili omosessuali non sarebbero sbagliate in sé, ma solo se copiano il matrimonio e si attribuiscono i diritti che spettano invece solo alla coppia eterosessuale sposata. 
É da attribuire a questa visione delle cose l’insistenza (quasi esclusiva) sulla questione dell’adozione e, ancor più, su quella dell’utero in affitto, nelle critiche di parte cattolica sul ddl Cirinnà. Un grande no alle adozioni da parte delle coppie omosessuali che talvolta nasconde un sì alle unioni civili. Non si nega qui l’inaccettabilità dell’adozione del minore da parte di una coppia omosessuale o dell’utero in affitto. Si nega piuttosto che l’inaccettabilità del ddl Cirinnà stia solo in questi, pur gravissimi, aspetti. Anche se questi non ci fossero, il ddl Cirinnà sarebbe ugualmente inaccettabile.
In altre parole: non è vero che l’unica cosa che bisogna garantire è che le varie convivenze non siano equiparate le une alle altre e che tutte siano normate al loro proprio livello. Alcune proprio non possono essere riconosciute giuridicamente dallo Stato, perché intrinsecamente disordinate e contrarie al bene comune, ossia dannose per la comunità. Possono essere tollerate come comportanti privati, ma non possono avere il sigillo dell’autorità politica perché questo le proporrebbe pubblicamente come esemplari e utili. Il riconoscimento delle unioni civili omosessuali comporta il riconoscimento pubblico del valore dell’omosessualità in ordine al bene comune, il che è contrario sia alla legge naturale che a quella divina.
La tesi che sto criticando non è mai stata insegnata dalla Chiesa. Per quanto riguarda l’argomento del riconoscimento giuridico delle coppie di fatto e delle unioni civili omosessuali i documenti magisteriali di riferimento immediato sono due: Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle persone omosessuali della Congregazione per la dottrina della fede (2003) e con la Nota del Consiglio Permanente della Conferenza episcopale italiana a riguardo della famiglia fondata sul matrimonio  e di iniziative legislative in materia di unioni di fatto (2007). Ambedue questi documenti negano, per motivi razionali connessi con i principi della legge morale naturale, e per motivi di fede relativi alla rivelazione di Nostro Signore, che una unione di fatto eterosessuale e, a maggior ragione, una omosessuale possano ricevere un riconoscimento giuridico e quindi venire trasformati da fatto privato in fatto di rilevanza pubblica, meritevole di sostegno e promozione da parte della comunità e dell’autorità. 
Ciononostante, la tesi che ho presentato e criticato si sta diffondendo. Qualcosa di analogo era successo durante il Sinodo sulla Famiglia a proposito dei divorziati risposati e del loro accesso alla Comunione. Qualcuno diceva che nella convivenza tra un uomo e una donna senza essere sposati, nel secondo matrimonio di un divorziato o anche in una unione omosessuale c’era qualcosa di buono da valorizzare senza condanna e da far sviluppare in forme più adeguate di convivenza fino al matrimonio. Qui siamo in un contesto diverso, diciamo ecclesiastico, ma anche in questo caso tutte le unioni venivano intese come buone, al loro livello. Nessuna doveva quindi essere esclusa o indicata come radicalmente negativa, ma tutte dovevano essere accettate e disciplinate, pur senza confusione tra loro.
La concezione generale che sta dietro queste teorie è che il male, come situazione oggettiva, indipendentemente dalla responsabilità della persona, la cui coscienza esula dalle valutazioni di chicchessia, non esiste. Non ci sono forme di convivenza cui la legge di uno Stato debba dire di no e, quindi, non riconoscerle giuridicamente. Non esistono situazioni in cui la Chiesa non debba dire di no, e pretendere il loro abbandono da parte della persona veramente pentita.
Ma qui sta il problema: se tutte le unioni sono buone, perché mai lo Stato dovrebbe fermarsi dopo aver riconosciuto quelle tra due persone omosessuali, senza procedere a riconoscerne altre?

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