ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 19 gennaio 2016

L’infermiere in capo dell’ospedale da campo

Quanto è luterano Papa Francesco


I confini della misericordia e la scelta pastorale (dalle vaste conseguenze teologiche) di non occuparsi dell’innocenza dei bambini non nati. Cosa si capisce del cristianesimo moderno dal libro giubilare del Papa

Papa Francesco (foto LaPresse)
La misericordia è un attributo di Dio, come la carità, la fedeltà, la giustizia, ma se il nome di Dio è misericordia, come recita il titolo del bel libro confezionato da Papa Francesco con il sostegno lucido di Andrea Tornielli, le cose cambiano. Apparentemente il libro del Papa è solo bellezza e umiltà spirituale, umana, è abbassamento, ascolto, ricerca, predicazione della vergogna per il peccato intesa come grazia efficace, dell’amore e della fede, anche solo uno spiraglio di fede come fiducia, allo scopo di provare la fedeltà di Dio a se stesso, la sua infinita capacità di perdonare, la sua inesauribile tensione d’amore verso le creature.
Il manuale di un portentoso parroco, di un confessore gaudioso e capace di produrre le premesse della salvezza in un mondo esposto dalle origini alla dannazione del peccato. L’infermiere in capo dell’ospedale da campo. Ci sono cose folgoranti, come una vecchietta, naturalmente mistica, che nel 1992 gli spiega: se Dio non perdonasse sempre, il mondo non esisterebbe. Ci sono gli esempi tratti dalla Bibbia, il capitolo 16 di Ezechiele o Paolo con le sue lettere, ed esempi caldi di confessori intelligenti e sensibili, santi: a uno di loro, chiedendogli di donargli la metà della sua misericordia, Bergoglio prese la croce avvinta al rosario, che il confessore teneva in pugno composto nel sepolcro, e ogni volta che è tentato dal sentimento del giudizio non misericordioso, ecco, Francesco tocca quella croce, che porta sempre con sé, e si risana nel cuore. Un gesto dolce alla Pietro Favre, il primo gesuita che disse messa, il pellegrino europeo che istruiva semplici e principi, il compagno di stanza di Ignazio, il memorialista ascetico e mistico che il Papa ama e che ha canonizzato in uno dei primi atti del pontificato. Non esiste opposizione tra misericordia e verità: la misericordia è dottrina, è essa stessa verità. E’ evocato il magistero di tutti i papi predecessori, compreso Pio XII, con insistenza sul grande patriarca e parroco Albino Luciani, il Papa che sopravvisse trenta giorni alla sua elezione al soglio di Pietro. La misericordia può sembrare perfino ingiusta in certi casi, dice il Papa, ma è il cuore della fede e della pastorale ecclesiale, chi rifiuta di entrare nella notte, nella sofferenza del peccato, chi è legalista e rigorista dà cattivo esempio. La misericordia esclude i superbi, i corrotti, ma alla fine oltre agli emarginati e ai peccatori include pure loro, posto che ricevano almeno la grazia della vergogna e si rendano umili abbastanza per la ricerca del perdono.
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Walter Kasper, cardinale, ecumenista, interlocutore teologico e polemico di Ratzinger, aveva fatto da battistrada. Con il suo libro sul “testimone della misericordia” (anche quello una conversazione con un giornalista, Raffaele Luise) aveva dato il rango di linguaggio profetico alla misericordia di Francesco, aveva chiamato in causa il suo valore antropologico evocando Albert Camus, aveva alluso alla riscoperta del vangelo delle Beatitudini come a una rivoluzione non soltanto pastorale ma teologica.
E qui è la questione. Il cristianesimo moderno ha due chiavi di volta: Lutero e i primi gesuiti, che combatterono la Riforma e seppero imparare a usare i suoi mezzi spirituali. Qui il Papa gesuita è a suo modo un luterano. Il Dio sovrano, il Dio che non si definisce nella sua gloria, il Dio della teologia della croce, il Dio che si manifesta e si occulta, come scriveva Giovanni Miegge commentando Lutero giovane, si occulta e si palesa come Dio crocifisso, il Dio che non si può pensare come maestà, che la scolastica aristotelico-tomista pretendeva di dedurre razionalmente dalla creazione, questo Dio è il Dio di Lutero. “Il pensiero che l’uomo non è accolto nella pace di Dio per la sua intrinseca giustizia, ma per la sua unione solidale con la giustizia di Cristo, è rimasto in tutte le correnti della Riforma il grande motivo di conforto per le coscienze impegnate nella difficile impresa della vita cristiana… Un immutabile decreto della volontà misericordiosa di Dio, di cui le piaghe di Cristo sono la solenne garanzia, è lo sfondo su cui si proietta l’intera vicenda della Riforma, nella sua lotta contro l’istituto disciplinare e sacramentale cattolico, e nel suo sforzo di creare una nuova spiritualità cristiana” (Giovanni Miegge su Lutero). E’ la radice della luterana chiesa invisibile.
Qui stiamo parlando di un grande genio religioso alle prese con un dramma d’epoca, che portò alla divisione della cristianità europea e alla nascita del mondo moderno. Sono cose, sentimenti, idee che hanno dello splendore, e ritornano perché non possono non ritornare, e si mescolano e si mediano con tutto il resto. Ma ciò che ne risulta è assimilazione del cattolico al non cattolico o all’acattolico. Lo diceva anche Jacques Maritain nel suo libro su Lutero, Cartesio e Rousseau degli anni Venti: per Lutero “voler cooperare con l’azione divina è mancare di fede, rinnegare il sangue di Cristo e dannarsi… la fede non è più la fede teologale, ma un movimento umano di cieca fiducia, che mina disperatamente la virtù della fede… l’infelice (Lutero) crede di non potersi più fidare di sé e di doversi fidare solo di Dio. Ma rifiutando di ammettere che l’uomo possa partecipare alla giustizia di Gesù Cristo e alla sua grazia – che secondo lui è per sempre a noi esteriore, che non può produrre in noi l’atto vitale – si chiude per sempre nel suo io, si ritira a qualunque altro punto d’appoggio che non sia il suo io, erige in dottrina ciò che all’inizio non era che un peccato personale, piazza al centro della vita religiosa non Dio ma l’uomo”. E a mio modesto giudizio di lettore e di persona (non certo teologale, ché non è con ogni evidenza il mio mestiere) niente dimostra meglio l’assunto che l’assenza completa nel libro giubilare di Francesco, non certo per sordità morale ma come scelta pastorale deliberata dalle vaste conseguenze teologiche, dell’innocenza annientata dal peccato nell’esercito angelico dei bambini non nati, non misericordiati e non eletti perché destituiti del loro io (il motto episcopale di Francesco è: miserando atque eligendo).

Il cristianesimo plausibile

Perché la Misericordia è l’unico programma del Pontificato
di Maurizio Crippa | 19 Gennaio 2016 
Papa Francesco (foto LaPresse)
Ha creato il cielo e non leggo che si sia riposato, ha creato la terra e non leggo che si sia riposato, ha creato il sole, la luna e le stelle e non leggo che abbia riposato. Leggo che ha creato l’uomo e allora si è riposato, perché finalmente aveva uno cui poteva perdonare i peccati”. Sono le parole che chiudono l’Esamerone di sant’Ambrogio, che nel libro di Papa Francesco non sono citate ma che di sicuro ben conosce, e non soltanto perché l’Esamerone è il commento alla Creazione e Francesco la Creazione è una cosa che ha molto a cuore. Ma alla creatura tiene anche di più, perché è alla creatura che si può perdonare, che significa far vivere. A che serve, in fondo, un Papa? Un Papa che fa un libro con il titolo in corsivo di suo pugno, calligrafia quasi infantile, non professorale – un tentativo di darti del tu che qualcuno scambierà per un vezzo pop ma non lo è, per dire che “Il nome di Dio è Misericordia”. A che serve in fondo il cristianesimo, oggi come oggi? Oggi come oggi che lo scrittore dell’anno, l’anno scorso, è stato Michel Houellebecq perché ha detto “della libertà l’uomo non ne può più”. E della guerra senza misericordia che il mondo post cristiano sta perdendo, ha detto che “l’ateismo è perdente perché è troppo triste”. A che serve, Dio? E Gesù poi? Per rinforzare leggi, per difendere confini, per spronare a buone pratiche morali? C’è soltanto una cosa, in fondo, che può rendere plausibile, e non una favola narrata da un folle, un libro come quello del Papa. Un libro scritto troppo in prima persona per essere il libro del Vicario di Cristo, troppo auto-evidente per essere teologia. L’unica cosa che può rendere plausibile un libro così, è che dica il vero.

ARTICOLI CORRELATI Il Papa con la kippah Perché una chiesa ricca non può che fare bene al mondo Quanto è luterano Papa Francesco Teologia e Israele, le questioni ancora aperte dopo la visita del Papa in SinagogaNella prima messa domenicale che celebrò, racconta Andrea Tornielli che ha realizzato il libro intervista con Bergoglio, disse: “Il messaggio di Gesù è la misericordia. Per me, lo dico umilmente, è il messaggio più forte del Signore”. Che questo sia plausibile, per Francesco è questione non solo di esercizio spirituale e discernimento, ma dipende dal fatto che sia qualcosa successa davvero, che succede davvero. Che ci siano uomini che l’hanno sperimentata e ne danno testimonianza. Come il giovane detenuto del carcere di Padova che si chiama Zhang Agostino Jianqing e che ha portato la sua testimonianza alla presentazione del libro la settimana scorsa (quella con Benigni) e che, nato buddista in Cina, ora è cristiano si chiama Agostino.

Quando in carcere ha incontrato dei cristiani e s’è sentito misericordiato, e s’è convertito, e s’è fatto battezzare, Agostino ha scelto quel nome perché “mi ha particolarmente commosso sua madre santa Monica per tutte le lacrime che aveva versato per il suo figlio, sperando di ritrovare il figlio perduto”. Oppure quella abuela, quella nonna che Bergoglio aveva incontrato una volta in Argentina e voleva confessarsi, ma lui non aveva tempo. Ma lei gli disse: “Se il signore non perdonasse tutto, il mondo non esisterebbe”. Sono cose che non possono accadere, lo sappiamo, perché non sono di questo mondo. Ma se accadono, se invece sono incontri umani che si intrecciano con storie umane, se diventano cose di questo mondo, allora possono persino stupire. Come stupì un po’ tutti l’esordio da buon parroco di Francesco: ma si era all’inizio, tutti scommettevano che poi avrebbe iniziato a fare altro. E invece non ha fatto altro, non c’era altro da fare, e adesso ha indetto un Giubileo della Misericordia di cui questo libro è un po’ il calepino spiegato in prima persona: così concreto che ognuno può capire.
Ci sono due figure chiave per Francesco. Una è Zaccheo, ispiratore del suo stemma pontificio, “Miserando atque eligendo”, lo “guardò con sentimento d’amore lo scelse”. L’altra è l’adultera. Generazioni di esegeti e di artisti si sono esercitati su cosa mai stesse scrivendo Gesù sulla sabbia, mentre lei gli stava davanti, in piedi. E se stesse scrivendo la Legge, che è scritta sulla sabbia? “Neanche io ti condanno, va’ e d’ora in poi non peccare più”. Bergoglio annota: “Qui c’è qualcosa di più del perdono. Perché come confessore Gesù va oltre la legge. La legge sanciva che lei dovesse essere punita”. Può lasciare un po’ straniti, uno po’ delusi, un libro che con una tale tranquillità d’animo va al nocciolo delle cose? Be’, si dirà, ci sono anche la Verità, i comandamenti, la saldezza della dottrina da curare. Invece Bergoglio parte da sé, parla della Misericordia, spiega cos’è una buona confessione e un buon confessore. Cose che sembrerebbero impossibili, scritte sulla sabbia della nostra incredulità fluida  (“la fragilità dei tempi che viviamo è anche questa: credere che non ci sia possibilità di riscatto”), se non fosse Gesù in persona, attraverso altri uomini, a “cercare uno spiraglio”. La cifra del libro è esattamente la cifra del cristianesimo di Francesco, nella sua essenza: “Noi siamo esseri sociali. Se tu non sei capace di parlare dei tuoi sbagli con il tuo fratello, sta sicuro che non sei capace di parlarne neanche con Dio e così finisci per confessarti con lo specchio”. Il programma semplice del pontificato.

3 commenti:

  1. Sto Crippa riesce a produrre un concentrato di cretinate per riga da Guinness dei Primati. Certo, avendo Badoglio come ispiratore, il compito non è poi arduo...

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    1. concordo. quello di crippa è un effluvio di idiozie semplicemente vomitevole.

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    2. Crippa mi sembra molto inquinato di (passato?) ciellinismo

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