ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 14 gennaio 2016

Nientepopodimeno

Com’è chic avere un guitto e un detenuto alla presentazione del libro-intervista a Bergoglio… 

Il crollo del buon gusto, l’amore per le americanate, non sono certo i problemi più gravi per una Chiesa allo sbando. Però fanno la loro parte per umiliare la Chiesa e distruggere la figura dell’Autorità. Torna alla mente l’esempio di dignità che diede il bandito Pietro Cavallero.

di Paolo Deotto
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Mi rendo conto che mi si può obiettare: “Ma come, in una Chiesa in cui è difficile trovare chi ancora professi la Fede cattolica, tu ti scandalizzi per quanto è accaduto nella presentazione di un libro?”.
Sì, mi scandalizzo, perché il Papa è il Vicario di Cristo. Non è un sovrano assoluto che può fare le cose a suo piacimento e ridurre a burla un ruolo di Vicario del Dio incarnato, del Salvatore. Le modalità con cui si è svolta la presentazione del libro-intervista di Andrea Tornielli, “Il nome di Dio è misericordia” hanno avuto certamente il placet di Bergoglio, il quale, del resto, si era premurato di invitare personalmente Roberto Benigni, attore comico, che potrà piacere o meno, ma che resta, sempre e soltanto, un attore comico, oltretutto alquanto sguaiato. Un guitto.

E così accade che la presentazione di un libro-intervista al Papa regnante diventi occasione per uno show del guitto. Ma non solo, bisogna fare anche qualcosa che dimostri quanto si è buoni e accoglienti. E il colpo da maestro è la presenza, nientepopodimeno, di un detenuto nel carcere di Padova, tale signor Zhang Agostino Jiangquing il quale, se si trova dietro le sbarre da dieci anni (vedi sotto l’articolo del Mattino di Padova), deve aver fatto qualcosa di leggermente più grave di un divieto di sosta.
Il detenuto in questione, da quanto viene riferito, in carcere si è convertito e in carcere lavora e tiene buona condotta. Ne siamo felici per lui e gli auguriamo, quando avrà pagato il suo debito con la legge, di  potersi rifare una vita da uomo libero. Ma intanto avrebbe il diritto di non diventare una “star”, di non essere usato come depliant pubblicitario per il supermarket della “misericordia” a prezzi di lancio. Ne avrebbe il diritto, soprattutto per poter percorrere in pace e in silenzio un cammino di redenzione.
Ma purtroppo la bassa cafoneria, il gusto per le americanate, è entrato ormai anche nelle Sacre Mura. Lo show del guitto (che si improvvisa anche catechista, e del resto l’invito gli è arrivato dall’alto…) e l’esibizione del detenuto redento sono “benedetti” dalla presenza sorridente del Segretario di Stato, cardinale Parolin.
E tutto è ridotto a farsa. Lo so, ripeto, che il problema più tragicamente attuale della Chiesa è la mancanza di Fede e la lotta feroce che, proprio al suo interno, in molti fanno contro Nostro Signore Gesù Cristo. Viviamo negli ani del demonio. Lo scrivevo di recente e qui lo ribadisco. Ma anche questo svaccamento – mi si scusi la parola, ma non ne trovo di più adatte – è un bel servizio al demonio, perché la Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo, non è un teatrino per esibizioni di dubbio gusto. E da questa ultima farsa, chi ne esce umiliata è la Chiesa.
Ci scandalizziamo quando vediamo, in tante parrocchie, la S. Messa ridotta a un show, con applausi, “preghiere dei fedeli” pazzesche, improvvisazioni di preti esibizionisti. Ma con l’esempio che viene dall’Alto (si fa per dire…), che può accadere poi nelle diocesi e via via nelle parrocchie? Perché si è gettata nella spazzatura quella austerità, quella serietà, che un tempo contraddistinguevano non solo la liturgia, ma anche il comportamento del clero e ogni manifestazione che avvenisse in ambito religioso?
La risposta purtroppo è tragicamente semplice: perché si è perduta la Fede.
E quindi anche la presentazione show del libro-intervista è per noi un richiamo alla preghiera costante, al Santo Rosario quotidiano, perché il Signore voglia di nuovo donarci veri Pastori e perché faccia ritrovare la Fede a tanti pastori smarriti dietro la ricerca spasmodica dell’applauso del mondo.
E consentitemi in chiusura di ricordare un nome che forse ai giovani non dice nulla: Pietro Cavallero. Fu il capo di una banda di feroci rapinatori di banche, che chiusero la loro sciagurata avventura il 25 settembre del 1967 a Milano. Dopo una rapina in banca, tallonati dalle auto della Polizia, uccisero quattro persone, sparando a casaccio sui passanti per obbligare i poliziotti a fermarsi. I feriti furono decine. Già la banda aveva commesso in precedenza un altro omicidio in una precedente rapina.
Pietro Cavallero scontò 27 anni di reclusione. In quel lungo periodi si pente e si convertì. Quando uscì dal carcere si limitò a dire alla stampa che chiedeva perdono per il male che aveva fatto, e che si rendeva conto che comunque il male fatto non si cancella. Lavorò alcuni anni presso il Sermig, fino alla morte avvenuta nel 1997. Rifiutò ogni forma di pubblicità e di intervista.
Consiglieremmo al signor Zhang Agostino Jiangquing di non farsi usare dai piazzisti della misericordia, e di prendere esempio dall’ex bandito Cavallero, omicida e rapinatore pentito e silenzioso.
Ecco l’articolo del Mattino di Padova e, di seguito, un’interessante lettera sul libro-intervista, pubblicata da Italia Oggi.


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