I tormenti della Cei tra dubbi sul Family day e rimpianti per i Dico
I vescovi criticano (sui giornali) il ddl sulle unioni civili, ma sanno che il Papa li vuole “pastori” e non “piloti”
Roma. Nella sede della Conferenza episcopale italiana, sull’Aurelia, l’interlocutore di turno alza il sopracciglio quando sente parlare di ipotetico Family day organizzato con vessilli e benedizioni episcopali. Non è proprio aria, dicono a taccuini chiusi. La situazione del 2007 non è più replicabile, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia.
E’ cambiato il mondo, e non c’entra solo il fatto che la stagione delle mobilitazioni di massa e dei grandi raduni sia tramontata. Oggi, nel battagliare quotidiano sui giornali riguardo il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, di vescovi pronti a guidare una simil crociata non se ne vede l’ombra, tranne qualche rara eccezione. Capita perfino che qualche presule, per giunta cardinale di fresca creazione (Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, sul Corriere della Sera di ieri) guardi con rimpianto a quanto si riuscì a bloccare otto anni fa: “Facendo un confronto con ciò che viene proposto oggi verrebbe quasi da dire benedetti i Dico!”, anche se – chiosava – non si può dire cosa sarebbe accaduto successivamente all’approvazione di quel provvedimento. Forse, l’utero in affitto sarebbe già realtà, chissà. L’avversione per il ddl Cirinnà è netta, e non solo riguardo il punto più contestato, quello della stepchild adoption – ritenuta “inammissibile” dalla Cei – che ha indotto più d’un cattolico della maggioranza di governo a concedersi qualche supplemento di riflessione prima del passaggio parlamentare. Intervistato dal Sir (Servizio informazione religiosa), il direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale familiare della Cei, don Paolo Gentili, si domandava perché “si debba liquefare ulteriormente il matrimonio”.
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A ogni modo, garantisce don Paolo Gentili, “non abbiamo nulla contro il riconoscimento dei diritti individuali delle persone omosessuali, come poter andare a visitare il partner in ospedale o in carcere o decidere quale parte di patrimonio lasciargli in eredità. Però, sottolinea “un conto è un paese che mira al futuro e quindi investe sulla famiglia reale; un altro è un paese che si preoccupa solo dei diritti di alcuni gruppi”. Su come agire per bloccarne l’approvazione, dunque, si va con i piedi di piombo. Anche perché le linee-guida illustrate dal Papa a Firenze lo scorso novembre, in occasione del Convegno ecclesiale, sono assai chiare: i vescovi siano pastori e non organizzatori, e anziché perdere tempo ed energie nello stilare complessi programmi pastorali, si badi di più a quei “tre sentimenti” di Gesù di cui la chiesa dovrebbe farsi portatrice, e cioè l’umiltà, il disinteresse e la beatitudine. Camillo Ruini ricordava la scorsa estate su questo giornale che per scendere in piazza (con possibilità di successo) deve esserci “un obiettivo concreto, sentito da molta gente come importante e realizzabile”. Di questi tempi, ciò non basta più.
“Più che creare singoli eventi, che di per sé possono anche essere importanti, questo scenario ci chiede, come insegna Papa Francesco, di avviare e curare un processo che sappia risvegliare nei politici uno sguardo globale sulla realtà”, ha riconosciuto don Gentili. Oggi – ed è il segnale che implicitamente ha ribadito più volte l’attuale segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Nunzio Galantino, specie dopo le polemiche seguite alla manifestazione del giugno scorso in difesa della famiglia, organizzata senza il placet episcopale – in piazza sotto i vessilli della Cei si va solo per pregare con il Papa, non per manifestare contro leggi allo studio del governo. Meglio dialogare, allacciare relazioni a più livelli, che radunare masse armate di cartelli e megafoni. Il cardinale Bassetti l’ha fatto intuire, quando ha ricordato che i compiti dei laici sono ben diversi da quelli dei vescovi. Dopotutto, Bergoglio era stato chiaro, la scorsa primavera, parlando proprio ai presuli italiani: “I laici che hanno una formazione cristiana autentica non dovrebbero aver bisogno del vescovo-pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità”. Categorie, quest’ultime, che l’allora arcivescovo di Buenos Aires aveva mostrato di gradire assai poco quando si trattò di contrastare la serie di provvedimenti dei governi Kirchner (Nestor e Cristina) non in linea con la morale cattolica. Opposizione sì, ma senza sfilare in strada dietro striscioni variopinti. Non è più tempo di direttive dall’alto.
di Matteo Matzuzzi | 09 Gennaio 2016 Foglio
«Famiglie scendano in piazza contro le unioni gay Non è per uno scontro ma per il bene comune»
«Le manifestazioni in piazza sono un modo per dare voce a chi non ce l’ha e per mostrare che le famiglie sono una realtà concreta e viva, e voglono contare per il bene di tutta la società». A parlare è Luisa Santolini, “storico” presidente del Forum delle Associazioni familiari, che ha guidato dal 1994 al 2006, anno in cui è stata eletta alla Camera dei Deputati dove è stata per due legislature, fino al 2013. La sua è una risposta a chi vuole scoraggiare un nuovo Family Day che potrebbe tenersi sabato 30 gennaio, durante la discussione al Senato del ddl Cirinnà che legalizzerebbe le unioni omosessuali. Così si punta sulla presunta inutilità delle manifestazioni addirittura accusando di fallimento il primo Family Day del 2007, come ha fatto recentemente il neo presidente del Forum delle Famiglie Gigi De Palo (a cui comunque la Santolini augura «tutto il bene possibile»).
Signora Santolini, scendere in piazza ha ancora senso? In fondo sono in molti a dare già per persa la battaglia contro il ddl Cirinnà e si prende il Family Day del 2007 come esempio di manifestazione che in fin dei conti è stata inutile.Inutile non direi proprio, fallimento men che meno. Cominciamo a dire che il 2007 è stata una grande intuizione, una mobilitazione di popolo come è avvenuto anche in Francia e Spagna, che ha avuto anzitutto il merito di dare voce a una realtà dimenticata dalla politica. Le famiglie hanno dimostrato, così come anche il 20 giugno scorso, di non essere passive e di capire molto bene qual è la posta in gioco. Ma anche dal punto di vista politico è stata un successo perché l’obiettivo era fermare una legge devastante come quella dei Di.Co., spinta dal governo Prodi, e la legge è stata fermata.
Certo, questo non significa che la piazza sia l’unica modalità: si deve fare lobby in Parlamento, si scende in piazza, si fa elaborazione culturale, si scrivono documenti importanti, si è presenti sui media; insomma, ci sono tanti modi per tenere alta la voce della famiglia alla luce della Dottrina sociale della Chiesa e difendendo l’articolo 29 della Costituzione italiana, che riconosce la famiglia come società naturale.
Certo, questo non significa che la piazza sia l’unica modalità: si deve fare lobby in Parlamento, si scende in piazza, si fa elaborazione culturale, si scrivono documenti importanti, si è presenti sui media; insomma, ci sono tanti modi per tenere alta la voce della famiglia alla luce della Dottrina sociale della Chiesa e difendendo l’articolo 29 della Costituzione italiana, che riconosce la famiglia come società naturale.
L’obiezione che viene fatta è che sì, i Di.Co. furono fermati, ma poi per promuovere le politiche familiari non si è fatto più niente. Anzitutto dobbiamo riconoscere che grazie all’azione del Forum delle Famiglie e al Family Day nel nostro Paese si è cominciato a parlare di famiglia, una parola che non si pronunciava neanche più in politica. Che poi le forze politiche non abbiano avuto la cultura o il coraggio di portare avanti le proposte che le famiglie presentavano è responsabilità loro. È vero che molte cose non sono state fatte, ma questo non è un argomento per dire che non si va in piazza, al contrario. dare voce a chi non ha voce è tra l'altro la mission del Forum delle Famiglie.
Si dice che i tempi oggi siano cambiati…
… Sì, ma in peggio. E questa è una ragione in più per lavorare su tutti i fronti. L’attacco alla famiglia è a livello planetario, sicuramente a livello europeo, è un attacco organizzato e portato in profondità. Quindi dobbiamo essere presenti in tutti i modi possibili, e la piazza è uno dei modi. Lo hanno fatto in Francia, fermando leggi perniciose, e anche in Italia bisogna dare la voce a queste famiglie. Poi ognuno si deve prendere le proprie responsabilità. Se le forze politiche ritengono di ignorare questo popolo, non mettere in agenda la famiglia, e perseguire gli interessi particolari di una minoranza a scapito del bene comune, ebbene porteranno il peso delle loro decisioni.
… Sì, ma in peggio. E questa è una ragione in più per lavorare su tutti i fronti. L’attacco alla famiglia è a livello planetario, sicuramente a livello europeo, è un attacco organizzato e portato in profondità. Quindi dobbiamo essere presenti in tutti i modi possibili, e la piazza è uno dei modi. Lo hanno fatto in Francia, fermando leggi perniciose, e anche in Italia bisogna dare la voce a queste famiglie. Poi ognuno si deve prendere le proprie responsabilità. Se le forze politiche ritengono di ignorare questo popolo, non mettere in agenda la famiglia, e perseguire gli interessi particolari di una minoranza a scapito del bene comune, ebbene porteranno il peso delle loro decisioni.
Ma non crede che ci sia il rischio di un muro contro muro, come molti, anche ecclesiastici, paventano?Dipende da quello che si dice e si fa. Sia nel 2007 sia lo scorso 20 giugno abbiamo visto manifestazioni gioiose, allegre, famiglie intere che arrivano a Roma non per inveire contro qualcuno ma per affermare i propri valori e princìpi, famiglie che vogliono dire la loro. E dove la dicono? In piazza. Parliamo di famiglie vere, non manifestazioni come quelle con i pullman pagati come succede per i sindacati. Abbiamo visto tutte famiglie che pagano di persona per esserci, che mobilitano i loro figli, che fanno cose straordinarie, esclusivamente per difendere i propri figli e il proprio futuro. È un desiderio di esserci che non capisco perché debba essere ritenuta una cosa sbagliata. Questo non significa alzare i muri. Se uno si dichiara contro una legge contraria al bene comune, che sarà devastante per i prossimi anni, non significa che vuole lo scontro. Le manifestazioni servono per fare presente un problema, se poi il governo non ascolta ognuno si prende la sua responsabilità. Del resto sono sempre più convinta che davvero sono le famiglie che salveranno le famiglie: a scuola, in tv, sulle questioni del fisco, del lavoro e dei valori che sono fondativi e fondamentali. Se si perde di vista cosa è la famiglia non abbiamo più niente da insegnare ai nostri figli.
Lei prima ha fatto cenno all’azione di lobby in Parlamento. Il nuovo presidente dice che il Forum delle famiglie non deve fare lobby.Ma se il Forum è nato apposta per questo motivo. Giovanni Paolo II sosteneva che la famiglia è un prisma attraverso cui devono passare tutte le politiche. Tutte. Ricordo che quando nel novembre 1993 abbiamo presentato – 23 associazioni familiari - il decalogo per la difesa della famiglia, organizzammo un seminario con le più belle teste pensanti in Italia sul fronte della famiglia. Lì erano presenti tutti gli aspetti: la tutela della vita, la difesa della famiglia, compresa la libertà di scelta educativa di cui peraltro non si parla più; poi il lavoro e tutto il resto. Ma la premessa è la difesa dell’articolo 29 della Costituzione, che riconosce la famiglia come società naturale, perché altrimenti si rischia di avere delle politiche familiari ma senza più la famiglia, come è accaduto nel Nord Europa. L’Italia è forse l’unica nazione che ancora resiste perché c’è un tessuto di famiglie che si rende conto di essere la vera risorsa di questo paese. È una ricchezza da difendere. Peraltro su questo punto i documenti della Chiesa sono chiarissimi. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno spinto molto in questo senso e anche papa Francesco ha detto con chiarezza che i laici si devono muovere, è loro la responsabilità nella società e davanti ai loro figli. Quindi bisogna agire su tutti i fronti.
In effetti durante la sua presidenza c’è stato un grande lavoro di dialogo con le forze politiche. A parte l’aver fermato i Di.Co. ci sono altri risultati che la vostra azione ha ottenuto?Intanto potrei dire che quando ero io in Parlamento abbiamo fermato anche la legge sull’omofobia, che avrebbe colpito la libertà di pensiero e di espressione, perfino il semplice sostegno alla famiglia naturale sarebbe stato perseguito. Ma guardando indietro ricordo che dal Forum sono nate anche la legge sull’adozione e quella sull’affido condiviso. Al proposito voglio sottolineare che la nostra azione di lobby è sempre stata trasversale, abbiamo lavorato con esponenti di tutti i partiti, perché non c’è nulla di ideologico nel promuovere i valori della famiglia. Anche a livello locale è stato così. Come a Parma ad esempio, diventata un modello e premiata come città della famiglia. Lì, grazie al sindaco Urbani e alla responsabile dell’Agenzia per la Famiglia, Cecilia Greci, abbiamo creato pacchetti per la famiglia con diverse facilitazioni. Abbiamo fatto cose straordinarie: tariffe commisurate al numero dei figli, politica della casa, iniziative scolastiche, di welfare con famiglie che aiutavano altre famiglie. Purtroppo è bastato che fosse eletto un sindaco 5 Stelle e in tre mesi è stato smantellato tutto. Quello che non si accetta è che la famiglia abbia dei diritti e dei riconoscimenti in quanto famiglia. Le implicazioni educative di questa negazione sono tremende, perché stiamo dicendo ai nostri figli che tutto è indifferente, tutto uguale.
Però il quoziente familiare non l’avete ottenuto.In realtà il Forum delle famiglie non ha mai sostenuto il quoziente familiare, ma una proposta fiscale più articolata e molto ben studiata, che poi è stata chiamata “Fattore famiglia”, vantaggiosa sia per le famiglie sia per lo Stato. Era un progetto di legge che quando sono entrata in Parlamento ho fatto mio, ma non è mai stata presa in considerazione. Non c’è dubbio che la politica sia sorda a queste istanze. Non è colpa del Forum o di errori fatti, semplicemente le forze anti-famiglia in Parlamento hanno una presenza massiccia. Così ho trovato un muro totale e neanche il mio partito (UDC) mi ha aiutato: nessuno vuole mettere in crisi un governo su questo punto. Non è mai caduto un governo per questioni legate alle politiche familiari e lo stiamo vedendo anche in questi giorni. Per questo è ancora più importante che ci sia una mobilitazione delle famiglie, per dire a tutti che le famiglie ci sono e vogliono contare, a favore di una corretta visione della società.
Negli ultimi anni l’azione del Forum sembra essere diventata farraginosa, un po’ in ritirata. Anche nella manifestazione del 20 giugno il Forum è rimasto in ufficio mentre le famiglie affluivano in Piazza San Giovanni e malgrado l’urgenza posta dal ddl Cirinnà sembra che si voglia parlare d’altro. Probabilmente non giova una dipendenza troppo stretta dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI).Da quando sono uscita nel 2006 per correttezza mi sono fatta da parte e non ho più seguito direttamente le vicende del Forum, quindi non so proprio dire come stiano le cose oggi. Posso solo dire che noi all’inizio avevamo assoluta autonomia nei confronti della CEI, nei 12 anni di presidenza mai avuta una direttiva, mai sono andata a chiedere indicazioni su quel che avremmo dovuto fare. A prendere le decisioni, a decidere cosa dire e cosa fare eravamo solo noi: il nostro consiglio direttivo si riuniva spessissimo, avevamo bisogno di confrontarci, ed eravamo un gruppo granitico, compatto. Avevamo anche il nostro comitato scientifico, con i più brillanti esperti di politiche familiari: Marco Martini, Pierpaolo Donati, Eugenia Scabini, Giancarlo Blangiardo, Stefano Zamagni e altri. Un’enorme ricchezza di cervelli, con cui elaboravamo proposte, politiche, incontri. Mai un intervento di vescovi.
Unioni civili e la piazza anti-Cirinnà. Galantino smentito da Pasolini e quei vulnus dei cattolici
08 gennaio 2016 ore 11:42, Fabio Torriero
Bagnasco vs Galantino. Piazza vs inciucio “Cei-Renzi”. Il tema non si limita all’uso di uno strumento (la piazza), che non va assolutizzato, non deve diventare una religione, ma questo sì, va considerato come una indispensabile risorsa a disposizione della base cattolica e non, da affiancare ad altri strumenti (come la lobbing parlamentare, la pressione movimentista, l’impegno culturale, i soggetti politici di riferimento etc), che tutti insieme concorrono a definire le forme e i contenuti di una presenza. Ma scendere di nuovo in piazza in concomitanza col voto di fine gennaio al Senato, è fondamentale. E molto utile. Non a caso, infatti, dopo la grande manifestazione del 20 giugno dell’anno scorso, il premier Renzi disse ai suoi, a proposito delle unioni civili (Ddl Cirinnà), se dovesse tener conto della piazza anti-gender o della Cei. Segno evidente che l’associazionismo storico-istituzionale cattolico, controllato dalle gerarchie, era (ed è) finito. O meglio, stava e sta perdendo mordente presso le istituzioni e lo stesso mondo cattolico. Mondo diviso com’è ormai, tra l’anima dialogante con la “società radicale di massa”, del relativismo etico, del pensiero unico, che l’attuale governo sta costruendo, smontando pezzo dopo pezzo i valori fin qui identitari del popolo italiano (famiglia arcobaleno, droghe leggere, ius soli, doppio cognome, adozioni gay etc), e l’anima della Chiesa ritenuta medioevale, barricadera e conflittuale.
L’argomento vero, che bisogna approfondire invece, è lo “spazio pubblico”che i cattolici devono tornare ad occupare, come già aveva auspicato papa Benedetto, superando quel complesso da Stato confessionale che i laicisti di casa nostra hanno costruito a tavolino nelle coscienze di troppi credenti. Cosa si intende per spazio pubblico? I cattolici, in proposito, vivono due anomalie dure a scrostarsi, due vulnus: il privatismo e la mancanza di una cultura di governo (ricordando che la politica è, concetto ribadito da papa Francesco, la più alta forma di carità). Cos’è per il cattolico lo spazio pubblico? Purtroppo sembra essere quella parte inutile che ruota tra la famiglia (perfetta) del Mulino Bianco, il passeggino e la strada per andare in Chiesa. Tutto il resto non esiste: i cattolici, al massimo, si chiudono in dimensioni intimistiche di fede (legittimo ma non sufficiente), vivono nel proprio recinto domestico, educano i loro figli, li mandano, se possono, a scuola privata (legittimo, ma non sufficiente). Lo Stato, in tutto ciò, è assente, ostile, indifferente, estraneo. Non bisogna scomodare Augusto Del Noce o Renzo De Felice per dire che il cattolico pensa unicamente alla comunità e non al pubblico, o alle istituzioni. Colpa del Risorgimento (l’usurpazione liberale)? Della Dc, che ha solo pensato al potere e non a governare, affrontando, come avrebbe dovuto, con i comunisti la sfida culturale e antropologica, e relegando la cittadinanza a egoismo individualista? Il rapporto del cattolico tra la missione universale delle fede e l’appartenenza storica (la patria come terra dei padri e comunità di destino) è ambiguo e controverso.
Eppure la religione cattolica per l’Italia non è soltanto una confessione (sulla carta ancora maggioritaria), è parte integrante e fondativa della nostra identità nazionale. Giovanni Paolo II si è espresso in modo estremamente chiaro su questo punto. Il cattolico oggi deve capire che stiamo dentro una Repubblica parlamentare: le leggi (sbagliate) fanno costume, i figli frequentano altri figli, altre famiglie, siamo tutti in relazione, esiste la società condizionata dal male, i figli vanno a scuola (la scuola del regime laicista, che confonde laicità con ateismo). Non può fare come lo struzzo, vivendo in una specie di contro-società virtuale e parallela a quella vera. La dimensione pubblica della testimonianza cristiana è imprescindibile, specialmente in un momento di grande scontro come questo, dove il pensiero unico sta mettendo in piedi un’altra umanità, fondata sulla mistica di diritti, su un’altra religione che mira a sostituire il vero col falso. La società Frankenstein, del desiderio compulsivo. La misericordia non c’entra, riguarda semmai le modalità dell’azione e della comunicazione cattolica; qui, al contrario, è in ballo il rapporto del cattolico con la verità, e con un mondo che deve adattarsi al Vangelo e non viceversa. E’ dal privatismo e dalla mancanza di cultura di governo che nascono ad esempio, proposte tipo la fiscalità per la famiglia. Battaglie importanti (il quoziente familiare), per carità, che però non vanno collegate alle battaglie antropologiche, ai valori non negoziabili, o peggio, essere merce di scambio: i cattolici svendono le unioni civili, le adozioni gay; in cambio ottengono qualche prebenda economica dallo Stato. Soluzione che conferma i danni del privatismo: Stato indifferente, che serve soltanto a elargire finanziamenti (un’eterna mammella da mungere) e masochismo cattolico. Messa così la battaglia cattolica si trasformerebbe unicamente in una battaglia economica e pauperistica di stampo marxista. Non siamo mica ai tempi della Teologia della Liberazione, però. La povertà delle famiglie (priorità legittima) va inserita nel quadro della dottrina sociale della Chiesa e comunque è subordinata alla priorità valoriale e antropologica. E poi, senza un obiettivo alto, mirato a ricristianizzare la società, a quali famiglie si darebbero i soldi? A quelle attuali? Questo lo può fare benissimo un qualsiasi partito o addirittura la massoneria, assai efficace nelle azioni caritatevoli. Tornano alla mente le parole illuminatissime di Piero Paolo Pasolini (ne i suoi Scritti Corsari): il perfetto consumatore non può che essere abortista e divorzista. E oggi, aggiungo sulla sua scia, il perfetto consumatore non può che essere per i figli che si comprano e gli uteri che si affittano. Per Pasolini il nuovo fascismo era (ed è) l’omologazione repressiva (finto-tollerante e democratica) dell’edonismo di massa, del consumismo e del relativismo etico, che non hanno più bisogno del cristianesimo. E se la Chiesa doveva salvarsi (invito accorato del regista nel 1974), doveva passare all’opposizione del consumismo. Fiscalità, finanziamenti alle famiglie oggi vogliono dire dare soldi, nella maggior parte dei casi, a famiglie (reali e potenziali) “degradate” in tutti i sensi, che al massimo coi soldi vorrebbero andare in vacanza al mare in qualche villaggio vacanze. Senza contare poi, che ci sarebbe l’amministrazione progressista di turno che in omaggio alla democrazia e alle pari opportunità, pretenderebbe i finanziamenti pure alle “altre” famiglie, inaugurando con tal modo la via fiscale alle unioni gay (sommandosi alla via legale). E’ questo l’autogoal che vogliono i cattolici? Riassumendo: tornare in piazza contro Ddl Cirinnà, far sentire a Renzi il fiato sul collo dei cattolici e preparare le condizioni per una presenza pubblica capace di affermare i valori naturali della società italiana a 360 gradi con continuità d’azione.
Altrimenti anche la piazza anti-gender rischierebbe di essere l’ulteriore, definitivo, prolungamento di quel privatismo sterile dei cattolici: si muovono soltanto quando vengono toccati i loro figli, e non per “disegnare cristianamente” la società.
Chiesa: Storm Heaven.
Dal nome – Storm Heaven – sembrerebbe una di quelle operazioni a cui ci hanno abituato gli Stati Uniti nelle loro guerre in Medio Oriente. E invece no: è una colossale, almeno nelle intenzioni, iniziativa di preghiera. Lanciata dal cardinale Raymond Leo Burke per "proteggere le nostre famiglie e la nostra fede".
09/01/2016
Dal nome – Storm Heaven – sembrerebbe una di quelle operazioni a cui ci hanno abituato gli Stati Uniti nelle loro guerre in Medio Oriente. E invece no: è una colossale, almeno nelle intenzioni, iniziativa di preghiera. Lanciata dal cardinale Raymond Leo Burke, già Prefetto della Segnatura Apostolica, dimissionato da papa Francesco probabilmente perché giudicato troppo rigoroso e conservatore, e adesso incaricato della salute spirituale dell’Ordine di Malta.
Il porporato ha lanciato nei giorni scorsi questa campagna per: portare speranza alle menti e alle anime in America e nel mondo; fornire appoggio spirituale nella battaglia contro le tentazioni dello scoraggiamento; proteggere le nostre famiglie e la nostra fede; fermare l’avanzata del male nella nostra società; inondare le anime con la Grazia, la Luce e la Verità.
Questo è il programma illustrato in questo SITO
La campagna si svolge pregando il rosario il primo giorno di ogni mese, in unione spirituale con la messa e il rosario che il cardinale Burke celebrerà e pregherà in quel giorno.
L’obiettivo è “formare un esercito spirituale di ‘Guerrieri del Rosario’ per assediare il Cielo con le preghiere…chiamando a raccolta e unendo i fedeli cattolici in una voce unica” per chiedere alle potenze celesti di fornire il loro aiuto.
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