WOJTYLA E SACERDOZIO FEMMINILE
di Francesco Lamendola
La chiusura di Wojtyla al sacerdozio femminile è stata un «evidente errore tattico»?
Che cosa ci si aspetterebbe da una suora cattolica: di vederla andare in giro con il velo e la tunica, oppure in un elegante tailleur? E che cosa ci si aspetterebbe che ella dica, commentando la morte di qualcuno – specialmente se questo qualcuno è il Papa: che abbia per il defunto almeno un pensiero rispettoso, oppure che si compiaccia della sua dipartita, perché con essa è venuto meno un ostacolo a ciò che lei si prefiggeva di raggiungere?
La suora in tailleur di cui stiamo parlando ha un nome è un cognome: si chiama Theresa Kane, e, negli anni Settanta del Novecento, è stata presidente della Leadership Conference of Women Religious (L.C.W.R.), fondata nel 1956, e che raggruppa circa l’80% delle religiose degli Stati Uniti d’America. Il caro estinto, della cui dipartita poco si duole, è la sua ex bestia nera, Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, reo di aver chiuso la porta alla richiesta delle suore americane di poter accedere al sacerdozio, al pari degli uomini, in nome della parità dei diritti e della uguaglianza dei carismi.
Davanti al rifiuto di Giovanni Paolo II, le brave suore progressiste americane non si sono affatto rassegnate; hanno stretto i denti, anche, e soprattutto, durante il pontificato successivo, quello di Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, ancor più “chiuso” e “reazionario” del suo predecessore, sia in linea generale, sia per quanto riguarda le richieste delle suore femministe. Ma infine, dopo l’abdicazione di quest’ultimo, si sentivano a un passo dalla “vittoria”, le brave religiose, ormai attempate, ma sempre irriducibili e sempre in tailleur – così si erano presentate in chiesa, nel 1979, nella capitale statunitense, per sfidare ad alta voce, davanti a tutti i fedeli, Giovanni Paolo II in persona, venuto a celebrare la messa in cattedrale, sempre con la loro pressante richiesta: la concessione del sacerdozio alle donne, ingiustamente discriminate dalla Chiesa cattolica questo riguardo, e da ben duemila anni, o giù di lì.
Con l’elezione di papa Francesco, tutte queste suore modernizzanti hanno rialzato la testa e hanno pensato che fosse giunto il grande momento: il momento della loro riabilitazione, dell’accoglimento delle loro richieste. E invece niente. Sono rimaste doppiamente deluse. A chi le ha intervistate, facendo loro notare che Giovanni Paolo II aveva risposto negativamente alle loro richieste, richiamandosi a una esplicita presa di posizione di Paolo VI, la buona Theresa Kane, non troppo cristianamente, ha replicato, con ineffabile dolcezza e carità: «Giovanni Paolo II è morto». Come dire: ora che il rompiscatole maschilista ha levato il disturbo, perché la Chiesa esita ancora? Del resto, si sentono forti del fatto di rappresentare il progresso, di marciare verso il futuro. Hanno affrontato una severa inchiesta della Congregazione per la Dottrina della fede, dato che le loro posizioni - non solo su questo punto, ma anche su parecchi altri: il sostegno alle riforme “liberal” di Obama, anche in palese contrasto con il Magistero ecclesiastico sui temi etici (vedi famiglia, matrimonio, omosessualità, adozioni); e non nascondono affatto le loro simpatie di sinistra.
Sono convinte che la storia darà loro ragione. Non si chiedono se la “parità” dei ministeri, in seno alla Chiesa, sia davvero una questione di “giustizia”; evidentemente, per loro, parlare di una specifica missione della donna, diversa, ma non per questo inferiore – tutt’altro – a quella dell’uomo, equivale, più o meno, a un oltraggio ideologico, a una negazione dei diritti umani. Come! Non è forse vero che la donna deve poter godere dello stesso, identico status giuridico che viene riconosciuto all’uomo? E allora, che cosa sono queste intollerabili differenze in seno alla Chiesa cattolica, se non un residuo dell’oscuro medioevo? Ma vediamo come è incominciato tutto, nella ricostruzione di un esperto giornalista e vaticanista francese.
Ha scritto Bernard Lecomte nella sua ricca biografia «Giovanni Paolo II» (titolo originale: «Jean-Paul II», Paris, Éditions Gallimard, 2003; traduzione dal francese di Claudia Ghibellini ed Enzo Peru, Milano, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2004, pp. 523-524):
«Washington, 7 ottobre 1979. Davanti a qualche migliaio di suore riunite davanti alla basilica dell’Immacolata Concezione, Giovanni Paolo II viene all’improvviso apostrofato dalla presidentessa della Conferenza generale delle religiose, suor Teresa Kane, la quale afferma, sena mezzi termini, che le donne dovrebbero poter essere ordinate sacerdote. Suor Teresa, nota per le sue posizioni femministe, indossa un tailleur. Una certa agitazione fra i presenti lascia pensare che la sua opinione non sia condivisa da tutte le suore. Giovanni Paolo II, in un discorso senza concessioni, risponde indirettamente a suor Teresa: “La vita di una religiosa dev’essere caratterizzata da una completa disponibilità, dalla sollecitudine a servire come richiedono le necessità della Chiesa…”. Nessuna apertura. Anche se il papa sa bene che l’idea dell’ordinazione delle donne fa progressi negli Stati Uniti. Anche se lo statu quo è motivo di profonde divergenze con gli anglicani. Anche se numerose voci sostengono che l’ordinazione delle donne è il mezzo migliore per compensare il calòo delle vocazioni sacerdotali. È evidente che il papa non mescola sociologia e teologia, tattica e strategia, congiuntura e tradizione. Tanto peggio de questo rigore conferma l’immagine arcaica del papato certo, ne è passato del tempo da quando Marie-Louise Monnet, sorella dell’europeista Jean Monnet, era entrata come auditrice al concilio nel 1964 fra gli applausi di duemila vescovi. A quell’epoca i “monsignori” della Curia non avevano collaboratrici dell’altro sesso, e battevano a macchina personalmente i loro testi. Quando le prime dattilografe – alcune oblate missionarie di Maria Immacolata – aveva o fatto il loro ingresso negli uffici del Vaticano, erano state pregate, per anni, di non rivelare a nessuno dove lavoravano. Oggi circa il 20% dei dipendenti della Curia sono donne e le laiche sono molto più numerose delle religiose. Alcune hanno addirittura rappresentato la Santa Sede nelle conferenze internazionali, e non solo su problemi detti “femminili”come la famiglia o i diritti dei bambini: nel 1996, nella conferenza organizzata in Canada sulle mine antiuomo, è stata una donna a rappresentare la Chiesa cattolica; nel 2003 è stata nuovamente una donna, Letizia Pani Ermini, a essere nominata presidente dell’Accademia pontificia di archeologia. Allora perché non ammettere che le donne potranno a loro volta a battezzare i bambini o dire messa la domenica? Non sono forse le donne che già, sena l’unzione sacerdotale, assicurano per la maggior parte del tempo l’insegnamento del catechismo, la manutenzione dei luoghi di culto, l’animazione delle opere di carità, l’accoglienza degli anziani e degli immigrati?
Per Giovanni Paolo II l’ipotesi è da escludere. Senza riserve. Il papa è depositario di una tradizione costante, - osservata d’altronde anche dagli ortodossi, che parte dalla constatazione che il Cristo era un uomo e che il sacerdote deve rappresentare la “persona Christi”. Paolo VI aveva ribadito nel 1976, l’impossibilità di ordinare le donne. Giovanni Paolo II non si sente in diritto di modificare questo principio. Per lui le cose sono chiare: la donna ha un ruolo capitale nella Chiesa, ma perché dovrebbe avere gli stessi diritti dell’uomo? Maria, all’inizio dell’avventura evangelica, aveva forse la stessa funzione degli apostoli? Come se il sacerdozio fosse un “potere” che la donna dovrebbe disputare all’uomo! È a partire dal momento in cui la Chiesa si è “clericalizzata”, dopo la Riforma, che le donne sono state “de fato” emarginate, in quanto lontane dalle strutture del potere ecclesiale. Ma oggi il sacerdozio è un vero e proprio “servizio” e non può essere assimilato a una specie di diritto civile come quello di voto o quello di una pari retribuzione: non si concorre al sacerdozio come alla carica di deputato.
Il 22 maggio 1994, in una lettera intitolata “Ordinatio sacerdotalis”, Giovanni Paolo II ribadisce il suo rifiuto: “Io dichiaro che la Chiesa non ha l’autorità di conferire il sacerdozio alle donne e che questo giudizio deve essere considerato DEFINITIVO”. Definitivo! Invitato a spiegarsi su questo punto, il cardinale Ratzinger conferma che non si trattava “né di un parere, né di un opinion, né di una questione di disciplina, ma di una VERITÀ categorica”. Indignazione fra i cristiani americani, tedeschi, irlandesi o australiani! Siamo a un ritorno del contestato dogma dell’infallibilità del papa, applicato, per di più, a quello che p soltanto un punto disciplinare? Nemmeno l’enciclica “Humanae vitae” sulla regolazione delle nascite si richiama a questa dottrina. Le centinaia di migliaia di cattolici tedeschi che hanno firmato la petizione del gruppo “Wir sind die Kirche” (Noi siamo la Chiesa) a favore dell’ordinazione delle donne sacerdote dovranno venire scomunicate? L’errore tattico del papa è evidente. Spostando il dibattito sull’infallibilità del papa, ha esacerbato la polemica e consolidato in modo grave l’immagine di un papato “reazionario”, nostalgico di un passato che ormai non esiste più.»
Ci permettiamo, comunque, di dissentire dal pur bravo e documentato Bernard Lecomte, sul fatto che la “chiusura” di Giovanni Paolo II al sacerdozio femminile sia stata un “errore tattico”; a meno che si riconosca come, per ottenere un grande risultati strategico, talvolta è necessario esporsi a degli insuccessi tattici. Ed è lo stesso Lecomte a ricordare le molte e buone ragioni per cui Wojtyla, su quel punto, ha tenuto duro e non ha ceduto d’un millimetro; ragioni che si possono compendiare in una sola, ma essenziale: il sacerdozio non è una forma di potere, ma un servizio; richiedere la “parità” di trattamento, invece, equivale a vederlo come potere. Ora, è noto quale altissima opinione avesse, della donna in generale, e della religiose in particolare, Karol Wojtyla; così come è nota la sua immensa devozione alla Vergine Maria, vista come il modello ideale al quale tutte le donne dovrebbero ispirarsi, oltre che come la Madre del Signore e la più grande collaboratrice al piano della redenzione divina. E il fatto che sia il “conservatore” Ratzinger, sia il “progressista” Bergoglio abbiano confermato in pieno la linea di Wojtyla, che poi è la linea di Paolo VI, e quella di sempre della Chiesa cattolica, dovrebbe far capire a quelle suore americane, se avessero appena un poco di umiltà e di obbedienza, che qualcosa, nel loro ragionamento, non funziona. Esse pongono la cosa come se fosse una questione di diritti, una questione democratica, da decidere a maggioranza e secondo una concezione giuridica dei carismi, non come una concezione spirituale e religiosa. Se l’importante è servire Dio e le anime, perché mai il modo in cui lo hanno fatto santa Chiara d’Assisi, santa Caterina da Siena, santa Teresa d’Avila, santa Teresa di Lisieux, madre Teresa di Calcutta e innumerevoli altre, dalla personalità gigantesca e dalla spiritualità ardente, dovrebbe equivalere ad un servizio alla Chiesa di serie B? E l’elenco potrebbe continuare per pagine e pagine, di nomi famosi e meno famosi: tutti contrassegnati dalla stessa umiltà, dalla stessa dolcezza, ma anche dalla stessa forza interiore, dallo stesso vigore di fede. Queste personalità meravigliose di donne consacrate non hanno avuto bisogno della parità con l’uomo nel battezzare i bambini o nel consacrare il Pane e il Vino: eppure esse hanno lasciato un’opera così imponente dietro di loro, che la vita della cristianità ne è stata rinnovata, confortata e rafforzata per intere generazioni.
Che cos’è che non va giù alle suore come Theresa Kane, in ultima analisi: il fatto che Gesù Cristo fosse un uomo? È stata una “ingiustizia”, per loro, il fatto che il Redentore non sia nato di sesso femminile? Vorrebbero fare come Flavia, la monaca musulmana dell’omonimo, mediocre film di Gianfranco Mingozzi (1974), che andava a guardare sotto il perizoma del Crocifisso per capire se Gesù avesse fatto l’enorme ingiustizia di essersi incarnato proprio in un individuo di sesso maschile? A Theresa Kane e alle sue amiche e colleghe vorremmo consigliare la lettura delle opere di una straordinaria figura di donna e di suora, Edith Stein, carmelitana scalza, una ebrea convertita, che subì il martirio ad Auschwitz, nel 1942, la quale non vedeva certo la questione femminile come la vedono loro; per la quale, anzi, la questione femminile, in quanto questione dei “diritti”, non si pone neppure. È evidente che la donna è diversa dall’uomo: il che non significa che sia qualche cosa di meno, o che debba rassegnarsi a essere, per il popolo di Dio, un soggetto subalterno. Quel che ella può fare, invece, è straordinario (cfr. il nostro articolo: «Esiste una specifica missione della donna?», pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 22/10/2012, e su «Il Corriere delle regioni» il 24/08/2015). Possiamo immaginare le obiezioni di suor Kane: che la posizione della Stein è solo un ripiego, un fare di necessità virtù. Chi lo sa?, potrebbe anche darsi. E, nondimeno: per far anche solo un’unghia di una suora come Edith Stein, quante migliaia di suor Kane sarebbero necessarie?
La chiusura di Wojtyla al sacerdozio femminile è stata un «evidente errore tattico»?
di Francesco Lamendola
http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=8001:wojtyla-e-sacerdozio-femminile&catid=70:chiesa-cattolica&Itemid=96
Sara Winter – L'icona del femminismo brasiliano si
pente e chiede scusa ai Cristiani
Le scuse pubbliche ai Cristiani e la denuncia degli abusi
subiti dalla "setta femminista"
Le dichiarazioni della donna: "Il movimento femminista è una copertura
per i pedofili! …Destrutturavo la mia eterosessualità sostituendola
con una bisessualità artificiale!"
di Sergio Basile
Femminismo – Una delle creature più nobili dei mondialisti
Rio de Janeiro, Brasile – di Sergio Basile – In data martedì 7 Ottobre 2014, pubblicammo un articolo (vedi qui Femminismo-Bartardxs – I frutti nobili dell’anticristo) sulle insane gesta di due ragazze del movimento filo-comunista (mondialista) e femminista "Bartardxs", vicino alle cosiddette "Femen", che manifestarono seminude, oltrepassando il limite della blasfemia, davanti alla chiesa della Candelaria, nel centro di Rio de Janeiro (vedi foto in copertina), contro la cosiddetta "omofobia"; cioè – come notammo – "contro chi tenta di difendere la famiglia tradizionale e l'integrità della sfera sessuale dei generi – femminile e maschile – creati fin dagli albori dei tempi per amore e per far si che il mondo potesse popolarsi, mediante la costituzione dei primi nuclei familiari".
Ovviamente il femminismo, creazione ebraico-bolscevica e mondialista d'eccellenza e quindi tra i frutti più "nobili" della giudeo-massoneria internazionale (vedi Protocolli dei Savi di Sion –Protocolli dei Savi Anziani di Sion.pdf - e Agenda degli Illuminati di Baviera) alimantata ad arte dalle scuole filo-marxiste, come la "Scuola di Francoforte" – vedi qui La Scuola di Francoforte: la congiura della corruzione – Prima Parte e qui dalle droghe al gender – Seconda Parte - ha per fine l'annientamento della famiglia tradizionale e la proposizione di nuovi stili di vita "progressisti" e "dissacranti". Per le femministe doc, quindi, non c'è spazio né per Dio né per l'odiata e combattuta cultura cristiana. L'atto blasfemo delle "compagne" fu, dunque, salutato con estremo compiacimento dalle riviste più illuminate. I movimenti come le Femen, pagati profumatamente dalle lobby mondialiste, si erano fatti già notare in altri atti di offesa e vilipendio/blasfemia contro la religione cattolica. Chi tra voi lettori non ricorda, ad esempio, il vergognoso taglio della grande croce di legno di Kiev? (vedi video qui Femen segano una croce a Kiev in sostegno delle Pussy Riot e articolo qui Femen: Le Strategie del Nuovo Ordine Mondiale).
Sara Winter – Dalle Femen-Brasile alla lotta contro il femminismo
La provocazione di Kiev fu anche una strategia orchestrata in supporto all'arresto delle Pussy Riot (altro gruppo in odore di New World Order – altre sedicenti neo-attiviste per la difesa dei diritti umani) dopo l'atto blasfemo della band musicale, compiuto nel febbraio del 2012 nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca (vedi video qui La protesta delle Pussy Riot nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca). Ma strategie pubblicitarie e contro-strategie a parte (1), oggi c'è un fatto nuovo che dovrebbe indurre ad una profonda riflessione quei ragazzini che si entusiasmano per questi atti blasfemi, non avendo avuto, evidentemente, alcuna formazione religiosa da parte di educatori e famiglie: la fondatrice delle Femen brasiliane, Sara Fernanda Giromini - in arte Sara Winter (nella foto sopra: la bionda "in croce" a destra) - si sarebbe convertita, facendo un pubblico mea culpa. Ciò, non solo allontanandosi dal gruppo, ma scagliandosi in modo deciso contro femminismo e aborto.
(1) In questi casi, come spesso accade, l'obiettivo vero di questi gruppi di protesta filo-marxisti è quello creare "false flag", cioé è quello di usare la protesta, o pseudo-tale, per scopi propagandistici ben orientati, al fine di creare, in un modo o nell'altro, da una parte o dall'altra della "barricata", eroi di cartapesta… La messa in scena, contro la BCE e Mario Draghi, di Blockupy, nell'Aprile 2015, la dice lunga in merito: vedi qui La profezia dei coriandoli, la BCE e la propaganda comunista di Blockupy
La denuncia degli abusi subiti e le scuse ai Cristiani
Nel suo libro “Vadia Não!”, la Giromini denuncia storie di abusi subiti, durante la sua militanza femminista e tanto altro: «Mi sono pentita di aver avuto un aborto e oggi chiedo perdono. Ieri è stato un mese dalla nascita del mio bambino e da quel giorno la mia vita ha assunto un nuovo significato. Sto scrivendo questo mentre lui dorme serenamente sopra la mia pancia. È la più grande sensazione del mondo. Per favore donne che cercate disperatamente di abortire (vedi quiAborto Procurato: un crimine legalizzato e pianificato), riflettete attentamente su di esso. Mi è dispiaciuto molto ciò che ho fatto. Non voglio accada lo stesso a voi (…). La richiesta di perdono non è certo facile da compiere: chiedo scusa ai cristiani per questa protesta femminista. Siamo andati troppo oltre e abbiamo finito per offendere molte persone religiose e non».
Femminismo: setta che promuove l'omosessualità e copre la pedofilia
La Giromini ha poi definito il femminismo come una “setta”, protesa alla promozione dell’omosessualità e perfino della pedofilia: «Per la setta femminista le donne non sono l’ispirazione, bensì la ‘materia prima’ nel senso peggiore del termine. Sono oggetti utili allo scopo di infiammare l’odio contro la religione cristiana, l’odio contro gli uomini, l’odio contro la bellezza delle donne, l’odio contro l’equilibrio delle famiglie. Questo è ciò che il femminismo è, posso garantirlo che è così perché io ci sono stata dentro. Il movimento femminista è una copertura per i pedofili (…). "Le donne lesbiche e bisessuali avevano molta più voce, dunque ogni giorno che passava destrutturavo la mia eterosessualità sostituendola con una bisessualità artificiale».
Morale della storia
Fatto sta che la donna, da paladina del femminismo anti-cristiano pare sia diventata oggi unasostenitrice delle organizzazioni pro-life, anti-abortiste. «Il risultato? Oggi sono molto più felice - ha dichiarato - e sono in grado di aiutare le donne». Certo che a poche ore dal voto in Parlamento sulla legge Cirinnà, questa è un'altra significativa testimonianza sulla quale riflettere e meditare: una ulteriore prova – qualora ce ne fosse ancora bisogno – che quel che sta dietro ai movimenti gender non è assolutamente qualcosa di "naturale" e "spontaneo". Gli oscuri registi nemici dell'uomo e di Dio sono sempre all'opera… Capirlo è essenziale! Prenderne le distanze e contrastare la loro azione, con mezzi spirituali e non, è un dovere morale di tutti, Cristiani e non. La bellezza e la dignità umana non hanno etichette!
Sergio Basile (Copyright © 2016 Qui Europa)
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