ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 13 febbraio 2016

Filosofi al bacio Perugina..

CATTOLICESIMO E NATURALISMO

La visione cattolica della vita equivale a una forma di naturalismo? E' la saggezza da Baci Perugina spacciata per profondo ragionamento filosofico che ha reso possibile abbassare qualunque discussione a livelli di banale mediocrità di F. Lamendola



Strano ma vero: proprio gli eredi del pensiero naturalistico, che sono, oggi, gli intellettuali di sinistra, di estrazione marxista, o neomarxista, o semimarxista, o similmarxista, o criptomarxista,  sono appunto quelli che, oggi, “accusano” di naturalismo quanti non la pensano come loro; in particolare, coloro i quali si riconoscono in una visione cattolica della vita.
Per dare man forte all’approvazione del disegno di legge Cirinnà, preparando adeguatamente l’opinione pubblica, due colonne del pensiero laicista, progressista e di sinistra, Massimo Cacciari e Umberto Galimberti, sono comparsi più volte in televisione, negli ultimi tempi (Cacciari è praticamente ospite fisso nei salotti televisivi e nelle rubriche di “approfondimento”; e Galimberti è stato chiamato, con il supporto attivo e sfacciato dei due “moderatoti” di una trasmissione di La Sette, per smentire e ridicolizzare Mario Adinolfi, anche se è stato lui a fare una figura penosa), ed entrambi hanno rivolto al cattolicesimo l’accusa di ispirarsi a una visione “naturalistica” del reale.
Cacciari, a un certo punto, parlando del papa, lo ha invitato a “sbarazzarsi” di una visione naturalistica, e bisognava vedere con quale supponenza e con quale insofferenza lo diceva, come se la natura, improvvisamente, fosse divenuta il nemico da abbattere, come un tempo lo era il buon vecchio Dio, creatore di tutte le cose e redentore degli uomini.
A che cosa alludevamo, i due filosofi ufficiali della cultura laicista e relativista oggi imperante e politicamente corretta? Al fatto che la Chiesa, anche recentemente, e anche per bocca del papa (proprio di quel papa che i signori della sinistra tanto amano, o amavano, per le sue continue esternazioni a favore dei poveri, degli immigrati, e per le sue aspre reprimende contro i vizi dei cristiani e della Chiesa stessa) ha ribadito che c’è una sola famiglia che sia realmente degna di questo nome: quella formata da un uomo, una donna e, se possibile – ma non è un diritto – dei bambini; che consentire l’adozione di bambini alle coppie omosessuali, è sbagliato; e che, se l’omosessuale merita rispetto come persona, non può, tuttavia, pretendere di imporre il proprio punto di vista su matrimonio, famiglia e bambini, all’intera società.
Insomma: la Chiesa sarebbe dominata da una visione “naturalistica” perché si ostina a vedere l’umanità divisa in due generi sessuali, maschile e femminile; mentre è evidente, dicono Cacciari e Galimberti, che la natura viene continuamente elusa, “aggirata” e “sostituita” dall’uomo, mediante pratiche più o meno artificiali, ogni qual volta ci si serve di un farmaco, o di qualunque strumento per rendere la vita più sicura o più comoda. Come si vede, il livello dell’argomentazione è minimo, per non dire miserabile: solo il degrado dell’intelligenza cui oggi siamo pervenuti, grazie alla cultura-spettacolo della quale lorsignori sono tra i maggiori beneficiari, e grazie alla tirannia delle parole d’ordine, delle frasi fatte, dei luoghi comuni e della saggezza da Baci Perugina, spacciata per profondo ragionamento filosofico, ha reso possibile portare, o meglio abbassare qualunque discussione fino a livelli di tale mediocrità, banalità e superficialità.
La prima cosa che viene in mente, davanti ad argomentazioni come quelle portate avanti da Cacciari e Galimberti (peraltro, senza uno straccio di approfondimento speculativo, o d’inquadramento storico, o di valutazione critica), è che esiste una bella differenza tra il fatto di prendere gli antibiotici per combattere una bronchite, ed effettuare una fecondazione eterologa per esaudire il sogno di maternità di una coppia lesbica; o tra servirsi dell’aereo per recarsi un determinato luogo, e ricorrere all’utero in affitto per consentire a due omosessuali maschi di realizzare il loro “sogno” di paternità. Certo che viviamo in mondo fatto di cultura, più che di natura; ma non fino al punto che la natura possa essere completamente sovvertita e stravolta. Se ciò accade, la natura si ribella. L’intelligenza dell’uomo consiste nell’inserire la sua azione entro la cornice generale offerta dalla natura, non nel creare una seconda natura, totalmente artificiale e staccata dalla natura “vera”. Ma questa sarebbe una obiezione di metodo e non di merito; di quantità e non di qualità. E allora passiamo subito alla obiezione “forte” rispetto alle tesi di Cacciari e Galimberti.
La visione cattolica della vita non è affatto naturalistica, perché non considera la natura come un realtà assoluta ed auto-sussistente, ma come una realtà derivata e relativa. La natura è opera di Dio, non di se stessa; primo punto. Secondo punto: la natura è stata creata da Dio buona (non “perfetta”, perché perfetto è Dio solo; il Creatore, non le creature), ma questa bontà originaria è stata incrinata e lacerata dalla ferita del Peccato originale. Per il cristiano, e quindi per il cattolico, il peccato originale non è una favoletta che si racconta, o meglio, che si raccontava ai bambini: è verità sacrosanta, anche se espressa per mezzo di simboli. Il racconto del Libro della Genesi è, naturalmente, una allegoria; ma il senso dell’allegoria è chiarissimo: vi è stata una disobbedienza originaria, da parte dei primi uomini, le cui conseguenze hanno coinvolto tutta l’umanità e tutto il creato; creato che adesso, come dice San Paolo (nel capitolo ventiduesimo della Epistola ai Romani), soffre e geme come nelle doglie del parto, perché attende, anch’esso, così come gli uomini, la propria liberazione dal male, e la propria redenzione.
Dunque: il cattolicesimo non è “naturalista”, perché non considera la natura come buona in se stessa; al di sopra della natura, c’è il Creatore; e quel che nella natura non è buono (ad esempio, la nascita di un bambino deforme) è, e rimane, un mistero: il mistero del male e della sofferenza. Mistero, si badi bene, che nemmeno Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è venuto a sciogliere, a spiegare: è venuto solamente a dare l’esempio di come ci si debba porre di fronte ad esso. E cioè, di come si debba accettare la Croce. Accettare la Croce, il mistero della Croce, è essere cristiani; non accettarlo, pretendere di capirlo, di spiegarlo, di renderlo intelligibile, no. Locke non è un pensatore cristiano: tutti coloro i quali hanno negato, e tuttora negano, i misteri del cristianesimo, massime il mistero del male, non sono cristiani. Dunque, non è vero affatto che il cattolicesimo ha una visione naturalistica e che si prostra davanti al dato della natura. Per il cattolicesimo, curare le malattie, lottare per alleviare le sofferenze, sono cose pienamente legittime; basta solo non pensare che si possa sovvertire l’ordine naturale attraverso i mezzi umani, perché questo introdurrebbe un elemento doppiamente estraneo alla prospettiva cristiana: la superbia intellettuale, da un lato, e la confusione ed il relativismo etico, dall’altro.
Per esempio: il cattolicesimo non afferma che la madre, nella prospettiva di una morte certa, deve sacrificarsi per la salvezza del nascituro; sostiene, anzi, che in quel caso il ricorso all’aborto diventa il male minore; peraltro, non sostiene nemmeno che sia doveroso farlo: e quindi non disapprova quelle madri eroiche le quali, effettivamente, hanno preferito morire, purché il loro bambino potesse nascere. Per la stessa ragione, il cattolicesimo è favorevole al ricorso a tutte le cure mediche che sostengono e aiutano la vita, finché le funzioni vitali essenziali non sono compromesse: e quindi è contrario all’eutanasia; ma, nello stesso tempo, è anche contrario all’accanimento terapeutico, perché ciò sarebbe uno stravolgimento e un rifiuto totale dell’ordine naturale. L’ordine naturale non va assolutizzato, ma neppure ignorato; e ciò vale anche per la legge morale naturale. La legge morale naturale viene integrata, non rifiutata, dalla legge morale cristiana; la quale, come si vede, accoglie la natura, ma non se ne lascia dominare.
Vi sono molte cose, nella natura, che ci appaiono misteriose e che ci resteranno tali sino alla fine. Noi non sappiamo perché, in natura, la vita dell’uno corrisponda alla morte dell’altro; perché il leone, per vivere, debba divorare la gazzella, o perché il pesce grosso debba ingoiare i pesci piccoli. Non sappiamo affatto perché sia “necessaria” tanta sofferenza all’ordine della natura, a che cosa serva, che scopo abbia. E non sappiamo perché un bambino nasca con dei gravi difetti congeniti. Sappiamo anche che, se pure ci chiniamo a raccogliere il passerotto caduto dal nido, e anche se riusciremo a nutrirlo e a salvargli la vita, ciò non cambia di una virgola il mistero dei milioni di passerotti che cadono dal nido e che sono destinati a morire di fame, o divorati dai predatori: non cambia il tremendo mistero della sofferenza, insito nella dimensione della natura.
Il cattolico non è colui che accetta questa cose come “necessarie”, solo perché sono “naturali”; le accetta, dopo aver lottato per diminuire la sofferenza, solo quando arriva alla assoluta evidenza che ogni ulteriore lotta sarebbe inutile. Questa è la differenza fra il cattolico e il materialista: che il primo, arrivato a una certa soglia, si ferma, riconosce il proprio limite, la propria impotenza, e il mistero del piano di Dio; il secondo non accetta di fermarsi mai, e se si ferma, si ferma solo perché non può, materialmente, proseguire oltre; ma si riserva di farlo non appena gli sarà possibile. Il materialista non accetta i limiti umani, perché non accetta il limite della natura; ha fatto della Scienza, della Tecnica e del Progresso i suoi nuovi dei, e si aspetta di ricevere da essi – se non oggi, domani – l’aiuto di cui ha bisogno per sconfiggere il male e per procurare a se stesso una vita sempre più sicura e sempre più comoda. Una vita dove non ci siano, possibilmente, dei limiti; e dove chi non può avere figli secondo natura, possa averli grazie alla tecnica; e dove chi non si sente uomo o donna secondo il proprio genere sessuale, possa trasformarsi in una donna o in un uomo; e dove una donna che non può più generare, per limiti di età, possa farlo ugualmente, anche se, rispetto al bambino che le nascerà, si troverà nella posizione di una nonna, più che di una madre: così che avrà soddisfatto il suo desiderio, ma senza preoccuparsi del vero bene del figlio. Il cattolico, invece, riconosce i limiti posti dalla natura e si accinge a oltrepassarli solo se ciò avviene secondo la legge morale naturale, che suggerisce a ogni essere umano - purché non stravolto da ideologie degenerate, e sorte allo scopo preciso di legittimare il vizio e infangare la virtù – quel che è bene e quel che è male, e come ci si deve regolare nei casi dubbi. Non pensa di avere una risposta per tutte le situazioni; vi sono delle situazioni drammaticamente incerte – pensiamo soprattutto all’eutanasia – nelle quali non sempre è evidente quel che sia bene e quel che sia male. In tali casi, il cattolico si regola secondo il principio che è proprio della sua fede, ma che potrebbe essere valido, a nostro avviso, a livello universale: è bene ciò che è bene per la vita delle anime, non per la vita del corpo; perché la vita del corpo sfiorisce e passa, quella dell’anima è destinata all’eternità.
Ora, vediamo tutti i giorni che la civiltà moderna ha sviluppato una maniera di pensare che va esattamente nella direzione opposta, e che ha irretito in essa la maggioranza dei suoi membri. Quel che conta, essa dice, è salvare le vite umane (strano, perché nel caso dell’aborto legalizzato non si preoccupa affatto della vita dei nascituri, al contrario, la nega e la sopprime senza un’ombra di rimorso), non le anime: le anime, per la cultura moderna, non esistono. Esiste solo lo psichismo, che è un epifenomeno del corpo, precisamente del sistema nervoso centrale. Ne consegue che la civiltà moderna si è fatta schiava di una visione naturalistica del reale, perché pone il corpo alla sommità dei beni da possedere e dei quali godere: la sua giovinezza, la sua bellezza, la sua salute, la sua forza. Quando il corpo invecchia, sfiorisce, si ripiega su se stesso, diventa bisognoso di tutto, allora la cultura moderna preferisce voltare la testa dall’altra parte, e occuparsi di altre cose. Non le piace fare i conti con i limiti dell’uomo; non le piace guardare in faccia la natura. La sua visione del reale è naturalistica fino a che la natura le aggrada, e diventa anti-naturalistica quando non le aggrada più. Raschiare il feto nell’utero della madre è una cosa semplicissima, perché si tratta di una operazione semplice e “pulita”; prendersi cura di un corpo in disfacimento, impotente, esteticamente repulsivo, è una cosa che le piace assai meno, e che preferirebbe risparmiarsi, se il diretto interessato avesse il buon gusto di togliere il disturbo per primo, senza mettere i suoi parenti nell’imbarazzante necessità di prendere loro una tale decisione. La natura va bene, finché ci è amica; non va più bene, quando ci pone davanti ai nostri limiti. E la stessa cosa vale a livello psicologico: gli istinti sono buoni, la repressione sociale è cattiva; gli istinti devono potersi esprimere, non vi sono istinti “buoni” e “cattivi”, è tutto bene quel che viene dalla natura. Poi, però, se gli istinti portano qualcuno a sfogare una violenza cieca sul prossimo, allora gli intellettuali progressisti si scandalizzano, invocano la psichiatria, la sterilizzazione chimica: bisogna impedire a simili “mostri” di violare la religione dei diritti umani. Ma quei mostri, è stata la cultura moderna ad evocarli: insegnando e predicando che tutto è permesso, e che l’uomo non deve porre dei limiti alla propria libertà e al proprio piacere.
Ma dunque è naturalistico, il cattolicesimo? Se pensiamo alla resurrezione dei corpi, parrebbe di sì. Ma saranno corpi gloriosi, fatti di luce e non di materia. Il suo “naturalismo”, pertanto, è molto più serio e complesso del materialismo laicista: che è tale a corrente alternata, se e quando gli conviene.


La visione cattolica della vita equivale a una forma di naturalismo?

di Francesco Lamendola
 http://www.ilcorrieredelleregioni.it/index.php?option=com_content&view=article&id=7874:cattolicesimo-e-naturalismo&catid=96:filosofia&Itemid=124

ESAME AL “FILOSOFO” GALIMBERTI

    Giovanelli esamina il "Filosofo" Galimberti. L’amico Raffaele Giovanelli, docente di ingegneria e filosofo della scienza, ha trovato un vecchio articolo del cosiddetto “filosofo Galimberti”e s’è divertito a fargli le pulci di Maurizio Blondet


GIOVANELLI ESAMINA IL “FILOSOFO” GALIMBERTI

da

Maurizio Blondet & Friens




L’amico Raffaele Giovanelli, docente di ingegneria e filosofo della scienza, ha trovato un vecchio articolo del cosiddetto “filosofo Galimberti”, La scienza fra tecnologia e religione, pubblicato da “la Repubblica”, 9 maggio 2007, e s’è divertito a fargli le pulci. Le parole del “filosofo”  sono in corsivo. Le note di Giovanelli in quadro.

Galimberti: La scienza applicata alla salute si chiama “medicina”. Il suo scopo, come dice Ippocrate, è quello di “evitare i mali evitabili”. Il suo modo di procedere, come ci ricorda Aristotele figlio di un medico, è quello di “aiutare la natura a risanarsi. Non è infatti il farmaco a guarire, ma la natura coadiuvata dal farmaco”. Questo non ci deve far dimenticare che è propria della natura umana la “mortalità” che i greci avevano ben presente, mentre i cristiani, sedotti dalla fede nella vita eterna, meno.

Giovanelli : Al contrario i cristiani sono vissuti ricordando la morte ad ogni passo, mentre i greci l’ hanno esorcizzata con una vita condotta dimenticando la morte, in un modo moderno, molto simile al costume di vita attuale.
Tutto il mondo greco-romano aveva la percezione di una vita che terminava nel nulla. I cristiani avevano ed hanno coscienza di una forma di vita ultraterrena, concretizzata nella resurrezione in un corpo spirituale. Si tratta di una differenza radicale con la concezione della morte prima del cristianesimo. Questo ovviamente causerà modifiche nella vita dei singoli e dei popoli cristiani.

Ciò ha determinato una sorta di “superstizione scientifica”, come la chiama Jaspers, che investe la figura del medico di quell’alone di sacralità di cui, nel tempo antico, erano circondati i sacerdoti.

Superstizione scientifica è una contraddizione in termini, con buona pace di Jaspers. I miracoli non riguardano solo le guarigioni ma anche fenomeni fisici (camminare sull’acqua, l’acqua tramutata in vino, la pesca abbondante che convertì Pietro, la moltiplicazione dei pani e dei pesci, il sole di Fatima …)

Questa contaminazione tra scienza medica e fede religiosa è antica e ben radicata nel vissuto degli uomini. Dai fondatori di religioni che acquisivano seguito per le guarigioni miracolose che operavano ai processi di santificazione che esigono come prove le guarigioni fisiche, è una sequenza ininterrotta dove la categoria religiosa della “salvezza” si contamina con quella medica della “salute”.

Per tutti gli uomini in tutti i tempi nulla ha avuto più importanza della salute del corpo e di quella dell’anima. Già dell’anima perché nel cristianesimo spesso la salute dell’anima conta più di quella del corpo. Le folle che visitano luoghi resi sacri da apparizioni divine, sono animate più dalle guarigioni dei mali nell’anima. Ma di questo la medicina non si occupa. I criteri, che inducono oggi la Chiesa ad emettere un verdetto di santità, sono stati dettati da una impropria soggezione della Chiesa verso la Scienza.

Questo stretto rapporto trova un’ulteriore conferma nella visione che la religione e la scienza hanno del tempo. Per la religione, infatti, il passato, contrassegnato dal peccato originale, è male, il presente è redenzione e riscatto, il futuro è salvezza.

È una visione semplicistica che non distingue tra passato remoto e passato più prossimo, quello del tempo dopo la venuta di Cristo. Nella Scienza il tempo viene scandito dall’ affermarsi di nuove teorie, quelle che scalzano le precedenti e le dimostrano false. Le vecchie teorie sono accantonate nella storia della Scienza e ad esse non è associata l’idea del male, un concetto sconosciuto nella Scienza.

Allo stesso modo per la scienza il passato è male da imputare all’ignoranza, il presente è riscatto reso possibile dalla ricerca, il futuro è speranza dischiusa dal progresso scientifico.
Oggi questa antica alleanza tra scienza medica e fede religiosa è entrata in profondissima crisi, dovuta al fatto che tra scienza e religione si è inserito quell’ospite inquietante che è la tecnica, la quale rende possibile quello che per natura è impossibile.

Affermazione da correggere: la tecnica rende possibile ciò che in natura è altamente improbabile che avvenga spontaneamente. Al contrario di molti miracoli, che attuano ciò che per natura è impossibile. È stato il progresso della Scienza a dimostrare l’incompatibilità di alcuni eventi con spiegazioni nell’ambito delle attuali conoscenze scientifiche. Per esclusione è ragionevole supporre una causa soprannaturale. Il fatto più interessante è la formazione dell’immagine di Cristo sul telo dalla Sindone. Nessuna ipotesi fondata su fenomeni conosciuti normali ha potuto darne una spiegazione valida, nonostante si siano accavallate anche ipotesi fraudolente.
La tecnica si sviluppò per ragioni più banali: per sopperire, durante il medioevo, alla carenza di schiavi. La crescita delle macchine è proseguita al punto che oggi, con le macchine automatiche, molto lavoro manuale diventa inutile, creando problemi occupazionali per gli operai non qualificati. La tecnica sin da subito è stata il principale sostegno all’ affermarsi di nuove teorie scientifiche. Nel De rerum natura Lucrezio aveva già ipotizzato che nel vuoto una piuma cada con la stessa velocità con cui cade una pietra, ma bisognerà attendere che la tecnica costruisca pompe che creano il vuoto per verificare che questa verità scientifica venisse confermata. La relatività generale prediceva la deviazione della luce in un campo gravitazionale. Ma questa teoria sarebbe rimasta a livello di ipotesi se non ci fosse stata la conferma sperimentale attuata con la tecnica di perfezionati telescopi. Durante la formazione delle diverse discipline scientifiche la fisica era tutt’uno con la medicina, la cui parentela con il mondo della fede è molto opinabile..

Basti pensare alla fecondazione artificiale, al congelamento degli embrioni, al trapianto degli organi, al cambiamento di genere, alle cellule staminali in grado di ricreare tessuti, alle pratiche di rianimazione, all’accanimento terapeutico, per non parlare della genetica, capace di predire con buona approssimazione l’insorgenza ineluttabile di malattie, fino a quel limite che sottrae agli uomini l’imprevedibilità della loro morte. A regolare il procedimento tecnico-scientifico è il principio che “si deve fare tutto ciò che si può fare” in base alle conoscenze acquisite, a cui la religione contrappone il principio etico del limite che ha nell’ordine della natura il suo riferimento. Come uscirne? Una strada c’è, percorrendo la quale incontriamo due segnalazioni.
La prima ci dice che la natura non è “buona”, ma semplicemente “indifferente” alla sorte umana. Non si spiegherebbero diversamente epidemie, pestilenze, inondazioni, siccità, fame, malattie, per porre rimedio alle quali è nata la scienza. La seconda ci dice che non possiamo utilizzare un’etica i cui principi scaturiscono da una concezione della natura come ordine immutabile, quando oggi la natura è in ogni suo aspetto manipolabile. Per il mutamento del contesto un’etica sì fatta non è più proponibile, dal momento che non si può impedire alla scienza che può di non fare ciò che può. Il problema allora diventa quello della “misura” che non va cercata nei principi formulati quando la natura era immodificabile, ma in quella indicazione aristotelica che, in assenza di principi generali, consente di prendere decisioni esaminando caso per caso.
Aristotele chiama questa capacità “phronesis”, che siamo soliti tradurre con “saggezza”, “prudenza”, e la eleva a principio regolativo della prassi non solo medica, perché le decisioni e i comportamenti sono in continua evoluzione, e questo a maggior ragione in presenza dell’accadimento scientifico. Non resta allora che affidarci al buon uso della ragione, perché questa è la condizione umana da conciliare con l’altra nostra imprescindibile esigenza che è il bisogno di conoscenza.

Il limite della scienza e della tecnica verrà dal crollo dell’intero sistema occidentale, crollo dovuto anche ai loro progressi esplosivi e privi di una vera finalità. Tutto il sistema economico, politico, industriale dell’Occidente è sul punto di esplodere, se non altro per la gigantesca ed inverosimile dimensione dei debiti bancari, una vera metastasi tumorale che invade tutti i gangli vitali della struttura sovranazionale mondiale.
Ma torniamo al centro di queste riflessioni circa i rapporti tra fede, scienza e tecnica.
Il problema della morte è il vero PROBLEMA dell’uomo, che per sua natura ha bisogno di conoscere il suo futuro. Questo problema è all’origine di tutte le religioni come ricerca della realtà ultima, quella definitiva. La medicina può posticipare l’ora della morte ma non può certo darci una risposta su ciò che si verifica, se si verifica, dopo la morte. Questa è una verità banale. Diceva il mio medico: la vecchiaia è brutta, anzi è una malattia, per evitarla c’è solo un modo: morire giovani. Morire vecchi non solo ci costringe a sopportare malattie ed invalidità, ma aumenta la paura della morte. Le società che hanno un’alta percentuale di anziani infatti sono più timorose del futuro e di ogni cambiamento.
Il miracolo è la testimonianza tangibile della presenza di una entità superiore che scavalca la finitezza dello spazio e del tempo entro cui l’uomo è costretto e di cui l’uomo ha sempre percepito la costrizione. Una guarigione miracolosa ha un valore ben più grande dell’ allungamento della vita, è la testimonianza nel nostro corpo della presenza di Dio. Quindi è ben lontana dalla guarigione ottenuta dalla scienza medica.
Dire che in assenza della tecnica sarebbe esistita una precedente pacifica coesistenza tra scienza e fede è un errore perché la scienza è cresciuta strettamente legata alla tecnica, che ha permesso di misurare le grandezze fisiche e quindi di confermare o smentire le teorie scientifiche. Inoltre la tecnica ha fornito “meccanismi”, che svolgono funzioni sempre più importanti nella vita umana. Quindi i “miracoli” compiuti dalla tecnica hanno dato un enorme prestigio alla scienza che altrimenti sarebbe rimasta confinata in ristretti circoli di potere come avvenne per esempio nell’Impero romano d’Oriente.
Se tecniche e scienze viaggiano separate non si ottiene nulla. Il caso più evidente è Leonardo da Vinci. Disegnò alla perfezione il sistema di circolazione del sangue nel corpo umano. Quindi ne rivelò la tecnica costruttiva ma non l’aspetto funzionale perché non capì una cosa banale: il sangue viene messo in circolazione dal cuore! Leonardo non fece misure, fu solo uno stupefatto ammiratore della bellezza di una realtà della quale non capiva i meccanismi di funzionamento.
La soluzione proposta per uscire dal vicolo cieco in cui ci troviamo non mi appare praticabile. Quali sono i fondamenti della ragione alla quale si vorrebbe ricorrere?
Gli uomini hanno disperato bisogno del sacro. Non vi piace e non vi soddisfa il cristianesimo? Allora verrà l’Islam, che taglia i dubbi con una fede assoluta e radicale. I giovani corrono a morire sotto le bandiere del califfato, nato come una sorta di artificio preparato e finanziato da certi strateghi sovranazionali, oggi è diventato una forza incontrollabile.



Maurizio Blondet nasce a Milano il 22 febbraio del 1944. Giornalista dal 1970 per 37 anni, ora in pensione. La sua vita professionale è legata a testate come Gente ed altri periodici  di Rusconi editore, il Giornale, l’Avvenire e La Padania, sia come autore ma anche come inviato. Ha collaborato a Italia Settimanale, diretto da Marcello Veneziani (una testata ora defunta). E’ stato inviato speciale de Il Giornale (di Montanelli) , in seguito di Avvenire – dove è stato inviato a coprire le guerre balcaniche ed altri teatri di conflitto. Fin dagli anni ’90 ha cominciato ad indagare sui poteri oligarchici, finanziari e sovrannazionali, che agendo dietro le quinte della democrazia guidano la storia – e la politica presente, sia sul piano internazionale che interno. Per esempio, per la editrice ARES (collegata all’Opus Dei) ha contribuito al volume “Gli antenati insospettati della rivoluzione”, sulla “fabbricazione” artificiale del movimento della rivoluzione culturale (che ha mirato non tanto alla presa del potere, quanto alla sovversione dei costumi e della morale), e su come questa “fabbrica” (che ebbe sede nella facoltà di Sociologia dell’Università di Trento) ha dato nascita all’ideologia delle Brigate Rosse. Forse come effetto collaterale, forse no. Altre indagini sulle trame dei poteri forti internazionali, allora intenti a sviluppare gli organi di un “governo mondiale” prossimo venturo (dal Fondo Monetario all’Organizzazione Mondiale del Commercio, alla stessa Unione Europea) le ha raccolte nei tre volumetti dal titolo “Complotti”. L’11 settembre 2001, inviato da Avvenire a Manhattan a coprire il mega-attentato delle Twin Towers, non ha tardato a scoprire e denunciare gli indizi che smentivano la “versione ufficiale”. In Italia, è stato il primo ad uscire con un volumetto che smentiva tale versione: “11 Settembre, colpo di stato in Usa”. Dove appunto ha sostenuto, portando gli indizi raccolti a New York, che non si trattava di un attentato “islamico” (del resto Bin Laden era un agente americano contro i sovietici in Afghanistan). Attualmente Maurizio Blondet svolge prevalentemente l’attività di conferenziere.


Fonte: http://www.maurizioblondet.it/giovanelli-esamina-il-filosofo-galimberti/  dell'11/02/16 in redazione il 13 Febbraio 2016

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