Il Papa incontra Kirill, è la rivincita del profeta Soloviev
“E’ un miracolo, ma la Russia sempre più nazionalista ha dimenticato quel che ci potrebbe unire, da Florenskij a Bulgakov”. Parla padre Romano Scalfi
L'incontro tra il Papa e il Patriarca di Mosca è previsto per oggi pomeriggio ora locale (la serata italiana)
Roma. Oggi, quando in Italia sarà già calata la sera, il Papa di Roma e il Patriarca di Mosca si incontreranno per la prima volta nella storia, in una saletta démodé dell’aeroporto internazionale “José Martí” dell’Avana, sotto lo sguardo radioso di Raúl Castro e delle icone dei santi laici revoluciónari. Due ore di colloquio riservato alla presenza dei soli interpreti, quindi la firma della dichiarazione congiunta, che si presume corposa.
Ieri, imbarcandosi all’aeroporto di Vnukovo, Kirill ha detto che “sarà un viaggio lungo e difficile” e “richiederà forza fisica e spirituale”. “Secondo me è un fatto straordinario, che non ci si aspettava, si può parlare di un grande miracolo, anche perché ultimamente la situazione interna della chiesa russa sembrava la meno propizia a un accordo col Vaticano”, dice al Foglio padre Romano Scalfi, tra i fondatori di “Russia Cristiana”, l’associazione cattolica milanese sorta nel 1957 con l’intento di far conoscere in occidente le ricchezze della tradizione spirituale, culturale e liturgica dell’ortodossia russa, di favorire il dialogo ecumenico, di contribuire alla presenza cristiana in Russia e, al contempo, di dar voce ai testimoni del dissenso perseguitati in Unione sovietica. “Contagiati dalla grande euforia nazionalista, molti ortodossi russi credono a Putin che addìta tra i nemici del paese innanzitutto gli Stati Uniti e l’occidente in quanto tale, del quale fa parte anche la chiesa cattolica, che di conseguenza viene guardata con una certa antipatia. Ed ecco che in questa situazione inaspettatamente si avvera un incontro che ci apre nuove prospettive. La chiesa cattolica e quella ortodossa potranno fare un grande passo di avvicinamento”, sottolinea.
ARTICOLI CORRELATI A Canossa dai luterani e a Cuba con Kirill: è il neo ecumenismo di Papa Francesco Il genocidio dei cristiani mediorientali è il motore dell’incontro Papa-KirillCerto, i problemi sul tavolo restano, ne sono la prova le varie puntualizzazioni – prima fra tutte, le interferenze cattoliche nelle diocesi sottoposte alla giurisdizione del Patriarcato moscovita – che il metropolita Hilarion ha tenuto a rimarcare nella conferenza stampa con cui ha annunciato lo storico incontro, mostrando a tratti anche un po’ di freddezza: “Dobbiamo essere realisti, nella chiesa ortodossa russa oggi esistono varie tendenze con diverse sfumature: chi desidera veramente avvicinarsi ai cattolici, ponendo al centro l’eucaristia come essenziale punto di novità che già esiste in ciascuna delle due chiese, e che può realmente farci camminare verso l’unità. E chi, invece, inebriato dall’idea di Mosca Terza Roma, erede del potere mondiale, tende a sottolineare solo gli elementi negativi, elencando tutte le contraddizioni in essere. Non bisogna lasciarsi prendere dall’entusiasmo, ma neanche disperare”, dice padre Scalfi, che a 92 anni compiuti può dire di averne visti parecchi di avvicinamenti e allontanamenti tra oriente e occidente, come quello di fine anni Novanta, quando pareva vicino l’abbraccio tra Giovanni Paolo II e Alessio, in Ungheria o Austria: “Non è il rancore né il desiderio di imporre la ‘nostra giustizia’ che ci porteranno fuori dalla situazione, sarà piuttosto la certezza che la verità non è un nostro possesso geloso, ma è Cristo. Davanti alle accuse tradizionali mosse contro la chiesa di Roma, innanzitutto non bisogna accettare per buona una visione unilaterale. Né si può fondare il dialogo a partire da una menzogna, e su questo credere di costruire. Eppure – aggiunge – alla base i rapporti con gli ortodossi sono davvero fraterni, come vediamo dall’esperienza del nostro Centro culturale a Mosca, dove con due cattolici collaborano una ventina di ortodossi, in perfetta armonia. Questa comprensione e stima reciproca hanno la possibilità di diffondersi dal basso, e già accade; perché non c’è niente che ci impedisca veramente di essere insieme”. Una delle pietre d’inciampo poste sul sentiero della riconciliazione è forse il riscoperto nazionalismo russo, che qualche problema ha causato anche alla linea più spirituale (e meno militante) di Kirill. “Il nazionalismo, come ogni nazionalismo che pensa solo alla grandezza della patria, ha bisogno innanzitutto di crearsi dei nemici da eliminare, condannare, disprezzare. Sin dagli anni Settanta il regime sovietico, ormai in fase discendente, aveva individuato nell’ortodossia la nuova ideologia per compattare il paese. Questa è stata la scelta strategica anche negli anni Duemila. Il governo oggi si impegna a costruire centinaia di chiese nelle periferie delle città ma tratta la chiesa come una sua ancella. Non solo, il nazionalismo oggi rivaluta il periodo sovietico; si dice da tutte le tribune che Stalin ha fatto grande la Russia, anche se ha ammazzato i suoi simili. Ma questa grandezza non ha niente a che vedere col cristianesimo, per il quale i massacri restano massacri. Questo nazionalismo è il vero ostacolo all’ecumenismo”, nota il fondatore di “Russia Cristiana”, che aggiunge: “Se anche per la chiesa il valore primario è la grandezza della nazione si arriva, come accade, ad esaltare persino la guerra santa, poiché esalta il valore della nazione. Si è disposti a sacrificare per essa persino la vita. Questi sentimenti oggi sono diffusi tra una parte di credenti, ma non è certo l’unica posizione e credo che il buonsenso alla fine avrà la meglio”.
Verrebbe da dire che l’incontro tra Francesco e Kirill dimostra tutta l’attualità del pensiero di Vladimir Soloviev, che già a fine Ottocento, nella Russia zarista, anticipava la rotta ecumenica contemporanea: “Soloviev fu profetico, perché secondo lui l’unità tra chiesa cattolica e ortodossa era possibile e necessaria già nel Diciannovesimo secolo; ha scritto delle pagine bellissime in proposito. Non a caso oggi di Soloviev in Russia si parla poco”, nota padre Romano Scalfi, che aggiunge: “Da quando è stata comunicata la notizia del prossimo incontro, a nessuno è venuto in mente di andare a riprendere i suoi scritti che indicavano questo come compito essenziale. D’altra parte, esiste nell’ortodossia una corrente molto interessante centrata sulla teologia eucaristica, che sottolinea l’unione già reale nell’unico sacramento celebrato dalle due chiese. Non è certo la corrente maggioritaria ma da quando la maggioranza ha avuto peso decisivo nella storia della chiesa?”, si domanda. “Attualmente – prosegue – la diplomazia ufficiale della chiesa ortodossa sembra propensa a tralasciare i problemi di sostanza per allearsi sulle questioni concrete. Ma tralasciare il fondamento è impossibile, perché in tal caso non riusciremo ad andare d’accordo neanche sulle cose concrete”. Guardando la questione da una prospettiva diversa, tutto cambia: “Ritengo invece che non ci sia niente di impossibile se puntiamo sull’eucaristia che è il punto di unità indiscutibile, indipendentemente dai nostri peccati e dalle nostre divisioni. Niente ci unisce come questo dono, neanche combattere insieme per difendere i cristiani, cosa di per sé positiva ma che non può essere quello che ci unirà. L’ecumenismo, come insegna Soloviev, dev’essere più fondamentale, puntare sulla fede e sui sacramenti, se no è un’illusione”.
Guardare all’essenziale per ritrovare l’unità
Da sempre padre Scalfi sostiene che l’occidente ormai malato di relativismo avrebbe tutto da guadagnare dall’incontro con la Russia, realtà che però andrebbe prima capita. Discorso ancora valido, ma a patto di intendersi su ciò di cui si sta parlando: “La Russia ha dato un contributo inarrivabile alla cultura mondiale, e in particolare al pensiero cristiano, con pensatori del calibro di Soloviev, Berdjaev, Bulgakov, Frank. Era un pensiero di grande genialità nel cogliere il senso della storia e della realtà. Oggi la Russia stessa li ha dimenticati, sono del tutto ignorati dalla cultura ufficiale. Pensiamo, tanto per citarne uno, a Pavel Florenskij, il quale diceva che la verità si esprime come amore, e l’amore fiorisce in bellezza. Al giorno d’oggi, sarebbe una gran cosa riscoprire che la verità per essere tale dev’essere unita all’amore, ma di questo non si parla tanto. E dunque – sottolinea – il nostro relativismo occidentale e il culto della forza russo hanno oggi bisogno di tornare a confrontarsi con questo pensiero; entrambi abbiamo bisogno di rivedere le nostre posizioni. Alle nostre chiese, poi, tornare a riconoscere che, nonostante i torti reciproci di cui ci siamo macchiati nei secoli, apparteniamo alla stessa cristianità darebbe uno slancio missionario inaudito. In realtà ci sono tante cose che ci uniscono, e invece di accantonarle per concentrarci su tattiche politiche, dovremmo tornare all’essenziale. Bisogna avere il coraggio di guardare l’essenziale, solamente questo può unirci”. I motivi che hanno fatto accettare alle gerarchie di Mosca di incontrare (seppur in territorio neutrale, a migliaia di chilometri dall’Europa segnata da un millennio di scismi e guerre fratricide) il vertice supremo della chiesa romana sono “certamente di carattere politico e sociale”, commentra padre Scalfi: “Tutti li hanno enumerati. Questa non è una novità e pertanto non ci sorprende. E sarebbe ingenuo pensare che basterà questo incontro a cambiare i rapporti tra cattolici e ortodossi. Quello che possiamo dire, però, è che indubbiamente l’intenzione di Papa Francesco è spirituale, che vuole l’unità in nome di Cristo. Dunque l’incontro potrà essere l’inizio dell’avvicinamento, oppure ridursi a una formalità che nasconde dietro le apparenze un modo di sentire niente affatto ecumenico”.
Già venerdì scorso, il Patriarcato faceva notare che lo scopo principale dell’incontro sarà quello di fare il punto sulla situazione dei cristiani perseguitati nel vicino e medio oriente, nel tentativo di dare una risposta comune dinanzi all’avanzata dei jihadisti al soldo del cosiddetto Stato islamico. Eppure, esistono anche altri terreni su cui l’intesa è possibile, dice il nostro interlocutore: “Potremmo citare la difesa della famiglia tradizionale e altre questioni di ordine morale e pastorale. Ma non sono l’elemento ecumenico fondamentale, se non ci si basa su Cristo ci si illude”.
di Matteo Matzuzzi | 12 Febbraio 2016
“Per Putin il pericolo è il fronte interno”
Di Luciano Garofoli
Quasi sempre chi governa una nazione è un amministratore, uno che ne regge le sorti barcamenandosi attraverso crisi interne ed esterne o, peggio, campando alla giornata. I proclami, i grandi programmi elettorali sbandierati o urlati in faccia ad una popolazione che li ascolta talvolta incuriosita, talvolta attonita o impaurita quasi sempre vengono disattesi. O peggio devono passare attraverso la cruna d’ago di un giudizio politico che è condizionato da particolarismi, da interessi più o meno appalesati e tutto inevitabilmente viene ridimensionato.
A questo, in Italia in maniera esasperata, ma anche un po’ in tutto l’Occidente si aggiunge una percezione sempre meno definita e chiara del concetto interesse nazionale, cioè di cosa uno stato sovrano debba accettare o meno per continuare a poter esistere ed a trarne profitto per la propria popolazione.
E’ molto raro trovare tra questo sottobosco politico una figura che spicchi e che da semplice comparsa diventi un leader, meglio uno statista, cioè una guida che sappia quello che vuole, che soprattutto anteponga a qualsiasi cosa il supremo interesse della nazione che guida e che ne sappia definire bene gli obiettivi strategici per potersi imporre sulla scena mondiale.
Essa infatti è sempre più complicata e ingarbugliata, se non inquinata da interessi lobbistici, da inconfessabili mire, da oscuri disegni di dominio del mondo.
Bene la figura del Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin può risultare simpatico o detestabile, ma nessuno può negare che non sia un omuncolo, ma un grande statista come pochi ne sono apparsi soprattutto sulla scena della politica russa.
Quando nel 2000 divenne Presidente della Federazione Russa ereditava dal predecessore Boris Yeltsin una Russia in completo disfacimento. In poco più di un decennio è riuscito a resuscitarla a ridarle una dignità nazionale e riportarla al rango di potenza mondiale perfettamente in grado di tenere testa a quello che sempre di più sta palesandosi come l’Impero Anglo sionista, o Usraele. Se qualcosa valgono i sondaggi di opinione, personalmente credo molto poco alla loro veridicità, oggi sicuramente la stragrande maggioranza dei russi sta con lui in modo incondizionato.
Quello che appare come una macchia, una zona d’ombra ancora da definire nel suo operato come capo di stato è di non essere ancora stato in grado di ristrutturare in maniera seria e fondamentale l’economia russa.
Quando salì al potere ereditava un sistema economico disegnato, controllato ed imposto dall’Alta Finanza di Wall Street. Con Yeltsin i ministri responsabili di vari dicasteri erano solo delle figure schermo pilotati e tenuti sotto tutela dai consiglieri occidentali che volevano il dissolvimento della Russia e la sua riduzione ad un ruolo di stato suzerain. A quel tempo quindi la Russia era una colonia amerikana almeno quanto oggi lo sono la UE o l’Ucraina: c’era stato un vero e proprio saccheggio selvaggio delle sue risorse naturali, il boccone più ghiotto ed ambito dai predatori planetari.
Miliardi di dollari erano stati rubati e nascosti nei paradisi fiscali occidentali da quegli “oligarchi” che ora, strillano e strepitano pieni di soldi dalle capitali della Alta Finanza apolide. L’industria era ridotta in uno stato comatoso e la nazione sprofondava in una miseria assoluta ed in preda ad un’esplosione di violenza, di corruzione mai visti prima ed era mancato poco che lo stato implodesse dando origine a tanti piccoli staterelli regionali.
In fondo questo era questo il disegno che volevano realizzare i circoli mondialisti amerikani: tutto lasciava presagire che il forte grado di indebitamento avrebbe poi definitivamente permesso il controllo totale politico ed economico della Russia.
Gli ultimi due centri di potere ancora rimasti erano gli “oligarchi” e l’ex KGB ed erano costretti insieme a cercare una via d’uscita a questa miseranda situazione. Giocoforza dovevano, anche se a malincuore collaborare: i primi sarebbero stati rappresentati da Dmitrij Medvedev il secondo da Vladimir Putin. Ovviamente ognuna delle due parti era convinta di poter controllare l’altra e che questo mix di forza e di capitale poteva garantire un grado di stabilità sufficiente per uscire dal pantano della crisi.
I due gruppi continuano ancora oggi a controbilanciarsi: quelli che stanno dietro Medvedev possiamo definirli “integrazionisti atlantici” quelli che fanno capo a Putin i “sovranisti eurasiatici”: i primi vorrebbero che la Russia a lungo andare fosse accettata pienamente dall’Occidente e ne diventasse un partner privilegiato e paritetico e spingono per trovare un punto d’accordo con l’Impero amerikano; i secondi al contrario, cercano di ampliare e rafforzare la sovranizzazione del paese con il preciso obiettivo di creare un sistema di relazioni internazionali multipolare valendosi dell’appoggio della Cina e degli altri paesi del gruppo dei BRICS.
Putin invece ha ripristinato l’asse verticistico del potere e con lentezza, ma con ferma determinazione ha cominciato a smantellare il sistema degli “integrazionisti atlantici”: prima si è liberato degli oligarchi più in vista e più noti come Berezovskii e Khodorkovskii, poi è passato a quelli locali ed ha continuato con la mafia che ruotava intorno all’apparato governativo, poi è venuto il turno di quella etnica, seguita dagli industriali corrotti che si appoggiavano alle varie mafie per fare affari ed ottenere favori illeciti.
In fondo la orma di democrazia che era stata imposta alla Russia era la degenerazione finale della medesima come ci capita di vederla applicata in maniera sfacciata ed arrogante in Italia ed un po’ in tutto l’Occidente. Quindi una forma che fa della libertà solo un simulacro, un fumo negli occhi, una luce accecante, o psichedelica che istupidisce le già stracondizionate mentali masse occidentali, ma che in realtà altro non è che una vernicetta per indorare la più oscena e laida forma di opprimente dittatura.
Qualcuno ha pensato di fermare questo processo favorendo una ribellione di marca wahabita in Cecenia: anche questo focolaio di possibili guai è stato debellato. L’operazione non era stata montata in maniera estemporanea, ma la direzione e l’operatività della ribellione aveva richiesto capitali ingenti ed una organizzazione che solo servizi segreti eteri potevano fornire. I soldi, cosa davvero strana ed originale, venivano dalle sempre più invadenti monarchie del Golfo che sostengono l’integralismo wahabita, i servizi che fornivano assistenza erano di sicuro made in Usraele. Anche ministri ingombranti come Anatoliy Serdyukov ed Aleksej Kudrin erano dei potenziali avversari e nello stesso tempo dei grossi impedimenti all’interno della compagine governativa; il primo fino al novembre 2012 ricopriva la carica di Ministro della Difesa; il secondo invece fino al settembre 2011 era il Ministro delle finanze. Il primo è stato sostituito, ma ricopre ancora una importante carica quella di Direttore industriale della Rostec[1], mentre il secondo ricopre la carica di Preside della Facoltà di Arti Liberali e delle Scienze presso l’Università statale di San Pietroburgo.
Putin, però, ancora deve:
riuscire a riformare il sistema politico russo,
liberarsi della quinta colonna all’interno del Cremlino,
riformare e migliorare l’economia del suo paese.
Il compito è gravoso, arduo e richiede molto tempo, molta pazienza ed un’abilità da consumato scacchista, dote questa che di certo non gli manca insieme ad una gran dose di pazienza personale.
E pensare che sia la Costituzione, sia tutto il sistema attuale che regola la politica ed i meccanismi di governo in Russia sono il risultato del lavoro svolto dai “consiglieri” americani che dopo il golpe del 1993 avevano permesso ad Yeltsin di reggere la nazione fino al 1999.
Quindi è ridicolo che la propaganda amerikana e dei suoi scodinzolanti “fedeli alleati” continui ad accusare Putin di essere a capo di un governo dispotico che regge le sorti del paese senza una sostanziale applicazione dei principi democratici. Ma se le regole le avevano scritte proprio loro come è possibile che ciò sia vero?
Ma la propaganda imperterrita batte sempre sugli stessi triti argomenti: la Russia non applica un metodo democratico, Putin è un dittatore corrotto, sanguinario che si serve sempre dei sistemi da KGB che gli permettono in segreto l’eliminazione anche fisica dei suoi avversari politici più scomodi.
Tuttavia, cosa davvero strana, non può rimpiazzare alcuni dei peggiori personaggi che ancora sono all’interno del governo e dell’apparato politico e quindi il sistema resta sempre immutato: rimuoverebbe soltanto gli effetti non le cause del male.
Ed indovinate chi sono coloro che fanno da freno e si oppongono a questo radicale cambiamento del sistema politico russo? La risposta è scontata sono quegli elementi che compongono quella quinta colonna filo occidentale e che cercano di imporre una linea politica che segua un “Washington consensus“. Essi sanno bene che un simile atteggiamento avrebbe delle conseguenze estremamente svantaggiose per la Federazione ed assolutamente catastrofiche.
Questi del resto non sono i metodi che gli USA stanno adottando in ogni parte del mondo per raggiungere fini e scopi ben precisi? Non è forse “Ordo ab Chao” la divisa del 33° grado della Massoneria motto il quale indica che prima bisogna creare caos per distruggere tutto quello che esisteva nel passato, nella storia, nel DNA dei vari popoli per sostituirli con un nuovo ferreo e dispotico ordine gerarchico selettivo?
Putin ha ben chiaro tutto ciò, anche se fino ad ora non è stato in grado di poter invertire la rotta e produrre cambiamenti radicali.
E’ comunque venuto il momento di dare un nome ed un volto ai componenti di questa quinta colonna, che davvero dovrebbero essere portati davanti ad un plotone di esecuzione e fucilati per alto tradimento, ma i bei metodi staliniani, checché se ne dica non vengono più adoperati nella Russia del nuovo autocratico Zar Putin: strano davvero però!
I nomi più di spicco sono: l’ex vice Primo Ministro Anatoliy Chubais, il Primo vice Governatore della Banca Centrale Russa Ksenia Iudaeva, il vice Primo Ministro Arkadii Dvorkovich, il Primo vice Ministro Igor Shuvalov, il Governatore della Banca Centrale Russa Elvira Nabiullina, l’ex Ministro delle Finanze Alexei Kudrin, il Ministro dello Sviluppo Economico AlexeiUliukaev, il Ministro delle Finanze Anton Siluanov e il Primo Ministro Dmitrij Medvedev
La 5° colonna russa dall’alto in basso: Chubais, Iudaeva, Dvorkovich, Shuvalov, Nabiullina, Kudrin, Uliukaev, Siluanov, Medvedev
E’ chiaro che l’elenco è incompleto è solo un elenco parziale, la lista vera è molto più lunga e si annida in profondità nella struttura burocratica e di potere russa. Fra i personaggi sopranominati si va dai pericolosi ideologi, come Kudrin o Chubais, ai funzionari mediocri e senza immaginazione come Sulianov e la Nabiulina.
Nessuno di loro, da solo, rappresenterebbe una grande minaccia, ma come gruppo, interagente nell’attuale sistema politico, costituiscono una formidabile minaccia che Putin deve tenere sotto controllo.
Ritengo comunque che una purga sia in preparazione.
Un sito ben informato sulle questioni interne russe così si esprime:
“Uno dei possibili segnali di un tale rimpasto è il fatto che i media russi, quelli del Web e quelli corporativi, sono attualmente molto critici sulle politiche economiche del governo del Primo Ministro Medvedev. La maggior parte degli economisti russi concorda sul fatto che il vero motivo dell’attuale crisi economica in Russia non è dovuto al calo del prezzo del greggio, ancora meno alle sanzioni economiche dell’Occidente, ma piuttosto alle decisioni sbagliate della Banca centrale Russa (come il lasciar fluttuare la quotazione del rublo o mantenere alto il tasso di interesse) ed alla mancanza di un’azione governativa a sostegno di vere riforme per lo sviluppo dell’economia russa. Quello che è particolarmente interessante è che gli oppositori più rumorosi della 5° colonna riescono adesso ad avere parecchio spazio televisivo, anche nella VGTRK [2] che è sotto il controllo statale. I principali critici degli attuali orientamenti economici, come SergeiGlazev, Mikhail Deliagin o Mikhail Kazin, vengono intervistati in continuazione, ed hanno tutto lo spazio necessario per demolire completamente la politica economica del governo Medvedev. Comunque Putin sembra non reagire affatto, infatti, nel suo ultimo discorso di fine anno ha anche lodato il lavoro svolto dalla Banca Centrale Russa. Che cosa sta succedendo allora?
Per prima cosa, e questo potrebbe essere difficile da immaginare per tutti quelli che sono soggetti alla propaganda occidentale, Putin è semplicemente limitato dalla legge. Di fatto non può mandare le truppe speciali e farli arrestare tutti con qualche accusa di corruzione, malaffare o sabotaggio. Molti in Russia se ne rammaricano, ma le cose stanno così.
In teoria Putin potrebbe licenziare tutto il governo (o anche solo una parte) e nominare un altro Governatore alla Banca Centrale. Il problema è che un comportamento del genere scatenerebbe la reazione estremamente violenta dell’Occidente. Mikhail Deliagin ha recentemente dichiarato che, se Putin dovesse fare questo, la risposta occidentale sarebbe anche più brutale di quella verificatasi dopo la riunificazione della Crimea con la Russia. Ha ragione? Può essere. Putin è preoccupato non solo dalla reazione dell’Occidente, ma anche di quella delle élites russe, in particolare quelle benestanti, che già non lo vedono di buon occhio e che considererebbero una simile purga come un attacco ai loro interessi personali e vitali. L’insieme della sovversione americana e dei grossi interessi economici locali ha sicuramente la capacità di creare in Russia una qualche forma di crisi. Penso che questa sia di gran lunga la maggior minaccia che Putin deve fronteggiare.”
Putin si trova, per ora nella spiacevole situazione di non poter assolutamente intervenire, né tanto meno di fare mosse per acuire la crisi: la situazione anche e direi soprattutto a livello internazionale si è molto aggravata.
L’Occidente guidato dagli Stati Uniti sempre più insofferenti e nervosi nei confronti della Russia, si muovono ora direttamente, ora in maniera indiretta attraverso i “fedeli scodinzolanti alleati” tedeschi, sauditi, turchi l’importante è che la tensione contro Mosca salga fino ad arrivare al parossismo.
Certamente da quando Putin ha impedito agli USA di attaccare la Siria le cose sono precipitate, se poi a questo aggiungiamo il calo costante del prezzo del petrolio, l’aggravarsi della crisi ucraina e l’applicazione di sanzioni economiche punitive sia per la Russia sia che soprattutto per gli stati europei più deboli, la tensione è veramente arrivata a livelli mai toccati prima.
Da una parte la Germania denuncia ad Ankara, con toni molto provocatori, l’invadenza russa in Siria che mette a repentaglio la sicurezza della Turchia, dall’altra in barba alle sanzioni e del grugno duro fatto per la crisi ucraina, tratta con Mosca il raddoppio del North Stream per assicurarsi la continuità di rifornimenti di gas russi in barba agli USA ed ai fessi degli altri componenti la UE cui ha chiesto, con la solita sicumera teutonica, il rinnovo delle sanzioni contro Mosca.
Viene spontaneo da chiedersi se tutto questo scenario sia svantaggioso oppure rappresenti una grossa opportunità per permettere a Putin di cominciare quel repulisti interno che finalmente gli permetta di sbarazzarsi della 5° colonna interna?
Ma noi ovviamente siamo nella impossibilità pratica di poter formulare delle ipotesi più consistenti, soltanto Putin infatti possiede tutte le informazioni necessarie per poter essere in grado di prendere una decisione.
La crisi economica interna alla Russia sta facendo salire lo scontento sia nei confronti della Banca Centrale che nei confronti dalla politica economica del governo Medvedev, il tutto mentre la popolarità personale di Putin è tuttora alle stelle, nonostante il fatto che l’economia russa ne abbia sicuramente sofferto, anche se in modo molto minore di quanto avesse sperato l’apparato finanziario amerikano.
Da consumato scacchista e seguendo quello che ha sempre fatto con successo, Putin sta deliberatamente aspettando che la situazione continui a peggiorare sicuro che questo montante scontento è rivolto non contro la sua persona, ma contro quella 5° colonna filo occidentale che ostinatamente continua ad agire e tramare contro il popolo russo.
Sicuramente ha ben chiara una cosa: la vera forza di tutto il suo potenziale non sta nell’esercito o nei servizi di sicurezza, ma nell’appoggio che gli fornisce il popolo russo.
Quindi prima di fare qualsiasi passo deve avere dalla sua l’approvazione incondizionata della base e lo potrà fare quando la crisi sarà arrivata ad un punto di evidenza tale che nessuno potrà avere dubbi e verrà spinto proprio da questa base ad assumersi un rischio così alto e pericoloso: questo è avvenuto già per la Crimea; per la crisi cecena; nel momento dell’intervento diretto in Siria. La gente capisce bene che non ci possono essere opzioni differenti e si persuaderà che questa sia l’unica strada percorribile.
Non credo proprio che Putin sonnecchi e che si faccia prendere in contropiede da tutte le crisi che si scatenano, ma agendo con oculata lentezza e con fredda determinazione arrivi fino alle estreme conseguenze sapendo bene che per agire deve avere dalla sua il consenso popolare al massimo grado.
Fino ad ora questo uomo che la propaganda occidentale definisce “tiranno dagli occhi di ghiaccio”, “un nuovo autocratico zar” non è riuscito ad avere ragione di quelle forze esogene filo atlantiche ed occidentalistiche che continuano ad avere una fiducia smisurata in se stesse ed a dimostrare un’arroganza sempre maggiore. Questo è il segnale palese che qualcosa è destinato a succedere in maniera inequivocabile e molto presto.
luciano garofoli
[1] Rostec è un colosso industriale che controlla 22 aziende dirette e 14 partecipate il cui campo di azione spazia dai prodotti ad alta tecnologia civile a quelli di uso industriale e militare. Ha tra l’altro un accordo con la Pirelli per la costruzione di pneumatici, con la Renault per la gestione della Avtovaz. E’ fornitore di parti forgiati in titanio per il nuovo jet Boeing 787 Dreamliner. Ha un accordo con l’Agusta Westland (gruppo Finmeccanica) per l’assemblaggio di elicotteri AW 139. Con la Samsung coreana ha sviluppato i sistemi di guida delle batterie di missili antiaerei A300 ed A400.
[2] VGTRK Vserossijskaja gosudarstvennaja televizionnaja i radioveščatelnaja kompanija cioè Società statale di televisione e di radiodiffusione di tutta la Russia è la sigla che indica la radio televisione di stato russa.
A differenza dei media occidentali, televisioni e giornali russi stanno dando grande rilievo all’incontro di questa sera tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill. Sarebbe bastata la dimensione storica, epocale di quest’incontro per renderlo una notizia appetibile alla macchina dei media mainstream: è la prima volta infatti che le due chiese si incontrano dopo secoli di feroce contrapposizione.
Ha incontrato un eretico scismatico massone del KGB, bella roba! Contento lui...
RispondiElimina